Il buon cuore - Anno IX, n. 15 - 9 aprile 1910/Religione

Da Wikisource.
Religione

../Educazione ed Istruzione ../Società Amici del bene IncludiIntestazione 6 settembre 2022 100% Da definire

Educazione ed Istruzione Società Amici del bene

[p. 116 modifica] Religione


Vangelo della seconda domenica dopo Pasqua


Testo del Vangelo.

Giovanni vide Gesù, che veniva gli incontro, e disse: Ecco l’Agnello di Dio: ecco colui che toglie i peccati del mondo. Questo è colui, del quale ho detto: Dopo di me, viene uno, che è da più di me, perché era prima di me. E io nol conosceva; ma affinché egli fosse riconosciuto in Israele, per questo io sono venuto a battezzare nell’acqua. E Giovanni rendette testimonianza dicendo: Ho veduto lo spirito scendere dal cielo in forma di colomba, e si fermò sopra di lui. E io nol conosceva; ma chi mandommi a battezzare nell’acqua, mi disse: Colui sopra del quale vedrai discendere e fermarsi lo Spirito, quegli è colui che battezza nello Spirito Santo. E io ho veduto: e ho attestato com’egli è il Figliuolo di Dio.

S. GIOVANNI, Cap. i.


Pensieri.

Ecce agnus Dei! Gesù Cristo riveste per i credenti in lui il carattere di vittima.

Noi non possiamo quasi pensare un giusto senza pensarlo martire — quanto più il giusto per eccellenza!

Ogni uomo grande è segnato da questo destino di dolore.... e, direi, ciò si comprende, ciò è quasi fatale.

L’uomo grande è un profeta, che spinge l’occhio sovrano, sicuro e lontano e vede ciò che la massa dei suoi contemporanei non vede.... Ne viene solitudine austera all’uomo superiore; un senso di nostalgia verso una patria più elevata e degna; ne viene lo sforzo di attuare la propria visione....

Il pensiero profondo stimola all’azione costante, efficace, sovvertitrice all’occhio dei miopi che circondano il veggente ed essi si volgon contro il perturbatore....

Ma a questa guerra, frutto di cecità e d’ignoranza, e, fino a un certo punto, inevitabile, s’aggiunge quella delle passioni eccitate, degli interessi urtati..... la lotta dell’insipienza si complica di male e diventa immorale e indegna!

Rammento l’impressione profonda provata quando, per la prima volta, s’affacciò al mio pensiero, questo seguito di dolore che è retaggio d’ogni superiorità.... Fu però una ben triste ora quella in cui vidi che non solo la luce, non solo la verità scientifica può essere fatta bersaglio ai colpi degli inetti e dei cattivi, ma anche la bontà, la virtù.....

Eppure, meditando, anche ciò si spiega... Che cosa umiliante per noi poter spiegarci certe brutture, oh, Signore! — L’uomo giusto, adora la verità, nulla lo rende vacillante davanti alla virtù; egli si piegherà ai miseri, non si inchinerà mai ai potenti; egli aiuterà i bisognosi, non tratterà mai con i vani, bramosi di privilegi;.... la sua virtù crea il vuoto intorno a lui e — tranne che per pochi — benedetti d’una benedizione ineffabile, egli è il nemico che va demolito, soppresso.

Oh la visione dell’umanità accanita contro quanto [p. 117 modifica] in essa v’ha di migliore! Intenta a martirizzare i suoi eroi! Giunta fino a crocifiggere Gesù!....

Ma i martiri, ma il martire per eccellenza, sono vittime per quelli che poi li riconoscono e il loro martirio è fonte di bene alla società che li ha confitti in croce!

È riparazione tarda la venerazione che si volge alle tombe gloriose dei grandi, dei santi,.... ma non è riparazione vana: essa dice un’ascensione verso il bene, verso il vero..... Per questa ascensione i martiri certo esultano al di là della tomba, al di là della morte!

Il Cristianesimo in quanto religione non poteva essere senza sacrificio, perchè religione senza sacrificio è inconcepibile, come è inconcepibile religione senza preghiera.

La preghiera (la preghiera ideale insegnata e praticata da Gesù e da’ suoi santi) attrae a sè la divinità.

Il sacrificio porta l’uomo in Dio.

Ma il cristianesimo ha come vittima del sacrificio il suo stesso fondatore.

Pensiamo bene a tutte le conseguenze pratiche di questo fatto.

Il Cristiano non può onorare Iddio in altro modo che col diventare egli stesso olocausto alla divinità come Gesù Cristo.

Rammentiamolo, quando pare si sia tentati di credere che basti offrire a Dio le cose nostre, serbando a noi noi stessi!

