Il Lago Maggiore, Stresa e le Isole Borromee - Vol. 1/Libro II. Capo XL

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Libro II. Capo XL. Periodo V. Della dominazione dei Visconti (1277-1447) – di Ottone e di Matteo Visconti, detto il Magno, fondatori della potenza di questa casa

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Libro II. Capo XL. Periodo V. Della dominazione dei Visconti (1277-1447) – di Ottone e di Matteo Visconti, detto il Magno, fondatori della potenza di questa casa
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CAPO XL.


Periodo V.


Della dominazione dei Visconti (1277-1447) — di Ottone e di Matteo Visconti, detto il Magno, fondatori della potenza di questa casa.


Le discordie cittadine tra il popolo e i nobili finiscono, come suole quasi sempre accedere, non solo colla perdita della libertà comune, ma e colla servitù di entrambi i partiti per opera di quello che più fortunato nella lotta giunge a capo d'imporsi loro. I Visconti dopo la vittoria di Desio rimasero soli in Milano signori del campo e diedero principio ad una nuova era nella storia della Lombardia.

Ottone fece il giorno appresso, 22 gennaro, il suo solenne ingresso in città con a fianco il valoroso Simone da Locarno, e vi fu accolto con dimostrazioni sincere di giubilo da tutto il popolo, che lo acclamò Signore perpetuo di Milano. Primo pensiero dell'arcivescovo fu quello di consacrare in segno di grato animo alla memoria dei posteri il giorno della sua vittoria sacro alla vergine e martire S. Agnese, ordinando che fosse quinci innanzi ogni anno osservato con particolare festiva commemorazione. Di poi concesse la vita e la libertà a molti de'suoi nemici e non solo perdonò a tutti, ma insieme diede opera a che fosse impedito che alcuno de'nobili milanesi prendesse vendetta de'suoi avversari. Egli si rese regno con ciò del conseguito trionfo, veramente ammirabile così nella prospera come nell'avversa fortuna non tanto per la fortezza d'animo, quanto per la clemenza. [p. 452 modifica]La storia del nostro Lago durante questo periodo della signoria de'Visconti è in gran parte connessa con quella di questo illustre casato: e perciò reputo necessario di seguire in questo un ordine diverso da quello de'precedenti periodi procedendo quindi innanzi di pari passo nella narrazione de'fatti relativi a questa famiglia con quelli che riguardano le nostre sponde, solo interrompendone di tratto in tratto la serie per dar luogo ad alcuni fatti particolari, che non potrebbero riferirsi altrove senza alterarne l'importanza loro nella ragione de'tempi.

L'arcivescovo Ottone non solo colle parole, ma ben'anco coi fatti volle manifestare la sua gratitudine verso coloro che gli furono larghi di consigli e di aiuti, in modo particolare verso Simone da Locarno, a favore del quale volle istituire espressamente una nuova carica e con assegno ad essa corrispondente, eleggendolo Capitano del popolo, cioè a dire comandante supremo di tutte le milizie. Con questa nuova restò abolita l'antica di anziano del popolo in uso sin qui. Vi aggiunse inoltre l'altro onorevole incarico di riformare gli Statuti insieme col podestà di Milano, che era allora Rizzardo di Langosco conte palatino di Lomello; dal che può dedursi essere stato Simone in reputazione di uomo non meno prode di mano che valente pel senno civile1.

Terminato l'anno, Simone fu confermato capitano del popolo per altri tre successivi, ed ebbe parte nella prova, che ritenevano i della Torre contro di Ottone. Tuttochè questi fossero già stremati di forze e grandemente abbattuti di [p. 453 modifica]spirito, non si tenevano ancora perduti. Adunata pertanto quanta gente poterono, improvvisamente con essa entrarono nel maggio del 1278 in Lodi. L'arcivescovo mandò loro incontro Simone: ma nella battaglia campale datasi nelle pianure di Melegnano, i Milanesi furono battuti ed Ottone fu obbligato a rinchiudersi in Milano, mentre i suoi nemici si diffondevano per la campagna e s'impadronivano dei castelli e dei borghi. Costretto dalla necessità ricorse suo malgrado al Marchese di Monferrato. Questi accettò, e venne tosto in Milano; ma i patti quivi proposti non parvero a lui convenevoli e se ne partì; sicchè l'arcivescovo si trovò contro i Torriani solo alla prese presso Gorgonzola, e poco mancò che nel combattimento non rimanesse prigioniero. Ricorse quindi di nuovo al detto marchese acconsentendo questa volta ai patti che gli dettava. Tornò in Milano il marchese e propose ai Torriani la pace; ma le condizioni non piacquero e la guerra fu continuata, e colla peggio questa stata dei Torriani, i quali rimasero sconfitti dai milanesi nel maggio del 1281, se non completamente, certo in modo tale che per molto tempo non più poterono alzar la testa.

