Il Dio dei viventi/XIII

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Parte XIII

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XII XIV

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Durante la notte la sua mano si gonfiò, prese una forma strana, quasi ridicola.

— Sembra la mano di un prete grasso, — egli pensò, accostandola all’altra ch’era rimasta magra e sottile. — Adesso le donne!

Non gli doleva e quindi non se ne dava pensiero. Ricordava che poco tempo prima una scheggia gli aveva fatto gonfiare un piede; e da ragazzo era abituato a continui guai causati da spine, da sassi, da chiodi; più di una volta aveva ricevuto calci di cavallo senza risentirne gran danno. [p. 59 modifica]

Quella mano gonfia gli dava solo un po’ di noia per l’inquietudine che ne provava la madre; bisognava cercare di nascondergliela; e anche alla serva.

Sebbene fosse appena giorno le donne erano già alzate, e si sentiva il fruscio della scopa e il mormorìo del macinino del caffè. Bellia, che dormiva in una vasta stanza terrena con la finestra verso il cortile, aprì le imposte e vide la serva che spazzava sotto la tettoia davanti alla stalla.

— Rosa — gridò — comincia a mettere la sella al puledro; voglio subito andare fuori, con questa bella giornata.

Nella stalla i cavalli scalpitavano, quasi chiedendo anch’essi di andare presto fuori, con quella bella giornata; ma la ragazza continuò la sua faccenda come se non avesse sentito.

Come fare per nascondere la mano? pensava Bellia; e ricordava di aver tante volte saltato quella finestra per uscir fuori di casa di nascosto della madre.

— Rosa, sei sorda? Hai sentito o no? [p. 60 modifica]Puoi preparare la bisaccia col pane per due pasti.

La ragazza lo guardò di laggiù, dalla penombra della tettoia; ed egli ebbe l’impressione che ella indovinasse il suo pensiero.

Anche la madre uscì nel cortile, col grembiale colmo di orzo che cominciò a spargere alle galline; i suoi occhi un po’ gonfi si rivolgevano alla finestra.

— Bellia, e la mano?

— Ma niente, — egli disse, senza però mostrare la mano. — Dite a Rosa che selli il puledro.

— Il puledro no, il puledro no, figlio mio; lascialo a casa: prendi la cavalla.

Egli accondiscese subito; e Rosa andò a staccare la mansueta cavalla che serviva anche per le donne quando andavano in campagna.

— Il babbo non s’è ancora alzato? — domandò Bellia.

— Adesso porterò su un po’ d’acqua tiepida e gli laverò i piedi, — disse la madre che usava fare quasi ogni giorno [p. 61 modifica]questo lavacro; e lo faceva con affetto, anzi con una specie di religione: poichè l’uomo cammina per il bene della famiglia.

— Adesso lei va su, e Rosa torna a scopare — pensò Bellia, — ed io me la svigno.

Aspettò un momento e sentì la madre salire pesantemente le scale, ch’erano attigue alla sua camera; allora uscì, attraversò furtivo il corridoio, entrò nella cucina.

E subito come un fantasma vide davanti a sè zia Annia; e gli occhi vivi di lei si fermarono sulla mano gonfia.

— Che hai fatto a quella mano?

Il suo accento era di rimprovero, come s’egli si fosse fatto male per colpa sua.

— Ma niente, — disse, nascondendo il dorso della mano contro il fianco, e tentò di uscire nel cortile.

La vecchia lo seguiva come un’ombra.

— Fammi vedere quella mano, Bellia. Bada che è brutta.

Anche la serva sentì; sporse il viso aguzzo. Era finita: bisognava abbandonarsi alle donne. E d’altronde egli ne provò un certo sollievo perchè si accorse [p. 62 modifica]che in fondo anche a lui la cosa dava pensiero.

— Eccovi la mano, — disse rassegnato. — Fatemi fare il ballo di scongiuro come per il morso della tarantola.

La vecchia s’asciugò le mani rugose col grembiale, prima di prendere quella di lui: e la guardò, la volse, la rivolse, toccò con la punta dell’indice i segni rossicci della morsicatura che erano sulla parte carnosa verso il pollice: poi premette il dito qua e là sul dorso gonfio che cedeva alla pressione e tosto si risollevava.

— Ti duole?

— Macchè!

— La mano è brutta. Sta a casa, Bellia, non sforzarla, le faremo un bagno d’aceto.

