Il Re Torrismondo/Atto terzo/Scena prima

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Atto terzo - Scena prima

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Atto terzo Atto terzo - Scena seconda
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SCENA PRIMA

CONSIGLIERO

A molti egri mortali (or mi sovviene
Di quel che spesso ho già pensato, e letto)
Fedel non fu dell’amicizia il porto;
Chè sovente il turbò, qual nembo oscuro,
Il desio d’usurpar cittati e regni,
O gran brama d’onore, o d’alto orgoglio
Rapido vento, o pur di sdegno ed ira,
Che mormorando muova, atra tempesta.
Ma questo, ove il mio Re nel mar solcando
Della vita mortal, legò la nave,
Tutta d’arme, e d’onore adorna e carca,
E l’ancore il fermar col duro morso,
S’ancora fu la fede e quinci e quindi;
Questo, dico, sì lieto, e sì tranquillo
Seno dell’amicizia, ardente spirto
D’amor sossopra volse; e non turbolla,
Nè turbar la poteva altra procella
Prima, nè dopo. E’l risospinse in alto
Pur il medesmo amor tra duri scogli,
Talchè vicino ad affondar tra l’onde,
Io canuto nocchier siedo al governo,
Presto di navigare a ciascun vento,
Siccome piace al Re. Parlare io debbo
Con i Duci di Suezia, e con Germondo,
Perch’ei rivolga il cor dal primo oggetto:

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E parlerò; ma fin che il Re s’attende,
Lascerò gli altri riposar. Frattanto
Molte cose fra me volgo, e rivolgo.
Dura condizione, e dura legge
Di tutti noi, che siam ministri, e servi.
A noi, quanto di grave è quaggiù, e d’aspro,
Tutto far si conviene, e diam sovente
Noi severe sentenze, e pene acerbe.
Il diletto, e ’l piacer serbano i Regi
A se medesmi, el far le grazie, e i doni.
Nè già tentar m’incresce il dubbio guado,
Che men torbido sembra, e men sonante,
A chi men vi rimira, e men v’attende;
Chè leve ogni fatica, ed ogni rischio
Mi farà del mio Re l’amore, e ’l merto.
Ma spesso temo di tentarlo indarno,
S’egli medesmo o prima, o poi, nol varca.
Favorisca Fortuna il mio consiglio,
E ceda il Re di Suezia al Re de’ Goti
Quest’amor, questo giorno, e queste nozze,
Che degli autichi Goti è ’l primo onore.
E pur cede all’onore il grave, e ’l forte,
E ’l fortissimo ancora. E bench’agguagli
L’uno dell’altro Re la gloria, e l’opre,
Quest’è maggior per dignitate eccelsa
Di tanti Regi, e Cavalieri invitti,
Che già l’imperio soggiogar del Mondo.
Cedagli dunque l’altro. E ben è dritto,
Corp’all’alma stagion, ch’i frutti apporta,
Partendo cede il pigro e ’l freddo verno:
O come della notte il nero cerchio
Concede al Sole, ove un bel giorno accenda,
Sovra i lucenti e candidi cavalli,

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O come la fatica al dolce sonno,
O come spesso cede in mar, che frange,
Quel che perturba, a chi racqueta il flutto;
Dal Sole impari, e dalle stelle erranti,
Dalle sublimi cose, e dall’eterne,
A ceder l’uomo all’uom terreno, e frale.
Forse altre volte e già preveggio il tempo,
Al mio Signor non cederà Germondo:
Ma ceduto gli fia; così mantiensi
Ogni amicizia de’ mortali in terra.