I racconti della Bibliotechina Aurea Illustrata/Il bisonte nero

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Il bisonte nero

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Nella pampa argentina La corriera della California

IL BISONTE NERO


Marrey stanco da una cavalcata che era durata quattordici ore e quasi senza interruzione, aveva stesa la sua grossa coperta di lana e collocata l'alta sella che doveva servirgli da guanciale, coll'intenzione di fare una bella dormita e di rimettersi in arcione allo spuntare del giorno. D'altronde, anche O-Kue, l'Uccello della notte, lo scorridore indiano presso la cui tenda si era fermato per chiedere ospitalità, pareva che da qualche istante avesse un gran desiderio di chiudere gli occhi.

Aveva lasciato quasi spegnere il fuoco e si era coricato sulla sua pelle di montone delle montagne, gettando in aria gli ultimi sbuffi di fumo del suo calumet.1

Nessun pericolo del resto pareva che li minacciasse. L'immensa prateria era quasi silenziosa, solamente sulle rive del Breek si udivano le urla lugubri dei piccoli lupi, animali che non sono da temersi, anche se uniti in grosse bande e che si tengono ordinariamente lontani dagli uomini, siano bianchi o indiani.

– Buona notte – disse Sam al fratello rosso. – Domani ti compenserò dell'ospitalità che mi hai accordata.

L'indiano invece di rispondere alzò una mano, la tese verso il settentrione mantenendola così orizzontale per parecchi secondi.

Sam, sorpreso da quell'atto, si alzò sulle ginocchia, guardando l'indiano come per chiedergli che cosa volesse dire.

Vedendo che l'altro si ostinava a non aprire le labbra, anzi che pareva che ascoltasse attentamente, gli chiese, un po' stizzito:

– Cos'ha l'Uccello della notte? Ha perduto la lingua o sogna?

– Ascolta – rispose brevemente l'indiano.

Sam, tese gli orecchi e non udì nulla, almeno in aria.

Sapendo però che gl'indiani hanno un'acutezza di sensi straordinaria che i bianchi non posseggono, guardò nuovamente l'indiano, chiedendogli:

– Se non ti spieghi, O-Kue, m'addormento. È dalle quattro di stamane che galoppo dietro i quattro cavalli fuggiti dalla riserva2 del mio padrone e, per quanto io sia un buon cavallerizzo, non ne posso più.

– Io al tuo posto li avrei lasciati andare, – rispose l'indiano, – che cosa sono quattro cavalli pel tuo padrone che ne possiede delle migliaia? Si trattasse del bisonte nero!...

– Il bisonte nero! – esclamò Sam. – Credi anche tu all'esistenza di quel leggendario animale?

– Sì, ci credo! – esclamò l'Uccello della notte. – Io l'ho veduto tre volte e tre volte l'ho inseguito per settimane e settimane, senza poterlo mai raggiungere e chi sa che questa volta non sia più fortunato. Un indiano non s'inganna mai ed io sento che sta per giungere.

– Da che cosa lo supponi?

– Mio fratello bianco accosti un orecchio al suolo ed ascolti – disse l'Uccello della notte. – Se è un bravo cacciatore, s'accorgerà che io non m'inganno.

– Un cow-boy3 è sempre un cacciatore – rispose Sam.

Accostò un orecchio al suolo e stette alcuni istanti così curvato. Quando si rialzò, il suo viso manifestava un po' d'inquietudine.

– Che cosa ha udito il mio fratello bianco? – chiese l'indiano.

– Come un fracasso lontano – rispose Sam. – Si direbbe che un fiume sia straripato e che si riversi sulla pianura erbosa.

– Un fiume di carne – disse l'Uccello della notte.

– Spiegati meglio.

– Sono migliaia e migliaia di bisonti che scendono dal settentrione; sono certo che fra di essi vi è il bisonte nero.

– Ci travolgeranno?

