Il Circolo Pickwick/Capitolo 25

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Il quale fa vedere, fra molte cose piacevoli, quanta maestà ed imparzialità sfoggiasse il signor Nupkins, e come il signor Weller ricambiasse vigorosamente la botta del signor Job Trotter. Con un'altra cosa che si troverà a suo luogo

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Charles Dickens - Il circolo Pickwick (1836)
Traduzione dall'inglese di Federigo Verdinois (1904)
Il quale fa vedere, fra molte cose piacevoli, quanta maestà ed imparzialità sfoggiasse il signor Nupkins, e come il signor Weller ricambiasse vigorosamente la botta del signor Job Trotter. Con un'altra cosa che si troverà a suo luogo
Capitolo 24 Capitolo 26

Non è da dire quanta fosse l’indignazione del signor Weller durante la via, nè quante allusioni ei facesse alla figura e al contegno del signor Grummer e del suo compagno, nè che sorta di sfide scagliasse alla cittadinanza plaudente, perchè si compiacesse farlo azzuffare con una mezza dozzina scelta a caso di onorevoli cittadini. I signori Snodgrass e Winkle prestarono malinconico e rispettoso ascolto al torrente di eloquenza che sgorgava dalla bocca del loro condottiero, e che nemmeno le calde istanze del signor Tupman valsero a frenare un solo istante. Ma l’ira del signor Weller diè subito posto alla curiosità, quando il corteggio entrò in quel medesimo cortile dove egli aveva incontrato il fuggitivo Job Trotter; e la curiosità si mutò in un sentimento del più vivo stupore, quando il maestoso signor Grummer, dando l’ordine di alto, si avanzò a passo solenne e misurato verso quel preciso cancello verde dal quale Job Trotter era emerso, e diè una fiera strappata alla nappa del campanello che pendeva da un lato. Alla scampanellata rispose una servotta vivace e belloccia, la quale, dopo avere alzato le mani in segno di stupore all’aspetto ribelle dei prigionieri e al linguaggio appassionato del signor Pickwick, chiamò forte il signor Muzzle. Il signor Muzzle aprì una metà del cancello per far passare la portantina, i prigionieri e le guardie; e subito dopo la sbatacchiò sul muso della plebe, la quale, indignata dell’esclusione ed ansiosa di vedere quel che accadeva, si sfogò con tanti calci al cancello e tante strappate di campanello per lo spazio di un’ora o due. A questo passatempo presero parte tutti un po’ per volta, eccetto tre o quattro più avventurati, i quali avendo scoperto una specie di graticola nel muro, dalla quale si vedeva precisamente niente, sgranavano gli occhi attraverso di essa con la stessa infaticabile perseveranza con cui certa gente si schiaccia il naso alla vetrina del farmacista, quando un ubbriaco, che è stato investito da una carrozza, si sottopone all’ispezione chirurgica nella dietrostanza.

Si fermò la portantina a piedi di una breve scalinata, che menava alla porta di casa ed era guardata di qua e di là da un aloe americano in una cassa verde; e il signor Pickwick e i suoi amici furono menati nel cortile, donde, annunziati da Muzzle ed ammessi dal signor Nupkins, furono introdotti alla angusta presenza di questo magistrato così pieno di spirito pubblico.

La scena era solenne, e pareva fatta a posta per incutere terrore nell’animo dei delinquenti e per dar loro un’adeguata idea della legge. Di faccia a un massiccio scaffale, in un massiccio seggiolone, dietro una tavola massiccia, e con un massiccio volume davanti, sedeva il signor Nupkins due volte più massiccio di tutto questo. La tavola gemeva sotto monti di carte; e ad una delle due estremità apparivano il capo e le spalle del signor Jinks, tutto occupato a far le viste di essere occupatissimo. Entrati che furono tutti, Muzzle chiuse la porta e stando a piantare dietro il seggiolone del suo padrone per attenderne gli ordini; il signor Nupkins si rovesciò indietro con olimpica solennità, e con occhio indagatore scrutò nelle faccie dei suoi forzati visitatori.

— Chi è costui, Grummer? — disse poi il signor Nupkins, additando il signor Pickwick, il quale come capo della brigata se ne stava in prima riga col cappello in mano ed inchinandosi con tutto il rispetto e la cortesia possibili.

— Questo qui è Pickwick, vostra signoria, — risposo Grummer.

— Via, tappati la bocca, vecchio smoccolatoio, — venne su il signor Weller, facendosi largo a furia di gomitate. — Scusate, signore, questo vostro ufficiale ch’è tutto stivaloni da capo a piedi non si farebbe mai una posizioncella discreta come maestro di cerimonie. Questo qui, signore, — proseguì il signor Weller scostando Grummer con uno spintone e indirizzandosi con graziosa famigliarità al magistrato, — questo qui è il signor Pickwick; quest’altro è il signor Tupman; quest’altro è il signor Snodgrass; e quello che gli sta vicino da quell’altra parte è il signor Winkle; tutta gente come si deve, signore, che vi farà molto piacere di conoscere; sicchè quanto più vi sbrigherete a mandare cotesti vostri cagnotti a girar la macina per un paio di mesi, tanto più presto cominceremo ad intenderci. Prima gli affari, e i piaceri dopo, come disse il re Riccardo terzo quando ammazzò quell’altro re nella Torre, prima di strangolare i bambini.

Conchiudendo questo indirizzo, il signor Weller si spazzolò il cappello col gomito destro e ammiccò benignamente a Jinks, che era stato a sentirlo con ineffabile orrore.

— Chi è quest’uomo, Grummer? — domandò il magistrato.

— Individuo molto pericoloso, vostra signoria, — rispose Grummer. — Ha tentato di liberare i prigionieri e ha dato addosso agli agenti, sicchè l’abbiamo subito assicurato e menato qui.

— E avete fatto benissimo, — disse il magistrato. — Evidentemente è un furfante matricolato.

— È il mio domestico, signore, — disse il signor Pickwick offeso.

