I minatori dell'Alaska/XVI - Le Teste Piatte

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XVI — Le Teste Piatte

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XV — La caccia ai bisonti XVII — Un pericolo sconosciuto

XVI — LE TESTE PIATTE


I bisonti, incalzati dagli indiani e spaventati dagli spari che rimbombavano senza posa, producendo certamente numerose vittime, fuggivano all'impazzata in una orribile confusione, urtandosi, schiacciandosi, calpestandosi. Trovata dinanzi a loro la gola, quei mostruosi ruminanti vi si erano rovesciati dentro a corsa sfrenata, schiantando con impeto irresistibile i giovani alberi, e sventrando, con l'impeto delle loro masse poderose, i cespugli che ingombravano il passaggio. Ai primi bagliori dell'alba, che tingevano il cielo di riflessi rosei, si vedevano confusamente dei maschi di statura colossale, dalla testa grandissima e di aspetto pauroso, con le potenti corna piantate su ossa frontali così robuste da poter respingere una palla da fucile, e con criniere così folte che si prolungavano lungo il dorso; e delle femmine un po' meno grosse e di aspetto meno minaccioso, che s'affannavano a proteggere, ma invano, i loro giovani vitelli. Erano almeno cinquecento capi, e tutti s'affannavano a giungere in testa per sottrarsi alle strette dei vicini, e alle palle e ai colpi di lancia degli indiani. I primi, più fortunati, giunsero in breve sotto la rupe, tutto sconvolgendo al loro passaggio, e scomparvero dall'altra parte della gola. Uno di essi, però, un vecchio maschio, armato di due lunghe corna, trovato il sentiero poco prima percorso dai cavalli, lo salì al galoppo senza nemmeno accorgersi della presenza degli uomini. Vedendolo, Bennie era balzato innanzi, gridando:

— A me, amici, o siamo perduti!...

Back, il meccanico e Armando avevano puntati i fucili contro il colosso. Tre spari rimbombarono l'uno dietro l'altro, coprendo i muggiti formidabili dei secondi ranghi che, a loro volta, irrompevano nella gola. Il vecchio maschio, colpito forse nel cranio, non s'arrestò, anzi, doppiamente spaventato e irritato, continuò a salire il crepaccio, minacciando di piombare in mezzo alla rupe e di rovesciare nella gola sottostante uomini e cavalli. Fortunatamente Bennie non aveva ancora fatto uso del fucile. Lesto come un daino balzò fra la spaccatura di una roccia per poter, in caso di pericolo, sottrarsi all'incontro, poi fece fuoco quasi a bruciapelo. L'effetto di quel colpo fu fulminante. Il bisonte, colpito in un occhio, cadde sulle ginocchia mandando un muggito furioso, poi la massa si piegò su di un fianco, quindi rotolò giù per il pendio, schiacciando con l'enorme peso un povero vitello che si era impegnato nella spaccatura per salvarsi dall'onda dei compagni.

— Bel colpo!... — gridarono Armando e il meccanico.

— Amici!... — urlò il cow-boy. — Fuoco a volontà.

Il grosso della mandria si era allora cacciato nella gola, spinto innanzi dai colpi di fucile degli indiani. Bennie, Armando e i loro compagni stavano per cominciare il fuoco, quando all'estremità della gola videro comparire trenta o quaranta cavalieri seminudi, adorni di penne variopinte e di code di cavallo e di lupo, e armati di lance e di fucili.

— Le Teste Piatte!... — gridò Bennie. — Non fate fuoco, o uccideremo qualche cacciatore.

Alcuni di quei selvaggi, scorgendo il gruppo formato dai quattro bianchi, li salutarono con alte grida agitando le armi, poi lanciarono i loro indemoniati mustani dietro gli ultimi ranghi dei bisonti, facendo un vero macello di quelli che rimanevano separati e che cercavano di fuggire fra le rupi. Bennie e Armando, voltatisi per non far fuoco contro i cacciatori, si erano messi a sparare addosso agli animali che passavano sotto la rupe, colpendone alcuni, ma quella sparatoria fu di breve durata. I giganteschi ruminanti in breve disparvero alle svolte della gola inseguiti dai cavalieri rossi, lasciando fra gli sterpi e i cespugli devastati parecchi cadaveri e buon numero di agonizzanti. Alcuni indiani, però, che venivano ultimi, si erano arrestati per finire a grandi colpi di tomahawk i moribondi e i feriti, mentre altri, balzati a terra, si erano subito messi a tagliare le code agitandole trionfalmente. Un inseguimento continuato diventava ormai inutile, poiché nella sola gola c'era già tanta carne da nutrire mille persone per tre settimane. Se alcuni non avevano ancora rinunciato alla caccia era per pura passione, o meglio per puro istinto di distruzione. Un capo indiano, che calzava mocassini di pelle gialla a ricami, adorni di capigliature, e indossava una casacca di pelle di daino verniciato, stretta da una cintura a cui stavano appesi due sacchetti detti della medicina, perché racchiudono degli amuleti, avanzò verso gli uomini bianchi, portando con sè una lingua di bisonte. I cacciatori dal viso pallido ricevettero da Dorso Bruciato, capo delle Teste Piatte, quel regalo come segno di amicizia, in attesa di fumare insieme il calumet di pace.

