Il Catilinario/I

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Capitolo I

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Gaio Sallustio Crispo - Il Catilinario (I secolo a.C.)
Traduzione dal latino di Bartolomeo da San Concordio (XIV secolo)
Capitolo I
Introduzione II


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CAPITOLO PRIMO


In questo proemio intende Sallustio di confortare e inanimare gli uomini ad operazione di virtù, e di mostrare quello di che propone di scrivere.

A tutti gli uomini, li quali si brigano di più valere che gli altri animali, si conviene con sommo studio isforzare ch’egli non trapassino1 questa vita in tal modo che di loro non sia detto alcuno bene; siccome diviene delle bestie, le quali la natura ha formate inchinate giù a terra e ubbidienti al desiderio di lor ventre. Ma ogni nostra virtù è posta nell’animo e nel corpo: l’animo per comandare, il corpo per servire più principalmente usiamo e usar dovemo2 : l’uno (a)3 con li Dii, l’altro (b)4 colle bestie avemo comunale5. Per la qual cosa a me più diritto pare per studio d’ingegno d’animo che di forze di corpo addomandare gloria e cercare onore6; e in questo modo,per cagione che la vita, è brieve7, la memoria [p. 6 modifica]di noi distendere e rallungare. Perciocchè gloria e onore di ricchezza e di bellezza è mutevole e fragile; la virtù è famosa e tesoro eternale. Ma di questo fu lungo tempo fra gli uomini grande quistione: se per forza di corpo o per virtù d’animo li fatti cavallereschi8 più e maggiormente andassono innanzi.9 Perchè anzi che si comincino i fatti10 è mestieri il buono consiglio, e poichè il consiglio è preso si è sbrigatamente mestieri il fatto11 e così e l’uno e l’altro, insufficiente per sè, l’uno dell’altro ha bisogno. Dunque al cominciamento i re, perciocchè in terra questo fu primo nome di signoria, alcuni di loro studiavano e adoperavano in loro e in lor gente12 lo ingegno, e alcuni altri il corpo. E infino a quel tempo senza avarizia e desiderio vivevano, e le sue cose proprie a ciascuno piaceano e contentavano assai13. Ma, poichè in Asia il re Ciro, in Grecia li Lacedemonii e li Ateniesi cominciarono a conquistare e sottomettere cittadi e genti, e ad avere cagione di guerra e di battaglia la grande voglia del signoreggiare, e a credere che somma gloria fosse in avere grandissima signoria14; allora finalmente15 per pericoli e altri fatti fu trovato e veduto che in guerra e in battaglia molto puote e vale ingegno. E se la virtù [p. 7 modifica]dell’animo de’ re e de signori, come s’ingegna e si sforza di valere nel tempo delle brighe, così facesse in tempo di pace, più chetamente e più fermamente starebbono gli stati umani; nè non vedresti16 altro stato ad altri andare, nè cosi mutare nè mischiare tutte cose: perciocchè la signoria agevolmente si ritiene con quelle arti, per le quali al cominciamento fu acquistata. Ma, poichè in luogo di affaticare viene la pigrizia, e in luogo di contenenzia e di drittura17 vengono i disordinati desiderii, lussuria e superbia; allora la ventura, insieme co’ costumi, si rimuta: ed in questo modo la signoria sempre va a ciascun ottimo, partendosi dal men buono. E quelle cose, che gli altri uomini, navigando, arando, edificando, acquistano, alla virtù sono tutte ubbidienti e soggette. Ma molti uomini, dati al ventre e al sonno, non savii e non composti, di questa vita trapassarono siccome pellegrini, de’ quali, poichè sono partiti, non si cura più18. A’ quali uomini contra natura il corpo fu a disordinato diletto, e l’animo fu a carico: e in lor vita e lor morte egualmente giudico e stimo, perocchè dell’una