Il Buddha, Confucio e Lao-Tse/Parte Prima/Capitolo III

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III - Storia del Buddhismo, e svolgimento delle Dottrine buddhiche

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III - Storia del Buddhismo, e svolgimento delle Dottrine buddhiche
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Capitolo III.


Storia del Buddhismo e svolgimento delle dottrine buddhiche.


Le croniche e gli annali che fanno parte della letteratura buddhica, possono a buon diritto prender posto fra i più importanti documenti storici; inquantochè è noto, che alcuni de’ fatti che vi sono narrati furono presi come a fondamento della cronologia, nella storia dell’India. È cosa perciò di gran momento conoscere con la maggiore esattezza possibile l’epoca, nella quale la nuova dottrina di Çâkya apparve in mezzo alle altre sètte religiose e alle altre scuole filosofiche, che fiorivano nella valle del Gange. Anzi, come osserva il Remusat, non v’è forse in tutta la storia dell’Oriente una data così importante a stabilire, quanto questa; collegandosi anche alla storia d’una delle più grandi rivoluzioni, che siano avvenute nelle credenze di molti popoli dell’Asia.1 Un [p. 76 modifica]tal soggetto è pertanto argomento d’investigazioni di singolare importanza: ed è stato infatti tema di serie discussioni, per molti scrittori tanto asiatici, quanto europei.

L’èra buddhica incomincia dall’anno della morte di Çâkyamuni; d’allora principia il computo di tutti gli avvenimenti che si successero fino ai giorni nostri, come presso noi, dalla nascita di Gesù. — Quest’èra religiosa. venne iniziata, secondo alcuni, da Ajâtaçatru, subito dopo il primo Concilio, che si tenne in Ràjagriha.2 — Ma una gran discrepanza si trova negli autori orientali, quanto al determinare con precisione l’anno, nel quale il Buddha entrò nel nirvâna, o che passò da questa vita a quell’eterno riposo che da tanto tempo agognava. Questa discrepanza, lasciando da parte certe date favolose, le quali, come vedremo fra breve, non meritano troppo la nostra attenzione, sta in una differenza di circa duecento anni, fra la più remota e la più recente delle date calcolate dagli Orientali, come anno della morte del filosofo indiano.

La maggior varietà di date si riscontra appresso i popoli che professano il Buddhismo settentrionale; cioè fra’ Tibetani, fra’ Cinesi, fra’ Mongoli e fra’ Giapponesi. Quelle che si ricavano dagli scritti della scuola meridionale, che è in vigore nel Ceylon, nella Birmania, nel Siam e nel Pegu, sono più conformi, e tutte si aggirano circa il VI secolo avanti l’èra nostra. La smania di render più venerabile la religione, col farne risalire le origini ad epoca remotissima, indusse alcuni scrittori buddhici a propagare fra il popolo la credenza, che Gâutama fosse vissuto in tempo straordinariamente antico, che portano fin anco al 2500 av. C. La favolosa cronologia ammessa [p. 77 modifica]dal moderno Buddhismo pei tempi anteriori a Çâkyamuni, e le dottrine del Mahâyâna, che tendevano a fare sparire tutto quel che c’era d’umano e di storico in questa religione, per condurla nei dominii del soprannaturale e del leggendario, trascinarono nel campo del mito anche gli atti della vita di Siddhârta. Non è dunque negli scritti delle scuole prodottesi come ultimo svolgimento delle dottrine del Buddha, che si devono cercare i dati per stabilire una cronologia verisimile; ma in quelli delle scuole che s’inspirano alla dottrina primitiva, meno corrotta, la quale principalmente si conserva dai Buddhisti del mezzogiorno.

Nella Cina ci fu poi anche un’altra cagione, che indusse ad alterare la data del cominciamento dell’èra buddhica. E questa cagione fu, secondo quello che dicono gli stessi autori cinesi, come si rileva da un’opera che porta il titolo di Wei-keu thu cih (lib. lxv),3 la gelosia che nacque tra i preti delle religioni Taoistica e Buddhica. I seguaci della dottrina del Tao, che non vedevano di buon occhio i progressi di una nuova credenza, tentarono dapprincipio di fare di Lao-tzu e di Çâkyamuni una sola persona; insegnando in pari tempo, che il Buddhismo e il Taoismo non erano infine che una medesima religione, che i due insegnamenti procedevano da una sorgente comune, e avevano un solo fondatore. A provare tale asserzione i Taoisti cercarono di mostrare, che il Buddha morì il terzo anno dell’imperatore Khaowang dei Ceu, ossia l’anno 437 av. C., quasi un secolo dopo la morte di Lao-tzu; e che la leggenda della vita, del Savio indiano poteva dunque benissimo esser quella, del Savio dell’Impero di mezzo, passata col tempo nei [p. 78 modifica]paesi d’Occidente. Inoltre qualche simiglianza in alcuni atti della vita di questi due filosofi concorreva essa pure a trarre la conclusione, a cui si voleva venire, della identità delle loro persone e dei loro insegnamenti. Ma i preti buddhisti sdegnati si opposero vivamente a tali asserzioni, negando qualsiasi relazione con Lao-tzu e le dottrine di lui. E si adoprarono a mettere in evidenza il fatto: che l’epoca precisa della morte di Çâkya non fu il 437 av. C, ma invece 170 anni più innanzi; perchè, secondo essi, il Buddha nacque il 9.° anno dell’imperatore Cuang-wang della stessa dinastia dei Ceu, ossia il 687 av. C. e morì di 79 anni, cioè 608 av. C. I monaci delle due religioni continuarono per un gran pezzo a disputare intorno a tale argomento; e in queste dispute non si mancò d’ambo le parti, come sempre accade, d’alterare e d’esagerare i fatti. Così la data della nascita di Gâutama fu, coll’andar degli anni, spinta sempre più verso un’alta antichità; per sempre più allontanare il riformatore indiano dal misantropo filosofo cinese. Vediamo, per esempio, alcuni scrittori buddhici cinesi del tempo dei Thang (618-906) portare essa data al 1052 av. C.; e alcuni altri, dal tempo della dinastia degli Yüan (1280-1367) farla risalire fino al 2200 av. C.

Per tacere di tutte quelle date, che non sono accettate da scrittori imparziali e di qualche autorità, dell’Impero di mezzo, quella appunto che s’incontra più di frequente ne’ libri cinesi pone l’anno natalizio di Çâkyamuni al tempo, in cui regnava Cuang-wang dei Ceu (696-581):4 data che l’Enciclopedia di Ma Tuan-lin [p. 79 modifica]pretende determinare con precisione a questo modo: 9.° anno, 4.° mese, 8.° giorno dell’ascensione al trono del citato monarca (687 av. C.).5 Di nessun valore storico sono le altre date che si rilevano dal Râja taranginî,6 che fa nascere Gâutama l’anno 1436 av. C; quelle tolte da alcuni scritti tibetani che la portano fino al 2422 av. C.; quelle degli autori mongoli, tartari e giapponesi, che tolsero le notizie dalla storia del Buddhismo da fonti tibetane o cinesi. Presso tutti questi popoli che rappresentano il settentrione del mondo buddhico, l’epoca della morte di Çâkyamuni più generalmente accettata è quella che corrisponde all’undecimo secolo avanti l’èra nostra. Così i Tibetani, fra le loro quattordici date differenti,

[p. 80 modifica]registrate da Csoma Körösi,7 s’attengono in generale a quella che fa accadere il nirvâna del Buddha nell’anno 1000 av. C.;8 e questo stesso tempo, presso a poco, è ammesso comunemente, per tale evento, anche dai Cinesi,9 dai Cocincinesi,10 dai Tartari,11 dai Mongoli12 e dai Giapponesi.13

Quanta disparità si trova negli scrittori tibetani, cinesi e in quelli del nord e nord-ovest dell’India, circa allo stabilire l’anno della nascita o della morte di Siddhârta, altrettanto accordo si riscontra, relativamente, ne’ libri appartenenti alla scuola meridionale, nel registrare un tal fatto. Gli annali pali del Ceylon, conosciuti col nome di Mahâvança, pongono il nirvâna o la morte [p. 81 modifica]del Buddha, al 543 av. C.14 Questa data è generalmente accettata dai singhalesi, e, con poca differenza, dagli abitanti di gran parte dell’Indo-Cina. Così i Birmani credono comunemente che la morte di Çâkyamuni avvenisse il 544 av. C.;15 gli abitanti dell’Asam, il 520 av. C.;16 i Peguani, il 558 o 59 av. C.;17 i Siamesi, il 542 o 43.18