Già i profeti d’Israele ammonivano che Dio non si beava di sacrifici, ma solo dei cuori mondi e puri; l’insegnamento profetico è ripetuto, e quanto più efficacemente, a noi cristiani dal Maestro nostro divino, pendente dalla croce.

È con il cuor nostro scevro d’ogni bruttura, pronto a tutto per la verità e per il bene, cioè per Dio, che noi possiamo rendergli onore degno!

Il sacrificio di Gesù al Padre fu sacrificio razionale, perchè consistette in un atto sublime di obbedienza: factus obbediens usque ad mortem.

Un simile sacrificio annullava quelli di animali e di cose visibili che per sè non hanno alcun valore: Rimane, dopo la morte di Gesù, un solo sacrificio accetto: compiere la volontà del Padre!

Questo completa il precedente punto della nostra meditazione: Noi dobbiamo offrir noi stessi al Padre e l’offerta nostra sarà piena, degna, accetta, quando noi compiremo la volontà del Padre. Noi dobbiamo compiere il volere di Dio, attuare i suoi disegni sopra di noi. Unica nostra preoccupazione, se noi siam cristiani, religiosi per davvero, non dovrebbe essere che quella di conoscere questa volontà.

Iddio vuole il vero, il bene... questo da tutti. Ma che vuole in particolare da noi?

Dalle circostanze esteriori noi vedremo la volontà del Signore: in ogni contingenza, ascoltando e seguendo il suggerimento che ci spinge alla bontà, noi attueremo il volere divino.

Quante volte, volendo fare così, noi ce ne dovremo rimanere umili e sereni e calmi fra le amarezze più crude; noi dovremo portare la croce, amando sempre le persone che con la loro incomprensione, con il loro contegno, ce la spingon ognor più dentro nel cuore; quante volte per seguire la voce divina, bisognerà vincere noi stessi, costringerci, fino quasi ad annientarci...

Eppure solo così noi compiremo la volontà del Padre; — solo così arriveremo alla piena unione con Dio, di conseguenza alla nostra felicità...: felicità austera, ma ineffabile, ma grande; — quella felicità che faceva esclamare all’Apostolo: Io sovrabbondo di gaudio in ogni mia tribolazione!

Don MICHELE RUA

È spirato mercoledì all’alba, dopo un’agonia tranquilla, l’agonia di un santo che, fino all’ultimo momento, si mostra noncurante di se stesso e tutto asservito alla beneficenza nella più sublime estrinsecazione. Sì, don Rua, come don Bosco, fu un gran santo, fu un grande benefattore, fu un grande italiano che seppe e volle, con fervore d’apostolo e con ardente amor patrio, estendere anche alle terre più lontane i benefici della civiltà e della carità ispirata ai più alti ideali.

Era nato il 9 gennaio 1837, poco lungi dalla località in cui sorse più tardi il primo oratorio salesiano. Ivi era allora la Fucina delle canne dello Stato sardo, nella quale Giovanni Rua, suo padre, era impiegato; ed ivi ebbe poveri ed oscuri natali.

La morte di don Michele Rua avrà larga eco anche fuori del mondo cattolico, perchè egli aveva conoscenti e ammiratori fra uomini di partito e di fede diversa. Basta, a provarlo, questo episodio, fra i molti, che a Torino a suo tempo menò molto rumore.

Da tre mesi durava uno sciopero in un notissimo cotonificio della città; i proprietari non volevano assolutamente scendere a patti con la maestranza di oltre mille operai nè a discussione coi rappresentanti di questa. Erano avvenuti vari tumulti e clamorose dimostrazioni sia davanti allo stabilimento cinto di una specie di assedio giorno e notte, sia sotto le case di alcuni cosidetti krumiri. In più di una famiglia si soffriva anche la fame. Prefetto, sindaco, questore e le altre autorità avevano dato inutilmente la loro opera pacificatrice.

Don Rua chiamò un giorno nella sua povera celletta i proprietari dello stabilimento e i rappresentanti degli operai, e ciò che non avevano potuto le autorità cittadine con promesse o minacce, potè ottenere con la sua parola l’umile sacerdote. La vertenza fu concordemente risolta e la pace e il lavoro ritornarono in tutta una legione di lavoratori.

La figura di don Rua, alta, esile, quasi mistica, e la sua parola semplice, i suoi modi bonari, ricordavano il fondatore dell’opera salesiana, don Bosco, del quale sin da giovinetto egli godette l’illimitata fiducia e la protezione.

