Il bel Gherardino/Cantare secondo

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Cantare secondo

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Cantare primo

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CANTARE SECONDO

1
O Padre, e Figlio, e Spirito Santo,
che venir ci facesti in questo mondo,
al vostro onor comincio questo canto.
Benché ’n semplicitade ognora abondo,
concedi grazia ne lo mio cor tanto,
ch’assai piú bello sia, ch’è lo secondo;
e, se a lo primo avessi a voi fallato,
per lo secondo fie ben ristorato.
2
Signori e buona gente, voi sapete
che in prima è l’uom discepol che maestro;
e le vertú, ch’agli uomini vedete,
procedon dal Signor, Padre cilestro.
Però s’i’ fallo, non mi riprendete,
che di tal arte non son ben maestro:
che vi vo’ dire, col piacer divino,
ciò che intervenne a Marco e a Gherardino.
3
Nell’altro cantar sapete ch’io dissi
come a la madre manifestò il guanto,
e come la suo gente dipartissi,
e rimasono in tormento ed in pianto;
or vi dirò che, seguitando, addissi.
Pognendo ogni pensiero da l’un canto,
ascoltate, signori, in cortesia,
ch’io intendo trarvi di malinconia.

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4
Bel Gherardino e Marco si partiéno,
addolorati nel core amendue,
e come fuori della cittá usciéno,
Gherardin disse il fatto come fue,
dicendo: — Marco mio, come faremo,
che danar né derrate non ci ha piue? —
E Marco disse: — Non ci sgomentiamo:
a quella dama ancor ci ritorniamo. —
5
E, cavalcando insieme per costume,
arrivarno una sera lungo il mare
ad una fonte dove mette un fiume,
che ’l conveniva loro pur passare;
ed era notte e non si vedea lume,
ma pure incominciarono a passare.
E come furon nel mezzo del varco,
dentro vi cadde Gherardino e Marco.
6
Ciascun ronzino pel fiume fuggiva,
e’ cavalier’ l’un l’altro non vedea.
Cosí ciascun tornando inver’ la riva,
la sua disaventura ognun piangea.
Ed in quel tanto una donna appariva
in una navicella, e sí dicea:
— Deh, come ti sta bene ogni mal c’hai,
Bel Gherardin, po’ che voluto l’hai! —
7
E nella nave Bel Gherardin chiama,
e medicollo, ch’avea sconcio il braccio,
e disse: — Io son serocchia della dama;
per lo suo amor ti fo quel ch’io ti faccio:
però che soe ch’ella cotanto t’ama,
sí ti volli cavar di questo laccio. —
Ad una ròcca, che era in mar, menolli;
dentro v’entrâr cosí fangosi e molli.

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8
La dama si partíe; e quel valletto
riman con Marco Bel malinconoso;
e riguardandosi l’un l’altro il petto,
e Gherardin veggendosi fangoso,
uscí fuori ed entrò in uno barchetto
sol per lavarsi dov’era terroso.
E come la nave fue di lui carca,
una fortuna menò via la barca.
9
E la donzella fu tanto maestra,
che gli fe’ pace far colla serocchia;
poi si partíne valorosa e destra,
ed entrò in mare e fu presso alla ròcca
e chiamò Marco, ch’era alla finestra,
a maggior boce che l’uscíe di bocca:
perché Bel Gherardin non v’avea scorto,
fra suo cuor disse: — Questi fia morto! —
10
Quando ella ne la ròcca fue entrata,
trovoe Marco far sí gran lamento.
Ella diceva: — Oh lassa isventurata!
ov’è lo mio signor, che io nollo sento?
Or ben si crederá la Bianca Fata,
ch’io l’abbia fatto questo a tradimento!
Dimmi che n’è, o io m’uccideraggio. —
Ed e’ rispuose: — Ed io vel conteraggio.
11
Vedendosi fangoso, come adviso
— disse il donzel, battendosi la gota, —
e’ si volea lavar suo’ mani e viso,
che sí n’era cotanto pien di mota.
Guardandol io da la finestra a fiso,
entrar lo vidi in una barca vòta;
e come vi fu dentro, in fede mia,
una fortuna venne, e menòl via. —