— Ah, ah! è il vostro domestico eh? — esclamò il signor Nupkins. — Cospirazione per eludere la giustizia del paese e per ucciderne i rappresentanti. Domestico di Pickwick. Scrivete, signor Jinks.

Il signor Jinks obbedì.

— Come vi chiamate quell’uomo? — tuonò il signor Nupkins.

— Weller, — rispose Sam

— Un nome eccellente pel calendario di Newgate, — disse il signor Nupkins.

La frase era spiritosa; sicchè Jinks, Grummer, Dubbley, Muzzle e tutte le guardie scoppiarono in risa della durata di cinque minuti.

— Scrivete il suo nome, signor Jinks, — disse il magistrato.

— Due l, amicone, — disse Sam.

A questo una sciagurata guardia avendo riso di nuovo, il magistrato la minacciò di arresto immediato. È sempre molto pericoloso in questi casi ridere male a proposito.

— Dove abitate? — domandò il magistrato.

— Dove mi riesce meglio, — rispose Sam.

— Scrivete questo, signor Jinks, — disse il magistrato, che s’andava a poco a poco scaldando.

— E sottolineate, — aggiunse Sam.

— È un vagabondo confesso, non è così, signor Jinks?

— Certamente, signore.

— Allora lo arresteremo... sicuro, lo arresteremo come tale, — disse il signor Nupkins.

— Gli è un bel paese questo qui per la giustizia, — disse Sam. — Si arresta così alla spiccia la gente, che un giorno o l’altro i magistrati si arresteranno da sè, non avendo chi altro arrestare.

A questa uscita un’altra guardia scappò a ridere, e si sforzò poi di mostrarsi così superlativamente solenne, che il magistrato la scoprì all’istante.

— Grummer, — disse il signor Nupkins, facendosi rosso come un peperone, — come vi permettete voi di scegliere come guardia speciale una persona così poco seria e così spregevole come quell’uomo lì? Come ve lo permettete, eh?

— Sono dolentissimo, vostra signoria, — disse Grummer.

— Dolentissimo! — gridò il furibondo magistrato. — Vi farò io pentire, signor Grummer, di questa trascuraggine dei vostri doveri; darò un esempio. Togliete il bastone a colui, subito. È ubbriaco. Voi siete ubbriaco fradicio.

— Io non sono ubbriaco, vostra signoria, — disse la guardia.

— Sì che lo siete, — replicò il magistrato. — Come vi permettete di dire che non lo siete, quando io vi dico che lo siete? Non sente di spiriti, Grummer?

— Orribilmente, vostra signoria, — rispose Grummer, con una vaga idea che un odore di rum venisse da qualche parte.

— Lo sapevo io, — disse il signor Nupkins. — Me ne sono accorto, al suo primo entrare qui dentro, dagli occhi infiammati. Avete osservato come aveva gli occhi infiammati, signor Jinks?

— Certamente, signore.

— Non ho toccato una goccia di spirito stamane, — disse il pover’uomo, che era il più temperato bevitore che si potesse immaginare.

— Come ardite dirmi una menzogna? — esclamò il signor Nupkins. — Non è ubbriaco anche adesso, signor Jinks?

— Certamente, signore.

— Signor Jinks, faremo arrestare costui per mancanza di rispetto all’autorità costituita. Spiccate il suo mandato d’arresto, signor Jinks.

E senza meno sarebbe stato tratto in arresto lo sciagurato beone, se il signor Jinks, che era il consigliere privato del magistrato per una certa educazione legale acquistata in tre anni di pratica in uno studio di avvocato di provincia, non gli avesse bisbigliato all’orecchio che la cosa non andava; sicchè il signor Nupkins fece un suo discorso e disse che, in considerazione della famiglia del colpevole, non avrebbe fatto che ammonirlo ed espellerlo. In conseguenza di che la guardia ricevette prima una lavata di capo che durò un buon quarto d’ora, e poi fu mandata pei fatti suoi; e Grummer, Dubbley, Muzzle e tutte le altre guardie espressero in un lungo mormorio la loro ammirazione per la magnanimità del signor Nupkins.

— Ora, signor Jinks, — disse il magistrato, — prendete il giuramento di Grummer.

Grummer giurò e incominciò la sua deposizione; ma siccome Grummer divagava e il pranzo del signor Nupkins era quasi in tavola, il signor Nupkins tagliò corto alla faccenda con porre a Grummer delle questioni sommarie, alle quali Grummer rispose press’a poco affermativamente. Così l’esame si procedette liscio e spedito; e furono provati all’evidenza due assalti a carico del signor Weller, una provocazione a carico del signor Winkle, ed uno spintone a carico del signor Snodgrass. E quando tutto ciò fu fatto a soddisfazione del magistrato, il magistrato e il signor Jinks si consultarono a mezza voce.

Durato che fu il colloquio circa dieci minuti, il signor Jinks si ritirò al suo posto ad un capo della tavola; e il magistrato, con un colpo di tosse preparatorio, si raddrizzò nel suo seggiolone, e già si disponeva a cominciare il suo discorso, quando il signor Pickwick lo prevenne.

— Domando perdono, signore, se v’interrompo; ma innanzi che esprimiate e prendiate come norma delle vostre risoluzioni quella qualunque opinione che vi siete per avventura formata sulle deposizioni testè raccolte, io reclamo il mio diritto di essere udito per quella parte che mi riguarda.

— Silenzio, signore! — disse il magistrato in tono perentorio.

Debbo sottomettermi, signore, — riprese il signor Pickwick.

— Silenzio, dico! — esclamò il magistrato, — o che ordinerò a uno dei miei ufficiali di allontanarvi di qua.

— Voi potete ordinare quel che meglio vi piace ai vostri ufficiali, — disse il signor Pickwick; — ed io non dubito punto, a giudicarne dagli esempi di subordinazione di cui sono stato testimone, che qualunque cosa vogliate ordinare sarà eseguita appuntino; ma io, signore, mi prendo la libertà di reclamare il mio diritto di parlare, fino a che non mi si allontani a viva forza.

Pickwick e i principii! — esclamò il signor Weller con voce sonora.

— Chetatevi, Sam, — disse il signor Pickwick.