[p. 118 modifica] Già, anche mentre don Bosco era in vita, egli ne era stato preconizzato successore, e già molti anni prima della morte di lui — avvenuta il 31 gennaio 1888 — era l’anima di tutta la vasta società, ne conosceva l’amministrazione, gli ordinamenti, l’inviluppo degli affari e dei disegni.

Nel 1885 don Bosco stesso lo nominò suo vicario con diritto di successione.

Morto don Bosco, la devozione e la simpatia che circondavano questo nome — che la Chiesa due anni dopo elencava fra i suoi venerabili — si riversarono su don Rua, mentre un atto di Leone XIII in data 11 febbraio dello stesso anno, lo confermava nella carica di superiore generale della Società salesiana.

Don Bosco vide per la prima volta Michele Rua quando questi, bambino di otto anni, frequentava la scuola di Santa Barbara, retta dai fratelli delle Scuole Cristiane.

Da quei giorni incominciò la devozione del piccino per il fondatore dell’opera salesiana e Michele Rua prese quasi subito a frequentare l’oratorio di Valdocco. Fu in quella visita, prendendo parte ad una processione — così raccontò egli stesso — che vide fra i devoti colla torcia in una mano e nell’altra uno dei libri di preghiere distribuiti da don Bosco, il conte di Cavour. Don Rua anche molti, molti anni dopo, diceva:

— Me ne ricordo ancora, come se lo vedessi oggi.... Don Rua vestiva l’abito chiericale il 3 ottobre 1852 in una chiesetta nei pressi di Castelnuovo d’Asti, dove nacque don Bosco. Qualche anno dopo il suo protettore gli dava un segno della sua predilezione: morta la propria madre, chiamava a sostituirla nell’ufficio di custode, di economa-amministratrice della sua casa di Valdocco, la madre di Michele Rua.

Nel 1858, la prima volta che don Bosco andò a Roma per essere ricevuto da Pio IX, condusse seco come segretario il giovanetto chierico. Fu in quella occasione che don Bosco, ritiratosi don Rua, chiese al Papa che gli concedesse le basi di una istituzione compatibile coi tempi e coi luoghi.

Due anni dopo il chierico finiva gli studi teologici e fu chiesta al Vaticano la dispensa della sua giovane età per la sacra ordinazione del giovanetto. E’ caratteristica la risposta del Papa, il quale, per dare speciale prova della sua benevolenza, concedeva «all’ottimo cooperatore dell’Opera di carità e religione», la grazia chiesta per semplice rescritto. Occorreva, però, per l’esecuzione del rescritto il placet del Governo, che don Rua dovette attendere ancora per due mesi. Ma il 29 settembre 1860 egli veniva insignito del carattere sacerdotale e il 30 settembre celebrava nell’oratorio suddetto senza speciale solennità.

Don Rua fin dall’ora teneva in mano gran parte della gestione dell’oratorio con la sua invincibile fermezza di carattere. In lui le qualità più eminenti si congiungevano ad una profonda umiltà, che fu dote costante della sua lunga vita.

La Società è l’opera di don Bosco sotto don Rua — durante i 22 anni in cui ne tenne la direzione generale — raggiunse il massimo sviluppo specialmente all’estero. A ciò contribuiva la perfetta conoscenza che egli si procurava delle istituzioni, visitandone buon numero in tutta Europa, nell’Africa del Nord, nella Turchia e nella Palestina. Per le case d’America si manteneva in tale corrispondenza personale coi superiori e persino con le persone di servizio sì da poterne avere un concetto esattissimo e particolareggiato.

Alla morte di don Bosco la Società contava circa 500 soci; oggi ne ha oltre 4000. Gli stabilimenti educativi lasciati da don Bosco erano circa un centinaio e don Rua li portò ad oltre trecento. In tale cifra non sono compresi quelli riguardanti gli istituti della Società di Maria Ausiliatrice, che procedette sempre con eguale sviluppo di quello dei Salesiani la cui direzione venne fino a questi ultimi tempi, tenuta da don Rua.

L’opera dei Salesiani oltre i confini della patria è caratterizzata da uno schietto senso di italianità, il quale induce a credere che nessun altro degli Istituti in questo notevole periodo d’anni abbia maggiormente contribuito a diffondere all’estero, e specialmente nell’America meridionale e centrale, lo spirito di italianità e la conoscenza della lingua madre quanto la Società salesiana diretta da don Rua.

Una documentata rivelazione di questo fatto si ebbe all’Esposizione di Milano nel 1906, ove l’opera di don Bosco figurava nel ramo degli Italiani all’Estero, riportando il Gran Premio e il più sincero elogio della giuria, la quale rese omaggio alla grandiosità del lavoro compiuto all’estero dai Salesiani. Rilevavasi allora da una statistica sommaria che la massima parte delle Case salesiane erano in America e negli altri paesi extra-europei e che in tutte si insegnava l’italiano, si inalberava la bandiera italiana e si faceva opera di patriottismo diffondendo con ogni mezzo la nostra cultura.

