Il Re Torrismondo/Atto terzo/Scena seconda

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Atto terzo - Scena seconda

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SCENA SECONDA

ROSMONDA

O possente Fortuna, a me pur anco,
Che fui dal tuo favor portata in alto,
Con sembiante fallace or tu lusinghi,
E d’altezza in altezza, ov’io paventi
La caduta maggior, portarmi accenni,
Quasi di monte in monte. E veggio omai,
O di veder pens’io, sembianze, e forme
D’inganni, di timori, e di perigli.
Oh quanti precipizj! Appressa il tempo
Da rifiutar le tue fallaci pompe,
E i tuoi doni bugiardi. A che più tardo?
A che non lascio le mentite spoglie,
E la falsa persona, e ’l vero nome,
Se’l mio valor non m’assicura, ed arma?
Bastava che di Re sorella, e figlia
l'ossi creduta. Usurperò le nozze
Ancor d’alta Regina, audace sposa,
E finta moglie, e non verace amante?

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Potrò l’alma piegar d’un Re feroce,
Ch’altrove forse è volta, e vuoti i voti
Della mia vera madre alfin saranno;
Alla cui tomba io lagrimai sovente,
Cercando di pietà lodi non false?
Ahi! non sia vero. Io rendo alfine, io rendo
Quel, ch’alfin mi prestò la sorte, e il fato:
L’ho goduta gran tempo. Altera vissi
Vergine, e fortunata, ed or vivrommi
Di mia sorte contenta in verde chiostro.
Altri, se più convienle, altri si prenda
Questo tuo don, Fortuna; e tu ’l dispensa
Altrui, come ti piace, o com’è giusto.