— Muto come un tamburo sfondato, — rispose Sam.

Il signor Nupkins fissò sul signor Pickwick uno sguardo d’intenso stupore per quella insolita temerità; e stava lì lì per rispondergli a dovere, quando il signor Jinks tirandolo per la manica gli bisbigliò qualche cosa all’orecchio. A questo, il magistrato rispose a mezza voce, e quindi il bisbiglio si ripetette. Evidentemente, Jinks faceva delle rimostranze.

Finalmente il magistrato, ingoiando di assai mala grazia la sua poca volontà di udir checchessia, si voltò al signor Pickwick e domandò con asprezza:

— Che cosa avete da dire?

— In primo luogo, — rispose il signor Pickwick, mandando attraverso gli occhiali una occhiata che fece tremare lo stesso signor Nupkins, — in primo luogo, desidero sapere per qual ragione il mio amico ed io siamo stati menati qui.

— Gliel’ho a dire? — bisbigliò il magistrato a Jinks.

— Crederei di sì, — rispose Jinks nello stesso tono.

— M’è stato riferito, — disse il magistrato, — che siete sul punto di battervi in duello, e che quest’altro signore, Tupman, è il vostro secondo. Per conseguenza... eh, signor Jinks?

— Certamente, signore.

— Esigo dunque... che cosa, signor Jinks ?

— Una garentia.

— Sicuro. Per conseguenza, io esigo da entrambi, come stavo per dire quando sono stato interrotto dal mio segretario, una garentia.

— Una buona garentia, — bisbigliò Jinks.

— Voglio una buona garentia, — disse il magistrato.

— Persone del paese, — bisbigliò Jinks.

— Vogliono essere persone del paese, — disse il magistrato.

— Cinquanta sterline a testa, — bisbigliò Jinks, — e che siano proprietari di stabili, naturalmente.

— Non posso non domandare due garentie di cinquanta sterline ciascuna, disse forte e con grande dignità il magistrato, — e debbono essere di proprietari, naturalmente.

— Ma, per amor del cielo, signore, — esclamò il signor Pickwick, il quale insieme con l’amico Tupman era tutto stupore ed indignazione, — noi siamo assolutamente forestieri in questa città. Tanto conosco i proprietari di qua per quanto ho intenzione di battermi in duello con chicchessia.

— Dico eh, — rispose il magistrato, — dico... non è così, signor Jinks?

. — Certamente, signore. —

— Avete altro da aggiungere? — domandò il magistrato. Molte altre cose aveva da aggiungere il signor Pickwick, e senza dubbio le avrebbe dette, con pochissimo vantaggio proprio e con minore soddisfazione del magistrato, se, nel punto stesso che finiva di parlare, non fosse stato tirato per la manica dal signor Weller, col quale entrò immediatamente in così stretto e caldo colloquio, da non badare niente affatto all’interrogazione del magistrato. Il signor Nupkins non era uomo da ripetere per la seconda volta una domanda di quel genere; sicchè, con un altro colpo di tosse preparatorio, procedette, fra il silenzio reverente ed ammirativo dei suoi dipendenti, a pronunciare la sua decisione.

A Sam Weller pel suo primo attacco, due sterline di multa, tre pel secondo. Al signor Winkle due sterline, una al signor Snodgrass, con l’obbligo addizionale di dichiarare la loro ossequenza per la pace di tutti i sudditi di Sua Maestà, e specialmente verso il suo devoto servitore, Daniele Grummer. Per Pickwick e Tupman si era già chiesta garentia.

Non appena il magistrato ebbe conchiusa la sua, sentenza, il signor Pickwick, con un sorriso che gli veniva a rischiarar la faccia tornata serena, si avanzò e disse:

— Domando perdono al magistrato; ma debbo pregarlo di un privato abboccamento di pochi minuti intorno ad un argomento che lo riguarda molto da vicino.

— Che cosa? — esclamò il magistrato.

Il signor Pickwíck ripetette la sua domanda.

— La domanda è molto straordinaria, — disse il magistrato. — Un abboccamento privato!

— Un abboccamento privato, — rispose con fermezza il signor Pickwick; — soltanto, siccome una parte delle comunicazioni che desidero fare mi viene dal mio domestico, vorrei che anch’egli fosse presente.

Il magistrato guardò al signor Jinks, il signor Jinks guardò al magistrato, e gli agenti si guardarono l’un l’altro compresi di stupore. Il signor Nupkins si fece subitamente pallido. Aveva forse quel Weller, in un momento di rimorso, rivelato qualche segreta cospirazione per assassinarlo? Il pensiero era terribile. Egli era un uomo pubblico; e si fece ancora più pallido, assalito dal ricordo di Giulio Cesare e del signor Perceval.

Il magistrato tornò a guardare il signor Pickwick, e fece un cenno al signor Jinks.

— Che ne pensate voi di questa domanda, signor Jinks? — mormorò il signor Nupkins.

Il signor Jinks, che non sapeva con precisione che cosa ne dovesse pensare e temeva di pigliare un granchio, sorrise debolmente in aria dubitativa, e voltando in su gli angoli della bocca scosse lentamente il capo da destra a sinistra e viceversa.

— Signor Jinks, — disse con gravità il magistrato, — voi siete un asino, signore.

A questa piccola manifestazione di stima, il signor Jinks tornò a sorridere, un po’ più debolmente di prima, e si rannicchiò a poco a poco nel suo cantuccio.

Il signor Nupkins deliberò dentro di sè per alcuni secondi e quindi alzandosi dal suo seggiolone e invitando il signor Pickwick e Sam a seguirlo, passò in un salottino contiguo. Pregando poi il signor Pickwick di allontanarsi fino in fondo alla piccola camera, e tenendo la mano sull’uscio semiaperto per essere in grado di operare una fuga immediata in caso di un qualunque segno di ostilità, il signor Nupkins si dichiarò disposto a udire le promesse comunicazioni, quali che potessero essere.

— Vengo subito al punto, signore, — disse il signor Pickwick; — è una cosa che offende materialmente voi e il vostro credito. Ho tutte le ragioni di credere, signore, che voi alberghiate sotto il vostro tetto un solenne impostore!