Se taluno, da questa confusione d’opinioni intorno all’anno della morte di Gâutama, volesse trarre la conclusione della poca o punta probabilità di vedere in lui una persona veramente storica, sarebbe in errore. Il cominciamento dell’èra nostra dalla miracolosa nascita di Gesù è stato anch’esso soggetto di dispute, come fu in Oriente il cominciamento dell’èra buddhica. Trentacinque autorità delle più ortodosse scuole cristiane differiscono fra loro di dieci anni sul tempo, in cui accadde il fatto più portentoso che abbiano a narrare gli annali dell’umanità. Il fissare con precisione il principiare di questa nostra èra di redenzione fu trovato così difficile, che lo Scaligero scrive, che il determinare il giorno della nascita del Cristo appartiene più a Dio che all’uomo. La differenza dalla massima (608 av. C., generalmente accettata de’ Cinesi) alla minima (520 av. C, di alcuni Indo-Cinesi) delle date per la morte del Buddha, fra quelle che abbiamo riportate di sopra come probabili, è [p. 82 modifica]ottantotto anni; di gran lunga perciò maggiore della differenza del tempo assegnato alla nascita di Gesù. Ma è da considerare la maggiore antichità che conta il Buddhismo; e i mezzi migliori che noi avemmo per rintracciare la verità, o per avvicinarvisi. In quanto a quell’altre date buddhiche che sorpassano di molti secoli quelle delle croniche singhalesi, e hanno perciò del favoloso; per le ragioni che abbiamo dette di sopra, si possono tenere in quel conto, in cui si tiene tra noi la data della creazione del mondo, o del diluvio: dove troviamo la medesima disparità d’opinioni che fra’ Buddhisti. Centoventi congetture differenti abbiamo intorno all’epoca della creazione, con altrettante date; nelle quali, fra la più antica (6984, secondo le Tavole Alfonsine) e la più vicina a noi (3616, secondo il Rabbi Lipman), si trova il divario di 3268 anni. Pel diluvio ne abbiamo sedici sole, delle date; ma dalla massima (3246) alla minima (2104) ci corrono 1142 anni.19

Se v’è confusione d’opinioni, fra gli autori orientali, circa al determinare il cominciamento dell’èra religiosa del mondo buddhico, non minore confusione esiste nello stabilire il succedersi de’ fatti, occorsi dalla morte di Çâkya insino al principio dell’èra nostra. Anche qui gli scrittori indigeni si distinguono principalmente in due classi: quelli che rilevano i fatti e la cronologia dalle tradizioni del Buddhismo settentrionale, e quelli che si attengono alle tradizioni del Buddismo del mezzogiorno. Queste due tradizioni hanno due diverse cronologie per gli avvenimenti de’ primi cinque secoli dell’èra buddhica. Il discutere i molti punti controversi di storia e [p. 83 modifica]cronologia indiana e i molti dubbii che si affacciano alla mente di chi studia i ricordi di que’ primi secoli del Buddhismo, ci porterebbe troppo lontani. Noi cercheremo dunque, senza entrare in discussioni aride e astruse, di tracciare una cronologia che più si accosti al verisimile; la quale ci possa servire di guida nella esposizione che stiamo facendo dello svolgimento delle dottrine di Çâkyamuni.

Fortunatamente per porre un termine alle incertezze che presenta questo periodo della storia dell’India, e per assicurarci della veracità della cronologia trasmessaci dagli scritti dei Buddhisti meridionali, e in special modo dalle croniche singhalesi, avremo una base abbastanza solida su cui poggiare, un fatto abbastanza certo, intorno al quale gli autori contemporanei sono d’accordo. E questo fatto è la conoscenza del tempo, in cui visse il re Candragupta, pervenutaci per via degli storici greci, delle tradizioni indiane, e delle croniche buddhiche.20 La data dell’ascensione di questo sovrano al trono del Magadha sarà il punto, da cui partiremo; dapprima, per risalire in antico, e ricostruire la cronologia fino al tempo del Buddha, dipoi per ridiscendere fino all’incominciamento dell’èra cristiana.

È un fatto ben noto che gli storici greci fanno menzione di un re indiano, il quale, dopo la morte di Alessandro (323 av. C), pose fine all’invasione macedone nel Panjabî, e in pari tempo fondò un potente impero nell’Industani. Morto il gran capitano, Eudemo uccise Poro per impadronirsi del regno (317 av. C.); quando un avventuriero, che i Greci chiamano Sandrocotto, e [p. 84 modifica]gl’Indiani Candragupta,21 costrinse Eudemo stesso e tutto il suo esercito a lasciare Panjâbî.22 Questo Sandrocotto era nella città di Taxila, quando Alessandro aveva allora allora cominciato la sua campagna nell’India. Lo si dice un principe del paese dei Gangaridi e dei Prasi,23 esiliato come nemico del monarca che vi regnava, il quale aveva nome Aggramme. E si narra che si presentasse al duce macedone, e, fattogli conoscere come fosse facile conquista quella del reame di detto Aggramme, e vantando diritti ch’ei pretendeva avere al trono occupato da quel sovrano, si profferisse, egli ed i suoi, in aiuto all’esercito greco. Tali proposte non furono però accolte come egli credevasi. Ciò non ostante appena Alessandro ebbe lasciato il Panjabî, Sandrocotto alla testa di avventurieri s’impadronì di Pâtaliputra,24 e ne ottenne il governo, ponendo fine alla dinastia Nanda, che allora dominava sul Magadha;25 quindi cacciò i Greci dall’India, e stabilì il suo impero sull’intero Industani e nel Panjâbî.26 Trent’anni dopo [p. 85 modifica]la morte di Alessandro, quando il vasto dominio da lui conquistato nell’Asia si andò suddividendo, la regione tra l’Eufrate e l’Indo fu data a Seleuko Nikator, che aveva accompagnato Alessandro alla spedizione d’Oriente. Seleuko essendosi voluto spingere oltre l’Indo, ebbe a a combattere Sandrocotto, che aveva già consolidato il suo impero nel bacino del Gange. La guerra terminò con un trattato d’alleanza fra questi due sovrani asiatici. Seleuko lasciò a Sandrocotto il libero dominio dell’India e delle terre fino alla catena del Paropaniso, a patto che gli recasse aiuto, con cinquecento elefanti, nelle guerre che egli era di continuo costretto a fare per mantenersi saldo ne’ suoi Stati. Quest’alleanza fu conclusa da Megasthene, ambasciatore greco che stava alla corte di Seleuko Nikator, e dal quale si hanno le più autentiche informazioni intorno alla storia, ai costumi e alla civiltà della valle del Gange, in quel periodo di tempo.27 Morto Sandrocotto, ebbe il trono del Magadha Annitrocate,28 o ’Αλλιτροχάδωζ, come lo chiama Strabone.29 Ecco, in poche parole, quel che gli scrittori greci ci hanno lasciato in memoria del monarca, la cui identificazione col personaggio che gli Indiani chiaman Candragupta, è cosa da non lasciar dubbio. L’anno, in cui Candragupta salì al trono del Magadha, si può tenere che fosse tra il 317 e il 315 a. C.30

Cerchiamo ora d’investigare, secondo gli scrittori indigeni e in particolar modo secondo quelli che seguono [p. 86 modifica]le tradizioni del Buddhismo meridionale, la storia del Magadha nella serie dei re che si successero al trono di quel paese, dal tempo di Çâkyamuni fino a quel Candragupta, che abbiamo ora conosciuto per mezzo degli autori greci. S’è detto, negli altri capitoli, che Bimbasâra aveva la sua corte in Râjagriha, allora capitale del Magadha, quando il Buddha visitò quella città. Ora le croniche buddhiche fanno succedere a quel sovrano il suo figliuolo Ajâtaçatru; il quale s’impossessò del trono, ucciso che ebbe di propria mano il vecchio padre. Dopo aver regnato trentadue anni, ossia fino all’anno venticinquesimo dalla morte del Buddha,31 morì anch’egli della stessa morte, e il figliuolo Udâyi o Udâyaibhadra prese le redini del governo, che tenne fino all’anno quaranta dell’èra buddhica, nel quale anno venne egli pure ucciso dal suo figliuolo Anuruddhaka. Il regno di quest’ultimo fu di corta durata: imperocché Munda, figliuolo di quel principe, resosi colpevole dello stesso delitto, usurpò il trono paterno. Munda esercitò la sovranità fino all’anno 49 di Buddha; ma lo attese la sorte de’ suoi antenati, e il suo figliuolo e successore occupò la reggia fino al 63 d. B.32 Il popolo indignato per tante atrocità, volendo metter fine a questa dinastia di parricidi, si scelse egli stesso un re, che ebbe nome Çiçunâga;33 il quale proclamato al trono l’anno 63 dell’èra buddhica, morì l’81.° dell’èra stessa, dopo ventidue anni di regno; e gli successe Kâlâçoka, suo figliuolo, che trasportò la capitale da Râgagriha a Pâtaliputra.34 [p. 87 modifica]La nuova dinastia fondata così da Çiçunâga, dopo la caduta di quella di Batthiya, padre di Bimbisâra, non ebbe lunga durata. Kâlâçoka, morto dopo 28 anni di regno,35 lasciò dieci figliuoli, il maggiore dei quali fu Bhadrasena, che l’un dopo l’altro ebbero il governo, durante un periodo di 33 anni secondo alcuni,36 o di 22 secondo altri.37 Ma al tempo dell’ultimo di questi dieci figliuoli, che si chiamava Pinjamakha, un avventuriero per nome Ugasena-Nanda rovesciò la dinastia regnante, e ne fondò una della sua stirpe, che prese appunto l’appellativo di Nanda. Questa dinastia si compose soltanto degli otto fratelli d’Ugasena, che salirono a vicenda sul trono, regnando in tutti 22 anni, a starsene all’opinione de’ più;38 mentre alcuni autori brâhmani invece fanno rimanere in trono il solo fondatore di essa dinastia, per lo spazio di 88 anni.39 Altri scrittori buddhici poi, a cagione degli anni di regno e del numero di sovrani, confusero i nove Nanda coi nove fratelli di Bhadrasena, e ne fecero una sola dinastia.40

