I promessi sposi (Ferrario)/Capitolo XXXV

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Capitolo XXXV

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Capitolo XXXIV Capitolo XXXVI

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CAPITOLO XXXV.


S’imagini il lettore la chiostra del lazzeretto popolata di sedici mila appestati; quell’area tutta ingombra, dove di capanne e di trabacche, dove di carri, dove di gente; quelle due interminate fughe di portico, a dritta e a sinistra; coperte, gremite di languenti o di cadaveri prostrati sopra stramazzi, o in sulla paglia; e su tutto quel quasi immenso covile, un brulichìo, un sommovimento, come un mareggio; e per entro, un andare e, venire, un restare, un correre, un chinarsi, un sorgere, di convalescenti, di frenetici, di assistenti. Tale fu lo spettacolo che riempiè a un tratto la vista di Renzo, e lo tenne lì, sopraffatto e compreso. Nè questo spettacolo noi ci proponiamo di descriverlo a parte a parte, di che, certo, nessun lettore ci saprebbe grado; solo, seguendo il nostro giovane nella sua penosa andata, ci fermeremo alle sue fermate, [p. 304 modifica]e di ciò che gli toccò di vedere diremo quanto sia necessario a significar ciò ch’egli fece, e ciò che gli occorse.

Dalla porta dov’egli s’era fermato, fino al tempietto centrale, e di là all’altra porta di rincontro, correva come un viale voto di capanne e d’ogni altro stabile impedimento; e al secondo sguardo, egli vi scorse una gran faccenda dì rimuover carri e di fare sgombro; scorse uficiali e cappuccini che dirigevano quell’operazione, e insieme mandavan via chi non avesse quivi che fare. E temendo d’essere anch’egli messo fuori a quel modo, si ficcò a dirittura tra le capanne, dal lato a cui si trovava casualmente rivolto, alla diritta.

Andava innanzi, secondo che vedeva spazio da porre il piede, da capanna a capanna, mettendo il capo in ognuna, e adocchiando al di fuori ogni giaciglio, affisando volti abbattuti dal patimento, o contratti dallo spasimo, o immobili nella morte, se mai gli fosse dato di rinvenir quell’uno che pur paventava di rinvenire. Ma già aveva fatto un buon pezzetto di cammino e ripetuto assai e assai volte quel doloroso esame, senza che ancora gli venisse veduta una donna: onde s’imaginò che elle dovessero essere in uno spazio appartato. Nel che s’appose; ma del dove, nè aveva [p. 305 modifica]indizio, nè poteva fare argomento. Scontrava tratto tratto ministri, tanto diversi d’aspetto e di modi e d’abito, quanto diverso e opposto era il principio che dava agli uni e agli altri una forza eguale di vivere in tali uficii: negli uni l’estinzione d’ogni senso di pietà, negli altri una pietà sovrumana. Ma nè agli uni nè agli altri era tentato di chiedere indirizzo, per non crearsi alle volte un inciampo; e deliberò d’andare, andare da sè, fin che arrivasse a veder donne. E andando, non lasciava di spiare attorno; pure di tempo in tempo, gli era forza ritrarre lo sguardo conquiso, e come abbagliato da tante piaghe. Ma dove rivolgerlo, dove riposarlo che sovra altre piaghe?

L’aria stessa e il cielo accrescevano, se qualche cosa poteva accrescerlo, l’orrore di quelle viste. La nebbia s’era a poco a poco addensata e accavallata in nuvoloni, che, infoscandosi più e più, rendevano similitudine d’un annottar tempestoso; se non che, verso il mezzo di quel cielo cupo e abbassato, traspariva, come da dietro un fitto velame, il disco del sole, pallido, che spargeva intorno a sè un barlume fioco, e sfumato, e pioveva una caldura morta e pesante. Ad ora ad ora, tra il vasto ronzìo circonfuso, s’udiva un borbogliar di tuoni profondo, come tronco, [p. 306 modifica]irrisoluto; nè, tendendo l’orecchio, avreste saputo distinguere da che lato venisse; o avreste potuto crederlo uno scorrer lontano di carri, che si fermassero improvvisamente. Non si vedeva, nelle campagne d’intorno, piegare un ramo d’albero, nè un uccello andarvisi a posare, o spiccarsene: solo la rondine, comparendo subitamente da sopra il tetto del recinto, sdrucciolava in giù coll’ali tese, come per rasentare il terreno del campo; ma sbigottita di quel rimescolamento, risaliva rapidamente e fuggiva. Era uno di quei tempi, in cui, tra una brigata di viandanti non v’è chi rompa il silenzio; e il cacciatore cammina pensoso, col guardo a terra; e la villana, zappando nel campo, cessa dal canto, senza avvedersene; di quei tempi forieri della burrasca, in cui la natura, come immota al di fuori e agitata da un travaglio interno, par che opprima ogni vivente, e aggiunga non so quale gravezza ad ogni faccenda, all’ozio, all’esistenza stessa. Ma in quel luogo destinato per sè al patire e al morire, si vedeva l’uomo già alle prese col male succumbere alla nuova oppressura; si vedevano le centinaia peggiorar precipitosamente; e insieme, l’ultima lotta era più affannosa, e nell’aumento dei dolori, i gemiti più soffocati: nè forse [p. 307 modifica]su quel luogo era ancor passata un’ora amara al par di questa.

