I morbinosi/Atto III

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Atto III

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Atto II Atto IV

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ATTO TERZO.

SCENA PRIMA.

Sala con tavola dei 120.

La tavola formerà un T, cioè in fondo alla scena vicino al prospetto di camerone sarà lunga da un capo all’altro, entrando di qua e di là nelle quinte, per fingere che sia di 120 persone. A mezzo della tavola ne sarà attaccata un’altra che forma la gamba del T, e questa verrà innanzi verso i lumini, cioè fin dove si potrà mettere fra un tendone e l’altro; e se la camera avanti fosse stata indietro, si potrà calare un tendone fra l’atto, per preparare la tavola. In faccia saranno i personaggi muti, parte colla faccia e parte colla schiena al popolo. In quella che viene avanti, si metteranno i personaggi che parlano1 di qua e di là. Alla prima scena ai lumini, di qua e di là, vi saranno due porte di camera con portiere. [p. 400 modifica]Si avverte che la tavola sia un poco in declivio, acciò2 sia goduta, e di mettere otto candele, benchè sia di giorno, potendosi tollerare questa improprietà per non perdere affatto la scena per l’oscurità. Sopra la tavola vi vorranno vari piatti, e si può fingere che siano ai frutti. Vi saranno delle bottiglie, dei rosoli, e poi a suo tempo il caffè.

Andreetta. Amici da levante, ala vostra salute. (beve)

Giacometto. Amici da ponente, viva le bele pute. (beve)
(tutti gridano evviva)
Ottavio. Lelio, evviva. (col bicchiere in mano)
Lelio.   Chi viva?
Ottavio.   Evviva la Contessa.
Lelio. Viva, viva di core. Oh se ci fosse anch’essa!
Felippo. Senza le done in boca, no i sa star un momento.
Viva chi ha procurà sto bel divertimento.
Giacometto. E viva sior Lunardo, che n’ha tratai da re.
Andreetta. Viva quel bon amigo.
Felippo.   Sonadori, sonè.
(L’orchestra suona una parte di sinfonia allegra, con i corni da caccia e colle trombe.)
Andreetta. Mi ho magnà ben, compare. (a Giacometto)
Giacometto.   Semo stai ben tratai.
Lelio. Gran sfarzi nella tavola per me non ci trovai.
Felippo. Per mi son contentissimo, e la rason xe questa:
Cossa voleu de meggio per un ducato a testa?
I primi cinque piati i è stai sontuosonazzi;
Certo che in ti segondi no ghe xe sta gran sguazzi.
Ma misurando ben la spesa coll’intrada,
Me par che abiemo fato una bona zornada.
Giacometto. Gran risi!
Andreetta.   E quela sopa3?
Ottavio.   La carne era squesita.
Felippo. Che castrà! che fritura! Mi ghe andava de vita.

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Giacometto. Quele quatro moleche no gierele perfete?

Andreetta. I s’ha desmentegà de taggiarghe le ongiete.
Felippo. Boni quei colombini.
Andreetta.   Boni per la stagion.
Giacometto. E quel salà co l’aggio mo no gierelo bon?
Felippo. La torta veramente giera assae delicata.
Giacometto. No cavavela el cuor quela bela salata?
Felippo. E sto deser? dasseno, no se pol far de più.
Lelio. Lo chiamate deser?
Felippo.   Tasè là, caro vu.
Se sa che in cento e vinti qualcun s’ha da doler.
Ma sta cossa, per dirla, la me dà despiaser.
Dei disnar4 in diversi anca mi ghe n’ho fato;
Ma no son mai sta meggio a spender un ducato.
Ottavio. Conviene compatirlo. A Lelio non dispiace
La tavola che ha avuta; anzi se ne compiace.
Ma il desinar gli sembra che meriti assai manco,
Perchè non gli si è data una signora al fianco.
Felippo. Sior sì, per oto lire, co sta bela grazieta,
L’averave volesto anca la so doneta.
Andreetta. Amici, gh’aveu gnente che ve avanza de bon?
Mandè qua, mandè qua, che gh’ho el tira busson5.
Porto sempre con mi le mie arme in scarsela.
De qua quela botiglia. Rosolin de canela.
Giacometto. Xelo del calzeniga?
Andreetta.   Adesso el sentiremo.
Felippo. Anca mi un gottesin.
Andreetta.   Sì, se lo spartiremo.
Ottavio. Lasciate che lo senta.
Lelio.   Ed io sono bastardo?
Andreetta. E viva i cento e vinti.
Giacometto.   E viva sior Lunardo.
(tutti bevono il rosolino)

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SCENA II.