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12
Disse la dama: — Non ci diam piú ira, —
e mise Marco Bello entro la nave;
e, navicando, tanto fiso il mira,
ch’Amor nel cor ne le mise una chiave;
sicché, parlando, per amor sospira.
E, ragionando, per lo mar soave,
la barchetta in una isola percosse,
sicché la dama tutta si riscosse.
13
E Marco Bello, che di ciò s’avvide,
che la donzella avíe avuta paura,
co’ lei insieme forte se ne ride,
e dice: — Or, donna mia, te rassicura,
ch’io t’imprometto, ch’amor mi conquide,
se io non godo tuo gentil figura. —
E poi discese in terra quel donzello,
ed appiccò la nave a un albuscello.
14
E la donzella del legno discese,
che forse voglia di lui n’hae maggiore,
e contra a lui niente si contese:
in su l’erbette sopra al bianco fiore
Marco Bello di lei diletto prese
molte volte, baciandola d’amore.
E poi andaron nella navicella
per ritornare alla Bianca donzella.
15
La fata, che gli aspetta con letizia,
e lo Bel Gherardin co’ lor non vede,
nello suo cuor sí n’ebbe gran tristizia,
e che fie morto veramente crede:
ma, pur udendo che sanza malizia
l’aqua sí ’l n’ha menato, si die’ fede
che fosse vivo, cosí fatto stando;
e stette insin che fu compiuto l’anno.

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16
E lo Bel Gherardin, per la fortuna,
al porto d’Allessandria fu arrivato,
lá dove molta gente si raguna.
In quella notte il mare fue crucciato;
non si vedea, tanto era l’aria bruna.
In quella terra cosí era usato,
che, se v’arriva niuno cristiano,
si egl’ era imprigionato dal Soldano.
17
In quella notte fûr presi e legati,
e fûr menati davanti al signore,
e comandò che sieno imprigionati
tutti i cristian per maggior disinore.
Cosí ne fur nella prigion serrati
tutti i cristian ciaschedun a furore.
Gherardino dall’un canto si stava,
e mai nel viso non si rallegrava.
18
E quando venne terza, la mattina,
una che dava mangiare a’ prigioni,
che per usanza mandava la Reina
di quel che mangiava ella e i suoi baroni,
e lo Bel Gherardin per cenno inchina:
— Dimmi chi se’, e vo’ che mi perdoni. —
Et e’ rispuose molto volentieri:
— Io sono un damicel che fu pres’ieri. —
19
E la donzella a casa fu redita,
e disse a la reina di costui:
— Madonna mia, in tempo di mie vita
non viddi un bel donzel come colui! —
E come ella ebbe la parola udita,
subitamente innamoròe di lui,
e fecelo venire a sé davanti,
ed e’ s’inginocchiò con be’ sembianti.

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20
Ed ella, raguardandol nel visaggio,
sí ’l domandò: — Sapresti tu servire? —
et e’ rispuose: — Molto di vantaggio,
di coppa e di coltel me’ ch’altro sire. —
Ed ella, lo veggendo tanto saggio,
sí ’l dimandòe, se vuole ubbidire.
Ed e’ rispuose: — Molto volontiere
farò, madonna, ciò che v’è in piacere. —
21
Cosí fu Gherardin suo servidore,
che di tale arte era molto sottile:
e quel signor gli puose molto amore,
che quasi tutti gli altri tenne a vile.
E la reina ne ’nfiammò nel core,
perché ella il vedea tanto gentile.
Ella li disse: — Il tuo amor mi bisogna! —
Egli rispuose con molta vergogna:
22
— Io v’addomando e cheggio perdonanza,
ch’i’ non farei tal fallo al signor mio. —
Ed ella il prese con molta baldanza,
dicendo: — Se non fai quel ch’io disio,
io griderò, che non è mia usanza,
e farotti morire, in fé di Dio. —
E in quel punto gli gittò il braccio in collo;
e cosí il prese per forza e baciollo.
23
Ed e’, veggendo che non può stornare
che egli non faccia il suo comandamento,
fra suo cuor disse: — E’ mi convien pur fare,
ed io ne vo’ fornire il suo talento. —
E sí la prese sanza piú indugiare;
del gran disio, ch’è pieno d’alimento,
al suo voler di quelle rose colse,
e poscia per piú volte se ne tolse.

