Sonetto XXXIII
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29 dicembre 2020
75%
Da definire
<dc:title> Il Misogallo </dc:title>
<dc:creator opt:role="aut">Vittorio Alfieri</dc:creator>
<dc:date>1789-1798</dc:date>
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Il Misogallo - Sonetto XXXIII Vittorio AlfieriGli epigrammi le satire, il Misogallo di Vittorio Alfieri (1903).djvu
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L’Attica, il Lazio, indi l’Etruria, diero
In lor varie flessibili favelle
Prove a migliaia, ch’ogni cosa è in elle,
E il forte, e il dolce, e il maestoso, e il vero.
Tarde poi, sotto ammanto ispido fero,
Sorser l’altre Europee genti novelle,
Stridendo in rime a inerme orecchio felle,
E inceppate in pedestre sermon mero.
Ciò disser, carmi; e chi ’l credea, n’è degno.
Nè bastò; ch’essi, audacemente inetti,
Osaro anco schernir l’Italo ingegno.
Di tai loro barbarici bei detti
Vendicator, d’ira laudevol pregno,
Giungo, securo dall’avelli io letti.1
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Note
- ↑ E, leggendoli, trovatili tali, da non mi far paura nessuna; che se i loro Epigrammatisti hanno pure per intero i trentadue denti, io me ne sento in bocca sessantaquattro tutti frementi, senza però emettere mordendo una voce canina come la loro.