— Grazie, sackem Dorso Bruciato, — rispose Bennie, ricevendo il regalo con cortesia.

— La carne di bisonte abbonda laggiù — continuò l'indiano. — Miei fratelli, i visi pallidi avranno la loro parte.

— E noi l'accetteremo di cuore.

— Al di là di questa gola, oltre la prateria, si alzano i nostri wigwams ben riparati dal vento del settentrione: i cacciatori dal volto pallido avranno la loro tenda e larga ospitalità come si conviene ad amici stimati e valorosi.

— Noi verremo, capo, — disse Bennie. — L'ospitalità delle tribù delle Teste Piatte l'ho già provata più volte e non ho mai avuto da dolermi.

Il sackem fece un saluto con la mano e ridiscese nella gola dove già si erano radunati altri cento indiani per procedere alla raccolta di tutta quella carne, operazione non facile, poiché non tutti sono capaci di sezionare quei giganteschi ruminanti. Con i loro coltelli levavano le pelli senza danneggiarle, per trarre poi maggiori guadagni dagli agenti delle compagnie delle pellicce, poi immergevano le lame dietro le spalle di quei mostruosi animali, tagliando la spina dorsale e separando, con un'abilità impareggiabile, le grosse costole. Aperte quelle masse, si cacciavano animosamente dentro quelle montagne sanguinanti per strappare gli intestini che mettevano da parte, essendo destinati alla lavorazione dei salsicciotti di prateria, quindi con le scuri sezionavano i quarti, formando degli ammassi di carne che altri indiani caricavano sui numerosi cavalli già raggruppati all'estremità della gola. Bennie, Armando e i loro compagni erano scesi per assistere a quell'enorme macello.

— Che destrezza!... — esclamava il giovanotto. — I nostri macellai sono dei principianti al confronto.

— Nessun cacciatore di prateria è mai riuscito a eguagliarli — rispose Bennie. — Se sono lavoratori, sono però anche grandi divoratori e vedrete questa sera che orgia di carne faranno.

— Ditemi un po', signor Bennie — chiese a un tratto Armando, dopo essere rimasto alcuni minuti in silenzio. — Hanno veramente la testa piatta questi indiani? Le penne che portano m'impediscono di vedere.

— Sono realmente piatte, amico mio.

— E in che modo ottengono questa deformazione?

— Con un sistema che non deve essere troppo comodo per i poveri piccoli.

— Si tratta forse di un sistema simile a quello usato dai cinesi per impedire ai piedi delle ragazze di crescere? — chiese il signor Falcone.

— Qualcosa di simile, signore. Quando il piccolo indiano è nato, la madre si affretta ad applicargli sulla fronte una specie di cuscino di scorza, che trattiene con cordoni passati nella culla, e che non toglie più per un anno.

— Deve essere un vero martirio.

— Certo, — rispose Bennie. — Ho visto parecchi bambini con la fronte così imprigionata, e i loro volti manifestavano una continua pena. Avevano gli occhi fuori dalle orbite, i muscoli gonfi, le gote infuocate e le labbra contratte. Si dice che soffrano dei dolori leggeri, ma io non credo che si tratti di cosa così lieve come vorrebbero darla ad intendere gli indiani.

— E dopo un anno la fronte è proprio piatta?

— Sì, signore e la testa non ritorna mai più rotonda come prima.

— E perché si deformano in questo modo?

— Perchè credono di diventare più belli, dicono alcuni; altri invece mi dissero che si spianavano la fronte per distinguersi dalle altre tribù.

— Sono numerose le Teste Piatte?...

— Lo sono ancora, e le loro tribù si trovano perfino nelle vicinanze di Vancouver, al confine dei possedimenti britannici col territorio di Washington degli Stati Uniti.

— Dunque non è vero che i pellerossa scompaiano rapidamente — disse Armando.

— Nei territori dei possedimenti britannici, le tribù indiane sono ancora numerose, avendo a loro disposizione immense superfici di terreno dove possono cacciare, negli Stati Uniti, è un'altra cosa. Diminuiscono anche qui, siatene certo, a causa delle continue guerre che si fanno fra tribù e tribù, e per l'abuso delle bevande alcoliche, dell'acqua del diavolo specialmente, come chiamano il whisky che comperano dai cacciatori delle Compagnie, ma negli Stati Uniti tendono a sparire con rapidità impressionante.

— È vero, Bennie — disse il signor Falcone. — Nel 1866, secondo un quadro compilato dal commissario degli affari indiani di Washington, il numero dei pellirossa nei territori degli Stati dell'Unione ascendeva a circa trecentoseimila, nel 1870 era disceso a duecentoottantasettemila e oggi è molto se tocca i duecentomila.

— Che discesa rapida!.. — esclamò Armando.

