Il Parlamento del Regno d'Italia/Antonio Mordini

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Antonio Mordini

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Tito Menichetti Agostino Petitti Bagliani di Roreto
Questo testo fa parte della serie Il Parlamento del Regno d'Italia


Antonio Mordini.

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MORDINI ANTONIO


deputato.


È toscano egli pure ed ha fatto studî legali, sebbene non abbia mai esercitata la professione. Giovine, si associò a quella riunione segreta, fomentata e capitanata dal grande agitatore Giuseppe Mazzini, il quale [p. 770 modifica]non si può negare rendesse un tempo segnalati servigî alla causa nazionale col tener desta non solo, ma coll’eccitare anche la fiamma del patriotismo, quantunque in seguito sia stato cagione di molti danni, e serva ancor oggi d’inceppamento al lento, ma securo progresso delle cose d’Italia.

Il Mordini, fattasi una certa reputazione d’ardente patriota, d’uomo intraprendente sin quasi all’eccesso, di mente sveglia e di molta penetrazione, fu dal Guerrazzi scelto a ministro dell’interno (non sappiamo bene se questo titolo fosse bene adatto all’incarico affidato in allora al Mordini) in quel cortissimo e pazzo periodo che successe alla fuga di Leopoldo II in Gaeta.

Il Mordini non ebbe certo occasione in quella circostanza di mostrare i suoi talenti come amministratore, in quanto che da poco era installato nel suo ufficio, quando a furia di popolo ne fu discacciato. Egli se ne uscì cheto da una porticciuola di Palazzo Vecchio e lasciò il Guerrazzi a strigarsela coi Fiorentini.

Da quel momento il Mordini errò qua e là in paesi stranieri ed in Piemonte, sola terra d’Italia in cui gli fosse concesso di porre i piedi in securtà.

Venuto il 1860, compiutasi la meravigliosa spedizione di Marsala, riuscita a male, per motivi che non è qui il luogo di esporre, la vice-dittatura del Depretis, Garibaldi elesse a quell’ufficio il Mordini, eccitando così la generale sorpresa, e bisogna anche dirlo, i timori e l’indignazione di molti.

Entrato in carica il nuovo pro-dittatore, non meritò abella prima i plausi di alcuno; ma non può neanche dirsi che si guadagnasse severissimi e ragionevoli rimproveri.

Noi non istaremo ad esaminare gli atti del Mordini durante il suo governo in Sicilia. Questi atti sono stati più di una volta attaccati in Parlamento, ed il Mordini, eletto deputato nel 1861, potè da per sè stesso difenderli con energia, se non vittoriosamente. In sostanza, ciò che particolarmente gli si è avuto a rinfacciare, è stato di aver sollevati un po’ spensieratamente i suoi amministrati da molti dei balzelli che li gravavano. Abbiamo detto spensieratamente, ma vi [p. 771 modifica]ha chi crede che pensatamente il Mordini adottasse quelle misure, onde rendere più difficile il compito al governo che prendesse a reggere la Sicilia dopo di lui. Il che in ogni caso è successo.

Ci resta ad esaminare la condotta tenuta dal Mordini nel Parlamento, condotta che in questi ultimi tempi particolarmente ha attirato sovra di esso l’attenzione universale.

Quando il Mordini si assise la prima volta sui banchi dell’estrema sinistra, ove andò a collocarsi, e dove il suo posto era in qualche guisa designato, il contegno da esso tenuto fu quello dell’uomo prudente ed accorto, il quale prima di lanciarsi sovra un terreno su cui deve sostenere un’aspra lotta, ne studia attentamente la configurazione e si assicura delle qualità e della solidità di esso. Agli attacchi che gli furono più o meno direttamente rivolti, egli rispose con molta moderazione e ritegno. Lasciò poi agli altri campioni del partito, quali il Crispi, il Bertani, il Nicotera, di tener alta la bandiera, e di sciorinar discorsi a prò del frementismo.

