I monumenti e le opere d'arte della città di Benevento/Dei Longobardi in Benevento e del chiostro e della chiesa di S. Sofia/Fondazione di S. Sofia. Sue vicissitudini attraverso i secoli

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2. Fondazione di S. Sofia. Sue vicissitudini attraverso i secoli

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2. Fondazione di S. Sofia. Sue vicissitudini attraverso i secoli
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2. fondazione di s. sofia.
sue vicissitudini attraverso i secoli


Non fu Gisulfo quei che gittò le prime costruzioni del tempio di S. Sofia; la gloria di averlo innalzato spetta tutta ad Arechi II. La esistenza dell’altra chiesa di S. Sofia a Ponticello, fondata dall’Abate Zaccaria, e alla quale i due Gisulfi fecero doni1 dovette trarre in inganno Leone Ostiense nel fargli asserire: «Iste Gisulphus caepit aedificare Ecclesiam S. Sophiae in Benevento, quam, cum morte praeventus explere non posset, Arichis, qui ei successit, mirifice illam perfecit. Ibique sanctimonialum caenobium statuens, Monasterio sancti Benedicti hic in Cassino concessit, sicut in sequentibus ostendemus»2. Ma in altro luogo aggiunge, sulle orme di Erchemperto:3 «Hic intra moenia Beneventi templum Domino opulentissimum, ac decentissimum condidit, quod Graeco vocabulo AGHIAN SOFIAN idest sanctam sapientiam nominavit, etc.4 L’autore ci ha fatto sapere5 che Arechi mise questo Monastero alla dipendenza del Monastero di Monte Cassino. Aggiunge che, dotatolo di ricche rendite, vi mise per prima Abadessa sua sorella, la quale nomossi Gariperga; che nella Chiesa, sotto un altare, ripose le ceneri di dodici fratelli martiri, raccolte in diverse città della Puglia; e sotto di tanti altri altari, disposti in giro allo altare maggiore, in circuitu maioris altaris, collocò degnamente le ceneri di S. Mercurio e di trentuno altri santi martiri e confessori, raccolte per l’Italia in siti differenti. Il palazzo del Principe era vicino, se non contiguo proprio al tempio (....vicinium loco illi palatium erat), tanto che di notte tempo quegli vi si recava ad orare6. Ciò riconferma sempre più la tradizione del nome Piano di Corte7 che ancora oggidì conserva il largo che è alle spalle dell’attuale Monastero.

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Reca meraviglia come il Pugliese, autore sì coscienzioso della monografia sopra citata, sia potuto cadere nell’errore di credere che il tempio da Arechi costruito in Benevento fosse stato dedicato alla Santa di nome Sofia8. E tanto più reca meraviglia in quanto che egli riporta il riferito passo di Erchemperto, in cui dicesi che il tempio con greco vocabolo fu appellato Santa Sapienza. Vi era in Benevento un’altra Chiesa dedicata alla Santa di nome Sofia, ma fu quella fondata dall’Abate Zaccaria a Ponticello, fuori la città9.

Stefano Borgia10 è di parere che la dedicazione del tempio di S. Sofia seguì nell’anno 760, il 17 Febbraio. Non si sa quando il Monastero cessò di essere abitato da monache, nè per quale causa11; però nel decimo secolo certamente era occupato da monaci, avendosi notizia che essi volevano sottrarsi alla soggezione di Monte Cassino12. La quale indipendenza non acquistarono che nell’anno 1022 per concessione di Benedetto VIII, e si elessero liberamente per Abate un tale Bisanzio. Il primo loro Abate era stato Orso. Delle ricche donazioni che ebbe questo insigne Monastero in varii tempi non è quì il caso discorrere, ma si possono rilevare da Borgia e dall’Ughelli nell’Italia Sacra.

Questo Monastero passò in Benefizio o Commenda, come rilevasi da documenti dell’epoca di Callisto III. Indi nel 1595, col consenso dell’Abate Commendatario Cardinale Ascanio Colonna, da Clemente VIII fu unito alla Congregazione dei Canonici Regolari del SS. Salvatore, soppressovi l’ordine dei Benedettini. Tra questi è meritevole di menzione l’Abate Desiderio Beneventano, che poi fu Abate di Montecassino e da ultimo Papa col nome di Vittore III.13.

I più preziosi documenti che si conteneano in questo Monastero furon tolti e trasportati a Roma dal nominato Cardinale Ascanio Colonna; poi, alla morte di lui, furon da Papa Paolo V ricuperati e fatti deporre nella Biblioteca Vaticana, ove tutt’ora son conservati.

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Nel 1834 dall’Arcivescovo di Benevento Bussi il Monastero di S. Sofia fu dato ai frati Ignorantelli delle Scuole Pie, che lo occupano ancora al presente.