– Mio fratello bianco non abbia timore – rispose l'indiano. – Sono ancora assai lontani, e non giungeranno fino a domani. Questa notte si fermeranno per riposare.

– Io però non oso dormire – disse Sam. – Non vorrei svegliarmi sotto le zampe di quegli animali o infilzato sulle loro corna. Ah! Tu hai veduto il famoso bisonte nero! Io ho creduto che fosse una storia inventata dai cacciatori della prateria e dagl'indiani.

L'Uccello della notte rimase alcuni istanti silenzioso, poi riattizzò il fuoco che stava per spegnersi e riaccese la pipa.

– Anch'io, – disse, dopo d'aver aspirato alcune boccate di fumo, – non credevo alla leggenda del bisonte nero. Nella mia gioventù avevo udito narrare strane cose su quel favoloso animale.

«Da molti anni i cacciatori delle praterie narravano d'aver incontrato sovente un animale di statura gigantesca, col mantello nero, d'una lucentezza meravigliosa, che frequentava quella parte della prateria che è coperta da gruppi d'alberi guidando nelle loro lunghe e periodiche emigrazioni, torme immense di bisonti.

«Chi diceva di averlo incontrato varie volte e di averlo inseguito indarno; chi invece negava che quell'animale esistesse realmente e chi infine asseriva trattarsi di un enorme orso nero, accomunatosi, chissà in seguito a quali bizzarre circostanze, ai bisonti.

«Io avevo prestato ben poca fede a quei racconti, convinto che non potessero esistere che bisonti bruni o tutt'al più grigiastri; pure un giorno dovetti arrendermi all'evidenza del fatto, quantunque possa sembrare anche a voi straordinario.

«Stavo inseguendo, verso Rio Aguador,4 a cinquanta o sessanta miglia da qui, un branco di antilopi rosse, quando nell'attraversare un torrente, mi trovai improvvisamente dinanzi ad un bufalo il cui colore mi sorprese grandemente.

«Era una bestia enorme, d'una bellezza meravigliosa, con un pelame nerissimo e lucente come la seta e due corna lunghe quasi un metro.

«Vedendomi si era accostato, senza manifestare alcun timore. D'altronde lo spavento non regnava nel suo cuore, bensì nel mio.

«Ci guardammo parecchi minuti, poi tutto d'un tratto lo vidi slanciarsi, con un salto gigantesco, in mezzo ad alcune macchie foltissime e scomparire ai miei occhi.

«Io ero rimasto tanto sorpreso da quell'improvviso incontro, che non avevo nemmeno pensato a far uso del mio fucile, quantunque avessi udito raccontare che chi fosse riuscito ad impadronirsi della pelliccia nera di quel bisonte, sarebbe stato l'uomo più fortunato della prateria.»

– Io non avrei esitato a far fuoco, checché dovesse succedere – disse Sam, cacciandosi in bocca un pezzo di sigaro per ingannare il sonno che suo malgrado lo assaliva.

– Io non l'ho osato e forse nemmeno voi avreste avuto il coraggio di far uso del vostro fucile. E poi, sapete che cosa mi hanno detto i vecchi della mia tribù?

– Non lo so – rispose Sam.

– Che nella pelle di quel superbo animale si nasconde l'anima d'uno dei più valorosi capi sioux,5 il grande Artiglio Secco.

– Ragione di più per ammazzare il bisonte ed accertarsene – disse Sam, ridendo ironicamente. – Comunque sia, mi stimerei fortunato d'incontrare quel leggendario animale, che tutti i ranchmen6 della prateria desidererebbero possedere. Anche il mio padrone ha offerto una somma cospicua ai cacciatori, cinquemila dollari, se fossero riusciti a ucciderlo.

– L'occasione non mancherà per guadagnarli noi – disse l'Uccello della notte.

– Se è vero quello che mi prometti, lascerò i quattro cavalli e mi attaccherò alla coda del bisonte nero. Vedremo se mi porterà la fortuna che tu dici. Che faccia parte della truppa?

