Il Lago Maggiore, Stresa e le Isole Borromee - Vol. 1/Libro I. Capo XXII

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Libro I. Capo XXII. Tentativi dei Greci per discacciare i Longobardi d'Italia col mezzo dei Franchi

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Libro I. Capo XXII. Tentativi dei Greci per discacciare i Longobardi d'Italia col mezzo dei Franchi
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CAPO XXII.


Tentativi dei Greci per discacciare i Longobardi d'Italia col mezzo dei Franchi.


Alboino però sopravvisse ben poco ai suoi trionfi, ucciso, come si crede, per opera di Rosmunda sua moglie l'anno 573. I Capi de'Longobardi elessero allora re della propria nazione uno dei più distinti per valore del loro corpo per nome Clefi. Ma anche questo l'anno appresso, a cagione della sua brutale ferocia, fu trucidato dai suoi medesimi famigliari. Racconta lo stesso Paolo Diacono come egli avesse fatto perire di spada molti de'potenti Romani ed altri ne avesse cacciati in esiglio fuori d'Italia1.

Dopo la morte di lui, i Duchi Longobardi decisero di non voler più passare all'elezione di un re, e salvo il caso di adunarsi per una causa comune e pei bisogni della nazione, di rimanersi indipendenti l'uno dall'altro nel governo ciascuno della propria città. Ricercano gli eruditi quanti fossero allora questi Duchi, e quali le città della loro residenza. Il citato Paolo Diacono ne enumera 35, o 36 per la diversa lezione, che si ha di quel luogo2. E questa seconda generalmente è la cifra che viene seguita di più3, sebbene non manchino seguaci [p. 149 modifica]al Sigonio, che limitavali a trenta4, e vi sia taluno, che li ristringa ancor più5. Tra le varie città poi governate da un Duca, Paolo Diacono ricorda anche l’Isola, che erroneamente egli chiama di S. Giuliano, in luogo di S. Giulio, che n’è il vero nome6. Però non trovandosi di questo Ducato altre memorie, che lo confermino, l’opinione più comune tra i nostri scrittori è quella, che ritiene, Novara aver dato il nome al Ducato, e solo perchè più forte e meglio difesa, essere stata preferita l’Isola a residenza temporanea del Duca. Di questa sentenza è il Bianchini (l. c. p. 31), il quale trova ora un appoggio nel Cronaco quì sotto citato.

Durarono in questo stato le cose de’ Longobardi un dieci anni, quando una circostanza imperiosa gli obbligò nuovamente a ricorrere all’elezione di un re. Era salito sul trono di Costantinopoli l’anno 582 Maurizio. Desiderando questi di liberare l’Italia dall’oppressione de’ Longobardi, ma privo di esercito pensò di servirsi dell’armi de’ Franchi e perciò in luogo di soldati spedì i suoi legati a Childeberto re di quella nazione colla somma di cinquanta mila scudi d’oro per indurlo a muover [p. 150 modifica]guerra ai Longobardi «Questa aurea eloquenza, dice il Muratori (Annali, a. 584), fece il desiderato colpo.» Perocchè Childeberto si mosse tosto e in persona con poderoso esercito calò in Italia. I Longobardi non osando di venire con lui a battaglia, si appigliarono anch'essi al partito di guadagnarlo coi doni. E narra Gregorio di Tours (l. c. VI, 42), che Childeberto ammansito da questi conchiuse coi Longobardi la pace e ritornossene senza aver nulla operato nelle sue Gallie.

Il pericolo però corso dai Longobardi in questa occasione servì loro di scuola, imparando da essa quanto fosse necessario alla nazione di avere un capo, al quale tutti obbedissero, e perciò vennero in quell'anno stesso nella determinazione di eleggersi un re, che fu Autari figlio di Clefi (V. Paolo Diacono, I. e III, 16 e 17). Nè male si apposero; poichè Maurizio indignato dall'esito della prima spedizione di Childeberto, spedì a lui nuovi messi coll'ordine o di restituire il denaro, o di adempiere la fatta promessa. E Childeberto l'anno seguente (585) spedì nuovamente il suo esercito in Italia contro dei Longobardi; ma sia che i capitani fossero tra loro discordi, sia che trovassero più duro il terreno di quello che si credevano, fatto sta, che ancor questa volta essi tornarono indietro senza aver nulla operato. È lo stesso Gregorio, che ci narra questo (l. c. VIII, 18), non che Paolo Diacono (l. c. III, 22).