— Due, — interruppe Sam. — il coso violetto darebbe dei punti al diavolo, in materia di lagrime e di furfanteria.

— Sam, — disse il signor Pickwick, — se volete che mi faccia intendere da questo signore, vi prego di contenere i vostri sentimenti.

— Domando scusa, signore, — rispose il signor Weller, — ma quando mi viene in mente quel maledetto Job, se non apro subito la valvola, scoppio.

— In una parola, signore, — disse il signor Pickwick, — si appone al vero il mio domestico, sospettando che un tal capitano Fitz-Marshall frequenti la vostra casa? Perché — aggiunse il signor Pickwick, vedendo che il signor Nupkins stava per interromperlo con indignazione, — perchè, se la cosa sta così io so che cotesto capitano è un...

— Zitto, zitto! — disse il signor Nupkins chiudendo la porta. — Sapete ch’egli è che cosa?

— Un avventuriere senza principii, un abbietto carattere, un uomo che vive a spese della società, e che tira nelle sue reti la gente di troppo buona fede, facendone i suoi zimbelli; zimbelli assurdi, signore, sciocchi, sciagurati, — incalzò l’eccitato signor Pickwick.

— Per amor del cielo, — disse il signor Nupkins, facendosi scarlatto e mutando improvvisamente di modi, — per amor del cielo, signor...

— Pickwick, — suggerì Sam.

— Pickwick, — disse il magistrato. — Accomodatevi, prego, signor Pickwick... voi non dite mica sul serio? Il capitano Fitz-Marshall!

— Non lo chiamate capitano, — disse Sam, — e nemmeno Fitz-Marshall; non è nè l’uno nè l’altro. È un miserabile commediante, e si chiama Jingle; e se mai si è dato un lupo in livrea violetto, questi è Job Trotter in persona.

— Verissimo, signore, — disse il signor Pickwick, rispondendo allo sguardo stupefatto del magistrato; — il solo mio oggetto in questa città è di smascherare la persona di cui parliamo.

E il signor Pickwick incominciò a versare nell’inorridito orecchio del signor Nupkins una sommaria relazione di tutte le atrocità del signor Jingle. Narrò come prima l’avesse incontrato, come egli avesse rapito la signorina Wardle, come l’avesse poi di buon grado rilasciata contro un compenso pecuniario, come fosse riuscito a trappolare lui, Pickwick, in un Istituto femminile a mezzanotte, e come ora a lui stesso, Pickwick, incombesse il debito di svelare l’usurpazione del nome e del grado del detto Jingle.

Durante questa narrazione, tutto il sangue che bolliva nel corpo del signor Nupkins salì fino alla punta delle sue orecchie magistrali. Aveva conosciuto il capitano ad una corsa di cavalli in quei dintorni. Abbagliati dalla lunga lista delle sue aristocratiche relazioni, il signor Nupkins e la signorina Nupkins avevano messo in mostra il capitano Fitz-Marshall, e citato il capitano Fitz-Marshall, e ficcato il capitano Fitz-Marshall sotto il muso delle loro conoscenze, fino a che i più cari loro amici, la signora Porkenham e le signorine Porkenham e il signor Sidney Porkenham, erano stati lì lì per scoppiare di gelosia e di disperazione. Ed ora, tutto ad un tratto, venire a sapere ch’egli era un miserabile avventuriere, un commediante, e se non uno scroccone a dirittura, un quissimile che poco ci mancava? Giusto cielo! e che avrebbero detto i Porkenham? che trionfo avrebbe avuto il signor Sidney Porkenham scoprendo alla fine che le sue offerte erano state posposte a quelle di un cosiffatto rivale! Con che cuore avrebbe il signor Nupkins affrontato lo sguardo del vecchio Porkenham alla prossima sessione trimestrale? e che strumento di attacco avrebbe avuto nelle mani il partito d’opposizione, se la storia si fosse divulgata?

— Ma in fin dei conti, — disse il signor Nupkins, ripigliandosi un poco dopo un lungo silenzio, — in fin dei conti, cotesta non è che una mera asserzione. Il capitano Fitz-Marshall è un uomo di modi squisiti, e, oso dire, non gli mancano nemici. Che prova avete voi della verità delle vostre assicurazioni?

— Confrontatemi con lui, — rispose il signor Pickwick, — non domando altro che questo. Confrontatelo con me e coi miei amici; non avrete mestieri di altre prove.

— Veramente, — disse il signor Nupkins, — la cosa sarebbe facilissima, perchè egli sarà qui stasera, e allora non ci sarebbe bisogno di far pubblicità, capite, nell’interesse... del giovane, nel suo interesse. Mi... mi piacerebbe però consultar prima la mia signora sulla convenienza di un tal passo. Ad ogni modo, signor Pickwick, dobbiamo sbrigarci, prima di ogni altra cosa, di questa faccenda legale. Vi prego, torniamo nella camera appresso.

Passarono nell’altra camera.

— Grummer, — gridò il magistrato con voce terribile.

— Vostra signoria, — rispose Grummer col sorriso del favorito.

— Via, via, signore! — disse severamente il magistrato; — smettete cotesta leggerezza fuor di proposito. Vi assicuro io che avete ben poco da sorridere. Era rigorosamente conforme al vero la relazione che mi avete fatta testè? Badate a quel che dite, signore.

— Vostra signoria, — balbettò Grummer, — io...

— Ah, ah, voi vi confondete eh? — esclamò il magistrato — Signor Jinks, voi notate questa confusione?

— Certamente, signore, — rispose Jinks.

— Orsù, Grummer, ripetete la vostra deposizione, e di nuovo vi avverto di badar bene a quel che dite. Siate preciso. Signor Jinks, prendete atto delle sue parole.