Tonina e Betta nascoste dietro la portiera da una parte, Brigida, Anzoletta e Catte dall’altra, volendo cedere alzano un poco la portiera, ora di qua e ora di là.

Giacometto. Oe, ghe xe de le done. (ad Andreetta)

Andreetta.   Zito, che le ghe staga.
(a Giacometto)
Lelio. Vi son donne là dentro. (ad Ottavio)
Ottavio.   Davvero? Oh questa è vaga!
Felippo. Cossa gh’è? coss’è sta? Se vede a bulegar6.
Per diana, le xe done, che ne vien a spionar.
Giacometto. Oe, la xe la Contessa. (ad Andreelta)
Andreetta.   Ghe xe un’altra con ela;
Che la sia to muggier?
Giacometto.   La sarave ben bela;
La xe montada in barca; l’ho vista mi a montar.
No crederia che ancuo la volesse tornar.
(si vedono a movere le portiere)
Felippo. La xe longa sta istoria. Dove xe sior Lunardo?
Ste done per adesso le ha abù qualche riguardo;
No le pol star in stropa7, le vol vegnir de filo8.
(s’alza)
Adesso no se varda più tanto per sutilo.
El disnar xe fenio, podemo levar su.
Vorle vegnir a rider? Rideremo anca nu.
(tutti s’alzano e partono le parti mute)
Giacometto. Bravo Felippo, bravo.
Andreetta.   Bravo da galantomo.
Felippo. Cossa credeu, patroni? Anca mi son un omo.
Benchè son in ti ani, me piase l’alegria,
E me vôi devertir al par de chi se sia.

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S’aveva dito: a tola done no ghe sarà.

S’ha mantegnìi l’impegno, e no ghe ne xe sta.
Adesso sta pramatica l’ha avù el so compimento;
S’avemo da inventar qualche devertimento.
Parlerò con Lunardo, aspetè qua un tantin;
Vôi che se devertimo, vôi che femo un festin;
Vôi co ste Zuechine che femo i generosi;
Vôi che i diga a Venezia che semo i morbinosi. (parte)
Giacometto. Mi ghe stago.
Andreetta.   Anca mi.
Ottavio.   Anch’io non mi ritiro.
Lelio. (A servir la Contessa unicamente aspiro). (da sè)
Giacometto. Mo via, care patrone, no le fazza babao9;
Che le vegna con nu. Le scampa da recao10?
Lelio. Queste belle signore patiscono i rossori.
Anderò io da loro; servo di lor signori.
(entra dov’è Brigida)
Ottavio. Non lo lascio di vista il caro amico mio;
S’ei si vuol divertire, vo’ divertirmi anch’io.
(parte dietro Lelio)
Andreetta. Lori va per de là; nu andemo per de qua;
Anca per nualtri do11 qualcossa ghe sarà. (parte)
Giacometto. Za che no gh’è Tonina, me togo boniman12.
Vôi balar, vôi saltar, magari fin doman. (parte)

SCENA III.

Camera.

Brigida e Lelio.

Lelio. Ma via, cara signora, siate meco bonina.

Brigida. Cossa vorlo da mi?
Lelio.   Datemi una manina.

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Brigida. Co le done civil tratar nol sarà uso.

Lelio. Mi negate una mano? (vuol prenderla)
Brigida.   Ghe la darò sul muso.
Lelio. Per aver una grazia da una gentil signora,
Mi contento di prendere una guanciata ancora.
(come sopra)
Brigida. Ma la xe un’insolenza.
Lelio.   Ma se per voi nel seno
Ardere già mi sento.
Brigida.   Ghe la puzo13 dasseno.
Lelio. Se avete cor, battetemi. (come sopra)
Brigida.   Nol sarà miga el primo.
Lelio. Voi di me non curate, ed io tanto vi stimo.
Brigida. Se per mi, caro sior, el gh’ha dela bontà.
Che el scomenza a tratar come che va tratà.
Lelio. Una finezza sola. (accostandosi)
Brigida.   Che el staga con respeto.
Lelio. Ma se amor mi tormenta. (come sopra)
Brigida.   Deboto ghe la peto.14
Lelio. Quella mano gentile male non mi può far.
Brigida. Se sta man xe zentil, ghe la farò provar.
Lelio. Qua nessuno ci vede, qua nessuno ci sente.
Mio tesoro, mio bene, pietà.... (si accosta)
Brigida.   Sior insolente.
(gli dà uno schiaffo)

SCENA IV.