Però insistendo sempre Maurizio presso di Childeberto e temendo questi di disgustarlo, un esercito ancora più poderoso di Franchi fè scendere in Italia l'anno 588. Ma questa volta i Longobardi si trovarono pronti a riceverlo. Racconta Gregorio, e sulla fede di lui anche Paolo Diacono, che venute ambe le parti a conflitto i Longobardi fecero de'Franchi tale un macello, che ben pochi poterono salvi recarne in patria la nuova7.

Ciò nonostante non desistendo Maurizio dallo spronar Childeberto a tentar un'ultima prova, e promettendogli questa volta [p. 151 modifica]di spedire esso pure un esercito, che opererebbe di concerto col suo, tanto disse, che finalmente il re si decise di mandare in Italia un esercito ancora più numeroso e capitanato da venti duchi. Questa volta tanto Gregorio di Tours quanto Paolo Diacono ci lasciarono qualche notizia più diffusa e circostanziata, dalla quale possiamo aver qualche lume per l'illustrazione di più luoghi intorno al Lago Maggiore.

Appare dalla narrazione loro che l'esercito dei Franchi venuto ai confini d'Italia si dividesse in tre corpi, l'uno de'quali piegando a destra si diresse alla volta di Milano. Era questo capitanato da Audovaldo, che aveva seco sei duchi; e pose i suoi accampamenti nella pianura a qualche distanza da Milano8. L'altro corpo piegò a sinistra: era capitanato da Cedino, che aveva seco tredici duchi. Gregorio di Tours narra che questi presero cinque castelli, dai quali esigettero anche il giuramento di fedeltà9, e che dopo di aver discorsa l'Italia per tre mesi, vedendo di non poterne trarre alcun profitto, mal conci dalle malattie e dalle intemperie dell'aria, non meno che dalla fame, se ne tornarono alle patrie sedi. Il terzo corpo d'armata, che formava il centro, era guidato da Olo od Olone duca, il quale scese a Bellinzona (Belitio), castello dell'agro Milanese, sito nei campi Canini, ma molto importunamente, perchè ferito nel calor della zuffa dovette soccombere10. I suoi soldati da poi datisi per ogni dove a depredare il circostante paese, vennero [p. 152 modifica]dai Longobardi, che uscendo dai nascondigli piombarono loro addosso improvvisamente, qua e la trucidati. Aggiunge inoltre che v'era nel territorio medesimo della città di Milano uno stagno, che chiamavano Ceresio, dal quale usciva un fiume piccolo, ma profondo, sulle sponde del quale aveano inteso essersi messi a campo i Longobardi, e che essendosi essi accostati al detto fiume, alla opposta riva un Longobardo ritto in piedi, protetto di usbergo e di cimiero e tenente in mano una lunga asta, con gran voce volgendosi all'esercito de'Franchi disse: Oggi si farà manifesto, a chi Iddio sia per concedere la vittoria. Dal che vennero argomentando, che quello fosse il segnale stabilito dai Longobardi. Allora alcuni de'Franchi, passato il fiume, vennero a tenzone col Longobardo e lo gettarono a terra. A tal vista l'esercito de'Longobardi si diede a fuga precipitosa e scomparve; sicchè i Franchi, varcato il fiume per inseguirli, null'altro ebbero a trovare nel campo nemico, che il luogo, dove aveano innalzate le tende e fatto il fuoco: onde anch'essi se ne tornarono ai proprii alloggiamenti11.