Dopo la distruzione di Vaiçâlî per opera del re Ajâtaçatru, i principi di quella terra, per fuggire alla strage, si rifugiarono in un paese verso l’oriente, e vi fondarono un’altra città che fu detta Maurya. Costretti più tardi ad abbandonare anche quella residenza, e ricoverarsi altrove, accadde che la moglie di uno di que’ nobili fuggiaschi, essendo incinta, partorì in esilio un [p. 88 modifica]fanciullo, a cui fu dato il nome di Candragupta.41 Costui fu quello che riuscì a vendicare la sua famiglia, e a sedere sul trono de’ discendenti di chi aveva distrutto la reggia de’ suoi padri; poichè, dopo una vita avventurosa, noi lo vediamo, innalzato a sovrano del Magadha l’anno 162 dell’èra buddhica, governare quello Stato fino al 186, ossia per lo spazio di 24 anni. La dinastia da lui fondata prese il nome di Maurya.42

Bindusâra o Vindusâra,43 figliuolo di Candragupta, successe a suo padre nell’età di soli sedici anni, e morì dopo 27 anni di regno,44 cioè il 214 d. B. — Alcune tradizioni danno il nome di Maurâ alla madre di Candragupta; e dicono che la moglie di lui era della famiglia Nanda, e che egli la scegliesse in questa famiglia, perchè i discendenti della sua stirpe fossero imparentati colla dinastia di quel nome. — Bindusâra ebbe sette mogli e moltissimi figliuoli, fra cui Açôka e Tisya, nati d’una stessa madre;45 il primo de’ quali, come vedremo, ebbe una grandissima parte nella storia del Buddhismo. Le tradizioni settentrionali ci dicono che Açôka incominciasse per avere il governo di Paraliputra, città posta sugli alti monti del reame di Kâçya, che ebbe in appannaggio dal padre, per una vittoria riportata su gli [p. 89 modifica]abitanti del Nepal;46 mentre le tradizioni del Buddhismo meridionale dicono che fu dapprincipio governatore di Ujjayinî.47

Inimicatosi co’ fratelli, che regnavano sopra diversi Stati, prese a far loro la guerra e a conquistarne le terre; e si racconta che, per ottenere finalmente il trono paterno, uccidesse il fratello Susîma, che era stato da Bindusâra prescelto a succedergli, come primogenito. Si trovò per tal modo a capo d’un vastissimo reame, che comprendeva tutto l’Hindustani, il Panjâbî e l’Afghânistan: cioè a dire tutto il paese compreso dalla baia del Bengal all’Oceano Indiano, e dal fiume Nerbudda alle montagne del Kaçmîra: le frontiere nord-ovest erano segnate dall’Indukush.48

Nei primi anni del regno, Açôka fu persecutore crudele del Buddhismo; ed essendosi dato a commettere ogni sorta di violenze, s’ebbe perciò il nome di Caudâçôka.49 Ma non tardò a divenire caldo seguace e propugnatore delle dottrine che s’era messo a combattere, convertito che fu per opera di Nigrôsha. Era questi figliuolo di quel Susîma ucciso già da Açôka stesso: e la madre lo partorì, dopo la morte del marito, in un villaggio di Candala, dove s’era rifugiata. Il fanciullo, fattosi poi monaco, divenne un santo, e riuscì a condurre il feroce suo zio sulla via della fede buddhica.50 Questo monarca si fece allora il più operoso ed efficace propagatore degl’insegnamenti di Çâkyamuni; e alcune iscrizioni, delle quali [p. 90 modifica]parleremo in breve, ce lo attestano sicuramente. «Nei tempi andati, dice una di queste iscrizioni, i re non conoscevano che la via dei piaceri; ma Priyadarçi (Açôka), giunto al decimo anno del suo regno, ottenne la scienza perfetta che fu insegnata dal Buddha, e conobbe che è solamente il cammino della Legge e della salute, che conviene percorrere». — «Priyadarçi, dice un’altra di dette iscrizioni, non agogna nè la gloria nè la fama. La sola gloria, a cui aspira, è di vedere il suo popolo praticare la religione del Buddha, e adempiere tutti i doveri che ella impone». — Açôka, dopo la sua conversione, diventò benigno e pio, quanto prima era stato perverso e crudele: ed egli, che aveva uccisi di propria mano i fratelli per ottenere il trono, giunse ad abolire nei suoi Stati la pena di morte, dopo che uno dei suoi ordini, male interpretati, costò la vita a un innocente. Questo monarca pei suoi atti di religiosa pietà, e per essere stato il protettore del Buddhismo, ricevette il nome di Dharmâçôka, o «Açôka della Legge».51 Copri l’India di monumenti e di templi in onore di Çâkyamuni; distribuì al clero tutti i suoi tesori;52 alcune leggende fanno ascendere a 84,000 le città indiane che egli arricchì di monasteri.53

Da quanto abbiamo ora esposto, resulta la seguente serie cronologica dei re del Magadha:

Ajâtaçatru, l’ottavo anno del quale morì il Buddha: regnò 32 anni.

Udâyabhadra o

Udayâçva. regnò 16 an. — 24 an. d.Bud. = 519 av. C. [p. 91 modifica]

Anuruddhaha regnò 4 an. — 40 an. d. Bud. = 503 av. C.

Mundo..... » 4 » — 44 » = 499 »

Nâgadasâka.. » 24 » — 48 » = 495 »

Çiçunâga.... » 18 » — 72 » = 471 »

Kâkavarnin, chiamato anche Kâlâçôka .... » 28 » — 90 » = 453 »

Figliuoli di Kâlâçôka.... » 22 » — 118 » = 425 »

Dinastia Nanda » 22 » — 140 » = 403 »

Candragupta.. » 24 » — 162 » = 381 »

Bindusâra o Amitraghâta. » 28 » — 186 » = 357 »

Açôka, soprannominato Dharmâçâka.. » 37 » — 214 » = 329 »54 [p. 92 modifica]L’archeologia orientale ha scoperto monumenti importanti, risguardanti Dharmâçôka, l’ultimo di questa lista; i quali riuscirono di tanto valore, per la storia, quanto le testimonianze degli autori greci, a cui più sopra accennammo, a proposito dell’altro sovrano indiano, Candragupta. Circa il 1835 furono trovate in varie parti dell’India iscrizioni,55 alcune scolpite su colonne, come quelle scoperte a Delhi,56 Allahâbâd57 e Bakhra; altre sulle rocce, come quelle di Dhauli58 in Orissa, di Kapur-i-Giri59 in prossimità di Pishâuer, di Girnar o Girinagara,60 nella penisola di Guzerate, di Bhabra61 tra Gehaipur e Delhi. Era la prima volta che l’India offriva alla curiosità europea un tal genere di monumenti. James Prinsep, il Norris, l’Wilson e il Burnouf giunsero [p. 93 modifica]a decifrarle. Esse contenevano gli editti di un re, che vi era chiamato col nome di Priyadarçi, cioè a dire «inclinato all’amorevolezza», in Pali Piyadasi (nome che si trovava preceduto anche dall’appellativo di Devânâmpriya), coi quali egli dà ai suoi popoli precetti e consigli concernenti la morale, la propagazione della Legge del Buddha e lo incremento di quella. Poco dopo che tali iscrizioni furono scoperte, il Turnour dimostrò che questo Priyadarçi non era che Açôka II o Dharmâçôka, del quale ho fatto, menzione poco sopra. La cosa si tenne per certa; in quanto che il Mahâvança, dal quale il Turnour tolse così preziosa notizia, dice che Priyadarçi era nipote di Candragupta e figlio di Bindusâra, ed era vicerè di Ujjayinî. Ora Açôka, tra’ figliuoli di Bindusâra, è appunto colui che fu viceré di Ujjayinî.62 La identificazione di questi due personaggi, quantunque messa in dubbio dall’Wilson, è oggi generalmente accettata, tanto per le notizie del Mahâvança intorno a questo re, quanto per la somiglianza grandissima che si riscontra tra il Pryadarçi degli editti e l’Açôka63 delle leggende che si trovano trai ricordi delle croniche buddhiche. Le iscrizioni che questo re ci ha tramandate, hanno molta importanza, non solo per la storia dell’India, dandoci un’idea dell’estensione di territorio su cui signoreggiava Priyadarçi, ma ancora perchè ci danno modo di formarci un esatto concetto dello stato della religione buddhica a que’ tempi: e si possono tenere, sotto questo aspetto, fra le più preziose reliquie della storia religiosa dell’umanità. [p. 94 modifica]La professione di fede che fa Açôka in questi editti è per la triade, Buddha, Dharma e Samgha: cioè pel Buddha, per le sue dottrine e per l’unione dei credenti in quelle; dottrine che stima eccellenti sopra ogn’altra. «Tutto quel che è uscito dalla bocca di Çâkyamuni», è scolpito in una di queste iscrizioni che fu trovata a Bhabra, «è verità. Per la qual cosa io dichiaro, che gl’insegnamenti della sua Legge hanno vinto gli errori d’ogni scuola, ed hanno liberato gli uomini da tutte le false credenze. Proclamo dunque la religione del Buddha, ed esprimo, con quest’editto, il più vivo dei miei desiderii, che è quello di vedere i suoi precetti seguìti con sollecitudine da ognuno, sia egli monaco sia laico». Questo suo desiderio Açôka lo esprime anche in un altro editto. «Sono ansioso», egli scrive, «di vedere sparire ogni diversità d’opinione; di vedere gl’increduli volgersi al pentimento e trovare la pace del cuore che dà la fede; e di vedere infine il mio popolo unito dai legami d’una carità universale».64 Non per questo predica l’intolleranza verso gli altri culti; anzi in altra iscrizione si trovano incise le parole seguenti: «Abbiate sempre vivo ne’ vostri cuori il rispetto per l’altrui fede; e che questo rispetto si manifesti anche quando cercate di convertire alcuno alla dottrina del Buddha; imperocchè colui che opera altrimenti, fa ingiuria alla propria religione».65

