Il Lago Maggiore, Stresa e le Isole Borromee - Vol. 1/Libro II. Capo IV

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Libro II. Capo IV. Del Contado di Seprio in generale e di Canobio in particolare

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Libro II. Capo IV. Del Contado di Seprio in generale e di Canobio in particolare
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CAPO IV.


Del Contado di Seprio in generale e di Canobio in particolare.


L'esistenza all'incontro di questo contado all'epoca de'Carolingi è indubitata per la testimonianza di più carte che ancor ci rimangono. Dalla descrizione che ne abbiamo data colle [p. 206 modifica]parole stesse del Giulini, si rileva che nel XII secolo, secondo lui, si estendeva lungo il Lago Maggiore dal lato orientale sopra Ispra che spettava al contado di Stazona, da Brebbia sino a Macagno Imperiale, e al di qua dal lato occidentale comprendeva la pieve di Cannobio con Canero e Oggiono. Dico secondo lui, riservandomi di fare in appresso qualche eccezione.

Suo capoluogo era Seprio, che da molti si crede così chiamato dagli Insubri, quasi subrium, accorciato da Insubrium, de'quali era vico principale (vicus Insubrium). Di qua la sua posteriore denominazione di Sibrium appresso l'Anonimo Ravennate (p. 252 dell'ediz. cit.) e di Sibrie presso Guidone (ivi p. 458) che lo qualificano per città (civitas). E come tale di fatto apparisce ancora al principio del IX secolo in una carta dell'anno 807 presso il Giulini (P. I, p. 93), il quale dimenticatosi forse dell'autorità dell'Anonimo, a torto accusa di errore il notaio Bresciano, che stese questo documento e fors'anco in altra più antica dell'804 secondo che il Muratori leggeva, contradetto per questo dal Giulini (l. c.), il quale lesse castrum il luogo di civitas Sebriensis, come è chiamato sicuramente nella prima con ortografia vicinissima al Sibrium del Ravennate. La qual cosa ci mostra l'importanza di questo luogo nell'epoca presente e molto più nell'antica, potendosi dire di esso ciò che abbiamo detto e ripeteremo più sotto della città di Stazona ossia Angera, non disconoscendo tuttavia l'antica sua denominazione di vico, che gli venne si nuovo attribuita in una carta dell'879, nella quale è così chiamato1, senza sottoscrivere all'osservazione del Giulini (ivi, pag. 398): tanto è vero, che Seprio non era città, perchè in questo tempo forse era di molto decaduto dal suo antico splendore.

Più tardi però dovette di bel nuovo risorgere, ma non col titolo di città, sibbene con quello di castello, appunto dal castro, che vi fu edificato; laonde più comunemente fu nominato Castel Seprio2 [p. 207 modifica]intestine, che travagliarono la Lombardia specialmente nei secoli XII e XIII, nel quale ultimo avendo i Sepriesi parteggiato pei Torriani contro i Visconti, fu dall'Arcivescovo Ottone di questa famiglia, il quale nella lotta riuscì vincitore, fatto distruggere. Si conserva ancora il decreto firmato da Rodolfo re d'Italia l'anno 1287, pel quale fu stabilito che castrum Seprium detruatur et destructum perpetuo teneatur (V. Brmbilla l. c. Vil. II, pag. 213). Distrutto non più risorse, ed appena oggidì se ne potrebbe riconoscere il sito dove giaceva, se non ce lo additasse il nome del villaggio, che a poca distanza gli fu sostituito, chiamato Vico Seprio non lungi dalla grossa terra di Gallarate. La sua fama però dura tuttavia nelle molte memorie che di lui ci rimasero, delle quali però non devo nè posso occuparmi, se non per quel tanto, che spetta a quella parte del suo territorio, che giace sulle sponde del Lago Maggiore.

L'estensione del suo contado era in antico assai ampia, rilevandosi da una pergamena dell'anno 777, ch'è la più antica memoria, che si ha di esso (è dell'8 maggio e spetta a certo Totone ììde loco qui dicitur Campilionis, finis Sepriensis, come legge il Giulini P. I, pag. 11), e da molte altre sino all'865, come scrive il Brambilla (l. c. pag. 207), che sino dalla prima sua istituzione comprendeva Mendrisio, Rancate, Balerra e Campiono sul Lago di Lugano.