Ottavio e detti.

Ottavio. Cos’è stato?

Lelio.   Non so.
Ottavio.   Cosa fu? (a Brigida)

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Brigida.   Non saprei.

Domandatelo a lui.
Ottavio. (Sì volta da Lelio.)
Lelio.   Domandatelo a lei.
Ottavio. Non so se ciò sia vero, o se mi sia ingannato:
Un schiaffo a qualcheduno mi par sia stato dato.
Dite se ciò sia vero, o se ingannato io fui.
Lelio. Domandatelo a lei.
Brigida.   Domandatelo a lui.
Ottavio. Se alcun non lo vuol dire, lascierò che si taccia.
Chi l’ha avuto, se ’l goda, e che buon pro gli faccia.
Pensiamo a un’altra cosa. Lelio, codesta dama
Lo so di certa scienza che vi rispetta ed ama.
Lelio. Lo so anch’io di sicuro.
Ottavio.   E del suo amore in segno,
So che brama di darvi di tenerezza un pegno.
Lelio. Mi ha di già favorito.
Ottavio.   Davver? me ne consolo. (a Lelio)
Ma non è a sufficienza, se gliene deste un solo.
Quando si ama davvero, si replica il favore.
Brigida. Replicherò, se el vol.
Lelio.   Grazie di tanto onore.
Ottavio. Come! voi ricusate la grazia generosa
Di una che sol desidera di essere vostra sposa?
Lelio. Mia sposa?
Ottavio.   Sì signore. Contessa, non conviene
Che tenghiate l’amico più lungamente in pene.
Perchè credete voi ch’ella sia qui venuta? (a Lelio)
La donna, lo sapete, è per costume astuta.
L’amor mi ha confidato, che per voi prova in petto.
Io le ho fatto la scorta a entrare in questo tetto.
Nulla vi ho detto in prima, per osservar se a voi
Piaceva il suo bel volto, piacevan gli occhi suoi.
Or che mi par che siate per lei contento e lieto,
Vi parlo schiettamente, vi svelo il gran segreto:

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La contessa Narcisa arde per voi d’amore,

E voi siete un ingrato, se le negate il cuore.
Lelio. (Burla, o dice davvero?) (da sè)
Brigida.   Andemo co le bone...
(ad Ottavio)
Ottavio. (Non lasciate fuggire questa buona occasione).
(piano a Brigida)
Lelio. Voi dite cento cose, io non ne credo alcuna;
Se diceste davvero, l’avrei per mia fortuna.
È ver, per confidarvelo, che un schiaffo ella mi ha dato;
Ma se poi mi vuol bene...
Ottavio.   Per amor ve l’ha dato,
(a Lelio)
Non è vero? (a Brigida)
Brigida.   È verissimo.
Ottavio.   Sentite? In verità
Questo è un segno d’affetto. (a Lelio)
Lelio.   Grazie alla sua bontà.
Ottavio. Concludiamo l’affare. Ella per voi si mostra
Inclinata all’estremo; se la volete, è vostra.
Lelio. Come?
Ottavio.   Come, si dice? Di voi mi maraviglio.
Far sentir questo come a lei non vi consiglio.
Come mi domandate? Vostra potete farla
Sol coll’unico mezzo di amarla e di sposarla.
Vi è noto il di lei grado, vi è noto il di lei nome.
Non ardite mai più di pronunciar quel come.
Lelio. Non so che dire, amico, lascio da voi guidarmi;
La Contessa mi piace. Desio di maritarmi.
Ottavio. Lo sentite, signora? Disposto è a dir di sì. (a Brigida)
Brigida. Ma se l’ha dito come, come dirò anca mi.
Ottavio. Come voi pur mi dite? Come si fan tai cose?
Domandar lo potete a quelle che son spose.
Per me posso servirvi a stendere il contratto;
Il come lo saprete quando che sarà fatto.

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Brigida. Ma vôi saver avanti...

Ottavio.   Che volete sapere?
Non vi dirò che Lelio sia nato cavaliere.
Ma è persona civile, ricco di facoltà.
Buono come una pasta.
Lelio.   Tutta vostra bontà.
Ottavio. Signora mia, del tempo non dobbiamo abusarci.
Brigida. Zitto, che sento zente.
Ottavio.   Chi viene a disturbarci?

SCENA V.

Toni e detti.

Toni. Posso vegnir avanti?