Lo sciagurato Grummer procedette a rifare la sua deposizione; ma, tra lo scrivere che Jinks faceva delle parole che gli uscivano di bocca e il rilevarle una per una che faceva il magistrato, tra per la sua naturale tendenza a divagare e la sua estrema confusione, fece in maniera da cacciarsi per circa tre minuti in tanto imbroglio e tante contraddizioni che il signor Nupkins dichiarò a dirittura che non gli aggiustava fede. Furono dunque rimesse le multe, e il signor Jinks trovò issofatto una coppia di garanti. E così menata a termine con piena soddisfazione questa solenne procedura, il signor Grummer venne ignominiosamente mandato fuori, — terribile esempio della instabilità della umana grandezza e dell’incertezza del favore dei grandi.

La signora Nupkins era una maestosa femmina in turbante di velo turchino e parrucca biondo cenere. La signorina Nupkins possedeva tutta l’albagia materna senza il turbante, e tutta la sua cattiveria senza la parrucca; e quante volte l’esercizio di queste due amabili qualità traeva madre e figlia in qualche ingrato dilemma, come soventi accadeva, erano entrambe di accordo in rovesciar la colpa sulle spalle del signor Nupkins. Conseguentemente, quando il signor Nupkins andò a trovare la signora Nupkins, e le espose per filo e per segno la comunicazione del signor Pickwick, la signora Nupkins subito si ricordò che una cosa di questo genere se l’era sempre aspettata; che avea sempre detto e ripetuto che così sarebbe avvenuto; che nessuno le aveva voluto dar retta; che non sapeva davvero in che conto il signor Nupkins la tenesse; e via di questo passo.

— E pensare, — esclamò la signorina Nupkins, spremendo una meschina lagrima nell’angolo dell’occhio destro, — e pensare di essere stata burlata a questo modo!

— Ah! potete ringraziare il vostro signor papà, cara mia, — disse la signora Nupkins. — Come ho pregato e implorato da quell’uomo di prendere informazioni sulla famiglia del capitano; come l’ho spinto, come l’ho scongiurato di dare un passo decisivo! Son sicura che nessuno ci crederebbe, nessuno!

— Ma, cara mia, — disse il signor Nupkins.

— Non mi parlate, uomo sciagurato, non mi parlate! — esclamò la signora Nupkins.

— Amor mio, — riprese il signor Nupkins, — voi stessa vi siete mostrata molto tenera del capitano Fitz-Marshall. Lo avete sempre pregato di venir qui, mia cara, e nessuna opportunità vi siete lasciata sfuggire di presentarlo altrove.

— Non ve l’avevo detto, Enrichetta? — venne su la signora Nupkins, facendo appello alla figliuola con l’aria di una donna crudelmente oltraggiata. — Non ve lo dicevo io che vostro padre si sarebbe voltato ad un tratto e avrebbe messo tutto questo a carico mio? Non ve lo dicevo io?

E la signora Nupkins incominciò a singhiozzare.

— Oh papà! — esclamò la signorina Nupkins, rompendo anch’ella in singhiozzi.

— E dopo averci tirato addosso questa disgrazia, dopo averci messo in questa ridicola posizione, venirmi a dire che son io, io la causa di tutto! Ah, è troppo, è troppo! — gridò la signora Nupkins.

— Come ci mostreremo più in società? — disse la signorina Nupkins.

— Come potremo affrontare i Porkenham? — disse la madre.

— E i Griggs? — aggiunse la figlia.

— E i Slummintowkens? — incalzò la madre. — Ma che gliene importa al vostro signor padre? che gli fa questo a lui?

A questa terribile riflessione, la signora Nupkins si stemperò in lagrime e la signorina Nupkins seguì l’esempio materno.

Le lagrime della signora Nupkins continuarono a scorrere in larga vena, fino a che, guadagnato tempo a pensarci sopra, ella decise dentro di sè che il miglior partito da prendere era di pregare il signor Pickwick e i suoi amici di trattenersi fino all’arrivo del capitano per offrire allora al signor Pickwick la cercata opportunità. Se risultava ch’egli avea detto il vero, si potea metter fuori il capitano senza fare scandali, ed ai Porkenham si sarebbe dato ad intendere, per giustificare la improvvisa sparizione, ch’egli era stato chiamato, la mercè delle sue attinenze con la Corte, all’ufficio di governatore generale della Sierra Leona o di Sangur Point o di qualunque altro di quei salubri paesi, dove tanto incanto trovano gli Europei che, quando vi capitano, non sanno più staccarsene e non tornano indietro.

Quando la signora Nupkins ebbe rasciugate le sue lagrime, la signorina Nupkins rasciugò anche lei, e il signor Nupkins fu contentissimo di aggiustare la faccenda secondo i desideri della sua signora. Il signor Pickwick e i suoi amici, lavati i segni della zuffa recente, furono dunque presentati alle signore e subito dopo ammessi al desinare di famiglia; e il signor Weller, nel quale il magistrato con la sua peculiare sagacia avea scoperto uno dei più simpatici ragazzi del mondo fu consegnato alle cure e alla sorveglianza del signor Muzzle, il quale ebbe ordini speciali di menarlo da basso e di trattarlo a dovere.

— Come si va, signore? — disse il signor Muzzle, guidando il signor Weller giù per le scale della cucina.

— Niente di variato nello stato del mio sistema, — rispose Sam, — da che v’ho veduto tutto rimpettito dietro il seggiolone del vostro padrone, pochi momenti fa.

— Mi scuserete se allora non ho fatto molta attenzione a voi — disse il signor Muzzle. — Il padrone non ci aveva ancora presentati, capite. Ah, se sapeste come va matto di voi, signor Weller!

— Che caro uomo eh? — disse Sam.

— Vi pare?

— E che spirito!

— E che parlatore poi, — incalzò il signor Muzzle. — Come gli scorrono le idee, eh?

— Una maraviglia, — rispose Sam; — vengono fuori a mazzi e si danno tante capate che pare si vogliano intontire; non si capisce mai che cosa voglia, non vi pare?

— E cotesto è il gran merito della sua maniera di parlare, — rispose Muzzle. — Badate all’ultimo scalino, signor Weller. Vorreste per caso lavarvi le mani prima di presentarci alle signore? Ecco qua una vaschetta con l’acqua pronta, e uno strofinaccio pulito dietro la porta.