L'indiano invece di rispondere si alzò, fiutò a più riprese il vento, poi si curvò verso il suolo, quindi disse:

– Selliamo i nostri cavalli e leviamo la tenda.

– Hai giurato di non lasciarmi dormire!

– I bisonti vengono – rispose l'indiano. – Devono aver riposato durante il giorno e non si arresteranno. Se vuoi rimanere, io non te lo impedirò.

Sam, che da quattordici anni viveva nelle grandi praterie dell'ovest, sapeva che cosa pensarne di una emigrazione di bisonti per soffermarsi in quel luogo.

Quei giganteschi ruminanti, se sono lasciati tranquilli, non sono di carattere aggressivo, anzi cercano sempre di evitare l'uomo, da cui hanno tutto da temere e nulla da guadagnare.

Quando invece intraprendono le loro emigrazioni, sono di umore battagliero e non tollerano alcun ostacolo. Se trovano un villaggio indiano vi passano sopra, tutto abbattendo, tende e anche capanne; se incontrano una linea ferroviaria assalgono a colpi di corna i treni che la percorrono, costringendoli a ritornare in fretta alla stazione più vicina.

E chi potrebbe, d'altronde, resistere a quelle masse enormi che marciano in ranghi interminabili? Oggi è piuttosto raro incontrare quelle mandrie infinite, perché i cacciatori americani e gl'indiani le hanno quasi sterminate.

Quarant'anni or sono, cioè all'epoca in cui si svolse questo veridico racconto, erano ancora numerosissimi i bisonti e si vedevano sfilare attraverso a quelle praterie sconfinate delle schiere formate di parecchie migliaia d'animali.

L'Uccello della notte, che non desiderava trovarsi sul passaggio di quei colossi, smontò rapidamente la sua tenda conica di pelle di daino, riunì i pali in fascio, raccolse i suoi pochi oggetti e caricò tutto su uno dei suoi due cavalli.

Sam aveva intanto bardato il suo mustano, un bellissimo cavallo colle gambe secche come quelle d'un cervo e colla criniera lunghissima ed era balzato in arcione, esaminando la sua carabina e le sue pistole.

– Dove andiamo? – chiese all'indiano che era già in sella.

– Vi è una collinetta a un miglio da noi – rispose l'Uccello della notte. – Di lassù noi potremo accertarci se è il bisonte nero che guida le mandrie e saremo anche fuori pericolo.

– Ci tieni anche tu ad impadronirtene?

– Vi ho detto che chi riuscirà a catturarlo avrà fortuna.

– In che cosa consisterà quella fortuna?

– Manitou7 solo può saperlo. Se gli stregoni delle nostre tribù hanno affermato ciò, io non dubito che tutti i favori del Grande Spirito cadano sul cacciatore che s'impadronirà del bisonte nero.

– Ecco una fortuna molto problematica, – disse Sam – ma mi rifarò coi cinquemila dollari promessi dal signor Foster a chi gli porterà la famosa pelliccia nera.

Si misero in marcia al piccolo trotto, seguiti dal cavallo che portava le tende e le poche ricchezze dell'indiano.

Di quando in quando si arrestavano e si alzavano sulle staffe, guardando verso il settentrione per cercar di scoprire le avanguardie dei bisonti, formate per lo più da maschi incaricati di proteggere il grosso delle schiere.

Non si vedevano ancora, essendo la notte oscura, però si sentivano. Un fragore lontano e sordo, formato da migliaia e migliaia di muggiti non ancora ben distinto, si udiva, accompagnato da ululati acuti che ora si accostavano rapidamente e che ora diventavano più fiochi. Numerose bande di lupi dovevano seguire e fiancheggiare i grossi animali, pronti a scagliarsi su quelli che rimanevano indietro o che cadevano per l'eccessiva stanchezza.

L'Uccello della notte mise il cavallo al galoppo e dieci minuti dopo si arrestava su una collinetta o meglio una minuscola montagnola, che si alzava isolata in mezzo alla sterminata pianura erbosa.