Brigida.   Vegnì, vegni, Tonin.
Toni. Un barcarìol per ela m’ha dà sto polizzin.
Brigida. Chi lo manda?
Toni.   No so.
Brigida.   (El xe quel traditor). (da sè)
Con so bona licenza. (Ah, che me batte el cuor).
Ottavio. (Lelio, me ne consolo). (a Lelio)
Lelio.   (Chi mai scrive quel foglio?)
(ad Ottavio)
Ottavio. (Di che cosa temete?) (a Lelio)
Lelio.   (Temo di qualche imbroglio).
Toni. Che la diga, patron. (a Lelio)
Lelio.   Che cosa vuoi da me?
Toni. Vorla che vaga a torghe un’onza de gingè? 15
(a Lelio)
Lelio. No, il gingè non mi piace, prendo solo il melato,
E tu puoi contentarti di quel mezzo ducato.
Brigida. (Ah, che sto desgrazià me lassa e me abbandona.)
A crederghe a costù, son stada tropo bona.
Se Lelio no minchiona, ghe posso remediar;
Ma son tropo scotada, no me vogio fidar). (da sè)

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Ottavio. Che vuol dir che vi vedo confusa ed agitata?

Forse è cagion la lettera?
Lelio.   (Temo sia innamorata).
Brigida. La senta, sior Ottavio.
Ottavio.   Eccomi a voi repente.
Brigida. Ghe confido sta polizza, ma che nol diga gnente.
Ottavio. (Brigida mia carissima, a forza son costretto
Lasciarvi in abbandono, ad onta dell’affetto.
Mio padre mi richiama...)
(legge in disparte)
Lelio.   Posso sentire anch’io?
Ottavio. Permettete che il senta anche l’amico mio.
(a Brigida)
Brigida. Me despiase...
Ottavio.   Che importa?
Lelio.   Sono in curiosità.
Ottavio. Non vi perdete d’animo; qualche cosa sarà. (a Lelio)
Quel che scrive, è un amante.
Lelio.   L’ho detto.
Ottavio.   E che per questo?
Le cose di tal sorte io le accomodo presto.
Contessa adoratissima.
Brigida.   Dise cusì?
Ottavio.   Tacete.
So leggere, signora.
Lelio.   Caro amico, leggete.
Ottavio. Pur troppo da gran tempo io vidi a più d’un segno,
Che della grazia vostra son diventato indegno.
So che Lelio dal Sole teneramente amate.

Brigida. Dise cusì? (ad Ottavio)
Ottavio.   Tacete. (a Brigida)
Lelio.   Amico, seguitate.
Ottavio. Di ciò solo vi prego, ditemi sì, o no.
Cosa risponderete? (a Brigida)
Brigida.   Mi dasseno nol so.
Ottavio. Galantuomo. (a Toni)

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Toni.   Signor.

Ottavio.   Avete un calamaro?
Toni. Se la vol sto strazzeto calamar da scolaro.
(Tira fuori di lasca un calamaro)
Ottavio. Carta?
Toni.   No ghe ne xe16.
Gh’ho sto libro da conti.
Ottavio.   Lascia vedere a me.
(straccia un foglio)
Toni. El mio libro. (lamentandosi)
Ottavio. Sta zitto. Scrivete, io detterò. (a Brigida)
Brigida. Cossa vorlo che scriva?
Ottavio.   Quello ch’io vi dirò.
Brigida. (Mo la xe ben curiosa. Dove vala a finir?)
(si mette per scrivere)
Lelio. (Sentiam che cosa scrive).
Ottavio.   (Mi voglio divertir).
Scrivete. (a Brigida)
Brigida.   Scriverò.
  Signor Conte carissimo. (dettando)
Che tutto a voi sia noto, ho un piacere grandissimo.
Adoro il signor Lelio, lo dissi e lo ridico;
E di voi, compatitemi, non me n’importa un fico.

Brigida. Ho da scriver sta roba?
Ottavio.   Senza difficoltà.
Lelio. Scrivete. Innanzi sera forse sarò tornata
Col caro signor Lelio unita e maritata.

Brigida. Sta roba?.... (ad Otiavio)
Ottavio.   Non occorre, che a bada lo tenete.
Terminate di scrivere, e poi sottoscrivete.
Qui non ci sarà nulla per sigillare il foglio.
Non importa, per questo più differir non voglio.