— Ah, sicuro, una lavatina non fa mica male, — rispose il signor Weller, applicando una larga dose di sapone nero allo strofinaccio, e fregando a due mani fino a farsi la faccia lustra come uno specchio. — Quante signore ci avete?

— Due soltanto in cucina, — rispose il signor Muzzle, — la cuoca e la cameriera. Teniamo un ragazzo pei servizi sporchi ed anche una ragazzotta, ma mangiano tutti e due nel lavatoio.

— Ah, nel lavatoio?

— Già; ce li mettemmo a tavola con noi quando vennero la prima volta, ma non ci si potea reggere. La ragazza è una zoticona da non si dire; e il ragazzo poi fa tanto rumore con la bocca quando mangia, che pare una macina.

— Che piccolo ippopotamo! — esclamò il signor Weller.

— Oh, un orrore! Ma questo è il lato brutto del servizio di provincia, caro signor Weller; i giovani sono sempre così selvaggi. Di qua, signor Weller, di qua, se non vi dispiace.

E precedendo il signor Weller con la massima compitezza, il signor Muzzle lo condusse in cucina.

— Mariuccia, — disse il signor Muzzle alla graziosa servetta, — questi è il signor Weller, un signore che il padrone ha mandato qui perchè lo si tratti come merita.

— E il vostro padrone ha il naso fino, e m’ha proprio mandato al posto buono, — disse il signor Weller con un’occhiata di ammirazione a Mariuccia. — Se fossi io il padrone di questa casa, troverei sempre da star benissimo dove si trova Mariuccia.

— Andiamo, via! signor Weller, — disse Mariuccia facendosi rossa.

— Bè, ed io? — fece la cuoca

— Perbacco, me ne scordavo, — disse il signor Muzzle. — Signor Weller, lasciate che vi presenti.

— Come state, signora? — domandò il signor Weller. — Contentissimo di vedervi, proprio di cuore, e mi auguro che la nostra conoscenza durerà un pezzo, come disse quel tal signore al biglietto da cinque sterline.

Compiuta questa cerimonia della presentazione, la cuoca e Mariuccia si ritirarono nella retrocucina a pispigliare per una decina di minuti; e tornate che furono, tutte vezzi e rossori, si misero a tavola.

I modi disinvolti del signor Weller e la sua conversazione facile ed amena ebbero tale infiuenza sui novelli suoi amici, che prima della metà del desinare, si trovavano tutti sul piede della più perfetta intimità ed in piena cognizione delle birbonate di Job Trotter.

— Non l’ho mai potuto soffrire quel Job, — disse Maria.

— E non l’avreste dovuto soffrir mai, cara mia, — rispose il signor Weller.

— O perchè?

— Perchè la bruttezza e la birboneria non dovrebbero mai far lega con l’eleganza e la virtù. Non è così, signor Muzzle?

— Sicuramente, — approvò Muzzle.

Qui Mariuccia si mise a ridere, e disse ch’era stata la cuoca; e la cuoca si mise a ridere anche lei, e disse che non era vero niente.

— Non ho nemmeno bicchiere, — disse Mariuccia.

— Bevete con me, cara, — suggerì il signor Weller. — Accostate la bocca a questo bicchiere ch’è qui, e così vi potrò dare un bacio per procura.

— Via, signor Weller, vergogna! — disse Mariuccia.

— Che cos’è ch’è vergogna?

— Il parlare a cotesto modo.

— Scioccherie; non c’è nulla di male. È la natura; non è così, cuoca?

— Non mi parlate, sfacciataccio! — rispose la cuoca in uno stato di viva allegria; e qui la cuoca e Mariuccia tornarono a ridere, fino a che tra per la birra, tra per la carne rifredda, tra per le risate, la seconda di queste due signore si trovò sul punto di affogare — una crisi allarmante dalla quale non si salvò che mediante vari colpi nei remi ed altre necessarie attenzioni, molto delicatamente somministrate dal signor Samuele Weller.

Sul più bello di questa allegria e di tanta cordialità una forte scampanellata si udì al cancello del giardino, alla quale subito rispose il giovane signore che soleva desinare nella camera del lavatoio. Il signor Weller si trovava al colmo delle sue galanterie versa la cameriera belloccia; il signor Muzzle era tutto affaccendato a far gli onori della tavola; e la cuoca finiva allora di ridere e stava per portare alle labbra un boccone maiuscolo, quando la porta della cucina si aprì, e il signor Job Trotter entrò.

Abbiamo detto che il signor Job Trotter entrò, ma l’espressione non è improntata di quella scrupolosa veracità che è nelle nostre abitudini. La porta si aprì e il signor Trotter apparve. Sarebbe entrato, e stava sul punto di entrare, quando scorgendo il signor Weller indietreggiò involontariamente di un passo o due, e sbarrando gli occhi sulla scena che gli si presentava, stette immobile dalla stupefazione e dal terrore

— Eccolo qua, — disse Sam, alzandosi pieno di brio — Proprio di voi si parlava. Come si va? dove siete stato? Avanti, favorite.

E afferrandolo poco delicatamente pel bavero violetto, il signor Weller trasse il malcapitato nel mezzo della cucina. Chiusa quindi la porta, ne diè la chiave al signor Muzzle il quale con la massima calma se la pose nella tasca della sottoveste e si abbottonò fino alla gola.

— Vedete un po’ il bel caso, se non par fatto a posta, — esclamò Sam. — Figuratevi mo che, nel punto stesso, il mio padrone ha il piacere d’incontrare il vostro in salotto, ed io ho la gioia d’incontrar voi in cucina. Come ve la passate eh? e che buone speranze avete per la faccenda della drogheria? In somma, son proprio contento di vedervi. Che bella cera che ci avete! È una vera consolazione il guardarvi in faccia, non pare anche a voi, signor Muzzle?

— Assolutamente, — disse il signor Muzzle.

— Gli è così allegro, — disse Sam.

— Così brioso, — disse Muzzle.

— È così contento di vederci, capite, questa poi è la più bella fortuna, — aggiunse Sam — Accomodatevi, prego, senza complimenti.