La salì senza arrestarsi e giunto sulla cima sbalzò a terra, dicendo al cow-boy:

– Eccoli! Si vedono le prime file.

Una linea oscura s'avanzava nella prateria, occupando uno spazio immenso.

Era l'avanguardia dei bisonti.

Si udivano allora distintamente i muggiti degli animali, muggiti che producevano un certo senso di terrore sul cow-boy, quantunque avesse assistito ad altre emigrazioni ed avesse affrontato più volte quei giganti delle praterie.

– Non saliranno quassù? – chiese all'indiano.

– Non vi è pascolo qui – rispose l'Uccello della notte. – E poi non amano le alture.

Pareva che i bisonti si fossero arrestati per prendere alcune ore di riposo. Si scorgevano sempre confusamente i loro ranghi ma non si avanzavano più.

– Mio fratello può dormire un po' – disse l'Uccello della notte. – I bisonti non si metteranno in marcia che all'alba.

Sam benedisse in cuor suo la fermata dei ruminanti e non si fece pregare dall'indiano.

Stese la coperta, appoggiò il capo sulla sella tolta al mustano, si avvolse nel suo mantello e s'addormentò sognando di aver dinanzi il bisonte nero.

Quando l'indiano lo svegliò, il sole cominciava ad apparire sulle lontane cime delle Montagne Rocciose.

I bisonti si erano messi in moto e s'avanzavano pesantemente, trovando qua e là le alte erbe della prateria, senza però arrestarsi.

Quale spettacolo! Fin dove giungevano gli sguardi non si scorgevano che animali d'aspetto terribile, con alte gobbe e lunghe corna.

Precedevano parecchi ranghi di maschi, poi venivano le femmine ed i vitelli fiancheggiati da altre file di maschi, quindi i vecchi riconoscibili per la tinta grigiastra della loro pelliccia.

Bande infinite di lupi affamati, scorrazzavano sulle ali di quelle falangi sterminate, cercando di forzare le linee dei maschi per dare addosso ai vitelli e venivano invece respinti a calci ed a colpi di corna.

Quanti erano quei bisonti? Delle migliaia di certo, la fortuna di cento tribù indiane.

L'Uccello della notte, ritto sulla cima più alta della montagnola, osservava attentamente le file, cercando di scoprire il famoso bisonte nero. Anche Sam lo cercava e senza riuscirvi.

Per cinque lunghe ore quelle masse sfilarono a destra ed a sinistra dell'altura, allorquando cominciarono ad apparire le retroguardie dei vecchi.

Erano contro quelle specialmente che i lupi si accanivano. Quando riuscivano a isolare qualche animale, tutti gli davano addosso, lo circondavano mordendogli le gambe finché lo facevano cadere, poi lo dilaniavano fra ululi spaventevoli.

Già Sam e l'indiano cominciavano a disperare di poter trovare il bisonte nero, quando il secondo mandò un grido di trionfo:

– Eccolo! Eccolo!

– Dove? – chiese Sam.

– Guardatelo! Sta combattendo con quella torma di lupi, per difendere i vecchi della retroguardia! Sì, deve aver dentro l'anima del gran capo degli sioux, per essere così generoso.

Un bisonte di statura enorme, con un'alta gobba villosa, una testa superba armata di due lunghe corna ricurve all'infuori, tutto nero, senza la più piccola macchia, stava combattendo ferocemente contro le torme dei lupi che perseguitavano i maschi invalidi della retroguardia.

Era un animale magnifico, due volte più grosso degli altri e giustificava l'ammirazione che avevano per lui gli scorridori della prateria.

Non aveva paura dei lupi, quel colosso!... Si scagliava a testa bassa contro quei feroci carnivori, sventrandoli a colpi di corna e calpestandoli sotto i robusti zoccoli.

– A cavallo! – gridò l'indiano. – Se mio fratello bianco si sente l'animo di affrontarlo, lo accompagno.

