Il buon cuore - Anno IX, n. 17 - 23 aprile 1910/Educazione ed Istruzione

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Educazione ed Istruzione

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Beneficenza Religione

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L'ITALICA GENS

Una delle difficoltà più forti alla conservazione della lingua e della nazionalità fra i nostri emigrati e che agisce in favore dell’assorbimento da parte dei paesi di immigrazione, è la tendenza che quelli hanno a cercare di immedesimarsi sempre più nella vita del paese fino al punto di voler nascondere la propria origine come causa di vergogna, colla trasformazione del nome: molti genitori non fanno insegnare ai figli l’italiano perchè «non porta moneta». E’ cosa triste, e contro questo pregiudizio deve insorgere l’opinione di chiunque sente la dignità della nostra patria. Bisogna istruire le giovani generazioni in scuole dove si dia alla lingua italiana importanza almeno eguale a quella del luogo, dove si insegnino le tradizioni nobili e grandi dell’Italia, si mostri lo splendore fulgido della civiltà nostra, dove si spieghi agli emigrati che il loro esilio non è effetto di trascuranza o decadenza della madre patria, ma di fenomeni transitori economico sociali, inevitabili nella vita dei popoli di antica civiltà, ma ancor giovani di forze, in cui alla esuberanza dello sviluppo demografico è venuto a mancare momentaneamente il concomitante incremento economico; periodo di transizione alla fine del quale l’equilibrio si ristabilirà per dar vita ad uno nuovo di più prospero avvenire.

Quando l’opera giornaliera della scuola avrà infuso negli animi dei nostri espatriati tali concetti ed avrà fatto sì che la lingua italiana sia parlata da milioni di cittadini nelle Americhe, avrà luogo l’opposto sentimento, e quei nostri connazionali avendo l’alta coscienza di cui adesso mancano affatto, di aver essi, col genio latino [p. 131 modifica]efficacemente contribuito alla messa in valore ed al grandioso sviluppo delle giovani Americhe, allora pur essendo buoni cittadini di quei paesi, si sentiranno orgogliosi della loro origine e vorranno che la loro lingua largamente parlata laggiù, stia a testimoniare la vasta azione che la loro razza ha avuto nella formazione di quei popoli: allora il vincolo di affinità e di affezione fra loro e la madre patria rimarrà per sempre.

Scarsi sono stati i successi delle scuole sussidiate in America dal R. Commissariato; il numero dei fanciulli italiani che le frequentano è irrisorio di fronte a quello enorme della popolazione italiana in quei paesi. Date le leggi degli stati Americani a questo riguardo, e specialmente degli Stati Uniti del Nord (vi si vieta l’istituzione di qualunque scuola straniera che non sia annessa a qualche istituto con scopo di culto), vediamo che l’azione del Governo nostro è ben ristretta, e se si vogliono avere là delle scuole che stiano a pari con quelle pubbliche americane, a cui anche le famiglie agiate possano affidare l’istruzione dei loro figli, bisogna ricorrere alle scuole tenute da Comunità religiose o parrocchiali, come le hanno i Tedeschi nelle loro colonie, dove hanno ottenuto che si parli solo la loro lingua anche nelle pubbliche assemblee e nelle scuole municipali. Noi invece le abbiamo in numero scarsissimo e poco sussidiate: l’Italica Gens si propone di adoperarsi con tutte le forze per promuoverle su larga scala, facendole sorgere dove non esistono, curando che si insegni con profitto l’Italiano in quelle molte che già ci sono, ma in cui tale insegnamento non si fa, additando la loro opera nazionale al giusto aiuto del R. Governo.

Queste infatti sono oramai riconosciute opportunissime da quanti si sono occupati dell’argomento con conoscenza personale delle condizioni e dei luoghi; e non solo per la possibilità che offrono di diffusione grande anche nelle colonie più piccole e lontane, ma altresì per gli scopi sociali e politici cui la scuola deve servire.