Sembra però che il Giulini ne abbia ampliato nel secolo XII i limiti più di quello, che conveniva, giacchè egli stesso poscia ne li restringe asserendo, non senza contraddizione, che nell'anno 1185 (P. VII, pag. 16 e segg.), come si ha da un Diploma dell'Imp. Federico all'Arcivescovo di Milano, la Tresa costituiva il confine di questo contado, rimanendo esclusa da esso la pieve di Canobio posta al di qua del Lago Maggiore. «Certamente, egli scrive (l. c. pag. 19), nei tempi più antichi anche Canobio era nella Pieve (voleva dire, non ha dubbio, [p. 208 modifica]nel Contado) di Seprio, ed io ne ho già altrove addotte le prove; e serve anche a confermarlo il vedere che la Pieve di Canobio sola su la riva Occidentale del Lago Maggiore è soggetta al nostro Arcivescovo. Se poi quella Pieve seguitasse tuttavia ad essere nel contado di Seprio, o fosse stata trasportata nel contado di Stazona, a cui appartiene tutto il restante della sopradetta riva Occidentale di quel Lago, io non so ben determinarlo.»

Ma a dire il vero io dubito grandemente, che Canobio sia stato anche in antico compreso nel contado di Seprio, nè l'essere la sua Pieve soggetta all'Arcivescovo di Milano è argomento valevole in suo favore, perchè ognuno conosce, e lo ha osservato anche altrove egli stesso, quanto abbiano variato col processo del tempo le circoscrizioni ecclesiastiche. Gioverà frattanto riferire i limiti di questo contado secondo il detto Diploma di Federico, prima di esporre gli argomenti, dai quali deduco, che Canobio non ha mai appartenuto ad esso.

Premetto l'enumerazione che si ha dei contadi del territorio Milanese nel detto diploma: Concedimus, dice l'Imperatore, Mediolanensibus omnia regalia, quae Imperium habet in archiepiscopatu Mediolanensi, sive in comitatibus Seprii, Martesanae, Burgariae, Leucensi, Stationae, vel in aliis comitatibus et locis extra Comitatibus, ubicumque sint in aqua et terra. Tra i contadi qui non nominati si deve inchiudere, soggiunge il Giulini, quello della Bezana, e sta bene. Il Diploma poi non indica i confini di tutti questi contadi e solo accenna quelli del Seprio, che sono così descritti: A lacu maiori sicut pergit flumen Ticini usque ad Padrinianum et a Padriniano usque Cerrum de Parabiago er a Parabiago usque Caronnum et a Caronno usque ad flumen Sevisi et a Seviso usque ad flumen Tresae et sicut Tresa refluit in precedicto lacu Maiori.

Incominciando dunque dall'uscita del Ticino dal Lago Maggiore il contado di Seprio si estendeva lungo il medesimo Ticino sino a Padriniano, ora Padregnano sotto Turbigo; di là sino a Cerro di Parabiago oltre l'Olona, indi a Caronno e al Seviso e da questo alla Tresa dalla sua uscita dal Lago di Lugano sino al suo ingresso nel Lago Maggiore. [p. 209 modifica]Da ciò si vede quanto fossero ristretti i limiti del contado di Seprio verso la fine del secolo XII, dovendosi inoltre escludere dal tratto sopra descritto anche quella parte che spettava al contado di Stazona menzionato in questo stesso Diploma, che da Sesto Calende saliva sino ad Ispra e di più anche Luino alla destra della Tresa e Macagno, da lui inchiusi nella Pieve di Val Travaglia. Confesso poi di non comprendere come avendo scelto il secolo XII per la descrizione dei suoi contadi, abbia in onta ai limiti stabiliti in questo Diploma seguitato ad inchiudere anche Canobio al di qua del Lago nel contado di Seprio, al quale certo in quel secolo non poteva più appartenere, almeno dopo l'anno 1185.

Ma esso, soggiungerò qui, non appartenne al detto contado nè anco innanzi a questo tempo, e ne recherò gli argomenti. Questi in parte sono dedotti dalla confusione che fu fatta del nostro Canobio con quello non lungi dal Lago di Lugano sulla via che questo pel monte Cenere conduce a Bellinzona e in parte dal tenore delle stesse carte, che fanno menzione dell'uno e dell'altro.

