Il Canzoniere (Bandello)/Le Rime Estravaganti/XXII - Amante non fu mai sí fuor di speme

Da Wikisource.
Le Rime Estravaganti
XXII - Amante non fu mai sí fuor di speme

../XXI - Né sopra colli star piú bianca neve ../XXIII - Non percosse giammai fra duri scogli IncludiIntestazione 6 marzo 2024 100% Poesie

Le Rime Estravaganti
XXII - Amante non fu mai sí fuor di speme
Le Rime Estravaganti - XXI - Né sopra colli star piú bianca neve Le Rime Estravaganti - XXIII - Non percosse giammai fra duri scogli
[p. 317 modifica]

XXII.

Versa il poeta, e notte e giorno, errando solitario, dirottissimo pianto per il suo desolato amore.
      È tra le rime edite dal Pèrcopo, l. c.
      Va accostata per lo spunto e l’idea fondamentale al sonetto del Petrarca: «Tutto ’l dì piango; e poi la notte quando», Canzoniere, CCXVI.
      Sestina.


Amante non fu mai sì fuor di speme
     N’alcun mai visse con sì fiero pianto,
     Come viv’io, che, dal mattino a sera,
     E quando poi s’asconde il sol la notte,1
     Mai sempre piango e cerco far mia vita,
     5Con le silvestri fiere, in antri e boschi.
Errando vo per solitarii boschi,2
     Ove Amor mi conduce senza speme3
     D’aver tranquilla un giorno questa vita,
     E tanto sono avvezzo al duol, al pianto,
     10Ch’altro non faccio ne la scura notte,
     Quando veggio imbrunir la tarda sera.
Anzi, pur tutto il giorno sin’a sera,
     Come fera cacciata in piagge e boschi,
     Fuggo, piangendo; e, quando vien la notte,
     15D’ogni allegrezza privo e d’ogni speme,
     Allargo il freno al più dirotto pianto,

[p. 318 modifica]

     Per finir presto questa amara vita.
Or chi vol, cerchi di godersi in vita,
     20E lieto viva notte, giorno e sera.
     Me tanto affligge questo acerbo pianto.
     Che paio un cittadin dei folti boschi,4
     N’altro m’avanza più che sol la speme,
     Di chiuder gli occhi con perpetua notte.
25Morta è colei, che sola questa notte5
     Può darmi, se mi tronca l’aspra vita,
     Ma sì mi fugge d’ogni ben la speme,
     Ch’io non spero trovar pur una sera,
     Che lieto mi conduca fuor de’ boschi;
     30Ivi son chiuso in sempiterno pianto.
Nè creggio mai finir l’amaro pianto.6
     Che più m’affligge ogn’or, e giorno e notte;
     Non vive augel in ramo o fiore in boschi,
     Ch’abbian, di me, più travagliata vita,
     35A cui finisce il giorno innanzi sera,7
     Privo di pace, di conforto e speme.
Manca la speme — e cresce ogn’or il pianto,
     E dal mattino a sera, — e poi la notte:
     39Meno mia vita, — come augel di boschi.

Note

  1. V. 4. S’asconde la notte, intendi: il cielo, venuta la notte si nasconde.
  2. V. 7. Fa ripensare al celebre verso petrarchesco: «Solo e pensoso; più deserti campi», Canz., XXXV, v. 1. V. 8. È, con altra disposizione, un doppione del primo verso. V. 22. Cittadin dei folti boschi, è il verso petrarchesco: «Poi ch’Amor femmi un cittadin de’ boschi», Canz., CCXXXVII, v. 15. V. 25. Morta è colei, accenno che potrebbesi anche intendere per la morte della Mencia, ma non confortato da altre allusioni, va piuttosto inteso in senso figurato: morta all’amore, disdegnosa. V. 31. Creggio, credo. V. 35. È il petrarchesco: «E compiei mia giornata innanzi sera, Canz., CCCII, v. 8; come già altrove il famoso verso: «Gente cui si fa notte innanzi sera», Trionfo della Morte, I, v. 39.
  3. V. 8. È, con altra disposizione, un doppione del primo verso.
  4. V. 22. Cittadin dei folti boschi, è il verso petrarchesco: «Poi ch’Amor femmi un cittadin de’ boschi», Canz., CCXXXVII, v. 15.
  5. V. 25. Morta è colei, accenno che potrebbesi anche intendere per la morte della Mencia, ma non confortato da altre allusioni, va piuttosto inteso in senso figurato: morta all’amore, disdegnosa.
  6. V. 31. Creggio, credo.
  7. V. 35. È il petrarchesco: «E compiei mia giornata innanzi sera, Canz., CCCII, v. 8; come già altrove il famoso verso: «Gente cui si fa notte innanzi sera», Trionfo della Morte, I, v. 39.