Segue poi Gregorio a raccontare che mentre i Franchi se ne stavano cola, giunsero legati da parte dell'Imperatore, che annunziavano essere prossimo l'arrivo di un esercito in loro soccorso e che entro tre giorni n'avrebbero avuto il segnale, [p. 153 modifica]che loro indicavano. Si trattennero quindi in quel luogo ancora sei giorni in aspettazione, senza vedere persona12. Ma Paolo Diacono meglio informato narra che questa legazione era stata diretta da Audovaldo accampato nelle pianure di Milano con egual esito. Niuno però dei due aggiunge parola sulla sorte sì di questo che del corpo precedente.

Venendo ora al particolare della via tenuta da questi tre corpi di armata per calare in Italia, dobbiamo anzi tratto avvertire come la narrazione di Gregorio sia su questo punto assai manca, e come sia in qualche parte supplita da Paolo. Difatti questi parlando di Cedino e dei suoi duchi, ci narra non solo la presa dei cinque castelli, riferita già da Gregorio, ma aggiunge ancora, che obbligati i Franchi, che avevano estesa la loro escursione sino a Piacenza, di retrocedere, giunti a Verona incominciarono tosto, contro la promessa lor fatta, a diroccare que'castelli, che si erano loro resi; e ci dà il nome altresì di quelli distrutti, uno de'quali nell'agro veronese, due in Alsuca (che probabilmente era la Valsugana) e dieci nel territorio di Trento13. Da tutto questo è facile raccogliere, [p. 154 modifica]che i Franchi, i quali già possedevano in questo tempo anche la Rezia, scesero in Italia per l'Alpi Tridentine e che giunti a Trento probabilmente altri si diressero per la Valsugana, ed altri proseguendo per la Valle Lagarina lungo l'Adige sen vennero a Verona, dispergendosi poscia pel Veneto e per le circostanti provincie in cerca de'Longobardi.

Il corpo del centro poi giustamente si argomenta disceso pel Gottardo e la Val Leventina. L'occupazione loro del castello di Bellinzona e del piano di Magadino o dei Campi Canini he colà erano, non ce ne lascia alcun dubbio. Che il Lago poi di Lugano sia il Ceresio siamo certi dalle circostanze testè accennate. Solamente si ricerca dagli eruditi quale sia e come di presente si chiami il fiume, che Gregorio narra uscire dal detto Lago. Il Muratori apertamente confessa essergli ignoto14 mentre altri opinarono che fosse il fiume, che ora si chiama Seveso15; ma erroneamente, perchè questo viene dai monti prossimi a Como e scende direttamente verso Milano e non [p. 155 modifica]esce punto dal Lago di Lugano. Non conoscendosi pertanto altro fiume c'esca dal detto Lago che la Tresa, è da dire che questo, e non altro, è il designato da Gregorio colle parole piccolo e profondo; tale essendo appunto l'emissario del detto Lago. Ciò conosciuto, è facile altresì di vedere, che i luoghi dove si accamparono non lungi da esso i Longobardi ed i Franchi, non possono essere che quelli, ne'quali più tardi sorsero i due paeselli ai lati del Ponte Tresa, l'uno sul territorio Lombardo e l'altro su quello della confederazione Svizzera, spettante all'odierno Cantone Ticino. Finalmente quanto alla via tenuta dal primo corpo dell'armata de'Franchi, a me pare, che possa affermarsi essere stata quella dell'Ossola16, sì per tutto ciò che ci narra il sullodato Gregorio, e sì per l'altra ragione, che accennerò nel capo seguente.