– Vale cinquemila dollari e porta fortuna – rispose Sam. – Non sarò così sciocco da lasciarmelo sfuggire.

Il grosso delle mandrie era già innanzi ed il bisonte nero, occupato a tener testa ai lupi, era rimasto indietro e quasi solo.

Il cow-boy sellò rapidamente il cavallo e scese al galoppo l'altura, seguito dall'indiano. Aveva preparata la carabina, deciso ad affrontare quel famoso animale, checché avesse dovuto succedergli.

Il bisonte pareva che non si fosse nemmeno accorto dell'avvicinarsi dei due cacciatori. Lottava intrepidamente contro i lupi, i quali avevano finito per circondarlo senza osare di assalirlo direttamente.

Quella bestia enorme faceva esitare anche i più affamati e poi non era cosa facile atterrare quel colosso.

Le urla dei suoi assalitori lo avvertirono del pericolo. Vedendo allargarsi il cerchio, alzò la testa e scorse i due cacciatori.

Rimase un momento immobile, dardeggiando su di loro uno sguardo irato, poi abbassò la testa come si preparasse a caricare.

– Mio fratello bianco si guardi! – gridò l'indiano.

– Sono pronto a riceverlo – rispose Sam.

Fece fare al cavallo un volteggio, arrestandolo quasi di colpo e puntò la carabina. La fucilata partì e proprio in quel momento il cavallo aveva fatto uno scarto.

La palla mal diretta non toccò nemmeno l'animale. Questi udendo la detonazione aveva rialzato la testa. Fiutò il vento, poi partì al galoppo, facendo tremare il suolo sotto i robusti zoccoli.

– Oh! Fugge! – gridò Sam, incollerito, spronando il cavallo. – Non ti lascerò dovessi attraversare tutta l'America fino sulle rive del Pacifico.

I cavalli, compreso quello che portava gli effetti dell'indiano, s'erano slanciati attraverso la prateria.

Il bisonte nero galoppava meglio di un mustano e manteneva la distanza. Si era cacciato in mezzo ad un cañon specie di piccola gola o meglio di solco profondo aperto fra la prateria e correva a perdifiato, mandando di quando in quando un muggito sonoro.

– Uccello della notte, – disse Sam dopo aver percorso qualche miglio – dove fugge quella maledetta bestia?

– Non lo so – rispose l'indiano.

– Non mi pare che cerchi di unirsi alla mandria.

– Anzi ha preso una direzione tutta opposta.

– Hai mai veduto tu un bisonte a galoppare in quel modo e lasciarsi indietro dei cavalli?

– Io no. I bisonti non durano molto alla corsa, mentre quello che inseguiamo non dà ancora segno alcuno di stanchezza. Vi dico che quell'animale deve avere l'anima del gran capo degli sioux.

– Io non credo un'acca di quello che raccontano i maghi delle tribù indiane – rispose Sam. – Tuttavia quell'animale mi pare straordinario. Corra pure, finirà per arrestarsi in qualche luogo.

Il bisonte correva davvero, con una resistenza e velocità meravigliosa che stupivano l'indiano e fecero uscir dai gangheri il cow-boy, il quale non riusciva a spiegarsi come un animale di tale specie potesse avere dei garretti così solidi, da sfidare gli impareggiabili cavalli della prateria americana.

A mezzodì il bisonte nero galoppava ancora, senza aver rallentata la sua andatura e senza aver dato alcun indizio di un prossimo esaurimento, mentre i tre cavalli cominciavano a sbuffare.

Aveva lasciata la prateria, seguiva la riva di un laghetto circondato da alti pini.

– Dove ci conduce quell'indemoniato animale? – chiese Sam all'Uccello della notte. – Io non conosco questo paese.

L'indiano rispose con un gesto che tradiva in lui delle gravi preoccupazioni.

– Hai percorso ancora questi luoghi? – chiese Sam.