e dell’altra si tace. Ma per vero19 quegli a me finalmente pare che viva e che dell’animo goda, che, ad alcuna operazione inteso, di chiaro e famoso fatto, ovvero d’arte buona d’animo, sua nominanza va cercando. Ma, infra la grande moltitudine delle cose, la natura dà diverse vie20 e l’uno è acconcio naturalmente ad una cosa, e l’altro all’altra. Onde bella cosa è ben fare alla repubblica (a)21; eziandio ben dire non è laida nè vile; chè in pace e in guerra puote uomo diventare famoso: e quegli ch’hanno fatto, e coloro che i lor fatti scrissono, molti sono ragionevolmente lodati22. E, avvegnachè non egual gloriasi seguiti23 allo scrittore che al fattore delle cose24, impertanto a me grande e malagevole cosa pare le cose [p. 8 modifica]fatte scrivere: prima, perocchè come sono suti li fatti25, così si conviene proseguitare, ed agguagliarli con parole e detti; appresso, perocchè molti quelle malfatte cose, che tu riprenderai, pensano detto per malivoglienza o per invidia: laddove di grande virtù e gloria de’ buoni parlerai, se dirai quelle cose che ciascuno agevolmente creda di poter fare le somigliatinti, udendole, sta per contento; ma, se dirai sopra a quelle, allora reputa cose composte e non vere26. Ora io assai garzone27, al cominciamento, siccome molti altri, fui levato dallo studio, e a’ fatti del comune menato e posto; e quivi molte cose mi furono contra l’animo: perocchè per l’onestà e per gli composti atti, per l’astinenzia e per la virtù, era disordinato ardimento e allargamento di spendere e di donare, e avarizia: queste cose erano in me, e in me potenzia aveano. Le quali cose avvegnachè il mio animo schivasse e spregiasse, siccome non usato e non concordevole con quelle male arti, nientemeno la tenera mia età, corrotta per desiderio d’onore, in quelle era occupata e distenuta28. E conciossiachè io da’ mali costumi d’altrui discordassi e disconsentissi, impertanto quel medesimo desiderio d’onore e di fama, e quella medesima invidia, che conturbava gli altri, conturbava e occupava me. Però, quando l’animo mio di molte miserie e pericoli riposò, e io mi determinai l’altra etade29 avere dilungata da’ fatti del comune, non fu mio intendimento il buon tempo del riposo, che io preso avea, di guastarlo o consumarlo per negligenza o per pigrizia; nè eziandio, intendendo a lavorio di campi, ovvero a cacciagione o uccellagione, passare l’età occupandomi io [p. 9 modifica]operazione così vile: anzi a quello studio, dal quale, cominciato, m’avea dipartito e ditenuto30 lo disordinato desiderio di onore, a quel medesimo io ritornando, diliberai delle storie di Roma scrivere, non per tutto, ma per parte, le cose, siccome ciascuna era di memoria degna. E tanto più in ciò mi fermai, quanto io potea sicuramente dire, sentendomi l’animo libero da speranza e da paura: le quali due sono come due parti nè fatti del comune31. Adunque della congiurazione (a)32 di Catilina33, tanto verissimamente quanto io più potrò, in brievi parole riconterò34: perciocchè quel fatto io stimo e giudico in prima ricordevole per novità di gran fallo e di pericoloso35. De’ costumi del quale uomo un poco riconterò, in prima che io faccia cominciamento di mio dire.

Note

  1. ch’egli non trapassino) Egli qui è adoperato in luogo di eglino alla maniera del trecento; ma oggi, che è fermata la grammatica, al plurale si ha a dire eglino, e non egli.
  2. usar dovemo) Sovente trovasi usato dagli antichi dovemo, avemo, in iscambio di dobbiamo, abbiamo; ma oggi in prosa non si dee così fare. Si noti ancora che questo usar dovemo è una giunta del volgarizzatore : il testo latino ha solo utimur.