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24
Istando Gherardino in tale stato,
la Fata bianca fa di lui cercare.
Quando ella vede che non l’ha trovato,
disse: — Al postutto io mi vo’ maritare, —
perch’ella vede che l’anno è passato,
che per sua donna la dovíe sposare.
Allor per tutto il mondo il bando manda;
gli amici priega ed i servi comanda,
25
da parte de la Fata, che si mostra,
ch’ogni prode uomo e di grande ardimento
de l’arme s’apparecchie e facci giostra,
e per combatter vada al torniamento.
E chi avrae l’onor di quella giostra,
la sposerae con grande adornamento;
siccome «re signore» fia chiamato,
a la donzella insieme incoronato.
26
Quando il soldano udí quel bando andare
per Alessandria, mosse con sua gente,
e lo Bel Gherardin volle menare.
E’ non volea, per essere ubidente.
Quando fu ito, incominciò a parlare
a la reina molto umilemente:
— Datemi la parola, alta reina,
ch’io vada a quello stormo domattina. —
27
Disse la dama: — Avresti tanto ardire
che tu ti dipartissi e me lasciassi?
Ma volentier vi ti lascerei ire,
se io ne credessi che tu a me tornassi. —
Ed e’ rispuose: — Dama, a lo ver dire,
non potrebbe stornar ch’io non v’andassi,
che io credo sposar quella fanciulla:
di ritornar non v’imprometto nulla. —

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28
Quando ella vide ch’elli n’era acconcio
d’andare a quello stormo sanza fallo,
sí gli rispuose, portandoli broncio:
— Sanza te, mai non avrò buono stallo.
Ma ben che la tua andata mi sia sconcio,
io pur ti donerò arme e cavallo;
ma tu mi giurerai, se Dio ti vaglia,
d’uccidere il soldan nella battaglia.
29
Però che mi pare tanto invecchiato,
che non val nulla a la mia giovanezza;
non posso sofferir di stargli a lato,
pensando che ha a goder la mia bellezza!
Prenditi cura a provveder mio stato:
se ti vien fatto per me tal prodezza,
a lo tuo senno mi mariterai;
saroe contenta piú che fossi mai. —
30
Poi gli donòe tre veste di zendado,
una verde, una bianca, una vermiglia,
e tre destrier, che si veggon di rado
piú begli intorno a cinquecento miglia.
De l’aver tolse quanto li fu a grado,
donzelli e fanti con molta famiglia,
trabacche e padiglion: poi si partío
da la donzella e accomandossi a Dio.
31
E tanto cavalcò per piú giornate,
che giunse presso a lo stormo predetto,
ed allungossi ben due balestrate
per istar piú celato in un boschetto.
E disse a la sua gente; — Or m’aspettate,
ch’io vo’ veder come il campo è corretto. —
E vidde il soldano ch’era campione,
e ritornòe inverso il padiglione.

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32
E la mattina, come apparve il giorno,
la Fata bianca vae agli balconi
con molte dame e damigelle intorno,
per veder que’ che votasse gli arcioni.
Come la gente udí sonare il corno
per la battaglia, parevan leoni.
Quale era proe e quale era codardo;
il soldan sopra tutti era gagliardo.
33
E lo Bel Gherardin, veggendo questo,
che quel soldan sí malamente lancia,
in sul destriere cosí armato e destro,
pigliò lo scudo ed imbracciò la lancia.
Veggendo che ’l soldan fa tal molesto
di questa gente, non gli paríe ciancia.
Veggendo che ciascun contro a lui perde,
andògli incontro colla vesta verde.
34
E tal colpo gli diè sopra lo scudo,
che ’l fece a terra del destrier cascare.
Agli altri si volgea col brando ignudo;
beato chi meglio lo può levare!
Però ch’ogni suo colpo è tanto crudo,
chi ne pruova uno, non ne può scampare;
sicché il campo fu suo per questa volta,
poi ritornava nella selva folta.
35
Disse la dama, ch’è stata a vedere:
— Dove andò il cavalier di verde tinto? —
E da la gente nol poté sapere
chi fosse que’ ch’avie lo stormo vinto.
Altri dicea: — Egli è uno cavaliere,
egli e il cavallo di verde dipinto! —
E di lui non è altri che risponda;
sicché vedremlo alla volta seconda.