  1. Cleph multos Romanorum viros potentes, alios gladio extinxit, alios ad Italia exturbavit (II, 31).
  2. Post cuius (cioè Clefo) mortem Longobardi per annos decem regem non habentes sub ducibus fuerunt; unusquisque enim ducum suam civitatem obtinebat. Zaban Ticinum, Waillari Bergamum, Alachis Brixiam, Evin Tridentum, Gisulfus Forum Iulii; sed et alii extra hos in suis urbibus triginta duces fuerunt. Così legge il Muratori relegando nelle varianti Alboino duca di Milano, che altri introducono o ritengono nel testo dietro l'autorità del codice preferito. Difatto anche il Sigonio nel luogo che or or citeremo lo ricorda cogli altri duchi nominati da Paolo.
  3. Tra questi è il nostro Balbo nella Storia d'Italia, Losanna, 1848, p. 73. Egli divide l'Italia conquistata dai Longobardi in tre parti, cioè in Austrasia, sita ad oriente, in Neustria, sita all’occidente dell’Adda e di Trebbia, e in Tuscia sita a mezzodì, e stabilisce che ciascuna ne avesse dodici, e reca di molti anche il nome, che stima certo, accennando gli altri siccome incerti.
  4. Vedi il Sigonio, De regno Italiae, lib. 1, p. 22, dell’edizione di Milano, 1732, T. 2. — È probabile che egli abbia preso i triginta duces di Paolo Diacono (l. c.), quale numero complessivo: nel che fu seguito dal Bianchini (l. c.).
  5. Ventotto ne enumera la Cronaca Imaginis Mundi già citata alla pag. 1446. Benchè questo scrittore sia inetto, e per giunta assai tardo, nè vada esente da errori; tuttavia credo di qualche utilità il riferirne le parole per l’uso ch’altri potrebbe farne in questa materia. Mediolanum, Novaria, Vercellae, Taurinum, Cume (Como), Pergami, Brixia, Verona, Tridentum, Bozanum (Bolzano), Trivixia (Treviso), Venetia, quas adhuc ducatum tenet (!), Padua, Mantua, Cremona, Laude, quae tum dicebatur Palaz, Mutina, Regium, Vicetia, Parma, Ferraria, Placentia, Bobium, Dertona, Silvestria, quae postmodum dicta est Aquis (Acqui); Alba et Papia, Brixellae. Hae omnes civitates regebantur per duces.
  6. His diebus Agilulfus rex occidit Minulfum ducem de insula S. Iuliani, eo quod se superiori tempore Francorum ducibus tradidisset.
  7. Tanta strages facta est de Francorum exercitu, quanta nusquam alibi memoratur. Sono parole di Paolo Diacono, l. c. III, 28. — Veggasi Gregorio Turonense, l. c. IX, 25.
  8. Childebertus confestim exercitum in Italiam commoveri iubet, ac viginti duces ad Longobardorum gentem debellandam dirigit ... Appropinquantes autem ad terminum Italiae, Audovaldus cum sex ducibus dexteram petiit atque ad Mediolanum urbem adcenit, ibique eminus in campestria castra posuerunt, Gregorio, l. c. X, 3.
  9. Cedinus autem cum tredecim ducibus laevam Italiae ingressus, quinque castella cepit, a quibus etiam saeramenta exegit. Morbus autem ... Riprenderemo più sotto la narrazione.
  10. Olo autem dux ad Bilitionem huius urbis (Mediolani), castrum, in campis situm Caniais, importune accedens, iaculo sub papillo sauciatus, cecidit et mortuus est. Ivi. — Osserva a questo luogo il Marchese Rovelli al l. c. P. 1, p. 336, che erroneamente Gregorio di Tours attribuisce Bellinzona e il Lago di Lugano, come anco altri Chiavenna, al territorio di Milano, mentre ab immemorabili era ascritto all'agro Comense.
  11. Hi autem, segue sempre Gregorio, cum egressi fuissent in praedam, ut aliquid rietus acquirerent, a Longobardis irruentibus passim per lora prosternebantur. Erut antem stagnum quoddam in ipso Mediolanensis urbis territorio, quod Ceresium, ex quo parvus quidam flavius, sed profundus, egreditur; super huius luci situs Longobardos residere audierant. Ad quem cum appropinquassent, priusquam flumen, quod diximus, transirent, a titore illo unus Longobardorum stans lorica protectus et galea, contum manu gestans, vorem dedit contra Francorum exercitum, dicens: Hodie apparebit, cui divinitas obtinere victoriam praestet. Unde intelligi datur hoc signum sibi Longobardos praeparavisse. Tunc panci transeuntes, contra Longobardum ducem decertantes prostraverunt eum; et ecce omnis exercitus Longobardorum in fugam versus praeteriit. Ili quoque transeuntes flumen nullum de iis reperiunt, nisi tantum recognoscentes apparatum castrorum, ubi vel focos habuorant, vel tentoria fixerant. Cumque nullum de iis deprebendissent ad castra suo regressi sunt.