  3. (a)(cioè l’animo)— Questa è la prima di quelle parentesi che dicemmo nella prefazione che avremmo cacciate dal testo e allogatele in pie di pagina: e così si farà per tutte le altre.
  4. (b) (cioè il corpo).
  5. avemo comunale) Comunale, in sentimento di comune, è voce antica da non adoperare se non con grande risguardo : e così è a dire di molti altri adjettivi, come celestiale, eternale , ec. Non pertanto comunale in sentimento di ordinario, consueto, corrente, bene si adopera ancora oggi. Nel Villani, lib. 11, 39, 3, si legge; Di vendemmia valse il cogno del comunal vino fiorini sei d’oro
  6. addomandare gloria e cercare onore) il latino ha semplicemente: gloriam quaerere.
  7. per cagione che la vita è brieve) Per cagione che, usato, come qui si vede, a modo di congiunzione causale, vale perciocchè, stanteche, perocchè} ec. Il Bembo, Stor. 3, 35, disse: Mosso a ciò specialmente per cagione che i Francesi aveano intrapresi e male trattati settecento fanti tedeschi. È mestieri qui aggiugnere che gli antichi solcano sciogliere queste congiunzioni, come si vede in questa per cagione che; e così diceano con ciò sia cosa che, a fine che, onde che, ec.; ma in imitarli conviene andar molto cauti, anzi è meglio usare i modi, più brevi e più frequentemente adoperati dagli scrittori degli altri secoli, conciossiachè, affinchè, ec.
  8. li fatti cavallereschi è a sapere che qui sta per i fatti di guerra, i fatti militari; chè quei buoni primi padri del trecento dicevano cavalleria per milizia, cavaliere per soldato, cavalleresco per militare, come leggesi nella versione di Vegezio di Bono Giamboni, lib. I, c. 4. L’usanza di esser presto e leggiero fa essere buon cavaliere... Perchè, stando nell’oste il giovine acconcio a battaglia, per fatica e per uso la cavalleria appara. Ma di queste anticaglie non si vuole esser vago; e si hanno a saper per intenderle, non per adoperarle.
  9. andassono è uscita antica del verbo andare in luogo di andassero, come andrebbono per andrebbero, fossono per fossero,e simiglianti. Le quali o non si debbono usare oggi in prosa, o lasciarle adoperar solo a quelli che sono già maestri dell’arte dello scrivere, i quali sanno ben servirsene.
  10. perchè anzi che si comincino i fatti) Perchè è particella che ha varie significazioni e varii usi, come si può vedere nel nostro Trattato delle particelle della lingua italiana, ed in questo lungo vale per la qual cosa, laonde, e quando si adopera in questa significazione, suol prendere pure l’articolo avanti, e dicesi il perchè, e talora per il che. Anzi di sua propria natura, e segnatamente quando si congiunge col che, corrisponde all'antequam o al priusquam de’ Latini. Si vegga il nostro trattato delle particelle.
  11. si è sbrigatamente mestieri il fatto) Si ponga ben mente a questo luogo, che è maraviglioso per brevità; c si osservi quel si è mestieri il fatto, il quale vale: è bisogno, bisogna che si faccia, che si adoperi. I giovani veggano nel Vocabolario della Crusca tutt’i varii usi di questa voce mestieri.
  12. in loro e in lor gente) Anche queste parole aggiungono al detto da Sallustio, che ha: pars ingenium, alii corpus exercerbant.