Già s’era il giovane aggirato buona pezza e senza frutto per quell’andirivieni di capanne, quando, nella varietà de’ lamenti e nella confusione del mormorio, cominciò a distinguere un misto singolare di vagiti e di belati; fin che capitò dinanzi a un assito scheggiato e scommesso, da entro il quale veniva quel suono straordinario. Pose l’occhio a un largo spiraglio, tra due asse, e vide un chiuso, con entro capanne sparse, e, così in quelle, come nel picciol campo, non la solita infermeria, ma bambinelli corcati sopra coltricette, o guanciali, o lenzuola distese o pannicelli; e balie e altre donne in faccenda; e, ciò che più di tutto attraeva e fermava lo sguardo, capre mescolate con quelle e fatte loro coadiutrici: uno spedale d’innocenti quale il luogo e il tempo potevan darlo. Era, dico, nuova cosa a vedere alcune di quelle bestie, ritte e quete sopra questo e quel bambino, dargli la poppa; e qualche altra accorrere ad un vagito, come con senso materno, e fermarsi presso il picciolo chiamante, e procurar di acconciarvisi sopra, e belare, e dimenarsi, quasi domandando chi venisse in aiuto ad entrambi. [p. 308 modifica]

Qua e là eran sedute balie con bamboli al petto; alcune in tale atto d’amore, da far nascer dubbio nel riguardante, se fossero state attirate quivi dalla mercede, o da quella carità spontanea che va in cerca dei bisogni e dei dolori. Una di esse, tutta accorata in volto, staccava dal suo seno esausto un meschinello piangente, e andava tristamente in cerca della bestia, che potesse far le sue veci. Un’altra mirava con occhio di compiacenza quello che le si era addormentato sulla poppa, e, baciatolo mollemente, lo andava ad adagiare sur una coltrice in una capanna. Ma una terza, abbandonando il suo petto al lattante straniero, in una cert’aria però non di trascuranza ma di preoccupazione, guardava fiso in cielo: a che pensava ella, in quell’atto, con quel guardo, se non a un nato dalle sue viscere che, forse poco prima, aveva succhiato quel petto, che forse v’era spirato sopra?

Altre donne più provette attendevano ad altri servigi. Quale accorreva alle grida d’un pargolo affamato, lo raccoglieva, e lo portava presso una capra pascente ad un mucchio d’erba fresca, e glielo presentava alle poppe, garrendo insieme e careggiando colla voce l’inesperto animale, sicchè si prestasse dolcemente all’uficio. Questa balzava a [p. 309 modifica]cansare un’altra capra che scalpitava un poverino, tutta intenta a lattarne un altro: quella portava attorno il suo, ninnandolo fra le braccia, cercando ora di addormentarlo col canto, ora di acquetarlo con dolci parole, chiamandolo con un nome ch’ella le aveva imposto. Giunse in quella un cappuccino colla barba bianchissima, recando due pargoletti strillanti, uno per braccio, raccolti allora allora presso alle madri esanimate; e una donna corse a riceverli, e andava guatando fra la brigata e nel gregge, per trovar tosto chi tenesse lor luogo di madre.

Più d’u,na volta il giovane, sospinto dalla sua cura, s’era staccato dallo spiraglio, per andarsene, e poi vi aveva rimesso l’occhio, per guardare ancora un momento.