Il signor Trotter si lasciò mettere a sedere sopra una seggiola accanto al focolare. Fissò i suoi occhi piccini prima addosso al signor Weller poi al signor Muzzle, ma non aprì bocca.

— Ebbene, — disse Sam, — alla presenza di queste signore, vorrei proprio domandarvi, così per cavarmi una curiosità se vi credete di essere il più aggraziato e ben educato giovinotto che abbia mai adoperato un fazzoletto rosso e la collezione degli inni num. 4?

— E che doveva impalmare una cuoca, doveva! — aggiunse sdegnosamente questa signora. — Pezzo di birbante.

Orsù, giovanotto, ve lo dirò io il fatto vostro, — proruppe in atto solenne il signor Muzzle, punto dalle due ultime allusioni. — Questa signora qui (e indicò la cuoca) è tutt’una cosa con me; e quando voi, signore, pretendete di venirmi a parlare di metter su con lei una bottega di drogheria, voi mi ingiuriate in uno dei punti più delicati nei quali un uomo possa ingiuriare un altro. Avete inteso, signore?

Qui il signor Muzzle, che aveva una grande idea della propria eloquenza, nella quale cercava d’imitare il suo padrone, si fermò per avere una risposta.

Ma il signor Trotter non rispose, e il signor Muzzle con la medesima solennità riprese a dire:

— È molto probabile, signore, che per vari minuti non s’abbia bisogno di voi lassù, perchè in questo preciso momento il mio padrone è occupato ad aggiustar le sue partite col vostro; e per conseguenza, signor mio, avete tutto il tempo di scambiar due paroline con me. Mi avete inteso adesso, signore?

Il signor Muzzle si fermò di nuovo, aspettando una risposta; e di nuovo il signor Trotter tacque.

— Ebbene, dunque, — disse il signor Muzzle — mi dispiace assai di dovermi spiegare in presenza delle signore, ma l’urgenza del caso mi servirà di scusa. La retrocucina è libera, signore; se volete favorire un momentino, signore, il signor Weller si godrà una bella scena e ci potremo cavare ogni sorta di soddisfazione fino a che non suona la campana. Venite, signore.

E così dicendo, il signor Muzzle fece un passo o due verso la porta; e tanto per non perder tempo, incominciò via facendo a cavarsi il soprabito.

Ma non appena la cuoca ebbe udito le ultime parole di questa sfida disperata e veduto il signor Muzzle in procinto di metterla in atto, mandò uno strillo acutissimo; e slanciandosi addosso al signor Job Trotter, che s’alzò di botto, gli graffiò e schiaffeggiò quel suo viso di luna schiacciata con la energia tutta propria delle femmine irritate; e avvolgendogli quindi le mani nei lunghi capelli, ne strappò tanta quantità da farne cinque o sei dozzine dei più grossi anelli di lutto. Compiuta la quale impresa con tutto l’ardore che il devoto amore per il signor Muzzle le inspirava, indietreggiò barcollando; e poichè era una signora di sentimenti molto eccitabili e delicati, cadde immediatamente sotto la tavola e venne meno.

A questo punto, la campana suonò.

— Ci siamo, Job Trotter, — disse Sam; e prima che il signor Trotter potesse in alcun modo rispondere o rimostrare, prima ancora che avesse tempo di stagnare il sangue delle ferite inflittegli dalla sensibile signora, Sam lo pigliò per un braccio e il signor Muzzle per l’altro; ed uno tirandolo, l’altro spingendolo, lo portarono così su per le scale e fino in salotto.

Qui la scena era solenne. Alfredo Jingle, alias capitano Fitz-Marshall, stava ritto presso la porta col cappello in mano e un sorriso sulla faccia, perfettamente tranquillo nella sua ingrata posizione. Di faccia a lui stava il signor Pickwick, che finiva in quel punto d’inculcare qualche lezione di alta morale, come si vedeva chiaro dalla mano sinistra nascosta sotto le falde del soprabito e la destra levata in aria, sua attitudine speciale quando gli capitava di pronunciare un discorso d’importanza. Poco discosto vedevasi il signor Tupman in atto minaccioso, ma saldamente trattenuto da i due più giovani amici; e in fondo alla camera, chiusi in una cupa grandiosità e in uno stato di soffocata irritazione, il signor Nupkins, la signora Nupkins e la signorina Nupkins.

— Che cosa m’impedisce, — disse il signor Nupkins con magistrale dignità, nel punto che Job veniva spinto dentro, — che cosa m’impedisce di fare arrestare questi due uomini come furfanti e impostori? È una stolta pietà la mia. Che cosa me lo impedisce?

— L’orgoglio, vecchietto mio, l’orgoglio, — rispose Jingle, affatto padrone di sè. — Sarebbe un affaraccio — accalappiato un capitano, eh? — ah, ah! bravissimo — un marito per la bambina — boccone amaro — scandalo — nemmeno per tutto l’oro del mondo — figura infelice — ridicola!

— Briccone! — esclamò la signora Nupkins, — noi disprezziamo le vostre basse insinuazioni.

— Io l’ho sempre odiato, — aggiunse Enrichetta.

— Oh, si capisce, — rispose Jingle. Giovinotto alto — vecchio innamorato — Sidney Porkenham — ricco — benfatto — non tanto ricco però quanto il capitano, eh? — gli dà il ben servito — fuori dell’uscio — tutto pel capitano — non c’è che il capitano - tutte le ragazze ammattite pel capitano — eh, Job, eh?

Qui il signor Jingle rise cordialmente; e Job, fregandosi le mani, mandò fuori il primo suono da che era entrato in casa, — una specie di sordo gorgoglio nella strozza quasi che volesse tenere tutta per sè la soddisfazione della sua risata particolare.

— Signor Nupkins, — disse la signora, Nupkins, — questa non è conversazione alla quale sia conveniente fare assistere la servitù. Fate mandar via questi sciagurati.

— Certo, mia cara, certo, — disse il signor Nupkins. — Muzzle.

— Vostra signoria.

— Aprite la porta di strada.

— Sì, vostra signoria.