La morale che inculcano queste antichissime memorie, consiste a insegnare certi doveri che incombono all’uomo nelle diverse relazioni della vita. E questi [p. 95 modifica]doveri sono quelli che debbono esercitarsi a vicenda fra genitori e figliuoli, tra fratelli e fratelli, tra amici ed amici, fra servi e padroni.66 Solamente l’adempimento di questi doveri può condurre, nel mondo, alla felicità. «Ciascuno ricerca la gioia per diverse vie; nel matrimonio, per esempio, nell’allevare la prole, nel viaggiare in paesi lontani, o altrimenti. Ma invano si cerca la felicita in siffatte cose. Benevolenza verso gl’inferiori, reverenza verso i maestri, amore verso i genitori e i fratelli, carità verso tutti, compresi gli animali d’ogni specie: ecco come potremo noi trovare la felicità, che è la gioia della virtù, il piacere dell’adempimento de’ propri obblighi».67 E in altro luogo si legge: «Non v’è più bel dono che il pieno possesso della virtù; chè allora ne conosciamo il pregio, ne godiamo i beni, ci sentiamo dolcemente e strettamente legati a lei. E da questo dono procedono la carità e l’amore, che devono governare tutte le relazioni della vita».68 Per inculcare l’osservanza di questi doveri, il re Açôka in un editto apposta annunzia che egli si adoprerà con ogni possa all’educazione del suo popolo; che sceglierà a tale effetto uomini fra i più sapienti del suo impero; e che a siffatta educazione, la quale insegni a bene operare in ogni tempo, in ogni luogo, in ogni congiuntura della vita, vi si darà tutto, perchè la crede il mezzo più acconcio per beneficare l’umanità.69

Nelle iscrizioni di Priyadarçi si trovano inoltre molti altri precetti che dimostrano l’umanità e il fervore [p. 96 modifica]religioso di questo monarca: sentimenti che contrastano con la condotta di lui, quale ci viene narrata dalle leggende, prima della sua conversione al Buddhismo. In alcuni editti si proibisce l’uccisione di qualsiasi animale, tanto per cibarsene, quanto per offrirlo in sacrificio agli Dei.70 In altri si ordinano e stabiliscono luoghi di assistenza medica per gli uomini e per le bestie; o si eccita a piantare dappertutto, dove il terreno lo comporta, alberi, erbe, frutti, grani, legumi, ogni vegetale insomma atto a servire agli uomini di cibo e di ristoro.71 Finalmente in altra iscrizione si prescrive che ogni cinque anni si facciano certi atti espiatorii, per mettere un argine al male, e per confermarsi nella virtù e nell’adempimento di que’ doveri, di cui abbiamo discorso poco sopra. 72

Per tornare ora alla storia del Buddhismo, si deve notare, come del resto lo abbiamo altre volte ripetuto, che la cronologia del periodo della storia del Magadha, che resulta dalle tradizioni dei Buddhisti del settentrione, differisce non poco da quella non ha guari esposta, secondo le tradizioni della scuola meridionale. Una storia del Buddhismo nell’India, scritta nella lingua del Tibet da un autore per nome Târanâtha, e tradotta in russo dal Wassiljew e in tedesco dallo Schiefner, che ne ha pure pubblicato il testo tibetano, registra la successione dei re del Magadha come appresso. Dopo Ajâtaçatru, regnò per dieci anni Subâhu, che ebbe per erede al trono Sudhanu (e secondo il Lassen Dhanubhadra e Udânabhadra);73 al quale successe il suo figliuolo Mahen- [p. 97 modifica]Mahendra, che regnò per nove anni, e poi Camasa figliuolo di quest’ultimo, che ne regnò ventidue. Camasa ebbe dodici figliuoli, di cui alcuno stette sul trono, fino a che il governo venne usurpato da un brâhmano chiamato Gambhîraçîla, al quale successe Açôka. Vigatâçôka, nipote di Açôka, e Vîrasena ebbero quindi la sovranità del Magadha. Da questi passò a Nanda, e poi a Mahâpadma suo figliuolo, col quale s’arriva al tempo, in cui il re Kanishka del Kaçmîra tenne un concilio, 400 anni dopo la morte del Buddha, del quale avremo occasione di parlare fra breve.74 Se poi si prendono ad esaminare altre storie o altre leggende, si rileva una lista dei re del Magadha quasi sempre diversa. Così in una leggenda cinese intorno il re Açôka, la lista di questi sovrani è come segue: Bindusâra (Bimbasâra), Ajâtaçatru, Udânabhadra, Munda, Kâkakarnin o Kâkavarnin (altro nome di Kâlâçóka), Sapâla o Sahâlin, Tulakuci, Mahâmandala, Prasenajit, Nanda, Bindusâra, Susîma, Açôka.75

Abbiamo discorso brevemente della storia politica del Magadha, diciamo ora qualcosa intorno alla storia religiosa, per potere infine trarre da questa esposizione una cronologia buddhica che si approssimi alla verità. La storia religiosa sì restringerà per ora a quella dei patriarchi e dei concilii. I Buddhisti del settentrione conservano memoria d’una serie di personaggi venerabili, che possiamo chiamare anche noi Patriarchi, o Padri della Chiesa, come altri li hanno chiamati; i quali, secondo che dice la tradizione, ebbero l’ufficio di trasmettere la dottrina del Buddha, conservandole la sua purezza originale. [p. 98 modifica]Mahâkâçyapa76 fu il primo di questi Papi del Buddhismo; e dopo dieci anni trasmise la sua autorità ad Ananda, che la tenne fino a che non morì: cioè fino a pochi anni dopo la morte di Ajâtaçatru, re del Magadha. Il patriarca che successe ad Ananda fu Çânakavâsa o Çânavâsika, sotto il quale si dice che accadesse la conversione del Kâçmîra. Il Kâçmîra fu infatti la prima contrada, o una delle prime, che ricevettero la nuova religione, dopo che dal paese del Magadha, dove essa nacque, cominciò a dilatarsi ed estendersi per opera degli zelanti apostoli delle verità buddhiche. Madhyântika, da alcuni messo fra i patriarchi, da altri no, e che Hsüan-Tsang e Târanâtha77 dicono discepolo immediato di Ananda, fu colui che operò la conversione degli uomini di quella nazione; conversione che la leggenda narra nel modo seguente. Madhyântika78 viveva in un convento di Benares, quando gli abitanti cominciarono ad esser molestati dal numero straordinario di Bhikshu, monaci mendicanti, di cui quella città rigurgitava; allora Madhyântika con dieci mila compagni prese il volo per l’aria, e andò sul monte Uçîra. Di là discese nel Kâçmîra che era allora abitato dai Draghi (Nâga); e dopo aver cacciato quei mostri, chiamò a sè cinquecento monaci, fra quelli che lo avevano seguìto, e prese dimora con loro nel paese. Molte delle tribù circonvicine, attirate dalla sua santità, andarono in quel luogo; ed egli fondò città, villaggi e [p. 99 modifica]templi: e con la religione portò la civiltà in quella terra fino allora barbara e inospitale.79 Il Cascemir, così per tempo convertito, divenne in seguito una delle contrade più celebri nella storia del Buddhismo; molti Sûtra furono scritti nei suoi floridi conventi; esso fu più tardi il luogo, onde ebbero origine i celebri Çâstra o Abhidharma; e fu pure nel Cascemir che si adunò l’ultimo concilio, nel quale si cercò di raccogliere tutte le scritture buddhiche, e dove fu compilata quella collezione che, tradotta in Cinese, Tibetano, Mongolo e Manciù, si può anche oggi leggere, uscita dalla stamperia del palazzo imperiale di Pekino. Oltre allo svolgimento della dottrina, il Cascemir ebbe ancora grandissima parte alla propagazione della religione. Il Gandhâra80 e il Kabûl, che non furono meno celebri, e che i pellegrini cinesi non mancavano di visitare per ricercarvi le antiche tradizioni della legge del Buddha, furono convertiti da apostoli usciti, dai conventi del Kaçmîra. Da questa contrada il Buddhismo si spinse fino a Bactra, e di là per tutto il Turkestan, d’onde non fu sradicato se non per opera dell’Islamismo. Finalmente è pure da notarsi che fu anche da questo paese che il Buddhismo venne introdotto in gran parte del Tibet, il quale si fece poi depositario della collezione più compiuta dei libri santi.81

A Çânavâsika successe il patriarca Upagupta,82 che [p. 100 modifica]si stabilì nella città di Mathurâ: e sotto di lui incominciò la edificazione dei templi buddhici.83 Dhîtika, nativo del regno di Mâlava, e al quale, secondo la leggenda, si deve la conversione di Tukhâra (Bactriana),84 fu il successore di Upagupta. Il reame di Tukhâra era allora retto dal re Minara; e, a quel che dicono gli autori buddhici, vi si adorava il Dio del cielo, a cui si portavano in sacrificio sui roghi grano, stoffe ed oggetti preziosi. Si dice che Minara e il suo figliuolo, divenuti ferventi buddhisti, innalzassero cinquanta grandi templi e conventi, pei molti Bhikshu che erano ivi andati dal Cascemir. In questo tempo furono pure condotte alla fede buddhica, a oriente, il paese di Kâmarûpa, e a mezzogiorno, il reame di Mâlava, nel quale vien riferito si facessero sacrifizii umani. Morto Dhîtika, Kâla gli successe nel patriarcato, e secondo che narra il Târanâtha, partecipò alla conversione del Ceylon, che divenne, al pari del Cascemir, un centro attivo di propagazione della legge di Çâkyamuni. Gli scrittori singhalesi però fanno avvenire la conversione del Ceylon al tempo di Dharmâçoka, cioè tre secoli dopo il patriarca Kâla. Senza discutere qui intorno a tal divergenza di date, vedremo in appresso come sarà meglio attenerci all’opinione dei preti singhalesi: imperciocchè questo avvenimento, di cui la pietà delle generazioni che vennero poi avrebbe religiosamente conservata la tradizione, non poteva essere stato dimenticato nelle croniche sacerdotali; [p. 101 modifica]nè in esse si sarebbe di certo lasciata fuggire sì bella occasione, per far risalire a un tempo più antico la conversione della loro contrada.85 A Kâla successe Sudarçana, nato in occidente nel regno di Bharukacca. Egli propagò la dottrina nelle contrade del Sindhu, dove egli pure trovò i sacrifizii umani, e in molte parti dell’India meridionale, che provvide di templi e di preti.86 In altre scritture si trova che al patriarca Kâla, detto anche Micchaka, successe Vasumitra, il quale tenne la presidenza dell’ultimo concilio buddhico, che ebbe luogo nel Cascemir 400 anni dopo la morte di Çâkyamuni.