Ma finalmente, il Mordini, che secondo ogni probabilità giudicava i suoi studi esser bastanti ad assicurarlo del trionfo sui suoi rivali e competitori, da esso osservati al fuoco, si persuase esser giunto il momento d’entrare con tutte le sue forze nell’arduo arringo. L’occasione ei l’ebbe magnifica, quando si trattò di gettare il biasimo sul ministero presieduto dal Rattazzi per l’arresto operato in Napoli, d’ordine del generale La-Marmora, di lui stesso e dei suoi colleghi Miceli e Fabrizi. Coloro i quali hanno assistito al discorso tenuto dal Mordini in tale occasione non possono non convenire ch’ei fosse dei più eloquenti e dei più abili.

Egli si guardò bene dall’esagerare, dal ricorrere alle solite declamazioni, vuote il più sovente di senso, dei pseudo-tribuni; argomentò e narrò placido, calmo, con tutta l’urbanità e la posatezza di gesto e di parola che mai oratore della destra abbia usate.

E l’effetto prodotto da lui, come doveva succedere, fu grande, ed egli sorse di molti cubiti al di sopra [p. 772 modifica]de’ suoi co-partigiani della sinistra, che avevano un po’ l’aria di maravigliarsi assai e di compiacersi mediocremente di mirarlo salire sì in alto.

D’allora in poi il Mordini, quando ha ripresa la parola, è stato ascoltato con attenzione e tutti hanno ammirato in lui un abile e forte lottatore.

Evidentemente il Crispi, che si lasciava credere con qualche compiacenza il capo della sinistra parlamentare, è rimaso distanzato troppo dal Mordini, e dovrebbe ceder lo scettro, ove scettro vi fosse; ma scettro non c’è. E non c’è, perchè non c’è organizzazione di partito, nè ve ne può essere neppure. La nostra sinistra, eccetto forse due o tre persone che saranno, più o meno, mazziniane convinte, non è che una riunione di no, quand même, allorchè la destra dice , per istizza, per gelosia contro i membri di questa, per camminare insemina nel senso contrario a quello in cui essa cammina.

Il Mordini è persuaso forse meglio di noi della verità di quest’asserzione, ma fa come non ne sapesse, e tira innanzi. O che un abile generale non può talvolta mostrare il suo sapere col far manovrare dei quadri vuoti di truppe? A noi pare che ciò appunto faccia il Mordini, che si estolle per certo, sebbene sia sopra un piedistallo di carta-pesta. Il suo ultimo discorso a proposito delle interpellanze Saracco sulla situazione del Tesoro (colle quali, sia detto tra parentesi, aveva che fare quanto i cavoli a merenda) è stato un magnifico programma.

Egli parlava col noi, e si serviva di questo mezzo oratorio con tanta dignità e sì apparente convincimento, che l’effetto prodotto su chi non era a giorno dei segreti del dietro alle scene, non poteva non essere stupendo. E le prove della sua abilità non andavano mica neppure perdute per coloro che conoscevano il fondo della cosa; anzi quest’abilità lor sembrava tanta, che ne spariva agli occhi loro quel non so che di meno che serio che si attacca alla persona, che sembra trovarsi nella falsa posizione d’un generale cui faccian difetto i soldati. Se noi abbiamo un voto a formare, si è che il Mordini, che può essere un uomo di Stato, abbia la saggezza di cavarsi, sia poco alla volta, [p. 773 modifica]sia ad un tratto, di mezzo a gente che lo guarda piuttosto in cagnesco che no (qui noi alludiamo, ben inteso, ai suoi colleghi della sinistra) e colla quale francamente non possiamo credere gli sia piacevole l’imbrancarsi.

In Italia abbiamo povertà di personaggi; e per carità di patria, tutti quelli che si sentono da qualche cosa dovrebbero fare in modo da sciorsi da lutti quei legami, più o meno immaginarî, che loro impediscono di adire al maneggio della faccenda pubblica.