Compiuto ch'ebbe Simone il trienno del suo capitanato, si tolse di Milano e si portò in Como, dove dopo varie quando tristi, quando liete vicende2, carico d'anni e di onori, venne [p. 454 modifica]a morte nel 1286. Ebbe magnifica tomba in una apposita cappella della Chiesa di S. Abbondio, entro un’arca di pietra viva, sulla quale gli fu poscia innalzata una grandiosa statua equestre in marmo. Questa statua, come attesta il Ballarini nelle sue Cronache, si vedeva ancora nel 1564, dopo il qual’anno venne tolta di là. Il suo nome però rimarrà sempre riverito tra i più illustri cittadini, che onorarono la sua patria Locarno.

Frattanto l’arcivescovo Ottone conchiuse l’anno 1282 la pace anche colle città di Cremona, di Piacenza e di Brescia, dopo la quale studiò il modo di disfarsi di quell’amico pericoloso ch’era il marchese di Monferrato.

Approfittò poi dei momenti di pace per far ristorare i castelli di Arona e di Angera stati rovinati dai Torriani: non che la rocca di Germignaga, prepositura in quest’epoca di tutta la Val Travaglia. È famoso nella rocca di Angera un pozzo profondissimo, che vi si ammira tuttora, e dà acqua potabile e perenne. Viene comunemente chiamato il pozzo di Rolando; è però incerto in che tempo sia stato edificato, perchè incerta è pure l’età e il casato di esso Rolando. V’ha chi lo ritiene di nazione longobarda e primo fondatore di questa rocca, mentre altri lo fanno della famiglia stessa de’ [p. 455 modifica]Visconti. In questo caso esso pozzo non potrebbe essere più antico della dominazione stessa dei Visconti in Milano3.

Ma la pace in quei dì era foriera di nuove guerre e la discordia col marchese di Monferrato proruppe in breve in aperta ostilità. Fu in questa occasione che l'arcivescovo elesse capitano del suo esercito il pronipote Matteo, il quale scacciò dalle terre dei Milanesi i Comaschi alleati del marchese. Queste vittorie gli guadagnarono la stima sì del popolo che dei nobili e gli apersero la via al principato. Frattanto fu di nuovo nel 1286 conchiusa la pace, nella quale furono compresi non solo il marchese di Monferrato, ma anche i Torriani, se avessero voluto accettarla4. L'anno appresso (1287) Ottone con uno stratagemma s'impadronì di Castel Seprio e lo fece distruggere con ordine che non fosse più riedificato5.

Egli però cominciava a sentire il peso degli anni e del governo, e pensò di sgravarsi di questo secondo cedendolo al suddetto Matteo6, ch'ei già conosceva quanto fosse bene accetto ad ognuno. Pertanto per avviarlo al potere lo fece eleggere l'anno 1287 capitano effettivo del popolo di Milano con facoltà eziandio di emendare i pubblici statuti. Contava allora Matteo 37 anni di età. L'anno appresso fu nominato podestà e nel 1289 di nuovo capitano del popolo per cinque anni. Finalmente Adolfo di Nassau re de'Romani lo creò nel 1294 vicario imperiale di tutta la Lombardia con mero e misto impero ingiungendo a tutti i principi, rettori e comunità della medesima di prestargli obbedienza come alla sua stessa reale persona, e lo fece ad un tempo confermare capitano del popolo per altri cinque anni. [p. 456 modifica]Matteo era dunque bene avviato, quando Ottone il 9 agosto dell'anno 1295 venne a morte nella grave età di 85 anni. Notano gli scrittori che Milano sotto di lui crebbe assai in ricchezze ed in nobiltà.

Matteo trovatosi così solo al potere si diede a studiare ogni mezzo per conservarlo. Procurò anzi tutto di essere confermato nel vicariato della Lombardia dall'imperatore Alberto, e di far eleggere capitano del popolo in sua vece l'anno 1300 il proprio figlio Galeazzo, il quale venne poi confermato anche per l'anno appresso. Però gli antichi avversari non dormivano: vinti e battuti le tante volte, ma non per anco domati, alzarono nuovamente il capo, e questa volta con frutto, poichè riuscirono ad aver seco nel proprio partito molti nobili milanesi e persino un Pietro Visconte, che da alcuni è detto fratello di suo padre, da altri zio, e parecchi altri suoi parenti, uniti occultamente ai Torriani. Questi nel 1302 innalzarono pubblicamente il vessillo della rivolta, che riuscì funesta a Matteo. Vinto dovette cedere il capitanato del popolo e ritirarsi a Piacenza, e Galeazzo suo figlio rifugiarsi presso il marchese d'Este suo cognato. Tentò Matteo l'anno appresso (1303) col mezzo de'Rusconi d'impadronirsi di Como: ma fu interamente battuto dai Torriani, e dovette prendere una seconda volta la via dell'esiglio.