– Siamo sul territorio degli sioux – rispose l'indiano. – Sì, questo bisonte deve avere l'anima del gran capo e dopo d'aver guidate le mandrie e d'averle difese dai lupi, torna sulle terre dei suoi avi.

– Non raccontarmi delle frottole – disse Sam, che era diventato di cattivo umore. – Sono tuoi nemici gli sioux?

– Gli apaches e gli sioux sono in guerra da tre secoli.

– Vorresti tornare?

– Lo bramerei.

– Eppure mi hai detto che quel bisonte porta fortuna.

– Così dicono i maghi delle tribù indiane.

– Che ci conduca in qualche miniera d'oro o d'argento?

– Il metallo prezioso una volta abbondava in queste regioni.

– No, non lascerò il bisonte finché non si arresterà e finché non avrò la sua pelle.

– E nemmeno io – disse l'Uccello della notte.

Anche il lago era stato oltrepassato ed il meraviglioso ed instancabile animale si era cacciato sotto un bosco di enormi aceri. Non correva più con lo slancio primiero ed i suoi fianchi, lucenti come se fossero di seta nera, battevano febbrilmente. Una schiuma sanguigna gli macchiava il petto.

Anche i cavalli non erano in migliore stato. Ansavano affannosamente, scuotevano la testa lanciando bava a destra ed a sinistra e parevano in procinto di cadere da un momento all'altro, completamente esausti da quella corsa furiosa che durava dall'alba.

Sam e l'indiano, vedendo che il bisonte dava segni evidenti di stanchezza non risparmiavano le speronate, risoluti a perdere i loro animali pur di raggiungere il famoso colosso.

– Non ne può più – disse il cow-boy, armando la carabina. – Comincia ad inciampare e ha tre palmi di lingua fuori. Ha durato perfino troppo.

– Sì – rispose l'Uccello della notte. – Fra mezz'ora noi avremo la sua preziosa pelliccia.

– Ed io avrò guadagnato i miei cinquemila dollari.

– Ed io la mia fortuna – disse l'indiano.

– Che non ti disputerò.

– Mio fratello bianco avrà torto a lasciarmela intera.

– Mi accontento dei dollari, io. Sprona, sprona!

– Il mio mustano comincia a tremare.

– Ed anche il mio – rispose Sam. – Ma anche il bisonte nero deve trovarsi a mal partito. Se riusciamo a guadagnare cento passi mi proverò a sparargli addosso.

Quei cento passi erano ben duri da guadagnare.

Quantunque il bisonte si mostrasse sfinito, manteneva sempre una distanza di cinque o seicento metri non lasciandosi accostare dai tre mustani.

Di tratto in tratto volgeva la testa e quando si accorgeva di perdere alcuni passi, con uno sforzo disperato li riprendeva.

Percorreva sempre il bosco d'aceri, mantenendo una linea rigorosamente diritta, ciò che era facile crescendo quegli alberi ad una certa distanza gli uni dagli altri.

Il viso dell'indiano si offuscava sempre più ed i suoi sguardi diventavano cupi.

La direzione presa dal maledetto animale non gli piaceva.

Trascorse un'altra ora. I cavalli cominciavano a rantolare e rallentare la corsa. Avevano gli occhi iniettati di sangue e di frequente inciampavano, minacciando di cadere per non più rialzarsi.

Erano giunti presso un altro laghetto le cui rive erano pure coperte di alberi. Il bisonte nero sembrava sfinito.

Muggiva sordamente e perdeva schiuma in abbondanza.

Ad un tratto fu veduto arrestarsi di colpo, poi girare su se stesso, presentando ai cavalieri le formidabili corna.

Rimase un momento in quella posa minacciosa; poi mandò un lungo muggito che si ripercosse sotto le piante, quindi rovinò al suolo rimanendo immoto.

Sam aveva gettato un urlo di trionfo a cui avevano tenuto dietro clamori selvaggi.