— È un fenomeno che si è sempre verificato, da quando gli uomini bianchi si sono trovati a contatto con la razza rossa — proseguì il meccanico. — Un gran numero di tribù, un giorno potenti, sono totalmente scomparse dopo il loro contatto con la razza bianca. I Delaware, per esempio, che ancora qualche secolo fa potevano mettere in campo dei veri eserciti, sono ridotti a pochi individui; i Mandani, i Mohicani, e i Crehek, le cui tribù si estendevano dalla foce del Mississippi fino ai grandi laghi, sono spariti, distrutti completamente dal vaiuolo. Dove sono le tribù dei Seminoli, valorosi difensori della Florida contro l'invasione degli americani condotti dal generale Jackson?... Chissà se ne esiste ancora qualcuno! E le sei nazioni dei laghi del Canada?... Andate a contare quanti uomini hanno ancora oggi le tribù degli Irochesi e degli Algonquini che combatterono valorosamente a fianco dei Francesi contro gli Inglesi nel Canada? E delle tribù dei Natchez che cosa è accaduto?... Gli ultimi superstiti di quella grande nazione vendono erbaggi sui mercati di Nuova Orleans, come gli ultimi Irochesi si guadagnano stentatamente da vivere facendo i canottieri sulle cascate del San Lorenzo. È così, caro Armando; la nostra razza è sempre stata fatale alle altre, e finirà col distruggerle tutte, meno una: la gialla.

— La colpa è un po' degli indiani — disse Bennie.

— Non dico di no. Se si fossero piegati, se avessero rinunciato alla caccia in quei territori dove comincia a mancare la selvaggina e avessero chiesto sostentamento dal suolo, sarebbero ancora numerosi. Alcune tribù infatti, che si sono dedicate all'agricoltura, prosperano. I Cuori di Lesina, per esempio, formano una specie di repubblica agricola molto florida; così pure i Ceroki i quali hanno perfino fondato un giornale, la Fenice dei Ceroki e posseggono anche una biblioteca; i Cickasom, i Ciaktak e alcuni altri. Non crediate però, con tutto questo, che anche gli indiani confinati nelle riserve aumentino di numero; tutt'altro. È stata una pura speranza, poiché in sessanta e più anni gli indiani accantonati, da centomila che erano, sono oggi cinquantamila. Alcuni filantropi avevano perfino sognato di radunare tutti gli indiani sparsi negli Stati Uniti in un solo territorio e formare una federazione degli uomini rossi, ma hanno dovuto rinunciarvi, poiché le tribù più numerose si sono affrettate a far sapere che non si sarebbero mai fuse con le altre, nè sottomesse. «Noi vogliamo vivere come siamo stati allevati, — dissero tutti i sackem con un accordo mirabile, — non ci parlate dunque nè di riserve, nè di federazioni, nè di coltivazioni. Lasciateci andare dove va il bisonte, e mandate i vostri uomini dalla pelle bianca a coltivare la terra. Noi corriamo attraverso le praterie cacciando il daino, l'orso ed il bufalo: non amiamo altro».

In quell'istante Dorso Bruciato venne ad interrompere la loro conversazione:

— Gli uomini bianchi mi seguano — disse. — La raccolta è terminata e le donne della tribù attendono il nostro ritorno accanto ai fuochi.

— Andiamo, — disse Bennie. — Troveremo un pranzo squisito.

Le Teste Piatte si erano già messe in cammino procedendo a fianco dei cavalli carichi di enormi pezzi di carne, ancora gocciolanti sangue e di pelli superbe accuratamente arrotolate, le quali, però, prima di venir lavorate, dovevano subire una preparazione, che le avrebbe rese più morbide e conservate più a lungo. Uomini ed animali erano orrendamente imbrattati di sangue. Penne, mocassini, casacche, armi, criniere e code erano tinte di rosso come se gli uni e gli altri si fossero avvoltolati in mezzo ad una ecatombe di scannati. Bennie e i suoi amici avevano seguito il capo, il quale aveva ornato il suo mustano di code di bisonte e di lingue enormi, e in pochi istanti erano sbucati in una vasta prateria, dove altri indiani erano occupati a scuoiare e a fare a pezzi altri animali caduti sotto il fuoco dei fucili, mentre altri ancora guidavano grandi carri ricolmi di spoglie sanguinolente e di montagne di carne. Attraversarono al galoppo la pianura e si cacciarono in mezzo ad alcuni poggi boscosi, sopra i cui alberi si vedevano innalzarsi colonne di fumo. In lontananza si udivano già grida di donne, strilli di bambini e latrati di cani, che annunciavano l'accampamento indiano. Il sackem, seguito da una mezza dozzina dei suoi guerrieri, i cui mustani erano adorni di lingue e di code di bisonte, scese una valle irrigata da numerosi torrenti e sulle cui alture si vedevano caracollare dei cavalieri incaricati di vegliare sulla sicurezza comune, poi volgendosi verso Bennie e indicandogli una gola che pareva si addentrasse fra due enorme masse rocciose, gli disse:

— Il campo.