Levatosi di là finalmente, andò lungo l’assito, fin che un mucchietto di capanne appoggiate a quello, lo costrinse a dar di volta. Andò allora lungo le capanne, colla mira di riguadagnar l’assito, di voltarne il canto e scoprir paese nuovo. Or mentre guardava oltre, per istudiar la via, un’apparizione repentina, passeggiava, istantanea, gli ferì lo sguardo e gli mise l’animo sossopra. Vide, a un cento passi di distanza, trapassare e perdersi tosto fra le trabacche un cappuccino, un cappuccino che [p. 310 modifica]anche così da lontano e di fuga, aveva tutto l’andare, tutto il fare, tutta la forma del padre Cristoforo. Colla smania che potete pensare, corse verso quella parte; e lì, a girare, a cercare, innanzi, indietro, dentro e fuori, per giravolte e per istrette, tanto che rivide con altrettanta gioia quella forma, quel frate medesimo; lo vide poco lontano, che, scostandosi da una gran pentola, andava, con una scodella in mano, verso una capanna; poi lo vide sedersi in sull’uscio di quella, fare un segno di croce sulla scodella che teneva dinanzi, e, guardandosi attorno, come uno che stia sempre all’erta, mettersi a mangiare. Era proprio il padre Cristoforo.

La storia del quale, dal punto che l’abbiam perduto di vista, fino a questo incontro, sarà raccontata in due parole. Non s’era mai mosso di Rimini, nè aveva pensato a muoversene, se non quando la peste scoppiata in Milano gli offerse occasione di ciò che aveva sempre tanto desiderato, di dar la vita pel prossimo. Supplicò con grande istanza d’esserci richiamato, per servire ed assistere gli appestati. Il conte zio era morto; e del resto il tempo abbisognava più d’infermieri che di politici: sicchè egli fu esaudito senza difficoltà: Venne tosto a Milano; entrò nel lazzeretto; e vi stava da circa tre mesi. [p. 311 modifica]

Ma la consolazione di Renzo nel ritrovar così il suo buon frate, non fu netta pure un momento: insieme colla certezza ch’egli era lui, ricevette una dolorosa impressione del come egli era mutato. Il portamento, curvo e come doglioso; la faccia, scarna e sparuta; e in tutto si vedeva una natura esausta, una carne rotta e cadente, che si aiutasse e come si sorreggesse ad ogni istante, con uno sforzo dell’animo.

Andava egli pure tendendo lo sguardo nel giovane che veniva a lui, e che, col gesto, non osando colla voce, cercava di farglisi distinguere e riconoscere. “Oh padre Cristoforo!” disse poi, quando gli fu così presso, da essere inteso senza gridare.

“Tu qui!” disse il frate, mettendo in terra la scodella, e levandosi da sedere.

“Come sta ella, padre? come sta?”

“Meglio di tanti poveretti che tu vedi,” rispose il frate: e la sua voce era fioca, cupa, mutata come tutto il resto. L’occhio soltanto era quel di prima, o un non so che più vivo e più splendido; quasi la carità, sublimata nell’estremo dell’opera, ed esultante del sentirsi vicina al suo Principio, vi restituisse un fuoco più ardente, e più puro di quello che l’infermità vi andava ad ora ad ora spegnendo. [p. 312 modifica]“Ma tu,” proseguiva, “come sei in questo luogo? perchè vieni così ad affrontare la peste?”

“L’ho avuta, grazie al cielo. Vengo... a cercar di.... Lucia.”

“Lucia! È qui Lucia?”

“È qui: almeno spero in Dio che la ci sia ancora”

“È ella tua moglie?”

“Oh, caro padre! no che non è mia moglie. Non sa nulla di tutto quello che è accaduto?”

“No, figliuolo: da che Dio m’ha allontanato da voi, io non ne ho saputo più nulla; ma ora ch’Egli mi ti manda, dico il vero che desidero assai di saperne. Ma.... e il bando?”

“Le sa dunque le cose, che m’hanno fatte?”

“Ma tu, che avevi tu fatto?”

“Senta; se volessi dire d’aver avuto giudizio, quel giorno in Milano, direi la bugia; ma cattive azioni non ne ho fatte mica.”

“Te lo credo, e lo credevo anche prima.”

“Ora dunque le potrò dir tutto.”

