Il Quadriregio/Libro quarto/II

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II. Della condizione del paradiso terrestre e de’ fiumi, che quindi escono

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Federico Frezzi - Il Quadriregio (XIV secolo/XV secolo)
II. Della condizione del paradiso terrestre e de’ fiumi, che quindi escono
Libro quarto - I Libro quarto - III
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CAPITOLO II

Della condizione del paradiso terrestre
e de' fiumi, che quindi escono.

     E poscia: — Flecte ramos, arbor alta.
— Elia e Enoc insieme alto cantâro,
come chi in coro la sua voce esalta.
     Alla lor prece l’arbore preclaro
5giú s’abbassò, ed e’ colson le fronde,
che son sí dolci, che vince ogni amaro,
     dicendo a me:— Del frutto, che nasconde
quest’arbor dentro a sé, nullo ne coglie
salvo che l’alme felici e ioconde.
     10E poi mi fên gustar di quelle foglie,
che porgono alla ’ngiú que’ santi rami,
le quai mi contentôn tutte mie voglie.
     O cupidigia, che tanto t’affami
e che quanto piú mangi e pasto hai preso,
15tanto apri piú la bocca e piú ne brami,
     se gustassi del legno al ciel disteso,
ratto faresti come san Matteo,
quando il nostro Signor egli ebbe inteso:
     che lasciò la pecunia e ’l teloneo,
20e sí gli piacque, ch’a rispetto a quello
ogni altro cibo gli era amaro e reo.—
     Quindi n’andammo in un boschetto bello,
dove Adamo fuggí e steo nascosto,
quando mangiò del cibo amaro e fello,
     25allor che non sostenne un sol fren posto,
un sol comando, il quale Dio gli diede,
ma fu ardito a romperlo sí tosto.

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     Ei si nascose. Oh matto chiunque crede
fuggir ovver celarsi da Colui
30che tutto puote ed ogni cosa vede!
     E poscia mi partii con ambidui
tra’ belli fiori di quel prato adorno;
e, quando ad una fonte io giunto fui,
     considerai che era mezzo giorno,
35ché ’l sol toccava in alto giá ’l zenitto,
e nullo corpo facea ombra intorno.
     Dicea fra me, insú mirando fitto:
— Com’è che qui il caldo non offende,
da che li raggi insú rifletton ritto?
     40Ché ’n quella obliquitá che ’l raggio scende,
come si prova nella prospettiva,
in tale a parte opposta si distende.
     Però, se ’l raggio ingiú ritto deriva,
per linea retta ritorna in quel verso,
45ed ei lí si raddoppia e si ravviva.
     E questo luogo è pian, pulito e terso
assai a questo, e nol torce in oblico
concusso alcun, che ’l raggio mandi sperso.—
     Allor mi disse il padre piú antico:
50— Tu forse ammiri che qui non fa male
il troppo caldo noioso e nimico.
     Sappi che, dove il giorno è sempre equale
alla sua notte, quanto il dí riscalda
il sol, che ’nver’ zenitto suso sale,
     55tanto la notte col fresco risalda;
e però quella patria, se pon’ cura,
fie temperata, né fredda, né calda.
     E, benché tanto il sol vada in altura,
non fa di caldo sotto il loco accenso,
60quando in cotale altezza poco dura.
     Non è sola cagion del caldo intenso
l’altezza dello sol, ma sua dimora
col raggio insú riflesso, s’io ben penso.—