Frattanto venne in Italia l'imperatore Arrigo VII. Matteo ebbe mezzo di avere con esso un abboccamento e fu per opera di esso imperatore che si stipulò in Asti il 7 dicembre del 1310, un trattato di concordia tra i Torriani e i Visconti, in forza del quale Matteo fu obbligato di rinunciare per sempre al capitanato di Milano. Ma una congiura de'Torriani, alla quale aveva preso parte Galeazzo suo figlio, non insciente, a quanto pare, lo stesso Matteo, a tempo scoperta, gli aperse di bel nuovo l'adito ad essere una seconda volta costituito Vicario imperiale di tutta la Lombardia, titolo che Matteo ritenne e conservò sino alla morte di Arrigo VII, che seguì fra due anni. Egli allora lo mutò in quello di Signor generale della città e contado di Milano: e fu per tal modo che il dominio de'Visconti venne stabilito in perpetuo nei suoi discendenti. [p. 457 modifica]Visse ancora Matteo alcuni anni, quando sentendosi omai venir meno le forze pensò di cedere la signoria di Milano a suo figlio Galeazzo e di ritirarsi a far penitenza de'suoi delitti nel monastero di Crescenzago presso Milano, dove il 22 giugno dell'anno 1322 venne a morte nella tarda età di anni settantadue. I posteri gli attribuirono il titolo di Magno per l'arditezza delle sue imprese, e per l'esito fortunato, del quale in parte furono coronate.

  1. Non dimenticò Ottone nè anco i fratelli Uberto e Giovanni del Sasso, sunnominati, e li creò cittadini di Milano con tutti i loro discendenti l'anno stesso del suo ingresso in questa città col privilegio eziandio di portare nel loro stemma gentilizio la biscia, ch'era l'impresa degli stessi Visconti, ad eccezione del fanciullo. — Esiste tra i sacri arredi della Collegiata di S. Vittor di Canobio un calice di argento di forma assai antica, collo stemma dei Visconti, e colla seguente iscrizione incisa nel piede: Dom. presbytero Bernardino de Saxo. È molto probabile, che esso sia un dono fatto dallo stesso Ottone a questo sacerdote, dal quale sia poi passato ad arredare la detta chiesa.
  2. Le descrivo in questo luogo colle parole del Nessi a compimento delle memorie già date di lui, ed anche per evitare altrove una inutile repetizione. «Ultimato, scrive egli (l. c. pag. 69), Simone il triennio del suo Capitanato, erasi ridotto in recesso pacifico a Como, quando nel 1282 riaccesasi la guerra fra le redivive fazioni de'Ghibellini e de'Gualfi, venne spinto a rimettersi con Luterio Rusca alla testa dei primi. Si combattè di bel nuovo colla peggio dei Guelfi: il Vescovo loro capo fu espulso dalla città, ne fù incendiato il palazzo e moltissimi cittadini dovettero andar raminghi. Se non che nel mentre che Simone poscia avvisavasi di goder tranquillo i frutti della vittoria, trovò un nemico in Luterio Rusca medesimo, che avendo preso parte pel marchese di Monferrato, opposto all'arcivescovo Ottone, di disgiunse dal Muralti che fido a lui si serbava. Si frettamente si corrucciavano tra loro, che Simone pigliò il partito di torsi nel 1284 momentaneamente da Como. Ma indi validamente soccorso da Ottone, mosse una guerra fierissima al Rusca e col sussidio di 150 cavalieri prese nel novembre dell’anno stesso Lugano, Locarno e Bellinzona, borghi principali, scrive il Tatti, e di moltissima conseguenza, che prestarono ubbidienza a Luterio. L’Arcivescovo stesso nel dicembre seguente mosse personalmente in aiuto di Simone ed al 24 di quel mese entrò con Simone e con un grosso corpo di truppe in Cantù, da dove mise in soggezione il nemico. Poscia Matteo Visconti nipote (leggi pronipote) dell’arcivescovo unitosi anch’esso a Simone, a Giovanni da Lucino ed a varii esuli Comaschi, occuparono insiememente Varese ad impedire i trasporti delle vettovaglie presso gli avversari rinchiusi in Castelseprio. Finalmente ai primi di aprile 1286 nelle lande tra Lomazzo e Rovello segnata una generale pace fra le contendenti parti, e intervenutovi Ottone in persona ed i legati di sei città Lombarde, Simone reduce novellamente a Como, ivi carico di anni e di onori terminò qui la vita, che l’immanità ed il furore di molteplici nemici non gli aveano potuto rapire, glorioso, dice il Tatti ed immortale alla posterità.»
  3. Vedi il Morigia presso il Brambillaloc. cit. Vol. 2, pag. 273.
  4. Vedi la nota penultima, che a questa precede.
  5. Vedi sopra pag. 206 e seg.
  6. Vi ha questione tra gli scrittori sul luogo della sua nascita. Altri lo vogliono di Massino, altri d'Invorio. Per questo secondo stanno i migliori e più accreditati scrittori, in specie per la circostanza avvertita dall'Azario, che scrive che nella notte, nella quale esso nacque muggirono nelle stalle tutti gli animali: questa circostanza non sembra che potesse verificarsi allora che per Invorio, come osserva il Giulini.