“Aspetta,” disse il frate; e, dati alcuni passi fuor della capanna, chiamò: “padre Vittore!” Poco stante, comparve un [p. 313 modifica]giovane cappuccino, al quale egli disse: “fatemi la carità, padre Vittore, di attendere, anche per me, a questi nostri poveretti, intanto ch’io me ne sto ritirato: e se alcuno però mi domandasse me, vogliate chiamarmi. Quel tale principalmente! se mai desse il più picciolo segno di tornare in sentimento, ch’io ne sia subito avvisato, per carità.”

Il giovane frate rispose che farebbe; e il vecchio tornato verso Renzo, “entriamo qui,” gli disse. “Ma....” soggiunse tosto, fermandosi, “tu mi pari ben rifinito: tu dei aver bisogno di mangiare.”

“È vero” disse Renzo: “ora ch’ella mi ci fa pensare, mi ricordo che sono ancora digiuno.”

“Aspetta,” disse il frate; e, tolta un’altra scodella, l’andò a riempiere al pentolone; tornato, la presentò con un cucchiaio a Renzo; lo fe’ sedere sur un saccone che gli serviva di letto; poi andò a una botte che stava in un canto, e ne portò un bicchier di vino, che pose sur un deschetto presso al suo convitato; riprese quindi la sua scodella, e si mise a sedere accanto a lui.

“Oh padre Cristoforo!” disse Renzo: “tocca a lei di far codeste cose? Ma ella è sempre quel medesimo. La ringrazio mo di cuore.” [p. 314 modifica]

“Non ringraziar me,” disse il frate: “la è roba dei poveri; ma anche tu sei un povero in questo momento. Ora dimmi quello che non so, dimmi di quella nostra poveretta; e cerca di far con poche parole; chè il tempo è scarso, e il da fare assai, come tu vedi.”

Renzo principiò, tra un cucchiaio e l’altro, la storia di Lucia: come era stata ricoverata nel monastero di Monza, come rapita.... All’imagine di tali patimenti e di tali pericoli, al pensiero di essere egli stato quello che aveva indirizzata in quel luogo la povera innocente, il buon frate rimase senza respiro; ma lo riebbe poi tosto, all’udire come ella era stata mirabilmente liberata, renduta alla madre e allogata da questa presso a donna Prassede.

“Ora le dirò di me,” proseguì il narratore; e raccontò in succinto la giornata di Milano, la fuga; e come era sempre stato lontano da casa, e ora, essendo ogni cosa sossopra, s’era assicurato di andarvi; come non aveva trovato colà Agnese; come in Milano aveva saputo che Lucia si trovava al lazzeretto. “E son qui,” conchiuse, “son qui a a cercarla, a veder se è viva, e se..... mi vuole ancora.... perchè.... alle volte...” [p. 315 modifica]

“Ma come sei tu qui indirizzato?” chiese il frate: “hai qualche indizio del dove ella sia stata riposta, del quando ci sia venuta?”

“Niente, caro padre; niente se non che è qui, se pur la c’è, che Dio voglia!”

“Oh poveretto! Ma che diligenza hai tu finora fatta qui?”

“Ho girato e girato; ma, tra l’altre cose, non ho mai veduto quasi altro che uomini. Ho ben pensato che le donne debbano essere in un luogo a parte; ma non vi sono mai potuto arrivare: se la è così, ora ella me lo insegnerà.”

“Non sai tu, figliuolo, che è proibito d’entrarvi agli uomini che non v’abbiano qualche incumbenza?”

“Oh bene, che cosa mi può accadere?”

“La regola è giusta e santa, figliuol caro: e se la quantità e la gravezza dei guai non lascia ch’ella si possa far rispettare con tutto il rigore, è ella una ragione questa perchè un galantuomo la trasgredisca?”

“Ma, padre Cristoforo!” disse Renzo: “Lucia doveva essere mia moglie; ella sa come siamo stati separati; son venti mesi che patisco e porto pazienza; son venuto fin qui, a rischio di tante cose, l’una peggio dell’altra; e adesso mo....[p. 316 modifica]