  13. e le sue cose proprie a ciascuno piaceano e contentavano assai) Si consideri bene questo luogo, dove sono due verbi, i quali richiedono diverso reggimento, ma pure si vedono amendue costrutti allo stesso modo: chè piacere una cosa ad uno sta bene, ma contentare una cosa ad uno no; ed il nostro autore non avrebbe così fatto, se li avesse adoperati separatamente. Nulladimeno si ha a sapere che, per proprietà di nostra lingua, quando due verbi son posti l’uno accanto all’altro, ed hanno diversi reggimenti, si può dare ad amendue un sol reggimento, o piuttosto tacere il reggimento che richiede il verbo che immediatamente precede o segue il nome che è soggetto di amendue i verbi. E perciò nel Galateo del Casa leggiamo alla pag. 81: E a questi sono assai simiglianti i beffardi, cioè coloro che si dilettano di far beffe e uccellare ciascuno, non per ischerno, nè per disprezzo, ma per piacevolezza.
  14. in avere grandissima signoria) Signoria propriamente vale dominio, potestà, giuridizione. Il Boccaccio, nov. 46, 16, disse: La cui potenza fa oggi che la tua signoria non sia cacciata d’ Ischia. Veggasi nei Vocabolario le altre significazioni ancora di questa voce.
  15. allora finalmente ec.)Ci par qui da avvertire che le particelle poichè, dappoichè, quando, se e simili, possono star sole in una clausola, e talvolta ancora col riscontro di allora: ma in quest’ultimo modo si ha a fare solo do la chiarezza il richiede, come in questo luogo, o quando si dee significare propriamente la contrapposizione. Il che molto elegantemente si suol fare usando la particella e in sentimento di allora. Così leggiamo nel Sacchetti, nov. 112: Quando io credo che tu ingrassi, e tu dimagheri.
  16. nè non vedresti ec.)La particella sovente si trova congiunta col non; ed allora non accade quello che nella lingua latina, dove due negazioni han forza di affermare; ma o sta per la semplice congiunzione e, o sol per aggiunger forza alla negazione.
  17. in luogo di contenenzia e di drittura) Contenenzia è lo stesso che continenza: ma è uscita antica da non usare oggi. E drittura, che dicesi anche dirittura ,vale bontà, giustizia, onestà. Nel Bocc., nov. 2, 3, leggiamo: La cui dirittura e la cui lealtà reggendo, gl’incominciò forte ad increscere.
  18. de’ quali, poichè sono partiti, non si cura più)Queste parole non sono nel testo, il quale ha solo: vitam siculi peregrinantes transegere.
  19. ma per vero quegli ec.) Per vero, posto così avverbialmente, vale per verità, in verità, veramente, certamente. Questo modo di dire è stato registrato con un solo esempio del Varchi nella versione di Boezio, e sarebbe da aggiugner questo che è del trecento.
  20. la natura dà diverse vie) Via, oltre le altre significazioni, vale ancora modo, maniera, come in questo luogo. Così nel Guicc. Stor. 3, 115: A Cesare avea persuaso il re d’Aragona ec. non si potere con migliore via ottenere il maritaggio che si trattava.
  21. (cioè a suo comune)
  22. molti sono ragionevolmente lodati) La stampa leggeva molto. Ci è parato lieve il correggere, affidati dal testo latino: multi laudantur.
  23. si seguiti)Si ponga ben mente che il si qua è un ripieno, e si suole adoperare per proprietà di lingua con più verbi; onde potea l’autore dir bene seguiti senz’altro. Perchè i giovani chiaramente intendano questo modo vezzeggiativo, ne arrecheremo alcuni esempii di altri scrittori. Così il Bocc. nov. 61, 8: E oltre a quello che egli fu ottimo filosofo naturale, si fu egli leggiadrissimo e costumato. Fatt. d’En. 12: Entrando Enea in Cartagine, la prima cosa che fece, s’andò al tempio.
  24. al fattore delle cose) Fattore è nome le maschile, che vale facitore, colui che fa. Si osservi nel Vocabolario le altre significazioni di questa voce.
  25. come sono suti li fatti) Suto è lo stesso che stato, ed è uscita antica del verbo essere.
