Il Catilinario/II

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Capitolo II

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Gaio Sallustio Crispo - Il Catilinario (I secolo a.C.)
Traduzione dal latino di Bartolomeo da San Concordio (XIV secolo)
Capitolo II
I III
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CAPITOLO II.


De’costumi e della intenzione di Catilina.


Lucio Catilina di nobile sangue fu nato, uomo di grande e poderosa virtù d’animo e di corpo1; ma fu d’ingegnamento reo e perverso2. E da sua prima gioventù le brighe dentro alla città, le fedite, li micidii3, le rapine a lui piacquono molto; e eziandio poichè fu fatto uomo4 in queste cotali cose continuamente studiò e brigò5. Il suo corpo avea poderosotalvolta significa, come in questo luogo, il rimanente, la rimanente parte; onde Dante, Purg. 5, disse: Tu te ne porti di costui l’eterno, Per una lagrimetta ch’e’ mi toglie; Ma io farò, dell’altro, altro governo.</ref> [p. 10 modifica]e sofferente di fame e di freddo e di vegghiare, più che uomo credere potesse; il suo animo era ardito, malizioso e isvariato, e qual cosa volea infignea e dimostrava, e qual volea diffignea e celava6: dell’altrui desideroso; del suo ispargitore; tutto acceso di desiderii; assai bello parlatore; savio poco: il suo ismisurato animo cose ismoderate, non credibili, e sempre troppo alte, desiderava. Onde, dopo la signoria ch’ebbe di Roma uno, che fu chiamato Lucio Silla, era venuta a Catilina la voglia e desiderio7 grandissimo di prenderla e d’averla egli; nè guardava che dire nè che fare8, pure che9 egli potesse venire al suo intendimento. E a questo il suo animo s’incitava e s’accendea ogni dì più, per cagione della sua povertà e necessità, e perch’egli si sentia aver fatto molto di male: le quali due cose (a)10 egli avea proseguitate e accresciute con quelle sue malvage arti, che io ho detto di sopra. Incitavalo ancora e movealo altra cosa, cioè ch’egli vedeva corrotti e immalvagiti li costumi della città e de’ cittadini, i quali erano occupati da due pessimi mali, l’uno de’ quali è contrario all’altro: e questi mali erano lussuria e avarizia11. Ben è vero che questa materia pare che conforti e che richieggia ch’io cominci alquanto più d’innanzi, ricordando brievemente de’ costumi della città, e degli ordinamenti e statuti di nostri maggiori (b)12: in che modo egli governarono il comune e in cittade e in oste13; e come copioso lo lasciarono; e come a poco a poco sia mutato, di bellissimo e ottimo, e divenuto reissimo e pestilenzioso14. [p. 11 modifica]

CAPITOLO III


Del cominciamento di Roma e del suo accrescimento buono.


La città di Roma, siccome io ho inteso e trovato, rondarono e ebbono al cominciamento uomini trojani, li quali erano scampati della distruzione di Troja, e erano venuti errando per mare a diversi luoghi, a guidamento15 d’un principe trojano, ch’avea nome Enea (a)16. Eziandio furon con loro altre genti di poco affare17, uomini villani, quasi selvaggi, senza alcuno ordinamento o legge e senza alcuno signore, liberi in tutto. Questi Trojani e questa altra gente, che detta è, poiché in una città s’adunarono, essendo di diseguale generazione e di dissimigliante lingua, ed avendo altri e diversi costumi, non si potrebbe quasi ben credere come tosto s’accordarono e moltiplicarono. Ma, poichè i lor fatti per cittadini, per costumi e possessioni parve ch’andassono innanzi, e che crescessono assai, e assai si manifestassono18; della loro ricchezza nacque invidia, la quale molti aveano verso loro, siccome spasso avviene a chi ha delle cose mondane19. E per questa cagione i signori e le genti de’ confini cominciarono a muovere lor guerra; e di loro amici erano pochi, che loro facessono ajutorio20: perocchè gli altri per paura si ritraevano e si cessavauo, non volendosi mettere a pericolo per loro. Ma gli Romani21 nella città e nell’oste presono attesamente