Teniamo ora a parlare di questi concilii. Subito dopo la morte del Buddha, che accadde l’ottavo anno del regno di Ajâtaçatru, i suoi discepoli si riunirono a Râjagriha nel Magadha, sotto la presidenza di Mahâkâçyapa, o Kâçyapa il grande, per distinguerlo da altri dello stesso nome,87 che fu riguardato come il successore di Çâkyamuni. Era necessario dimostrare ai convertiti al Buddhismo, che la dottrina era stata loro trasmessa direttamente dal maestro stesso; e a questo effetto in una dieta, che durò sette mesi, tenuta nel medesimo anno della morte di lui, si fece la prima raccolta degl’insegnamenti buddhici. Questa raccolta si componeva dei [p. 102 modifica]Sûtra,88 che si dicevano trasmessi da Ananda, dei Vinaya, che furono spiegati da Upâli, e degli Abhidharma, di cui Mahâkâçyava, che era anche il Samgha sthavira,89 o capo dell’assemblea, diresse la compilazione.90 Nonostante però che tutti gli scrittori buddhici sieno concordi nel narrarci questo triplice lavoro di compilazione, eseguito dai tre sopraccitati personaggi, si può tenere per certo, che in questo primo sinodo non si fece già, una raccolta scritta delle dottrine buddhiche; ma sibbene v’ebbero delle discussioni orali su’ capi della fede, e sulla disciplina monastica; ed è perciò anche probabile che queste discussioni orali non concernessero che i discorsi pronunziati dal Buddha, e raccolti poi col nome di Sûtra, e i regolamenti che egli stabilì per chi voleva darsi alla vita religiosa, distinti col nome di Vinaya. In quanto agli Abhidharma, questa parte delle scritture canoniche non comprende nè le parole di Çâkyamuni, nè i precetti disciplinari della confraternita dei Bhikshu; ma commenti sulla dottrina, i quali presentano tali sottigliezze psicologiche che non si possono ammettere in quell’epoca primitiva, almeno nella forma, nella quale ci pervennero. La cura inoltre che si ebbe di porre in testa ad ognuna delle tre compilazioni citate i nomi di [p. 103 modifica]tre dei principali personaggi buddhici, mostra, come osserva Wassiljew, che s’ebbe in animo di appagare la critica; e spinge più che altro a dubitare della veracità di questa tradizione: imperciocchè una compilazione vera delle dottrine di Çâkya, fatta in un tempo così vicino alla morte di lui, poteva far perdere di vista una tal necessità.91

Durante il regno di Kâlâçoka incominciarono alcuni dissensi tra le diverse comunità religiose: lo scisma ebbe principio in Vâiçâli. I monaci che abitavano il convento detto Mahâvana, (Mahâvana vihâra) e che si dice che fossero allora in numero di dieci mila, si messero a capo d’una riforma nella regola dell’ordine religioso, pretendendo che venissero aboliti certi precetti del Vinaya. Dieci erano gli obblighi, da cui essi monaci volevano essere esonerati. Volevano la permissione: 1.° di adoperare il sale od altri condimenti per le loro pietanze; 2.° di poter fare un altro pasto oltre all’unico, cui erano tenuti; 3.° di usar fuori del convento di ciò che in convento non era lecito; 4.° che certe cerimonie si facessero nelle loro rispettive celle, piuttosto che in chiesa; 5.° di poter far qualcosa senza il consenso dei superiori; 6.° che in uno sbaglio commesso si potesse trovare scusa sufficiente in altro simile commesso da un superiore; 7.° di far uso di latte a bere; 8° di usar anche bevande spiritose; 9.° di sedere sopra tappeti o stuoje, e non su la terra nuda; 10.° di poter ricevere in elemosina oro od argento.92 [p. 104 modifica]Ho fatto parola di queste puerilità, che potrebbero parere inutili a riferire, per dare una idea del tenore di vita di questi lontani precursori degli ordini mendicanti che apparvero poi in Europa. Le pretensioni dei Monaci del Mahâvana vihâra suscitarono una viva disputa, tra questi e altri più ortodossi loro confratelli, che abitavano il convento d’un distretto posto a occidente di Vâiçâlî. Per mettere fine allo scandalo fu deciso che si adunasse un sinodo nella stessa città, dove era nata l’eresia. Settecento Arhân si riunirono a questo fine nel Bâlukârâma vihâra;93 e per procedere con ordine e maggior facilità nelle discussioni, furono deputati quattro religiosi per ognuna delle due parti contrarie; affinchè in un’adunanza preliminare preparassero alla disputazione, e quindi alle decisioni, che dovevan prendersi nel gran concilio.94 Nella riunione tenuta da questi otto delegati, fu deciso che le novità che i monaci di Vâiçâlî volevano introdurre nella loro disciplina, erano assolutamente contrarie alla Legge del Buddha. Tale decisione fu proclamata anche dai settecento Arhân nel concilio generale; e i dieci mila monaci di Vâiçâlî furono espulsi, come eretici, dalla comunità buddhica. Quest’assemblea fu [p. 105 modifica]presieduta, secondo alcuni, da Revata, secondo altri, da Sarvakâma o da Ratha (Yaças).95 E oltre a decidere dello scisma, il concilio, che era composto dei più celebri religiosi dei varii conventi che allora esistessero, si occupò anche della revisione delle dottrine e dei regolamenti, che si conservavano tradizionalmente in tutte le differenti comunità, comparando e collazionando i Vinaya.96

Il diciassettesimo o diciottesimo anno del regno di Dharmaçôka (241, 246 o secondo altri 271 dopo la morte del Buddha) si tenne, per opera di quel monarca, un terzo concilio.97 Aveva Dharmaçôka in animo di ravvicinare fra loro le varie sètte, di discutere sopra i punti controversi e dubbiosi della Dottrina, e sopra le varie interpretazioni che le venivano date; e voleva in fine che si compilasse una compiuta raccolta dei libri della Legge: raccolta che contenesse, per quanto fosse possibile, tutti i pensieri e gl’intendimenti del Buddha. A tal fine riunì in Pâtaliputra i più dotti e santi uomini di tutti i paesi, dove la religione di Çâkyamuni si era estesa. Una delle iscrizioni di Priyadarçi, che è un editto indirizzato alla venerabile assemblea del Mâgadha,98 potrebbe fare allusione a questo terzo sinodo; se pure non si riferisce a una di quelle grandi radunanze annue, che si solevano fare dai religiosi, come ce ne informa Megasthene.99 Questo concilio fu presieduto da [p. 106 modifica]Mâudgalaputra, chiamato anche Maudgalayâyana o Mahâmâudgalayâyana.

Se Açôka non riuscì, come era suo intendimento, a ricondurre la Chiesa alla primitiva unità, diede però un potente impulso alla propagazione delle dottrine buddiche. Imperciocchè alla fine di quella raunanza il monarca dispose che alcuni missionarii andassero per varie contrade, a fine di render noto dappertutto quel che s’era fatto e deciso, e di portare nei paesi non ancora illuminati dalla fede la legge di Çâkyamuni. La più importante di queste missioni fu quella che aveva a capo Mahêndra, figliuolo, o come altri vogliono, fratello, dello stesso re Açôka. Mahêndra, che era monaco, partì con altri quattro religiosi, per convertire gli abitanti dell’isola di Langkâ, o Ceylon. Regnava allora in quella contrada Dévanampiyatissa; il quale accolse con benevolenza gli apostoli della nuova religione, prestò orecchio alle loro parole e non tardò a diventare devoto seguace della dottrina che essi predicavano. Il popolo anch’esso, ammirando la vita semplice e santa di quei monaci, accorreva in folla al palazzo reale, dove abitava Mahêndra, a udire le sue predicazioni; e tanta era sull’animo delle moltitudini l’efficacia delle parole dell’apostolo, che questi, dice il Mahâvanga, convertiva ogni giorno più migliaia di uomini. Il numero dei religiosi si accresceva rapidamente; e presto furono costruiti dei conventi o vihâra. Si narra che il re stesso, dirigendo un aratro d’oro tirato da due elefanti, tracciasse sul terreno i confini d’un vastissimo monastero, che egli voleva erigere. Un gran numero di templi si innalzarono così in ogni parte del Ceylon; ed attestano anc’oggi coi loro ruderi la munificenza del re Dêvanampiyatissa. Morto questo monarca successe al trono il fratello suo, sotto il cui regno [p. 107 modifica]Mahêndra visse ancora per altri otto anni: ma si era già ritirato in solitudine sopra una montagna, e, secondo che dicono le cronache singhalesi, «governava spiritualmente il regno, dirigendo i numerosi discepoli, amministrando la Chiesa che aveva fondata, sostenendo il popolo coi suoi insegnamenti, e cacciando le tenebre del peccato».