Dalla profondità del bosco si vedevano correre, agitando lance e scuri, numerosi indiani. Sembravano in preda ad una viva eccitazione.

– Gli Sioux! – aveva gridato l'Uccello della notte. – Fuggiamo!

Spronò il cavallo ma quello non si mosse. Aveva chinata la testa e tremava.

Una seconda spronata, invece di aizzarlo, lo fece cadere sulle ginocchia. Quasi nell'istesso istante anche quello di Sam piombava al suolo, vomitando sangue e schiuma.

– Siamo perduti! – gridò l'Uccello della notte. – Abbiamo uccisa l'anima del gran capo degli sioux.

Gl'indiani giungevano correndo. Erano almeno duecento, tutti armati, coi volti spaventosamente dipinti ed i capelli adorni di ciuffi di piume.

In un baleno circondarono Sam e l'Uccello della notte, urlando e minacciandoli colle scuri e colle lance.

– Che cosa volete voi? – gridò Sam. – Io sono un uomo bianco e non ho mai mosso guerra ai miei fratelli rossi.

Un vecchio indiano adorno d'orpelli e che portava lungo il dorso uno strano trofeo di penne di tacchino, si fece innanzi e rivoltosi al cow-boy, disse:

– Tu hai ucciso il bisonte nero che aveva raccolto nel suo corpo l'anima di O-ma-tua, il gran capo degli sioux.

– Io l'ho inseguito perché volevo impadronirmene – rispose Sam. – Per me non era altro che un magnifico bisonte.

– L'indiano che ti accompagna doveva sapere che il bisonte nero era un animale sacro.

– Io lo ignoravo – balbettò l'Uccello della notte.

– Tu menti; tutte le tribù indiane sanno che O-ma-tua si era per volere del Grande Spirito tramutato in un bisonte. Tu lo hai ucciso e noi vendicheremo la sua morte.

– Provatevi! – gridò Sam, alzando il fucile.

Ad un segno del capo, venti mani lo afferrarono e lo disarmarono. Il cow-boy non ebbe nemmeno il tempo di opporre la minima resistenza che si trovò solidamente legato. Anche l'Uccello della notte aveva avuto eguale trattamento.

I due disgraziati furono gettati su due barelle formate lì per lì con alcuni rami d'albero e vennero condotti attraverso il bosco.

Dopo pochi minuti gl'indiani giungevano al loro villaggio formato di alcune centinaia di tende coniche, disposte in cerchio ed in mezzo alle quali si rizzava un palo dipinto in rosso. I due prigionieri vennero cacciati sotto una tenda che era guardata da alcuni vecchi guerrieri e lasciati soli.

– L'uomo bianco può raccomandare la sua anima al Grande Spirito – disse l'Uccello della notte. – Gli sioux non risparmieranno né me, né voi.

– È questa la fortuna che mi promettevi? – gridò Sam. – I tuoi maghi sono degli idioti! Il bisonte nero è morto e noi ci troviamo in procinto di andarcene all'altro mondo. Bella fortuna!

– Abbiamo avuto la disgrazia di trovare gli sioux – rispose l'indiano. – Se non ci avessero scoperti, voi avreste la pelle dell'animale.

– E tu il piacere di farti martirizzare al palo della tortura – disse Sam, ironicamente.

– Sarò più fortunato nelle grandi praterie del Grande Manitou – rispose l'indiano con rassegnazione.

Un urlìo indemoniato interruppe la loro conversazione. Da tutte le tende uscivano uomini, donne e fanciulli gridando e agitandosi forsennatamente.

Correvano verso il piazzale formando circolo intorno al palo della tortura.

Sam, che guardava attraverso uno strappo della tenda, si volse verso l'Uccello della notte, dicendogli:

– Mio povero fratello rosso, credo che sia giunta la tua ultima ora.

L'indiano si alzò calmo, impassibile, rispondendo:

– Mostrerò agli sioux come sa morire un apache.

