I monumenti e le opere d'arte della città di Benevento/Dell'arco trionfale a Traiano/Materiale struttura e magistero dell'arco

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11. Materiale struttura e magistero dell’arco

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11. materiale struttura e magistero dell’arco


Pria di chiudere questo capo, sento il bisogno e il dovere, ad un tempo, di far conoscere per qual mezzo l’esecuzione artistica di questo monumento sia potuta riuscir tanto perfetta.

Noi sappiamo che i romani, a differenza dei greci, ebbero il sistema di scompagnare, per lo più, l’organismo dalla parte decorativa. Essi costruivano, cioè, prima l’ossatura del loro monumento con pietre o mattoni, e di poi la rivestivano di marmi e di sculture. Lo stesso sistema vedesi praticato nel nostro Arco.

Il nucleo o scheletro di esso è formato di grossi parallelepipedi di pietra calcarea comune per le pilastrate e probabilmente di mattoni per il volto dell’attico; e dico probabilmente giacchè non si ha mezzo per ora come scorgerlo e lo si deve desumere dall’osservazione portata su altre simiglianti costruzioni, fra le quali è l’arco del Sagramento in questa stessa città, di cui mi occuperò nel capo secondo. Attorno al sudetto nucleo son disposte le lastre marmoree di rivestimento.

Quello che nemmeno tutti sanno si è che queste stupende sculture sieno state lavorate in opera, cioè sieno state ricavate dal marmo già applicato, grezzo o sbozzato appena, sulle facce del monumento. Questo, che forse a prima giunta sembrerà strano e difficile ai profani dell’arte, riescirà vecchio agli artisti. Sicuramente, quei massi di marmo Pario furono pria levigati a perfetto pulimento nei piani di assetto, indi commessi con magistero sorprendente sulle facce dello scheletro del monumento, e quivi poi scolpite diligentemente.

Per convincersi di questa verità basta osservare che uno stesso pezzo comprende ad un tempo un tratto di colonna ed un altro del quadro; che i giunti d’unione cadono molto di frequente sul corpo d’una stessa figura scultoria; e che, ove non si fosse adottato l’enunciato sistema, sarebbe riuscito assai difficile conservare tanto accordo e così giusta rispondenza tra le parti destinate ad essere collegate. Nè sarebbero stati sufficienti i modelli di gesso o di scagliola per conservare le giuste e perfette proporzioni; nè si sarebbe potuto ovviare all’inconveniente delle avarie nei canti e negli spigoli più delicati dei molteplici pezzi, [p. 215 modifica]nell’ascensione e nel collocamento a sito, per quanto gravi e squisite cautele si fossero volute adoperare.

Nei siti dove adesso manca o è scheggiato qualche pezzo di marmo si può osservare la esattezza dello spianamento nelle facce dei giunti. Allorchè il monumento era integro, io credo riusciva impossibile distinguere questi e le loro commessure, tanta era la squisitezza del magistero; al quale il nostro Arco deve la fortuna della sua conservazione attraverso circa diciotto secoli; laddove, altrimenti, le acque congelate e le radici delle erbe parietarie, facendo leva lentamente nelle commessure, ne avrebbero prodotta la ruina in un tempo relativamente breve, così come succede di tante opere moderne.

Il lettore, che è stato cortese e paziente di accompagnarmi sino a questo punto nell’analisi del nostro Arco, ha potuto formarsene un concetto più giusto, che non lo abbia avuto pel passato, sebbene la mia penna sia stata impari alla sublimità del soggetto. Io spero però che questo mio lavoro spinga altri, più competenti e provvisti di altri mezzi che io non abbia avuti, a studiare questa stupenda opera d’arte, degna essa sola della più dotta e splendida illustrazione; che inciti gli artisti, d’Italia segnatamente, e gli amatori delle belle arti a spendervi di proposito una visita, oggi che le ferrovie hanno tolta la difficoltà addotta da Quatremére de Quincy1. E sebbene Guadagnoli2 abbia sentenziato che

Noi ci abbiam fatto l’occhio e non ci pare;
Ma per un forestiere, è cosa certa,
La prima volta che lo va a mirare,
Bisogna che rimanga a bocca aperta;

io consiglio i miei concittadini a smentire l’assertiva di Wey3, e li incito non solo a guardare, ma a studiare accuratamente, più che io abbia potuto, questo prezioso monumento, splendido retaggio di quel Senato e di quel popolo romano, il cui senno, le cui [p. 216 modifica]virtù, il cui valore saranno sempre fonti inesauribili di sapienza, di prudenza e di fortezza.

Quest’Arco non è soltanto l’apoteosi di un imperatore, ma ben anche il monumento più splendido ad attestarci che il motto «Senatus Popolusque Romanus», che si legge nella cartella dell’attico, non fu una vana pompa retorica, ma l’espressione vera, la sintesi compiuta di ciò che volle e seppe essere il civis romanus.






Note

  1. Pag. 11 di quest’opera.
  2. Poesie Giocose di Antonio Guadagnoli, Il Campanile di Pisa.
  3. Pag. 12 di quest’opera.