La prima carta che allega il Giulini stesso (P. I, pag. 266 e segg.) del febbraio dell'857 per dimostrare Canobio soggetto al comitato di Seprio, e che fu pubblicata intera nel Codice diplomatico già citato sotto il n.º CC, è un istrumento di vendita fatta da certo Angelberto chierico del vico di Canobio del contado di Seprio (Angelbertus clericus de vico Canobio finibus sepriensis), di alcune sue case e fondi siti in quel territorio ad altro chierico chiamato Adelberto dimorante nel vico Algiate (Adelbertus clericus comanente in vico Algiate), Questo strumento si dice fatto in Ronco nella casa di Odelberto (che forse è lo stesso che Adelberto scritto alquanto diversamente): Acto Runci casa Odelberti feliciter3. [p. 210 modifica]Ma il Giulini non conobbe altra carta dell'anno 863, che fu pubblicata recentemente nel Codice suddetto al n.º CCXXVII. dalla quale risulta che il medesimo Angelberto, ora prete, dona tutti i suoi beni, ch'erano in Canobio4 a Pietro abate del Monastero di S. Ambrogio di Milano a condizione di avere da esso gli alimenti, la qual cosa gli è conceduta colle seguenti parole: Concedimus tibi diebus vita tue, ut abeas victum de cella fratris (così) Monachi, qui inibi abitacerint. Ora noi sappiamo, che Campeliono o Campiono, come oggi si chiama, posto alla sponda Orientale del Lago di Lugano, spettava realmente al contado di Seprio sino dai primordii della sua costituzione, come abbiamo veduto. Dicendosi pertanto, che Angelberto prete del vico di Canobio poteva prendere gli alimenti o dalla cella di Campiano, o dalla corte di Canobio, c'pare, che non dovesse poi esservi tanta distanza dall'uno all'altro di questi due luoghi; altramente non si potrebbe comprendere così facilmente, come si potesse, essendo Angilberto del vico di Canobio, accordargli di prendere il vitto a suo piacimento o dall'uno o dall'altro di questi due luoghi, dove s'intendesse di parlare di Canobio sulla sponda del nostro Lago.

A ciò si aggiunga che l'abate di S. Ambrogio di Milano era ancora nell'anno 1148 in possesso di questi beni in Canobio e in Campione; poichè da una carta di quest'anno si ricava che l'Arcivescovo di Milano non solo glieli conferma, ma di più ancora gli conferma e concede il giuspatronato sulla [p. 211 modifica]Chiesa di S. Siro di Canobio, che ivi espressamente è nominata, come ne attesta lo stesso Giulini (P. V, pag. 475), il quale tutto al nostro proposito soggiunge: «Qui a mio credere non si tratta di Canobio sul Lago Maggiore, ma di una terra di simil nome vicino a Campione.» Pertanto se è sempre il medesimo monastero di Milano il possessore di questi beni in amendue questi luoghi, ogni ragion vuole, che nelle carte, nelle quali vengono ricordati, si deva intenderli sempre esistenti nel medesimo luogo e non nell'una attribuirsi al Canobio sul Lago Maggiore e nell'altra al Canobio presso quello di Lugano. Fu dunque la confusione, che di questi due luoghi si fece, la precipua cagione, per cui il nostro Canobio fu ascritto colla sua Pieve in antico al contado di Seprio; confusione che indusse poscia il Giulini a dubitare di se stesso, e a dichiarare di non saper comprendere come quel Canobio, ch'egli un tempo aveva inchiuso nella giurisdizione di Seprio, fosse poi passato a formar parte del contado di Stazona.

Ma la cosa riuscirà ancor più manifesta se si consideri il modo diverso, col quale è indicato il Canobio posto sul Lago Maggiore. Già abbiamo veduto di sopra che un certo conte Sansone per testimonianza della Cronaca della Novalesa possedeva in questo luogo una corte o curia, ch'egli donò all'abazia di S. Pietro di Breme5: detulit curiam unam, qua servatur MOS REGIUS, nomine Cannobius, con quel che segue (alla pag. 28 nota 1). Da queste parole, mos regius, se non erro, mi par si possa argomentare della condizione primitiva di Canobio, che dovette essere patrimonio regio, e come tale passato [p. 212 modifica]in potere di questo conte, che potendone disporre liberamente il concesse al Monastero di Breme, rimanendo tuttavia in uso appo esso la consuetudine regia. Apprendiamo poi ora da una carta del 19 novembre dell'anno 929 pubblicata nel Codice Diplomatico suddetto, che esso conte Sansone e sua moglie Liulkarda possedevano ancora altri beni nel luogo di Canobio, cioè sola una super lacum magiore (così), locus qui nominatur Canobio, cum Kastras inibi constructas, cum servos et ancillas, aldiones et aldionas ad ipsas cortes pertinentibus. Esso conte poi si qualifica, comes sacri palatii, qui professus sum ex nacione mea legem vivere Saliham, cioè per francese nel suo officio di conte del sacro palazzo, residente in Pavia, dove anche fu firmato il contratto. Il nostro Canobio poi ci apparisce così fino dai primordii del X secolo munito di più castelli, e quindi luogo assai fortificato e degnissimo di ogni considerazione.