  12. Ibique, segue nello stesso capo, ad eos imperatoris legati venerunt nuntiantes adesse exercitum eorum, dicentesque: Quia post tridum cum eisdem veniemus, et hoc vobis erit signum: Cum videritis villae huius, quae in monte sita est, domus concremari, et fumum incendii ad coelus usque sustolli, noveritis nos cum exercito, quem pollicemur, adesse. Sed expeciantes iuxia placitum dies sex, nullum ex iis venisse, contemlati sunt. — La stessa cosa narra Paolo Diacono (III, 30), ma riferendo la legazione, come ho di sopra accennato, ad Audualdo (od Aldoaldo, secondo che altri leggono), come ei lo chiama in luogo di Audovaldo, come è detto da Gregorio.
  13. Gioverà anche qui riferire il testo di Paolo Diacono (III, 30): Cedinus autom cum tredecim ducibus laevam Italiae ingressus, quinque castella cepit, a quibus etiam sacramenta exegit. Per Placentiam vero exercitus Francorum usque Veronam venerunt et deposuerunt castra plurima per pacem post sacramenta data, quae se eis tradiderant, nullum ab iis dotum existimantes. Nomina autem castrorum, quas diruerunt in territorio Tridentino ista sunt: Tesana, Maletum, Semiana, Appianum, Fagitana, Cimbra (altri leggono Cumbra), Vitianum, Brentonicum, Volenes, Ennamese et duo in Alsuca et unum in Verona. Hoec omnia castra cum diruta essent a Francis universi ad eis ducti sunt captivi. — Anche qui la narrazione di Paolo Diacono è manca: egli descrive più particolarmente il ritorno dei Franchi dall'Italia nel proprio paese, ed è necessario ricorrere a Gregorio per sapere che cosa abbiano fatto dopo il loro ingresso in Italia. Ripigliamo il brano di Gregorio dal luogo che abbiamo lasciato interrotto: Morbus etiam dysentoriae graciter exercitum afficiebat, eo quod aeres incongrui, insuetique iis hominibus essent, ex quo plerique intevierunt, Commoto autem vento et data pluvia, cum pautisper refrigescere aer carpit, in infirmitate salubritatem contulit. Quid plura? per tres fere menses Italiam pervagontes, cum nihil proficerent, neque se de inimicis ulcisori possent, eo quo ultio fieret, qui se intra Ticinenses munierat muros, infirmatus, ut diximus aerum intemperantia exercitus, ae fame attritus, redire ad propria destinavit. Le cose stesse sono narrate anche da Paolo Diacono, ma in seguito al precedente. Da ciò si scorge con che storici si abbia a che fare in questi tempi, e come per intenderli ci sia mestieri alle volte di essere più presto indovini, che interpreti.
  14. Ecco le sue parole all'anno 500, p. 381 dell'edizione seconda Romana, a. 1786: «Eransi portati i Longobardi lungo le sponde di un Laghetto, da cui esce un fiumicello, a noi ignoto.»
  15. L'Annotatore alle opere del Sigonio alla pag. 45 dell'edizione citata delle sue opere l. c. scrive: Arbitror flucium esse, quem nunc Sevesum vocamus.
  16. Opina il Muratori al l. c. che l'esercito dei Franchi calasse tutto in Italia «dalla parte della Rezia, ossia dei Grigioni, e da quella di Trento ... divisi in varie colonne.» In questo caso dovrebbe dirsi, che anche il corpo di Audovaldo, che tostamente si diresse sopra Milano, sia disceso dal paese de'Grigioni, e che solo di là piegasse a destra d'Italia. Ma se è vero, che egli prima della partenza avesse inferocito, secondo che narra Gregorio, contro di Metz e di là sia venuto nella Sciampagna (commoto Campaniae populo), mi pare che di qua partendo la via più breve per Milano dovesse esser quella per Ginevra e il Valles, e quindi per l'Ossola.