Note

  1. virtù d’animo e di corpo) Virtù, oltre alle altre sue significazioni, vale anche forza, possanza, vigore; e cosi è da intendere in questo luogo. In questo sentimento fu adoperata da altri scrittori, e dal - Boccaccio ancora, il quale nella nov. 99, 23, disse: Essendo la virtù del beveraggio consumata ec. gittò un gran sospiro.
  2. d’ingegnamento reo e perverso) Ingegnamento è registrato nel Vocabolario della Crusca solo in sentimento di astuzia, sagacità, industria; ma il nostro autore in questo luogo l’adopera in senso di ingegno, nel significato del §5° della Crusca, cioè d’indole, natura, e così pure nel Giugurtino, dove dice: Era un uomo di pacifico stato, e non da battaglia, nè d’ingegnamento malizioso.
  3. le fedite, li micidii) Fedita e micidio sono lo stesso che ferita e omicidio, ma sono voci antiche da non usare oggi.
  4. poichè fu fatto uomo, cioè poichè fu divenuto adulto. Manca uomo in questo sentimento al Vocabolario; e merita essere aggiunto.
  5. studiò e brigò’ ) Brigare qui è posto assolutamente per brigarsi, cioè affaticarsi.
  6. Il suo animo era ardito, malizioso e isvariato, ec.) In questo periodo vogliamo che si ponga ben mente prima a quell’ animo isvariato, che qui vale mutabile, leggiero, incostante, come suona il latino varius adoperato dall’autore: ed in questo sentimento svariato non è registrato nel Vocabolario della Crusca. Ancora è da attendere alla proprietà di quell’infignere e diffignere, che puntualmente significano il cujuslibet rei simulator ac dissimulator del testo: perocchè infignere è lo stesso che simulare, cioè mostrare il contrario di quello che l’uomo ha nell’animo e nel pensiero; e diffignere è lo stesso che dissimulare, il quale significa nascondere il suo pensiere, non dare a diveder di sapere alcuna cosa, o d’essersi accorto di che che sia, far vista d’ignorare o di non avvedersi— Il chiarissimo cav. Salvatore Betti nelle sue diligenti Osservazioni sulla prec. ediz. di questo libro nota esser forse qui a leggersi: e qual cosa non voleva diffignea e celava.
  7. era venuta a Catilina la voglia e desiderio ec.) A chi non sa le proprietà della nostra favella forse farà afa questo luugo: ma si vuol sapere che si può bene tralasciar l’articolo di un nome quando si è dato all’altro che il precede, ancora che sia di diverso genere; e,quando si sa ben fare, aggiugne brevità e grazia al discorso.
  8. nè guardava che dire nè che fare) Qui il verbo finito è sottinteso per amor di brevità, e l’intera dizione sarebbe: nè guardava che avesse a dire, nè guardava che avesse a fare.
  9. pure che e pur che, o purchè, sono lo stesso che solo che, ed è un modo condizionale breve e riciso. Veggasi il nostro Trattato delle particelle.
  10. (cioè la povertà e la coscienza di molti mali).
  11. Il lat. qui ha: quos pessuma ac divorsa inter se mala, luxuria atque avaritia, vexabant. Non si può tacere che non poco di forza tolgono qui le molte parole, che, senza bisogno, ha usate il traduttore.
  12. (cioè degli antichi).
  13. In questo periodo è da avvertire che egli in luogo di eglino non si dee oggi adoperare, come dicemmo in un’altra nostra postilla; e che in città ed in oste vale in pace e in guerra, ed è bel modo breve e reciso, che puntualmente risponde al modo latino domi mitiliaeque; nè trovasi in Crusca, comechè usato da altri volgarizzatori dello stesso secolo.
  14. pestilenziosa è spiegato dal Voc. per pestilenziale, e si aggiunge un § in senso fig.; ma gli es. arrecatine nol mostrano del sentimento, in che hassi qui a prendere, del flagitiosissima lat. Non vogliamo lasciar di avvertire che qui il Betti vorrebbe si leggesse: e come a poco a poco sia mutato, e, di bellissimo e ottimo, ditenuto reissimo e pestilenzioso: certo più correttamente: ma di simili scorsi non è raro trovar negli antichi.
  15. a guidamento) Guidamento è voce antica da non usare,o da adoperar con molto riguardo; ed oggi sarebbe meglio dire a guida. Nella Vita di G. Cristo si legge: I magi vennono a guida della stella.
  16. (Questi furono i primi fattori e abitatori di Roma). Abbiamo cacciato queste parole qui a piè di pag. tra parentesi, essendo del tutto intruse nel testo: simili alle altre messe pur tra parentesi, e sparse una e là nel libro.
  17. Il testo latino ha: cumque his aborigines, genus hominum agreste, sine legibus ... Intorno a questi aborigini sarebbe lungo riferire le svariate opinioni degli scrittori antichi e moderni. La più ragionevole ci sembra quella: che aborigines sia nome appellativo e proprio, e che lignifichi coloro, che ab origine abitarono l’Italia; altresì come gli Ateniesi si dicevano αἱτοχθονες.
  18. e assai si manifestassono) Questo particolare manca nel latino, che qui ha solo satis prospera satisque pollens videbatur. Noi pensiamo, aver così tradotto il buon frate, però che forse il testo ond’ei traduceva qui leggea satisque patens.
  19. siccome spesso avviene a chi ha delle cose mondane) Non vogliamo tacere che in questo luogo il traduttore ha preso un granchio a secco; dappoichè il testo legge: sicuti pleraque mortalium habentur: le quali parole significano letteralmente: siccome sono la più parte delle cose degli uomini; o: siccome avviene della più parte delle umane cose.
  20. che loro facessono ajutorio) Ajutorio, o adjutorio, è voce antica da non usare, ed è lo stesso che ajuto.
  21. ma gli Romani) Gli scrittori del trecento usavano di dare l’articolo lo ad ogni sorta di nomi al singolare, cioè sì a quelli che cominciavano da vocale, e sì a quelli che cominciavano per consonante, ancorachè non avessero in principio una s seguita da altra consonante; ed al plurale usavano allo stesso modo l’articolo li e gli, come vedesi in questo luogo: ma oggi non si ha a far così, che sarebbe affettazione. Onde ora si dee adoperare l’articolo lo solo quando è aggiunto a nome che comincia da s impura, o da vocale; ma, quando il nome comincia da vocale, in luogo di scrivere e profferire lo uomo, lo imperfetto, o lo ’mperfetto, come pure facevano gli antichi, si ha a toglier l'o, ed aggiungere l’apostrofo alla l: ed al plurale, invece di li, si dee in questi due casi adoperare gli, cioè quando il nome comincia da s impura e da vocale; e con tutti gli altri nomi, l’articolo il per il singolare, i per il plurale.