L'importanza inoltre di questo luogo si mantenne tale nei secoli successivi, nei quali la storia di Canobio acquista maggior luce. Si ha da un'altra carta del 1º settembre 1209 pubblicata nei Monumenti citati di Storia Patria (Chartor, T. 2, p. 1254), che l'abate del Monastero di Breme aveva costituito dai beni da esso posseduti in Canobio un priorato, del quale egli investe come feudo i fratelli Mandelli. L'istromento si dice actum in burgo Canobio; laonde acquistiamo anche la notizia, che Canobio in quel tempo era borgo. Si ha poi dalla Cronaca di Piacenza citata dal Giulini (P. VII, pag. 369) che la famiglia da MandelloFonte/commento: 574 era difatti l'anno 1221 padrona di Canobio. È inoltre sommamente probabile che il priorato ricordato di sopra sia quel monastero, che Gotofredo da Bussero registra tra gli esistenti nella Diocesi di Milano nel suo Catalogo appresso il Giulini (P. VIII, pag. 412) all'anno 1288 col titolo de S. Eusebio in plebe Canobii.

Da tutto questo pertanto mi par evidente la distinzione del nostro Canobio sul Lago Maggiore da quello di egual nome presso il Lago di Lugano; specialmente se si consideri la contemporaneità del loro possesso, l'uno da parte del Monastero di S. Ambrogio di Milano e l'altro da quella del Monastero di [p. 213 modifica]S. Pietro di Breme; per la qual cosa ne giova nuovamente conchiudere, che la sola confusione fatta di questo con quello fece sì che il nostro abbia potuto attribuirsi al Contado di Seprio, al quale non credo abbia mai appertenuto. Con questo noi abbiamo potuto eziandio rettificare e meglio circoscrivere i limiti di esso Contato alla sola sponda Orientale del Lago Maggiore. Veniamo ora a parlare del Contado di Stazona.

  1. Venerunt Petrus de VICO Seprio et Ildeprandus etc.
  2. In una carta del 28 luglio 1260 pubblicata nei citati Monumenti di Storia Patria (Chartorum I, p. 1466) è ricordato un Guilielmus comes de castro Seprio. In altra carta del 1023 è ricordato pure un Rodolfo conte di Seprio, che il Giulini (ivi P. III, pag. 174) crede succeduto a Sigifredo conte, il quale ne sarebbe stato privato da Arrigo II Imperatore in causa della sua ribellione, quale fautore di re Ardoino.
  3. Nella supposizione che si trattasse del Canobio sul Lago Maggiore, questo Ronco fu interpretato da alcuni pel Ronco di Ascona; ma è da dire, che questo è nome frequentissimo di più luoghi in codeste parti e che non manca pure un Ronco anche non molto discosto dal Canobio presso il Lago di Lugano.
  4. Da un'altra carta poi dell'anno seguente 864 del 24 gennaro pubblicata ivi stesso n.º CCXXVIII, e dalla quale si trae che il detto abate Pietro entra in possesso di quei beni, si rileva pure, che i beni del prete Angelberto erano posti in vico et fundo Canobio, cioè parte nel vico (le case) e parte nel fondo (altri beni). Il Giulini sita anche questa carta (P. I, pag. 290) ma erroneamente legge in vico burgo Canobio in luogo di vico et fundo, col qual secondo modo egualmente è chiamato ancora in altra carta del mese di aprile dell'anno 870 pubblicata ivi stesso sotto il n.º CCXLVII, la quale contiene la donazione fatta da Amatrico Mediolani Vicecomite, figlio di Walderico vicecomes eiusitem civitatis di alcuni beni e case poste in vico et fundo Canobio.
  5. A maggior intelligenza di questi fatti noterò, che al principio dell'XI secolo i monaci della Novalesa essendo stati dispersi furono da Adelberto I marchese d'Ivrea qualche anno dopo il 906 nuovamente riuniti e raccolti nel monastero di S. Pietro di Breme (Bremetum) posto nella Lomellina, come ne attesta il Durando nella sua opera: della Marca d'Ivrea, Torino, 1804, pag. 91. In questo monastero poi il Conte Sansone, cir, come scrive la Cronaca citata, praectarus cictate, illustris prosapiae antiquae gentis, vestì l'abito monacale, e pose fine santamente alla propria vita nella prima metà del X secolo.