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Come si può, pieghiamolo. Fate la soprascritta:

Al Conte della Bosina che sta sulla via dritta.
Prendi tu questo foglio, e reca la risposta, (a Toni)
Toni. A chi?
Ottavio.   Non perder tempo. (gli dà una moneta)
Toni.   Vago via per la posta.
(No saverò a chi darlo. Basta, per no falar,
Lo buterò in canal, e lo lasserò andar). (da sè, e parte)
Brigida. (Mi son mezza confusa).
Ottavio.   Lelio, cosa vi pare?
Del ben della Contessa potrete dubitare?
Ecco, per amor vostro, per esservi costante,
Punto non ha tardato a licenziar l’amante.
Ora siete in impegno, se avete un cuore umano.
Se galantuom voi siete, di porgerle la mano.
Lelio. Sì, mia cara colonna... (vuole abbracciarla)
Brigida.   Cossa vorlo ziogar.
Che un affetto d’amor ghe torno a replicar?
(minacciandolo d’un altro schiaffo)
Lelio. Mi vuol bene così?
Ottavio.   Anzi di cuor vi adora.
Un affetto più grande non ho veduto ancora.
S’io trovassi una donna che mi battesse, affè
Sarei, per il contento, sarei fuori di me.
Lelio. Quand’è così, signora, son qui; quanto volete,
Il mio povero viso battete e ribattete.
Ottavio. Ma convien provocarla.
Lelio.   Ho a dir delle sciocchezze?
Ottavio. Provocar la dovete coi scherzi e le finezze.
Lelio. Fin qui non mi ritiro. Io voglio ad ogni patto.
(vuole abbracciarla)
Brigida. Andeve a far squartar, che sè un pezzo de mato.
Ottavio. Brava.
Brigida.   E vu, sior Ottavio...

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Ottavio.   Or or, d’amore in segno,

Anche contro di me prende un pezzo di legno. (a Lelio)
Lelio. Vuol bene ancora a voi?
Ottavio.   Chi sa?
Lelio.   Non ho sospetto;
Dategli in mia presenza qualche segno d’affetto.
(a Brigida)
Brigida. Ve dirò a tuti do quel che me vien in boca;
A vualtri paronzini17 burlarme no ve toca.
Cortesani d’albeo, scartozzi mal ligai18,
Se credè minchionarme, resterà minchionai.
Mo che gran matrimonio! mo che bella fortuna!
Sior Cavalier dal Sol, andè a sposar la luna. (parte)
Ottavio. Sempre più mi consolo.
Lelio.   Di che?
Ottavio.   Voi siete certo
Che di voi la Contessa ha conosciuto il merto.
Quanti vi son che cercano d’essere strapazzati;
Voi in genere di questo, siete dei fortunati.
Andiam le vostre nozze a preparar di volo.
La Contessa vi adora; con voi me ne consolo. (parte)
Lelio. Ti ringrazio, fortuna: se l’esser strapazzato
E dell’amor la prova, son più di tutti amato.
Cara Contessa mia, se da te amato io sono,
Sì, strapazzami pure, battimi, e ti perdono (parte)

Fine dell’Atto Terzo.


Note

  1. Le parole che parlano non si leggono nell’edzione Pitteri, ma furono aggiunte più tardi.
  2. Ed. Zatta: acciochè.
  3. Zuppa.
  4. Forse è sbaglio di stampa, per disnari.
  5. Cavaturaccioli: VII, 441.
  6. Muoversi leggermente, brulicare: v. Patriarchi e Boerio. Vol. VIII, 146.
  7. «Non poter aver più pazienza, non potersi più contenere»: Patriarchi e Boerio. Stropa, mazza del salcio o del vinco, che serve a legare.
  8. Per forza, di filo: Patriarchi.
  9. Fare bau bau. V. Boerio.
  10. Da capo, di nuovo: XIII, 341.
  11. Due.
  12. «Torse bon in man, prender baldanza, torsi troppo di licenza o di domestichezza»: Patriarchi. V. anche Boerio.
  13. Puzar, appoggiare, e quindi dare. Vol. VIII, 171.
  14. Petar, attaccare, appiccicare, e quindi dare.
  15. *qui viene segnalata una nota in calce che però non è stampata*
  16. Manca di questo verso, forse per difetto tipografico, un intero settenario. Nell’ed. Zatta, e in altre, si trova questa correzione: «Ott. Adesso avete un poco di carta? Toni. No ghe n’è.
  17. Vol. II, 144, n. I.
  18. Vol. II, 144. Si vedano nel presente volume le Morbinose, a. II, fine sc. 5.