“Non so che dire,” ripigliò il frate, rispondendo piuttosto ai suoi pensieri che alle parole del giovane: “tu vai a buona intenzione; e piacesse a Dio che tutti quelli che hanno libero accesso in quel luogo, vi si comportassero come posso fidarmi che tu farai. Dio, il quale certamente benedice questa tua perseveranza d’affetto, questa tua fedeltà in volere e in cercare colei ch’Egli t’aveva a data, Dio, che è più rigoroso digli uomini, ma più indulgente, non vorrà guardare a quel che ci possa essere d’irregolare in codesto tuo modo di cercarla. Ricordati solo, che della tua condotta in quel luogo avremo a render conto tutti e due, agli uomini facilmente no, ma a Dio senza fallo. Vien qui.” In così dire, s’alzò, e con lui Renzo; il quale, non lasciando di dar retta alle sue parole, s’era intanto consigliato seco stesso di non parlare, come da prima s’era proposto, di quella tal promessa di Lucia. — Se sente anche questo, — aveva pensato, — mi fa delle altre difficoltà sicuro. O la trovo; e saremo sempre a tempo a discorrere: o.... e allora! che serve? —

Trattolo sull’apertura della capanna, ch’era volta a settentrione, il frate ripigliò: “ascolta; il nostro padre Felice, che è il [p. 317 modifica]presidente qui del lazzeretto, conduce oggi, a far la quarantena altrove i pochi guariti che ci sono. Tu vedi quella chiesa lì nel mezzo....” e, levando la destra scarna e tremolante, segnava a manca nell’aere torbido la cupola del tempietto torreggiante sopra le miserabili tende; e seguiva: “là intorno si vanno ora ragunando, per uscire in processione della porta per la quale tu dei essere entrato.”

“Ah! egli era per questo dunque, che lavoravano a disimpedir la strada.”

“Appunto: e tu dei anche avere inteso qualche tocco di quella campanella.”

“Uno ne ho inteso.”

“Era il secondo: al terzo saran tutti radunati: il padre Felice farà loro due parole; e poi si avvierà con loro. Tu, a quel segno, portati colà; fa di allogarti dietro la radunanza, sull’orlo del viale, dove, senza dar disturbo, nè farti scorgere tu possa vederli passare; e vedi.... vedi.... vedi se la ci fosse. Se Dio non ha voluto che la ci sia; quella parte,” e levò di nuovo la mano, additando il lato dell’edificio che avevano di rimpetto: “quella parte della fabbrica, e una parte del campo che gli è dinanzi, è assegnata alle donne. Vedrai [p. 318 modifica]uno steccato che divide questo da quel quartiere, ma dove interrotto, dove aperto, sicchè non troverai difficoltà all’entrare. Dentro poi, non facendo tu nulla che dia ombra a nessuno, nessuno probabilmente non dirà nulla a te; se però ti si facesse qualche ostacolo, di’ che il padre Cristoforo da *** ti conosce, e darà conto di te. Cercala quivi; cercala con fiducia e..... con rassegnazione. Perchè, ricordati che è gran cosa ciò che tu sei venuto a domandar qui: tu domandi una persona viva al lazzeretto! Sai tu quante volte io ho veduto rinnovarsi questo mio povero popolo! quanti ne ho veduti portar via! quanto pochi uscire!..... Va preparato a fare un sagrificio....

“Già! capisco anch’io,” interruppe Renzo, travolgendo lo sguardo, e oscurandosi tutto in volto: capisco! Vo: guarderò, cercherò, in un luogo, nell’altro, e poi ancora da cima a fondo, per tutto il lazzeretto....! e se non la trovo....!

“Se non la trovi?” disse il frate in aria d’un serio aspettare, e con uno sguardo che ammoniva.

Ma Renzo a cui l’ira già già rigonfiata in cuore, appannava la vista e toglieva il [p. 319 modifica]rispetto, ripetè e seguì: “se non la trovo, farò di trovare qualchedun altro. O in Milano, o nel suo scelerato palazzo, o in capo del mondo, o a casa del diavolo, lo troverò quel furfante che ci ha separati; quel birbone che, se non fosse stato egli, Lucia sarebbe mia, da venti mesi; e se eravamo destinati a morire, almeno saremmo morti insieme. Se c’è ancora colui, lo troverò....

“Renzo!” disse il frate, afferrandolo per un braccio, e guardandolo ancor più severamente.

“E se lo trovo,” continuò quegli, cieco affatto della collera, “se la peste non ha già fatto una giustizia.... Non è più il tempo che un poltrone, co’ suoi bravi attorno, possa metter la gente alla disperazione, e ridersene: è venuto un tempo che gli uomini s’incontrino viso a viso: e..... la farò io la giustizia!”