Dopo la missione di Pâtaliputra e la conversione del Ceylon, la tradizione buddhica, come abbiamo avuto occasione più volte di far notare, si distinse in meridionale e settentrionale. La ragione di questo fatto sta probabilmente in ciò: nel Ceylon, novellamente convertito, i monaci si sforzarono di mantenere inalterati gli ammaestramenti buddhistici ricevuti da Mahêndra; al nord invece, dove la religione si era già avviata nel cammino d’un ulteriore svolgimento, e dove nemmeno l’autorità di un concilio bastò a far cessare lo scisma, la legge di Çâkyamuni seguitò la sua via, nella evoluzione delle proprie dottrine. Oltre a ciò, quando gl’insegnamenti di Mahêndra, dopo essere stati conservati oralmente per dugento anni, ricevettero una forma scritta; e furono compilati i libri buddhici che formano parte delle odierne scritture sacre del Ceylon,100 il Buddhismo del nord in quei due secoli di vita non rimase immobile. E mentre nelle collezioni Pali dei detti libri del Ceylon si conservò il Buddhismo quasi nello stato, nel quale era giunto al tempo del concilio di Pâtaliputra, nella collezione Sanscrita fatta qualche anno più tardi nel Cascemir, e di cui parleremo a suo tempo, fu conservata la legge buddhica nell’ultimo stadio del suo svolgimento. A questo modo il Buddhismo ebbe due compilazioni di libri sacri, [p. 108 modifica]l’una in Sanscrito l’altra in Pali, che presentano tra loro notevoli differenze.

Diremo ora qualcosa intorno al quarto e ultimo sinodo: ma innanzi è mestieri conoscere un altro personaggio, che al pari di Açôka tiene un posto importante nella storia del Buddhismo. Questi è Kanishka re del Kâçmîra; sotto il cui regno si fece la compilazione sanscrita dei libri della Legge, della quale ora abbiamo parlato, si ridussero in una molte delle scuole nemiche, e si adunò il concilio che segnò il termine dello svolgimento delle idee filosofiche e religiose del sistema buddhico.101 Kanishka, a cui il Râja taranginî dà l’epiteto di straniero, e che Târanâtha dice venuto dal nord, fu un re appartenente a quella tribù barbara, che gli storici classici chiamarono Indo-sciti, e che le storie cinesi conoscono col nome di Yüeh-cih o Ta Yüeh-cih.102 Questo popolo, secondo gli scrittori della Cina, è della medesima razza dei Tung-nu, che, molti secoli avanti l’era nostra, fondarono un impero nella Tartaria orientale, che estendevasi dalle montagne Muz Tagh a quelle del Kuên-lun, e dalla valle superiore del fiume Huang-ho fino a Khotan. Circa il 180 av. C. gli Yüeh-cih furono cacciati dal loro paese e spinti verso l’occidente dagli Hiung-nu,103 [p. 109 modifica]che invasero il territorio occupato dai primi; e nel 163 av. C. si diressero verso il sud nelle provincie di Yarkand, Kashgar e Khotan, costringendo gl’indigeni, che i Cinesi chiamavano Su o Su-lê, ad abbandonare il paese. Dipoi si inoltrarono nella Sogdiana, distrussero il regno greco di Bactra, e occuparono la contrada dei Dahi.104

Gli Yüeh-cih, consolidati in potenza con le conquiste, e specialmente per la disfatta dei loro nemici, gli Hiung-nu, che divennero tributarii della Cina (60 av. C.), s’impossessarono dell’Ariana, del Kabûra (Cabul), del Kâçmîra e del Gandhâra (39-26 av. C.). Queste conquiste furono opera di una delle loro più potenti tribù, i Kuaycang (Kuei-shuang, Kushan o Gushan), unita ad altre quattro, e condotta da Khü-tsü-hi o Kien-tsien-kio, che è stato identificato con Hyrkodes, nome ben conosciuta dalla numismatica orientale. Dopo la morte di lui il suo figliuolo Yen-kao-cing (Hima Kadfises) continuando le imprese guerresche del padre, conquistò il Panjâbî, e resse fino all’anno 15 av. C. le terre che aveva occupate. A Kadfises successe Kanerkes o Kanishka suo figliuolo, che regnò nel Cascemir per lo spazio di 60 anni, cioè dal 15 av. C. al 45 d. C. Egli non potè sottrarsi alla grande influenza che aveva il Buddhismo in quel paese, dove allora fioriva prosperamente, e non tardò a convertirsi; innalzando, a testimonianza della sua fede, molte e belle pagode, che un dì adornavano la valle del Kabùl e il Panjâbî, e di cui si veggono anc’oggi alcuni ruderi.105 [p. 110 modifica]

L’ultimo concilio buddhico, a cui abbiamo fatto allusione più sopra, fu tenuto appunto nel Cascemir, regnante Kanishka. Il tempo, nel quale si convocò quest’adunanza, non è indicato con precisione. Alcune tradizioni la fanno cadere 400, altre 600 anni dopo la morte di Çâkyamuni.106 La prima data non si trova d’accordo con la storia; imperocchè, corrispondendo all’anno 143 av. C., verrebbe ad essere antecedente di quasi dugento anni all’esaltazione del nominato sovrano. La durata del regno di questo monarca è dal 528 al 588 dopo il nirvâna del Buddha; e il concilio del Cascemir non può essersi tenuto nè prima nè dopo quest’epoca, come le date surriferite lo farebbero avvenire. Di questi quattro concilii, e specialmente dei due ultimi, avremo occasione di parlare di nuovo, quando tratteremo delle scritture buddiche, affine di conoscere quale opera ebbero tali riunioni alla compilazione de’ libri canonici. Ora è d’uopo tornare per un poco a parlare della cronologia, e stabilire alcune date che ci debbono servire nel seguito di questa esposizione.

Se si dovesse metter d’accordo o discutere le due tradizioni, alle quali più volte abbiamo accennato, cioè quella dei buddhisti del settentrione e quella del mezzogiorno, bisognerebbe avere già scritto intorno a tale argomento molto più del breve e insufficiente cenno che ne siamo andati facendo. Daremo pertanto la preferenza, senza intrattenerci più oltre su questo tema, alla cronologia del Mahâvança; la quale del resto è tenuta come la più verosimile anche da’ più valenti scrittori di cose buddhiche. Infatti il Mahâvança è tra le più antiche e autorevoli fonti indigene; e la cronologia che [p. 111 modifica]se ne rileva, si adatta meglio a quei dati storici che sono oramai messi fuori di dubbio, e che ci vengono da fonti non orientali. Egli è vero che, stando alla serie dei re che s’è riportata di sopra, conservando le cifre degli anni di regno, quali vi si trovano precisamente, questa corrispondenza, di cui s’è parlato ora, non è esattissima. Così, per esempio, tenendo ferma la data del 543 av. C. per la morte di Çâkyamuni, e i 162 anni dalla morte dello stesso fino al regno di Candragupta, avremmo, per l’ascensione di questo monarca al trono del Magadha, l’anno 381 av. C. Ora egli è noto dalle testimonianze degli scrittori classici, che Candragupta non può esser salito al trono se non fra il 317 e il 315 av. C.; laonde si avrebbe tra la cronologia del Mahâvança e quella di Megasthene una discrepanza di circa 65 anni. A fare sparire questa notevole differenza basterebbe prendere come durata della dinastia Nanda, non i 22 anni della citata cronica del Ceylon, ma gli 88 che alcuni brâhmani assegnano al solo fondatore della medesima.107 Allora il principio del regno di Candragupta cadrebbe nel 316 av, C.: data, che si troverebbe interamente d’accordo con quella fornitaci dagli scrittori greci. Vinta questa difficoltà, che se non è la sola e la maggiore, è pure di molta importanza, la serie cronologica dei re del Magadha potrebbe tenersi per approssimativamente vera; almeno tale da poterlesi ben riferire i diversi fatti di quel periodo di storia indiana, del quale fino a qui abbiamo trattato. Questa cronologia viene esposta nel quadro che segue: [p. 112 modifica]

re del magadha secondo il Mahâvança108 Anni di regno Era buddhica Era cristiana re del magadha secondo Târanâtha patriarchi concilii
  • Ajâtaçatru
  • Udâyabhadra
  • Anuruddhaka
  • Mundo
  • Nâgadasâka
  • Çiçunâga
  • Kâlâçôka
  • suoi figliuoli
  • Dinastia Nanda
  • Candragupta
  • Bindusâra
  • Dharmâçoka
  • Kanishka nel Kaçmîra (15 a. C.- 45 d. C.)
  • 32
  • 16
  • 4
  • 4
  • 24
  • (22) 18
  • 28
  • (33) 22
  • 88
  • (34) 24109
  • (27) 28
  • 37
  • d.B.
  • 24
  • 40
  • 44
  • 48
  • 72
  • 90
  • 118
  • 114
  • 228
  • 252
  • 260
  • a. C.
  • 519
  • 503
  • 499
  • 495
  • 471
  • 453
  • 425
  • 403
  • 316 (315-317)
  • 291
  • 283
  • Ajâtaçatru Subâhu
  • Sudhanu (Udânabhadra)
  • (Mundo)
  • Mahendra
  • (Kâkakarnin)
  • Camasa
  • Gambhîraçîla
  • Açôka
  • Nanda
  • Nandapadma
  • Candragupta
  • Bindusâra
  • Çricanda
  • Dharmacandra
  • I Mahâkaçyapa
  • II Ananda
  • III Çânakavâsa110 (Madhyânitika)
  • IV Upagupta111
  • V Dhritaka
  • VI Micchaka
  • VII Vasumitra
  • VIII Buddhanandi
  • IX Buddhamitra
  • X Pârçvika
  • XI Punyayaças
  • XII Açvaghôsha
  • I concilio in Râjagriha - 1 d. B. - 542 a. C.
  • II concilio in Vâisâlî - 100 d. B. - 443 a. C.
  • III concilio in Pâtaliputra - 243 d. B. - 266 a. C.
  • IV concilio - 570 d. B. - 27 d. C.