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36
Al secondo sonar l’altro mattino,
el soldan d’Alessandria die’ per costa;
e quale iscontra al dubbioso cammino,
la suo venuta molto cara costa:
e, combattendo come paladino,
rimase il campo a lui in poca sosta,
gli altri fuggendo, il soldan seguitando,
mettendogli per terra, scavalcando.
37
E lo Bel Gherardin molto sdegnosse,
veggendo che ’l soldano era vincente.
Dal padiglion di subito si mosse,
inver’ di lui cavalca arditamente,
e per sí gran possanza lo percosse,
che morir crede quando il colpo sente,
e sbalordito fugge e non soggiorna:
e Gherardino al padiglion ritorna.
38
Tutta la gente, che d’intorno stava,
cridavan: — Viva il cavalier vermiglio! —
e la donzella si maravigliava,
e colle dame faceva consiglio:
ed in quel punto nel suo cuor pensava:
— Sed e’ ci torna, io gli darò di piglio! —
E dice a l’altre: — Deh! guatate donde
dello stormo esce e dove si nasconde. —
39
La Fata bianca, al cavalier pensando,
addormentar non si puote la notte,
e nel suo cuore giva immaginando:
— Chi sare’ que’ che vien pure a sodotte?
Quando lo stormo ha vinto, tal domando,
par che nascoso sia sotto le grotte!
Il cuore in corpo tutto mi si strugge
di voglia di saper perché si fugge.

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40
E uno pensier nel core levo adesso:
sarebbe questi il mio antico sposo?
Io lo ’nprometto a Dio, che, se fosse esso,
altro marito che lui i’ tôr non oso,
conciosacosa ch’io gliel’ho inpromesso:
senza lui ma’ non credo aver riposo. —
E disse: — Signor mio, datemi grazia,
ch’io abbia del suo amor la mente sazia! —
41
E, quando il giorno chiaro fu apparito,
fece sonar le trombe e li stormenti.
I cavalieri furno al cerchiovito,
e molti fan pensier d’esser vincenti.
A tanto giunge il cavaliere ardito,
ciò fu il soldan, con altri sofficienti,
che per un suo nipote combattea,
che per marito a lei darlo credea.
42
Quando le schiere furon tutte fatte,
presente quella ch’è cotanta chiara,
il soldan, che in sul campo combatte,
fa tristo quel che innanzi gli si para,
però che del destrier morto l’abatte,
e tal ventura a molti costa cara.
E molta gente gli fuggiva innanzi,
sicché è mestier che tutti gli altri avanzi.
43
Veggendo la donzella che il soldano
gli altri baron di prodezza avanzava,
pensando aver per marito un pagano,
nella sua mente forte dubitava,
e spesse volte a l’alto Iddio sovrano
nella suo mente si raccomandava,
e dicea: — Signor mio, se t’è in piacere,
fa’ ritornare il franco cavaliere! —

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44
E lo Bel Gherardino niente tarda;
coll’arme bianca uscíe della trabacca.
E la donzella, che da lunge il guarda,
che correndo il cavallo venne in stracca,
fra l’altre dice, di color gagliarda:
— Questo soldano ci è omai per acca,
ch’io veggio il cavalier, ch’è cosí franco,
a lo stormo tornar vestito a bianco. —
45
Come a lo stormo il Bel Gherardin giunse,
riconobbe il soldano a l’armadura,
e ’l buon destriero degli sproni punse:
abbassa l’asta e inver’ di lui procura,
e co’ la lancia in tal modo l’aggiunse,
che il fe’ cadere in su la terra dura.
E, qui ismontando, di franchezza giusto,
e’ tagliolli la testa da lo ’nbusto.
46
E rimontò a cavallo arditamente;
piú presto che non fu giammai levriere,
innanzi li fuggía tutta la gente,
gridando: — Viva il franco cavaliere! —
Cosí del campo rimase vincente,
come il lion, signor de l’altre fiere.
Incoronato insieme fue co’ lei,
con tal onor che contar nol potrei.
47
Po’ ch’a la Fata ebbe dato l’anello,
gran festa fae che l’hae ricognosciuto.
E la serocchia diede a Marco Bello,
ed hallo sempre con seco tenuto.
E quella del soldan diede a un donzello
di gran legnaggio, cortese e saputo;
e novanta anni vivette signore.
Questo canto è compiuto al vostro onore.