Aveva appena pronunciate quelle parole, quando quattro guerrieri entrarono nella tenda.

Si gettarono sui due prigionieri, fra le urla dell'intera tribù.

Solo allora Sam s'avvide che dinanzi al palo della tortura era stato trascinato il bisonte nero.

Quantunque si fosse ormai rassegnato alla sua sorte, rabbrividì e si sentì gelare il cuore.

– È finita – sospirò. – Cerchiamo di mostrare come sanno morire anche gli uomini bianchi. Maledetto animale! E portava fortuna!...

L'Uccello della notte, che conservava una calma sdegnosa, fu legato al palo.

Intonò bravamente il suo canto di guerra urlando in faccia alla folla schiamazzante:

– L'Uccello della notte è un grande guerriero che non ha mai temuto la morte. Egli sopporterà le torture degli sioux col sorriso sulle labbra perché ha ucciso lo spirito del gran capo. Vi sfido tutti!

Un clamore spaventevole accolse le sue parole. Il capo della tribù gli si avvicinò, tenendo la sua scure alzata:

– Cane! – gridò. – Io avrò il tuo spirito e anche la tua capigliatura!

Con un colpo della sua arma gli spaccò il cranio, poi afferrato il coltello gli strappò con abilità straordinaria la lunga capigliatura, mostrandola alla tribù.

Il cadavere del disgraziato fu subito fatto a pezzi e gettato nel bosco, a pascolo delle belve.

Sam, atterrito, non aveva osato protestare contro quell'abbominevole assassinio. Aspettava il suo turno, quando il capo gli disse:

– Oggi l'indiano; domani l'uomo bianco. Uno precederà l'anima del capo; l'altro la seguirà.

Era una dilazione di dodici ore che Sam si prometteva di mettere a profitto. Si lasciò ricondurre nella tenda e pensò subito al modo di prendere il largo. Non voleva subire la sorte toccata al povero Uccello della notte e non ebbe a pentirsene.

Gl'indiani, certi che non avrebbe nulla tentato, legato come si trovava, dopo il pasto della sera s'erano ritirati nelle loro abitazioni, lasciando due soli guerrieri dinanzi alla tenda del prigioniero.

Sam, avvedutosi di ciò si mise a rodere la correggia che gli legava le braccia.

La cosa fu lunga ma finalmente poco dopo la mezzanotte si trovava completamente libero.

Le due sentinelle, accoccolate presso il fuoco, non si erano accorte di nulla.

Con una punta di legno trovata a caso, il cow-boy lacerò prudentemente la tela della tenda dalla parte opposta dove trovavansi gl'indiani e scivolò silenziosamente all'aperto. Aveva notato che a poca distanza si trovava un recinto occupato da parecchi cavalli. Entrarvi, balzare in groppa al più robusto e partire ventre a terra, fu la cosa d'un sol momento.

Si credeva ormai salvo, quando udì due colpi di fucile e provò un acuto dolore al braccio destro. Le due sentinelle se n'erano accorte e avevano fatto fuoco.

L'allarme era dato ma Sam, che si era aggrappato al collo del cavallo, era già lontano e scomparve ben presto in direzione del lago.

Due giorni dopo, sfinito, quasi esangue, col braccio spezzato, giungeva finalmente nella tenuta del suo padrone.

Non morì ma dovette perdere il membro ferito, per impedire la cancrena.

Sam non ha più inseguito i bisonti né si è più mai consolato di quella brutta avventura e ancora oggi ripete sovente, con voce malinconica, mostrando il suo braccio mutilato:

– Ecco la fortuna portatami dal bisonte nero! All'inferno tutti i maghi delle pellirosse e le loro leggende!


Note

  1. Pipa indiana.
  2. Praterie riservate agli allevatori di bestiame.
  3. Guardiano di bestiame delle grandi praterie americane.
  4. Un fiume dell'Arizona.
  5. Tribù d'indiani.
  6. Allevatori di bestiame.
  7. Il dio delle pellirosse.