Note

  1. Mélanges Asiatiques, t. i, p. 114.
  2. Bigandet, p. 361. — V. più oltre.
  3. Cit. dal Beal, Travels of Fah-Hian and Sung-Yun, p. 23-24
  4. Gli autori cinesi di fede buddhica ammettono anch’essi questa data di preferenza alle altre, per tre ragioni: 1.a perchè concorda con le tradizioni de’ prodigi che accaddero al tempo della nascita del Buddha; 2.a perchè concorda colla profezia (del Nirvâna Sûtra), la quale pretende che la Vera legge deve durare 500 anni, e la Legge delle immagini 1000 anni; 3.a perchè è stabilito ne’ ricordi dell’India, che la morte del Buddha avvenne 1200 o 1300 anni avanti il regno di Kao-tsung della dinastia Thang (Beal, Trav. of Fah-Hian, p. 24, nota).
  5. Wen-Men-thung-kao, ccxxvi, f. 1. Al fog. 7 dello stesso libro si trova indicata un’altra data, per l’anno natalizio, in questi termini: «24.° anno, 4.° mese, 8.° giorno di Cao-wang dei Ceu». Cao-wang salì al trono il 1052 av. C.; perciò il 24.° anno del suo regno cadrebbe nel 1028 av. C.
  6. Raja taranginî; history of Cashmir, consisting of four Compilations: i. Râja taranginî by Kalhana Pandita (1148, d. C.); ii. Râjâvali by Jona Râja (1412); iii. Continuation of the same by Sri Vara Pandita (1477); iv. Râjâvali Pâtaka by Prâjya Phatta (1586). Calcutta, 1835. — Raja taranginî; histoire des rois du Kachmir, publiée en Sanscrit et traduite en Français par A. Troyer. Paris, 1840-52. — Raja taranginî; histoire du Kachmir traduite de l’Original sanscrit par H. H. Wilson: extraite et communiquée par Klaproth; Paris, 1826. — La data citata di sopra si trova registrata nella sloka 172 del testo sanscrito pubblicato dal Troyer, ed a pag. 406 della sua traduzione.
  7. Csoma Körösi, Gram. of the Tib. Lang., p. 199 e 201. Queste quattordici date, desunte dai libri tibetani, sono: 2422, 2148, 2139, 2135, 1310, 1060, 884, 882, 880, 837, 752, 653, 576, 546.
  8. Csoma Körösi, Asiat. Resear., t. xx, p. 41.
  9. Neumann, Z. f. d. K. d. M., t. iii, p. 113. — Remusat, Foe-koue-ki, p. 79 (n. 1029; m. 950.)
  10. Remusat, op. cit., p. 115 (n. 1029.)
  11. De Guignes, Histoire des Huns, t. ii, p. 223 (n. 1027.)
  12. Schmidt, Geschichte der Ostmongolen, p. 314 (n. 1027 o 1022.) — Pallas, Sammlung historischer Nachrichten über die mongolischen Völkerschaften, registra due date: una, al t. ii, p. 19, 2044 av. C.; l’altra, al t. ii, p. 11, 988 av. C.
  13. Kömpfer, Geschichte und Beschreibung von Japan, p. 172 (n. 1027.) — Il Wa-kan-san-tsai-tu-ye, lib. xix, f. 7, dice che il Buddha nacque il 26.° anno, 4.° mese, 8.° giorno dell’imperatore Cao-wang dei Ceu (1026 av. C.), e che mori il 53.° anno dell’imperatore Muh-wang della stessa dinastia (948 av. C.). Al lib. lxiv, f. 21 della opera medesima, la data della nascita è segnata il 24.°, non il 26.° anno di Cao-wang, cioè il 1028 av. C.; e in tal moda si trova registrata anche nella edizione cinese di detta opera, al lib. xiv, f. 21.
  14. Tournur, Examination of the Pali Buddhistical Annals, nel Journ. of the As. Soc. of Bengal, t. vi, p. 505.
  15. Crawfurd, Journal of an embassy to Ava, p. 489. — Burney, Translation of a Burmese inscription from Buddha Gaya, nelle As. Res., t. xx, p. 169.
  16. Burnouf, nel Journal Asiat., 1827, t. x, p. 142.
  17. Klaproth, Leben des Buddha, nell’Asia polyglotta, p. 124.
  18. Low, On Buddha and the Phrabât, nelle Trans. of the R. As. Soc., t. ii, p. 57.
  19. Hales, Analysis, t. i, p. 212. — Nott and Gliddon, Ethnological Researches, p. 658, 659, 665.
  20. Le autorità greche e indiane intorno a Candragupta vennero ristampate dall’Wilson, Indu Theater, t. ii, prefazione al Mudrâ Râksasha.
  21. Le ordinarie forme greche di questo nome, Σανδρόχοττοζ, Σανδράχοττοζ, Σανδρόχυτταζ, si dice derivino dalla forma prâkrita del nome stesso, e Σανδρόχυττοζ, dalla sanscrita.
  22. Diodoro Siculo, xix, 14. — Giustino, xv, 4. — Lassen, Ind. Alt. t. ii, p. 64.
  23. Col nome di Πράσιοι o Πραἰσιοι, da Prâcya, orientale, s’indicava un popolo ad oriente del paese indiano occupato dai Greci. Gangaridi è un nome generico per gli abitanti delle rive del Grange. Con questi due nomi però sembra si voglia indicare i paesi di Magadha e Kosala.
  24. Pâtaliputra, Παλἰβοζρα o Παλἰμβοζρα di Arriano, che egli pone nel territorio dei Prasi, giace al punto di confluenza del fiume Çona (detto anche Hiranyavâhu, e da Megasthene ’Εραννοβόαζ) col Gange. Questa città ebbe anche il nome di Pushpapûra e Kusumapûra.
  25. Lassen, Ind. Alt. t. ii, p. 211 e 214.
  26. Plutarco, Vita d’Alessandro.
  27. Lassen, t. ii, p. 216 e 219.
  28. In sanscrito Amitraghâta, detto anche Pushapamitra, è conosciuto più comunemente nelle croniche del Magadha col nome di Bindusâra o Vindusâra.
  29. Strabone, xv. 53.
  30. Lassen, t. ii, p. 65. — Koeppen, t. i, p. 166.
  31. Bigandet, p. 340, nota, e p. 347 e 362.
  32. Bigandet, p. 362.
  33. Secondo dati brâhmanici, Çiçunâga era discendente di Ajâtaçatru e della stessa dinastia. (Lassen, t. ii, p. 89).
  34. Lassen, t. ii, p. 91. — Bigandèt, p. 363.
  35. Bigandet, p. 363 e 371.
  36. Bigandet, p. 371.
  37. Dipavançâ. (Turnour, nel Journ. of the As. Soc. of Bengal, vii, 726).
  38. Bigandet, p. 371.
  39. Koeppen, i, p. 160, nota 1.
  40. Lassen, t. ii, p. 97.
  41. Secondo il Mahâvança (Introd., p. xl), Candragupta fu partorito nella città di Pushjpapûra altrimenti detta Pâtaliputra.
  42. Lassen, p. 205.
  43. «Vindusâra ist aus vindu, Tropfen oder Flecken, und sâra Essenz». (Lassen, p. 222). — Secondo il Vâyu-Purâna, Vindusâra si chiamava Bhâdrasâra, e regnò 25 anni; suo padre 24. Il Bhâgavat-Purâna lo chiama invece Varisâra. (Ibidem).
  44. Ovvero 28, secondo il Mahâvança.
  45. Mahâvança, V. p. 21. — Bigandet, p. 375.
  46. Wassiljew, p. 46.
  47. L’Ozene di Tolomeo, ossia l’odierna Oujein.
  48. Wassiljew, p. 46.
  49. Wheeler, The Hist. of India, t. iii, p. 234.
  50. Bigandet, p. 377 e segg.
  51. Altri dicono che ricevesse questo nome il quarto anno del suo regno, cioè 218 d. B. (Bigandet, p. 376).
  52. Wassilejew, p. 46.
  53. Bigandet, p. 381. — Fa-hsien, cap. xxvii.
  54. Secondo le fonti Birmane e Siamesi la serie dei re del Magadha è la seguente: Acatasath-min. regnò 24 anni Udayabhattamin » 16 » Munta...... » 8 » Anurundha Nagasada .... » 24 » Pisugata Susunaga .... » 18 » Kalausauka... » 21 » 10 figliuoli di Kâlâçôka Baddhasana Kauranta Vanta Singara Jalonka » 22 » Ussabha Kauncasa Kaurakya Nandasana Pincakamin I nove Nanda Uggasaenanda Pantarakananda Pantaratissananda Sutapalinanda Gauvisananda Rasugiddhakananda Gauvarananda Dhananananda 29 anni Candagutta Bintarasa Siridhammasauka (Bastian, Geschichte der Indochinesen, p. 542).
  55. J. Prinsep, On the edicts of Piyadasi, or Asoha, the Buddhist monarch of India ecc. nel J. A. S. B., t. vii, p. 219.