“Sciaurato!” gridò il padre Cristoforo, con una voce che aveva ripigliata tutta l’antica pienezza e sonorità: “sciaurato!” e il suo capo gravato sul petto s’era sollevato, le guance si coloravano dell’antica vita e il fuoco degli occhi aveva non so che di terribile. “Guarda, sciaurato!” E mentre con una mano stringeva e scoteva forte il braccio di [p. 320 modifica]Renzo, girava l’altra dinanzi a sè, accennando quanto più poteva della dolorosa scena all’intorno. “Guarda chi è Colui che castiga! Colui che giudica, e non è giudicato! Colui che flagella e che perdona! Ma tu, verme della terra, tu vuoi far giustizia! Tu sai tu quale sia la giustizia! Va, sciaurato, vattene! Io sperava.... sì, ho sperato che, prima della mia morte, Dio mi avrebbe dato questa consolazione di udir che la mia povera Lucia fosse viva; forse di vederla, e di sentirmi promettere, ch’ella manderebbe una preghiera là verso quella fossa dov’io sarò. Va, tu m’hai tolta la mia speranza. Dio non l’ha lasciata in terra per te; e tu, certo, non hai l’ardimento di crederti degno che Dio pensi a consolarti. Avrà pensato a lei, perchè ella è di quelle anime a cui son riservate le consolazioni eterne. Va! non ho tempo di più darti retta.”

E, così dicendo, gettò da se il braccio di Renzo, e si mosse verso una capanna d’infermi.

“Ah padre!” disse Renzo, andandogli dietro in atto di supplichevole: “mi vuol ella mandar via a questo modo?”

“Come!” riprese con voce non meno severa il cappuccino: “ardiresti tu di [p. 321 modifica]pretendere che io rubassi il tempo a questi afflitti i quali aspettano ch’io parli loro del perdono di Dio, per ascoltare le tue voci di rabbia, i tuoi proponimenti di vendetta? Ti ho ascoltato quando tu domandavi consolazione e indirizzo; mi son tolto alla carità, per la carità; ma ora tu hai la tua vendetta in cuore: che vuoi da me? vattene. Ne ho veduti morire qui degli offesi che perdonavano; degli offensori, che gemevano di non potersi umiliare dinanzi all’offeso: ho pianto con gli uni e con gli altri; ma con te che ho da fare?”

“Ah gli perdono! gli perdono da vero, gli perdono per sempre!” sclamò il giovane.

“Renzo!” disse, con una severità più pacata il frate: “pensaci; e di’ un po’ quante volte gli hai perdonato.”

E, stato alquanto senza ricever risposta, tutto a un tratto chinò il capo, e con voce raumiliata riprese: tu sai perchè io porto quest’abito!”

Renzo esitava.

“Tu lo sai!” riprese il vecchio.

“Lo so,” rispose Renzo.

Io ho odiato anch’io: io, che t’ho sgridato per un pensiero, per una parola, l’uomo che io odiava, ch’io odiava [p. 322 modifica]cordialmente, ch’io odiava da gran tempo, io l’ho ucciso.”

Sì, ma un prepotente, un di quei....

“Taci,” interruppe il frate: “credi tu, se ci fosse una buona ragione, ch’io non l’avrei trovata in trent’anni? Ah! s’io potessi ora metterti in cuore il sentimento che ho avuto poi sempre, e che ho, per l’uomo ch’io odiava! S’io potessi! io? Ma Dio lo può: Egli lo faccia!.... Senti, Renzo; Egli ti vuol più bene che tu non te ne voglia: tu hai potuto pensar la vendetta; ma Egli ha abbastanza forza e abbastanza misericordia per impedirtela; ti fa una grazia di cui altri era troppo indegno. Tu sai, tu l’hai detto tante volte, ch’Egli può fermar la mano d’un prepotente; ma sappi che può anche fermar quella d’un vendicativo. E perchè sei povero, perchè sei offeso, credi tu ch’Egli non possa difendere contra te un uomo che ha creato a sua imagine? Credevi tu ch’Egli ti lascerebbe fare tutto quello che vuoi? No! ma sai tu a che cosa puoi fare? Puoi odiare, e perderti; puoi con un tuo sentimento allontanar da te ogni benedizione. Perchè, comunque ti andasser le cose, qualunque fortuna ti venisse, tieni ben per certo che tutto sarà [p. 323 modifica]castigo, finchè tu non abbi perdonato, perdonato in modo, da non poter dire mai più: io gli perdono.”