— Uscite, — impose il signor Nupkins, agitando maestosamente la mano.

Jingle sorrise e si mosse verso la porta.

— Un momento! — disse il signor Pickwick.

Jingle si fermò.

— Avrei potuto, — disse il signor Pickwick, — prendere una più grave vendetta per l’azione che m’avete fatto voi e cotesto ipocrita del vostro amico.

Qui Job Trotter s’inchinò con gran cortesia, e si pose una mano sul cuore.

— Dico, — riprese il signor Pickwick scaldandosi a poco a poco, — che avrei potuto prendermi una più fiera vendetta; ma mi basta strapparvi la maschera, il che ritengo essere un mio stretto dovere verso la società. È una indulgenza della quale voglio sperare, signore, vi ricorderete.

Quando il signor Pickwick arrivò a questo punto, Job Trotter, con umoristica gravità, si pose una mano dietro l’orecchio, come per non perdere una sillaba delle parole del grand’uomo.

— E debbo aggiungere soltanto, o signore, — disse il signor Pickwick, uscendo a dirittura dai gangheri, — che io vi stimo un furfante e un... uno svergognato... e... e peggio di qualunque uomo io abbia mai conosciuto, eccetto cotesto vagabondo bigotto in livrea violetto.

— Ah, ah! — fece Jingle. — Brav’uomo, Pickwick — cuor d’oro — vecchietto arzillo — non bisogna scaldarsi — fa male, molto male. — Addio, addio — a rivederci un giorno o l’altro — manteniamoci allegri. — Orsù, Job, in marcia.

Così dicendo, il signor Jingle si calcò in capo il cappello alla sgherra ed uscì dalla camera. Job Trotter si fermò, guardò intorno, sorrise, e quindi facendo al signor Pickwick un inchino di burlesca solennità e al signor Weller un ammiccar d’occhi, la cui audacia sfida ogni descrizione, seguì le orme del suo baldanzoso padrone.

— Sam! — chiamò il signor Pickwick vedendo che il signor Weller faceva atto di muoversi.

— Signore.

— State qua.

Il signor Weller sembrò stare in fra due.

— State qua, dico, — ripetette il signor Pickwick;.

— Non potrei dare una spazzatina a quel Job, la, sulla porta del giardino? — domandò il signor Weller.

— Niente affatto, — rispose il signor Pickwick.

— Non potrei un po’ metterlo fuori a calci, signore? `

— Non ci pensate neppure

Per la prima volta da che era entrato al servizio del signor Pickwick, il signor Weller si mostrò un momento di malumore. Ma subito dopo si rasserenò, poichè l’astuto signor Muzzle, appiattatosi dietro la porta di uscita e sbucato fuori ad un tratto, era riuscito con gran destrezza a far capitombolare il signor Jingle e il suo seguace giù per le scale nelle casse degli aloe americani che stavano di sotto.

— Avendo compiuto il mio dovere, — disse il signor Pickwick al signor Nupkins, — mi accomiato da voi in compagnia dei miei amici. Abbiatevi le nostre grazie per la cortese ospitalità e permettetemi di assicurarvi a nome di tutti che non l’avremmo mai accettata nè mai avremmo avuto ricorso a questo mezzo violento per trarci d’impaccio, se un profondo senso del dovere non ce l’avesse imposto. Domani torniamo a Londra. Il vostro segreto rimane sepolto dentro di noi.

Formulata così la sua protesta contro il trattamento del quale la mattina erano stati vittime, il signor Pickwick s’inchinò profondamente alle signore; e resistendo alle vive istanze di tutta la famiglia, lasciò coi suoi amici la camera.

— Prendetevi il cappello, Sam, — disse il signor Pickwick.

— L’ho lasciato giù, signore, — disse Sam; e corse subito a cercarlo.

Ora, in cucina non c’era altri che la graziosa cameriera, e siccome il cappello di Sam era smarrito, ei dovette cercarlo, e la graziosa cameriera gli fece lume. Dovettero guardar da per tutto per quel benedetto cappello; e la graziosa cameriera, nella sua grande ansietà di trovarlo, si chinò e si pose in ginocchio e buttò all’aria tutto quel mucchio di robe che si trovavano in un cantuccio dietro la porta. Era un curioso cantuccio. Non si poteva avvicinarvisi senza aver prima chiusa la porta.

— Eccolo qua, — disse la, graziosa cameriera. — È questo, non è così?

— Lasciatemi vedere, — disse Sam.

La graziosa cameriera avea posato la candela per terra; e siccome la luce che la candela mandava era troppo scura Sam si vide costretto a mettersi in ginocchio anche lui per veder bene da vicino se quello era o non era il suo cappello. Era un cantuccio di una notevole piccolezza, sicchè — la colpa non era che dell’architetto che avea fatto la casa — sicchè Sam e la graziosa cameriera si trovarono necessariamente molto vicini l’uno all’altra.

Sicuro, — disse Sam, — gli è proprio questo. Addio.

— Addio, — disse la graziosa cameriera.

— Addio, — ripetette Sam, e nel dir così, si lasciò cadere il cappello pel quale avea durato tanta fatica.

— Malaccorto che siete! — disse la graziosa cameriera. — Lo tornerete a perdere, se non ci badate:

E così, appunto perchè non lo tornasse a perdere, glielo mise in capo.

Sia che il visino della graziosa cameriera sembrasse ancora più grazioso così alzato verso di Sam, sia che si trovassero molto vicini, non si è mai potuto saper di sicuro, ma certo è che Sam le diede un bacio.

— Non l’avete mica fatto a posta? — disse la graziosa cameriera facendosi rossa.

— No, non l’ho fatto a posta, — rispose Sam, — ma lo fo adesso.

E le diede un secondo bacio.

— Sam! — chiamò di sopra il signor Pickwick.

— Vengo, signore, vengo! — rispose Sam correndo alla chiamata.

— Quanto tempo siete stato! — disse il signor Pickwick.

— C’era non so che cosa dietro la porta, signore, che ci impediva di aprirla, — rispose Sam.

E questo fu il primo capitolo del primo amore del signor Weller.