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     Il suo parlar mi die’ piú dubbio allora,
65ed io di domandar non avea ardire,
come scolar che troppo il mastro onora,
     che mostra ancor non voler assentire
con parole, ma tien il capo basso,
facendo vista d’altro voler dire.
     70Ond’ello:— Parla;— ed io:— Cotesto passo
ha forse veritá solo in quel clima,
ov’è la gran cittá di Satanasso.
     Ma questo loco tanto si sublima,
che ben tre ore nell’alto emisfero
75vedete il sole innanzi agli altri in prima.
     E cosí, quando il giorno si fa nero
nell’occidente, a voi ben per tre ore
luce quassú il celeste doppiero.
     Che cagion è che qui non è ardore,
80se qui diciotto or mostra all’aspetto
nel giorno il sol con suo chiaro splendore?—
     Ed egli a me:— Se intendesti il mio detto,
io parlai sú del clima di quel loco,
ov’ha reame il primo maladetto.
     85E, perché questo da quel dista poco,
il sol, che dura in questo loco santo,
come argumenti, accenderebbe il foco;
     se non che ’nsú egli è levato tanto,
che mai vapor, che faccia pioggia o vento,
90salir o nocer può in nessun canto.
     Ma ’l nono ciel e ’l primo movimento
move qui l’aere, e dolce aura spira
tal, che conforta ciascun sentimento.
     E, quando il detto cielo intorno gira,
95il foco e gli altri ciel voltan con esso
ed anche seco quest’aere tira.
     Per questo il raggio in diritto riflesso
si frange e sparge; e, quand’è cosí sparso,
non accagiona il caldo intenso e spesso.

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     100Però dal sol non è questo luogo arso,
s’el manda il raggio ritto, o alto el move,
o se la notte sol sei ore ha scarso.—
     Dal ditto loco poscia andammo dove
nasceva un fiume, ch’era tanto grande,
105che mai verun maggior fu visto altrove.
     Elia mi disse senza mie dimande:
— Questa grand’acqua, che qui ritto emerge,
per tutto il mondo poscia si dispande.
     Imprimamente questo loco asperge;
110poiché la terra ha qui bagnata e infusa,
per tutta l’altra terra si disperge
     per li meati, sí come Aretusa,
che bagna pria Calabria e di quindi esce,
poi va in Trinacria sotterra rinchiusa.
     115Di questo nasce Gange e ’l Nil, che cresce
tanto la state, ed il Danubio e ’l Reno
ed il Tanai col saporoso pesce.
     Di questo Ibero e il grande Geon pieno,
che passa rifrescando l’Etiopia
120e che bagna anco l’arabico seno.
     Di questo il Po, che d’acqua ha sí gran copia,
che, quando il mondo seccò per Fetonte,
tra tutti i fiumi n’ebbe meno inopia.
     Ma l’acqua d’ogni fiume e d’ogni fonte
125principalmente vien dall’Oceáno,
e da Natura corre prima al monte.
     Perch’è spognoso e perché dentro è vano,
e’ scaturisce pel caldo impellente
e poscia scende e corre giuso al piano.
     130Ed ogni fiume piú pieno e corrente
diventa per la pioggia, quando cade;
e questa è l’altra causa conferente.—
     Poi ci movemmo per le adorne strade
tra la fragranza e soavi melode,
135tra ’l nettar dolce in scambio di rosade.

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     Ivi ogni senso si rallegra e gode,
alla verzura si conforta il viso,
l’orecchie a’ canti degli uccelli, ch’ode.
     Rallegra tutto il cor quel paradiso;
140ivi ogni cosa intorno m’assembrava
un’allegrezza di giocondo riso.
     La doppia scorta, la qual mi guidava,
si movea innanti, ed io seguía lor piante
e con diletto lá e qua mirava.
     145E, quando fummo andati alquanto avante,
trovammo in giro un ampio ed alto muro,
ch’avea le torri di duro diamante.
     Elia mi disse:— Qui l’intrare è duro,
se l’uomo in prima non si gitta a terra
150e se:— Peccai— non dice col cuor puro.
     Allor colei, che la porta apre e serra,
gli dá l’entrata e fagli anco la scorta;
e chi senza lei andasse, il cammin erra.
     Ella ti menerá sino alla porta;
155dentro la Temperanza troverai,
che gl’impeti rifrena e ’l troppo accórta.—
     Per questo al duro muro m’appressai.