“Sì, sì,” disse Renzo tutto commosso, e tutto confuso: “capisco ch’io non gli aveva mai perdonato da vero; capisco che ho parlato da bestia e non da cristiano: e adesso, con la grazia del Signore, sì, gli perdono mo proprio di cuore.”

“E se tu lo vedessi?”

“Pregherei il Signore di darmi pazienza a me, e di toccargli il cuore a lui.”

“Ti ricorderesti che il Signore non ci ha detto di perdonare ai nostri nemici, ci ha detto di amarli? Ti ricorderesti ch’Egli lo ha amato a segno di morir per lui?”

“Sì, col suo aiuto.”

“Ebbene; vieni a vederlo. Hai detto: lo troverò; lo troverai. Vieni e vedrai contro chi tu potevi serbar odio, a chi tu potevi desiderar del male, volergliene fare, sopra che vita tu volevi far da padrone.”

E, presa la mano di Renzo; e strettala come avrebbe potuto fare un giovane sano, si mosse. Quegli, senza osar di chiedere altro, gli tenne dietro.

Dopo un breve cammino, il frate ristette presso all’apertura d’una capanna; fissò gli [p. 324 modifica]occhi in faccia a Renzo, con un tal misto di gravità e di tenerezza; e lo tirò dentro.

La prima cosa che appariva all’entrarvi era un infermo seduto in sulla paglia nel fondo; un infermo però non aggravato, e che anzi poteva parer vicino alla convalescenza; il quale, visto il padre, dimenò il capo, come accennando di no: il padre abbassò il suo, con un atto di tristezza e di rassegnazione. Renzo intanto, girando con una curiosità inquieta lo sguardo su gli altri oggetti, vide tre o quattro infermi, ne distinse uno dall’un de’ lati, sur una coltrice, ravvolto in un lenzuolo, con una cappa signorile indosso, a guisa di coltre: lo fissò, riconobbe don Rodrigo; e dava addietro: ma il frate, facendogli di nuovo sentir fortemente la mano con cui lo teneva, lo trasse appiè del giaciglio, e, stesavi sopra l’altra mano, segnava col dito l’uomo che v’era prosteso. Stava l’infelice immoto; spalancati gli occhi, ma senza sguardo; smorta la faccia e sparsa di macchie nere; nere ed enfiate le labbra: l’avreste detta la faccia d’un cadavere, se una contrazione violenta non vi avesse rivelata una vita tenace. Il petto si sollevava di quando in quando, per un andito affannoso; la destra, fuor della cappa, lo premeva vicino al cuore con uno strignere [p. 325 modifica]aduco delle dita, livide tutte, e in sulla punta nere.

“Tu vedi!” disse il frate, con voce bassa e solenne. “Può esser castigo, può esser misericordia. Qual sentimento tu proverai ora per quest’ uomo, che, sì! ti ha offeso, tal sentimento il Dio, che tu pure hai offeso, avrà per te in quel giorno. Benedicilo, e sei benedetto. Da quattro dì egli è qui, come tu lo vedi, senza dare indizio di sentimento. Forse il Signore è pronto a concedergli un’ora di ravvedimento; ma voleva esserne pregato da te: forse vuole che tu ne lo preghi con quella innocente; forse riserba la grazia alla tua sola preghiera, alla preghiera d’un cuore afflitto e rassegnato. Forse la salvezza di quest’uomo e la tua dipende ora da te, da un tuo sentimento di perdono, di compassione... d’amore!” Tacque; e, giunte le mani, chinò il volto sovr’esse, come a pregare: Renzo fece il simigliante.

Erano da pochi momenti in quella positura, quando intonò il terzo tocco della squilla. Si mossero entrambi, come di concerto; ed uscirono. Nè l’uno fece domande, ne l’altro proteste: i loro volti parlavano.

“Va adesso,” ripigliò il frate, “va [p. 326 modifica]preparato a fare un sagrificio, a lodar Dio, qualunque sia l’esito delle tue ricerche. E qualunque sia, vieni a darmene conto: noi lo loderemo insieme.”

Qui, senz’altro dire, si separarono; l’uno tornò dond’era venuto; l’altro s’avviò al tempietto, il qual non era discosto più che un trar di mano.