L’opera di don Rua all’Esposizione di Milano si presentava divisa in quattro grandi sezioni: Istruzione, educazione e beneficenza fra i popoli civili; Missioni religiose e colonizzazione fra i popoli selvaggi; Assistenza e scuola fra gli emigrati italiani; Missioni varie lavori di italiani all’estero.

Notevole è il lavoro compiuto sotto la direzione di don Rua nella civilizzazione dei popoli selvaggi e nella colonizzazione dei vasti territori da questi occupati. La conquista della Patagonia alla civiltà è merito dei Salesiani, i quali in due vastissimi vicariati hanno piantato una trentina di case coloniche agricole, scuole di arti e mestieri, studi di vario genere e persino qualche fiorente osservatorio astronomico e meteorologico che presta preziosi servizi alla scienza in quelle lontane e sconfinate regioni.

Questa impresa di civilizzazione don Rua iniziò in questi anni nel Matto Grosso al Brasile, ottenendo in mezzo a tribù selvagge dei risultati mirabili, che vengono apprezzati dal Governo di quella giovane repubblica. Persino la cura e l’assistenza dei lebbrosi don Rua volle impiantare da qualche anno in America. La stampa italiana ha avuto ripetute occasioni di occuparsi dei lazzaretti per i lebbrosi che egli fece costruire ad Agua de Dios ed a Contratacion dove molti dei Salesiani si sono isolati dal mondo civile, votandosi ad una vita di sacrifici ad una sorte che mette raccapriccio al solo pensarvi.

[p. 119 modifica] La Giuria della «Mostra degli italiani all’estero» riferendo quanto ha fatto don Rua, aveva per lui e per i suoi Salesiani questo entusiastico saluto:

«Una calda e vibrante parola di saluto e di ammirazione vada a quegli eroi, che nelle capanne di paglia annidate fra i fiumi e le palme di Agua de Dios e di Contratacion, confortano quei miseri piagati, consunti, corrosi, fetidi cadaveri ambulanti, orridi alla vista; che, nati nel nostro paese temperato, soffrono ignorati al mondo, l’umido e torrido clima micidiale alla loro salute per illuminare di un sorriso gli ultimi giorni tribolati di sconosciuti dannati alla morte dopo una lenta agonia».

Assecondando l’iniziativa dell’opera «Italica Gens», don Rua in tre mesi fece istituire nella sola America 34 Segretariati per gli operai italiani; l’ultima disposizione data da lui personalmente, come Rettore generale, fu l’apertura di un secondo oratorio salesiano in cui si imporrà, come per tutte le altre case sparse all’estero, fra gli insegnamenti obbligatori, quello della lingua italiana.

Per questo, verso di Lui le autorità civili sentirono sempre delle simpatie usandogli dei riguardi speciali, e la Casa di Savoia gli dimostrò speciale deferenza a mezzo della Regina Madre, della principessa Letizia ed anche del Duca d’Aosta.

Nei lunghi e numerosi viaggi compiuti in ogni Stato d’Europa, nell’Algeria e nell’Oriente, don Rua ebbe numerosi attestati di ammirazione anche da eminenti uomini politici, e in particolar modo era stimato alla Corte portoghese dalle Regine Amelia e Maria Pia, e si ricorda che egli benedisse, ancora fanciullo, l’attuale Re don Emanuel.

A Malta, con decreto del i ottobre 1900, si intitolò al suo nome una via «don Rua street» nei pressi dell’Istituto salesiano.

In Italia, Castelnuovo d’Asti, il paese nativo di don Bosco, lo proclamò, con deliberazione consigliare del 2 novembre 1902, cittadino onorario.

Il Papa Leone XIII, col Breve «Societatis vestrae», gli attestò la sua ammirazione per la sapienza con la quale teneva il posto di don Bosco; e Pio X, il 18 agosto 1904, col Breve «Si consentanea meritis», gli augurava che ovunque «o si viva dello spirito di don Bosco o se ne coltivi l’amore».

Modesto, raccolto nella sua umiltà, fu per lui sufficiente e intimo premio sentirsi e sapersi tanto buon cittadino quanto buon sacerdote, e, se godette, fu del bene che potè recare ad un tempo alla sua religione e alla sua patria.

PENSIERI


Saldissima tra le amicizie.... è quella santificata dall’unità d’un intento buono.