  26. così si conviene proseguitare ed agguagliarli con parole e detti.... reputa cose composte e non vere) Prima di dichiarare questo luogo della versione, vogliamo arrecare il testo latino, perchè i giovani veggano come si ha a fare in traslatare gli autori, e quando ed in che modo si può e deve allargarsi un volgarizzatore: chè questo esempio a noi sembra de’ più maravigliosi. Primum, dice Sallustio, quod factis dieta sunt exaequanda; dehinc quia plerique quae delicta reprehenderis malevolentia et invidia dicta putant; ubi de magna virtute atque gloria honorum memores, quae sibi quisque facilia factu putat, aequo animo accipit; supra ea, velati ficta, pro falsis ducit. Primamente si consideri che il traduttore, per esprimer bene queste parole factis dieta sunt exaequanda, nella versione ne ha aggiunta una di più, che è quel proseguitare, che vai propriamente andar dietro, imitare; e poi ha adoperato la voce agguagliare, che vale far le parole uguali a’ fatti, cioè esprimere i fatti con parole che puntualmente li significhino. Appresso si consideri pure con quanta forza e convenienza di modo e di parole ha tradotto ancora aequo animo accipit per star per contento. È da ammirare e studiare eziandio quest’altro inciso: supra ea, veluti ficta, pro falsis ducit; che è voltato: ma, se dirai sopra a quelle, allora reputa cose composte e non vere; dove quel cose composte e non vere val tant’oro; il costrutto, per altro, è un po’ duro.
  27. Ora io assai garzone) Il testo qui ha sed ego adolescentulus, ed alcuno, poco pratico del latino e del toscano, potrebbe apporre ad errore a frate Bartolommeo l’avere tradotto il sed per ora; e noi vogliamo perciò avvertire i giovani che la particella sed in latino, non solo è avversativa, ma serve ancora per continuare o ripigliare il discorso; ed allora, meglio che col ma, è espressa con l’ora toscano. Per non allargarci molto in parole, veggano i giovani il Tursellino ed il Furlanetto, ed il nostro Trattato delle particelle della lingua italiana. Assai garzone ben corrisponde all’adolescentulus latino, diminutivo di adolescens.
  28. in quelle era occupata e distenuta) Distenuto, participio di distenere, che vale ritenere, tener con violenza, molto bene è qui adoperato a significare quel tenebatur del testo, il quale dice: imbecilla aetas ambitione convita tenebatur.
  29. l’altra etade, cioè la rimanente età. Altro
  30. m’avea... ditenuto, cioè trattenuto, distolto: del tutto alla latina (detinuerat), e così pure costruito: manca al Voc.
  31. le quali due ec.) Qui è errato il volgarizzamento. Il lat. ha: quod mihi a spe, metu, partibus reipublicae, animus liber erat.
  32. (cioè del trattamento e del tradimento). E qui trattamento sta in vece di macchinazione: e macchinazione ha il Salviati, citando questo luogo.
  33. congiurazione di Catilina) Congiurazione è lo stesso che congiura; ed oggi dicesi, meglio che nel primo, nel secondo modo.
  34. tanto verissimamente quanto io più potrò, in brievi parole riconterò) Si ponga mente a questo tanto verissimamente, ch’è proprio modo di nostra lingua, il quale, usato a tempo e con giudizio, aggiugne forza e vigoria al discorso: ma non si vuole farne abuso. Ricontare vai propriamente contar di nuovo; ma si usa pure per raccontare, narrare semplicemente, come è da intendere in questo luogo.
  35. per novità di gran fallo e di pericoloso) Si avverta che qui è ripetuto il segnacaso o preposizione di avanti a pericoloso per dar più efficacia alla parola, e richiamar meglio ad essa l’attenzione del lettore. Così ancora il Boccaccio nella novella di Martellino disse: E,con questo, uomo di santissima vita e di buona era tenuto da tutti. Nondimeno si vuole esser molto cauto in imitar questo modo, scrivendo: chè ordinariamente non si suol così fare: aggiungendosi solo la congiunzione e.