Quando la madre ridiscese, col catino dove aveva lavato i piedi al marito, vide zia Annia che a sua volta lavava con una pezzuola la mano di Bellia. E depose subito spaventata il catino, mentre il figlio volgeva il viso ridente e diceva:

— È forse la prima volta che mi si lavano le zampe? [p. 63 modifica]

Egli dunque rimase a casa, anche perchè non sapeva dove andare. Sebbene di natura allegra e spensierata, non aveva amici, non pensava ancora all’amore, non aveva vizi nè pretese, gli piaceva solo chiacchierare e scherzare specialmente con le donne, ed era un po’ vanitoso.

Dopo la morte dello zio la certezza di esser l’unico erede di tutta la proprietà Barcai gli riempiva il cuore di gioia, non perchè fosse avido di danaro o pensasse di vivere senza lavorare, ma per la considerazione della gente. Il dubbio che l’eredità fosse iniqua non lo preoccupava e non gl’importava nulla che l’amica o il presunto figlio dello zio gli serbassero rancore; per conto suo egli non odiava nessuno: non odiava, ma neppure amava; in fondo era un po’ insensibile ed egoista.

Si meravigliò che il più ad inquietarsi per l’affare della mano fosse suo padre. Ecco che scendeva dalla sua camera al piano superiore, già col cappottino corto indosso, per il lutto, e in mano una forbice da potare. [p. 64 modifica]

Nel veder Bellia seduto a tavola a far colazione, il suo viso, al solito, si rischiarò; era come se un raggio di sole lo illuminasse, ogni volta che vedeva il figlio; come se la freschezza e la bellezza del giovane si riflettessero sul suo viso torvo.

Ma subito distinse la mano gonfia, che zia Annia aveva giudicato bene di non fasciare, e riprese la sua maschera scura: e cominciò a sgridare Bellia, invece di confortarlo.

— Tu fai le cose sempre di tua testa, come se non abbi un padre nè una madre. Se ieri non inforcavi quella maledetta bestia non ti accadeva nulla: se non avevi fretta di recarti lassù, in quel maledetto luogo, non ti succedeva questo guaio. Ma a te non importa nulla di dar dispiacere ai tuoi, pur di fare il tuo piacere: mentre noi, se occorre rischiamo anche l’inferno per te.

Bellia continuava a mangiare tranquillo, solo abbassava gli occhi per guardare la sua mano, come se i rimproveri del padre fossero rivolti a lei sola.

Per conto suo la mano pareva si [p. 65 modifica]sforzasse a servirlo con premura un po’ goffa, tutta mortificata di essere la causa del male, oggetto di discordia.

— Non ho da dipingere nè da scrivere, anche se sto qualche giorno così, — egli disse finalmente; — e mangiare vedo che mangio senza difficoltà. Se non fate presto a mettervi a tavola non vi lascio nulla.

Ma il padre non aveva voglia di mangiare. Uscì nel cortile e disse sottovoce a Rosa:

— Sta attenta se passa il dottore e chiamalo perchè guardi la mano di Bellia.

Il dottore stava poco distante dalla casa dei Barcai e tutti i giorni lo si vedeva passare e ripassare per le sue visite.

Rosa guardò il padrone negli occhi, coi suoi occhi acuti di donnola, e gli disse anche lei sottovoce, come fossero d’intesa su qualche cosa che non si poteva dire a voce alta:

— Non sarebbe meglio andare a prendere un fazzoletto o un pannolino di quella donna per scongiurare il male?

Sulle prime egli rimase colpito da [p. 66 modifica]queste parole che avevano un accento misterioso, e fu per rispondere di sì; poi s’irritò.

— Va’ al diavolo con le tue credenze; e guarda piuttosto se passa il dottore.

Poi lui stesso fu vinto dall’idea che un po’ di malefizio c’entrasse, nella disgrazia del figlio, e che Lia poteva scongiurarlo.

Bisognava tornare da Lia; non durante la giornata però, per non dare nell’occhio alla gente: se la gente ci vede già tanto di notte e attraverso i muri, figuriamoci di giorno e all’aperto.

Infatti, quando egli più tardi uscì, s’accorse che tutti, anche i monelli della strada, lo seguivano con gli occhi. E gli sguardi di tutti, uomini e donne, gli sembravano i raggi di una lanterna che si proiettavano su di lui per illuminarlo bene fino all’anima: tutti volevano sapere cosa egli pensava, dove andava, che intendeva di fare.

E fra di sè reagiva, imprecava contro il suo prossimo curioso: ma istintivamente cercava di nascondersi e camminava rasente i muri, nell’ombra; a occhi bassi sebbene a testa dritta. [p. 67 modifica]