  56. J. Prinsep, Interpretation of the most ancient of the inscriptions on the pillar called the lât of Feroz Shâh, near Delhi ec. nel Journ. of the As. Soc. of Bengal, t. vi, p. 566.
  57. T. S. Burt, A Description, with Drawings, of the Ancient Stone Pillar of Allahabad, nel Journ. A. S. B., t. iii, p. 105. — B. H. Hodgson, Notice of some Ancient inscriptions in the Characters of the Allahabad Column, nel J. A. S. B., t. iii, p.481.
  58. J. Stephenson, Excursion to the Ruins and Site of an Ancient city near Bakhra, 13 cos north of Patna and six north from Singhea, nel J. A. S. B., t. iv, p. 128.
  59. J. Prinsep, Examination of the separate edicts of the Aswastama inscription of Dhauli in Cuttack, J. A. S. B. t. vii, p. 434. — M. Kittoe, Note on the Aswastama inscription, ibidem, p. 435.
  60. E. Norris, On the Kapur-di-Giri Rock inscription, Journ. A. S. B., t. viii, p. 303. — Wilson, On the Rock inscriptions of Kapur-di-Giri, Dhauli and Girnar. J. A. S. B., t. xii, p. 153.
  61. S. Postans, Notes of a Journey to Girvâr in the province of Kattywâr, for the purpose of copying the ancient inscriptions near that place. J. A. S. B. t. vii, p. 865.
  62. T. S. Burt, Inscription found in Bhabra three marches from Jeypore on the road to Delhi, J. A. S. B. t. ix, p. 616.
  63. Lassen, Ind. Alt., t. ii, p. 233. — Wheeler, The Hist. of Ind., t. iii, p. 230, nota 26.
  64. Editto vii. Mi riferisco agli Editti pubblicati in fine al volume iii della Storia dell’India dell’Wheeler, p. 458-473.
  65. Editto x.
  66. Editti, iii, iv, xi, xiii.
  67. Editto ix.
  68. Editto xi. Si noti, che non di rado ho espresso piuttosto il concetto che la lettera, ne’ brani degli Editti riferiti di sopra.
  69. Editto vi.
  70. Editto i e iv.
  71. Editto ii.
  72. Editto iii.
  73. Udayibhadra secondo il Burnouf, i, p. 358.
  74. Wassiljew, p. 46-47. — Schiefner, Târanâthâ cap. i-xii.
  75. Schiefner, Gesch. des Bud. in Ind. p. 287.
  76. Vedi cap. i, p. 44, nota 1.
  77. Hsüan-Tsang, autore del Hsi-yü-Ki o Ta-thang-Hsi-yu-Ki, relazione d’un viaggio nell’India e contrade all’ovest della Cina (619-645 d. C). — Târanâtha, autore d’una storia del Buddhismo nell’India, in tibetano, di cui abbiamo parlato.
  78. II nome di Madhyântika, in tibetano è tradotto Nyi-ma-hi-gung, «il mezzo del sole».
  79. Târanâtha, cap. ii.
  80. Il Gandhâra delle iscrizioni persiane, detto da Erodoto (vii, 66) Γανδάριοι, corrisponde in parte al moderno Kafristan.
  81. Wassiljew, p. 39-40.
  82. Secondo alcuni fu di casta Çûdra (Wa-han-san-tsai-tu-ye, lib. lxiv, p. 23), secondo altri era figliuolo di un mercante di Mathurâ, cioè di casta Vaiçya (Lassen ii, 95). Visse 100 anni dopo la morte del Buddha, e fu contemporaneo del re Kâlâçôka.
  83. Târanâtha, cap. iv.
  84. Alcune iscrizioni scoperte nella Bactriana dimostrarono che il Buddhismo fu introdotto molto per tempo in quel paese. — V. Dowson: On a newly discovered Bactrian Pali Inscription; and on other Inscriptions in the Bactrian Pali character, nel Jour. of the R. Asiat. Soc. xx, 1863.
  85. La confusione dei due Açôka, che si sono succeduti al trono del Magadha coll’intervallo di un secolo e mezzo, i quali sono riguardati come una sola persona dalle tradizioni del nord e nord-ovest dell’India, ha contribuito anch’essa a questa diversità di date. Vedi più innanzi.
  86. W. p. 39-45.
  87. Fra gli altri i tre fratelli Gayâ-Kâçyapa, Uruvilvâ-Kâçyapa e Nandi-Kâçyapa, convertiti dal Buddha, mentre era a Gayâ; e Daçabala-Kâçyapa, chiamato anche Vâshpa, vedi a p. 28.
  88. Sûtra presso i brâhmani erano gli aforismi che contenevano i fondamenti della filosofia, della grammatica e delle altre discipline.
  89. Secondo il Mahâvança i Bhikshu raccolti in concilio erano cinquecento. — Samgha vale Assemblea; Sthavira, in Pali Thera, anziano, primate.
  90. Burnouf, i, p. 35. — Turnour, Examination of some points of buddhist chronology, nel Jorn. As. Soc. Beng. 1836, t. v, p. 511. Hardy, E. M. p. 174-177. — Kőrösi, As. Bes. xx, p. 42, 297. — Mahâvança, cap. iii.
  91. Wassiljew, p. 37-38. — Questo primo concilio è descritto nel Mahâvança, cap. iii, p. 11.
  92. Si trovano alcune differenze circa questi 10 precetti proibitivi, che i monaci dovevano osservare; vedi Schiefner, Gesch. d. Bud. p. 288-289; — Lassen, ii, p. 92 nota 1; — Bigandet, p. 367-368; Mahâvança, loc. cit.
  93. Intorno a questo secondo concilio vedi: Mahâvana, iv, p. 15; — Turnour, nel Jour. As. Soc. Beng. vi, p. 787; — Târanâtha, cap. vii; — Bigandet, p. 364-370; — Lassen, ii, p. 91 e seg.; — Koeppen, i, p. 147 e seg.
  94. I rappresentanti degli ortodossi, o degli occidentali (che furono detti prâcînaka o avantika), come furono chiamati per la posizione del loro convento rispetto a Vâiçâlî, furono Revata, Sambhûta, Yaças e Sumanas; i quattro della parte orientale o eterodossa (chiamati pâtheyaka o pâveyaka) furono: Sarvakâma, Sâdha, Kubjaçobhita e Vârshabhagâmi. (Schiefner op. cit., p. 289-290; — Lassen, ii, p. 93).
  95. Bigandet, p. 368. — Koeppen, i, p. 148.
  96. Fo-kuo-Ki, cap. xxv.
  97. Mahâvança, v. 41.
  98. Questa iscrizione scolpita sur una roccia, fu rinvenuta a Bhabra del colonnello Burt. Si può leggere in Burnouf ii, p. 727; — Lassen, ii, p. 240-41; — Wheeler, op. cit. iii, p. 472.
  99. Strabone, xv, 39.
  100. Bigandet, p. 388-389.
  101. Pel quarto sinodo, v. Târanâtha, cap. xii; — Lassen, ii, p. 856.
  102. Intorno agli Yüeh-cih vedi: Klaproth, Tableaux historiques de l’Asie p. 56 e 132; — Wen-hsien-tung-kao, l. 338, f. 1 e 3; — Remusat, Nouv. Mélanges asiatiques, i, p. 221; — e intorno agl’Indosciti vedi Lassen, ii, p. 369 e seg. 805 e seg. — Lassen, Points in the History of Greek and Indo-Scythian kings in Bactria, Cabul and India ec. Calcutta 1840. — J. Prinsep, Bactrian and Indo-Scythian coins, nel Jour. of the As. Soc. of Bengal, II, Calcutta, 1833.
  103. Antichi popoli della Mongolia, alle frontiere nord-ovest della Cina, così chiamati sotto la dinastia degli Cin e degli Han; per lo innanzi erano detti Hien-yun. Vedi: Biot, Diction. Géog. de l’Emp. Chi. p. 308. — Klaproth, Tableaux historiques de l’Asie p. iv e p.103. — De Guignes, Histoire des Huns, t. 1. part. ii, p. 13. — Wen-hsien-tung-kao, l. 340 e 341.
  104. «Dahae qui inter Oxum et Jaxartem non procul a maris Caspii littore habitabant». (Giustino, xii, 6.)
  105. Intorno a Kanishka vedi: Lassen ii, p-, 824 e 848.
  106. Wassiljew, p. 107.
  107. Koeppen, i, p. 160 nota 1.
  108. Consulta anche Lassen, ii, p. 66.
  109. Lassen, ii, p. 222.
  110. Identificato da alcuni con Yaças, Yaçada o Yedçaputra che ebbe molta parte nel secondo sinodo.
  111. Upagupta, secondo fonti Nepalesi, visse nel 100 d. B.; secondo fonti Cinesi, nel 190 o 210 d. B. (Lassen, ii, p. 96.)