Mi piace qui riportare un brano di Gregorovius14: «I maestri (parla dei sudetti benemeriti frati Ignorantelli, che vi impartiscono la istruzione elementare ai bambini) nel loro abito nero da frati, volenterosi mi condussero intorno a visitare le scuole. Io pensavo al tempo in che Paolo Warnefried15 si aggirava appunto in questi portici, ovvero a quando Desiderio, un membro della famiglia ducale, che in seguito, come Abate di Montecassino e poscia successore di Papa Gregorio VII ebbe fama mondiale, faceva quivi i suoi studii. Il chiostro di S. Sofia fu per lungo tratto il principale istituto scientifico di Benevento. Nel nono secolo gli studii teologici, gli scolastici, i grammatici vi erano così in fiore, che i filosofi beneventani godevano fama e grido in tutta Italia. Allorchè, gettando uno sguardo indietro, misuriamo oggi la cultura scientifica di quegli operosi Longobardi, noi dobbiamo non dimenticare che essa stava in relazione coi tempi loro. Onde gli istituti educativi di allora non ebbero meriti minori, anzi forse maggiori, delle scuole e dei centri di istruzione e di sapere del tempo presente».

Sventuratamente dell’insigne Monastero e del celebre tempio di S. Sofia non avanza quasi più nulla al presente, avendo tutto distrutto i tremuoti. Nell’anno 847, cioè appena circa un secolo dopo la costruzione di S. Sofia, vi fu per tutta la beneventana regione orrendo tremuoto, che fece rovinare molti edifizii fin dai fondamenti16. Seguì nell’anno 986 altro più violento tremuoto17, il quale abbattè quindici torri e fe’ morire centocinquanta persone. Poi accaddero gli altri nel 1125, nel 1138, nel 1456 nel 162718, nel 5 giugno 1688 e nel 14 marzo 1702.

Egli è sicuro che nel 1688 non era più in piedi l’antico [p. 368 modifica]Monumento, imperocchè il più volte ricordato Giordano de Nicastro, scrivendone nel suo manoscritto Benevento Sacro19 proprio nell’anno 1683, asserisce che quello si vedea ai suoi giorni non era che un picciolo avanzo o reliquia del celeberrimo edificato da Arechi sei volte più ampio di quello non fosse ai suoi tempi.

Nel 1696 l’Arcivescovo Cardinale Orsini, che poi fu Papa Benedetto XIII, imprese a restaurare la Chiesa; ma non l’avea peranco terminata che patì nuovamente con l’altro tremuoto del 1702. Il prelodato Arcivescovo, sotto la sorveglianza dell’Arcidiacono Giordano de Nicastro20, ridusse la Chiesa alle proporzioni di oggi. Tutto rilevasi dall’istromento di consegna della Chiesa e del Monastero, fatta in data del dì 8 Febbraio 1708 dall’Arcivescovo Orsini alla Congregazione dei Canonici Regolari21. Il medesimo Orsini riedificò pure dalle fondazioni il campanile, che era stato costruito in origine dall’Abate Gregorio, secondo di tal nome, nell’undecimo secolo22.

  1. Vedi pag. 360 e 361 di quest’opera.
  2. Leone Ostiense, in Chronic. Cassin.
  3. Heremperti Langobardi Monachi Cassinensis Historiae de gestis Principum Beneventanorum Epitome Chronologica.
  4. Leone Ostiense, lib. I. Capo IX.
  5. Luogo ultimo citato.
  6. Luogo ultimo citato.
  7. Vedi pag. 360 di quest’opera.
  8. Vedi F. P. Pugliese, op. cit. pag. 33 in nota.
  9. Vedi pag. 360 e 361 di quest’opera.
  10. Mem. Istor. tom. I. pag. 237.
  11. De Vita, Alter Thesaurus antiquitatum Beneventanarum Medii Aevi, pagina 99.
  12. Stef. Borgia, Mem. Istor. tom. I. pag. 241 e seg.
  13. Borgia, op. cit. tom. I, pag. 250. De Vita, antiquitatum. etc. pag. 99.
  14. Nelle Puglie, pag. 89 e 90.
  15. Lo stesso che Paolo Diacono.
  16. Cronaca Cassinese pag. 137, capo XXVII lib. I.
  17. Sarnelli, Memorie Cronologiche dei Vescovi ed Arcivescovi della S. Chiesa di Benevento, Napoli MDCXCI, capo XI, lib. II pag. 196.
  18. Idem pag. 47, 67, 93, 94, 137, 150, 165, 166.
  19. Benevento Sacro, Manos. Bibliot. Arcives. di Benevento.
  20. Vedi Mem. Istor. (inedite) della città di Benevento, lib. II pag. 297.
  21. Il citato istromento, a stampe, trovasi nel volume Miscellanea, che si conserva nella Biblioteca Arcives. di Benevento.
  22. Giordano de Nicastro, Manos. sudetto, pag. 346.