Devesi tener per certo che nell’animo dell’individuo come di un popolo, la religione ed il linguaggio formano come un carattere fondamentale unico ed inscindibile: se si perde l’una si perde anche l’altro. Scrive l’illustre Mons. Bonomelli: «finchè un popolo conserva la sua lingua nativa, con essa conserva la memoria della patria, l’eredità sì cara delle tradizioni domestiche e nazionali, religiose e patriottiche. Fate che perda la sua lingua nativa, lo vedete quasi ramo staccato dall’albero suo e ficcato in terra, crescere e vivere a se solo: lo vedete assimilarsi ad un altro popolo, perdere la sua personalità nazionale. Molte migliaia di italiani, emigrati negli Stati Uniti, alla seconda, alla terza generazione sono assimilati agli Americani, cessano di essere Italiani, e, ohimè, assai volte cessano d’essere cattolici; con la lingua della patria, hanno anche perduta la religione della patria».

Da ogni punto di vista dunque le scuole di cui sopra abbiamo detto meglio di qualsiasi altro genere corrispondono agli scopi. Scriveva l’anno scorso il vice Console addetto per l’emigrazione a Philadelphia, dott. Luigi Villari in una sua relazione al Commissariato:

«Io credo che le scuole parrocchiali siano il miglior mezzo per mantenere la lingua ed i sentimenti Italiani fra gli emigranti, poichè i Sacerdoti hanno altra influenza sui bambini e sulle famiglie, oltre quella della scuola. Nelle scuole di questo genere da me visitate, ho potuto constatare che vi si insegna realmente l’Italiano e che vi s’instillano sentimenti patriottici. I resultati ottenuti sono certo più proficui di quelli ottenuti finora da certi tentativi di scuole o di altre istituzioni laiche che hanno la vita e la durata dei funghi».

Accanto all’aiuto morale, abbiamo detto che un altro di carattere più materiale occorre sia esplicato a vantaggio dei nostri emigrati.

A tal fine l’Italica Gens si propone di far sorgere nelle Americhe, dalle regioni nordiche del Canadà alla punta estrema della Terra del Fuoco, una fitta rete di Segretariati per gli emigranti, rete di Italianità che deve abbracciare i grandi centri ed i paesi più piccoli e più remoti, ogni luogo dove si trovano italiani.

Lo stesso nome di Segretariato ne indica il compito generale di assistenza, compito che viene ad essere reso possibile e facile in una quantità di occorrenze le più svariate anche mediante corrispondenti che ogni segretariato può avere fra persone che possano essere di aiuto alla Federazione, come industriali per il collocamento al lavoro, avvocati per pratiche legali, medici per l’assistenza ad infermi, proprietari di campagna, ecc., tutte persone che accolgano le raccomandazioni dei Segretariati e forniscano le informazioni loro richieste.

A provvedere alla funzione necessaria di ispezione su questi uffici il Segretario centrale dispone di Ispettori viaggianti che alla completa conoscenza della finalità della Federazione, uniscono quella egualmente perfetta dei luoghi nei quali devono esercitare la loro giurisdizione.

Un motivo, in modo speciale, rende eminentemente proficua l’opera del Missionario a vantaggio dei nostri connazionali emigrati: il disinteresse personale. Lungi infatti dallo scopo di speculazione o anche solo di guadagno che ha fatto fallire il fine di tanti altri istituti, i Missionari si accingono alla nobile impresa per pura carità sociale ed amor di patria, avendo in vista unicamente ricompense ultramondane.

Quella diffidenza che il nostro emigrante, ingiustificatamente quanto si vuole, ma pure ha verso tutti coloro in cui trova o in cui suppone carattere governativo, egli non ha verso i Sacerdoti italiani, i quali invece hanno grande ascendente sopra di lui.

Questi requisiti faciliteranno alla Italica Gens la sua opera di assistenza agli emigranti specialmente in quel compito così importante qual è il collocamento al lavoro nei paesi americani.

Poichè è noto che la cattiva distribuzione delle nostre genti lavoratrici, ed in particolare i loro affollamenti nei quartieri di alcune città (in un quartiere di New-Jork vi sono 500.000 italiani) in condizioni nocive alla igiene fisica e morale, già da tempo preoccupano [p. 132 modifica] l’opinione pubblica americana per il timore di pericoli e danni che da questo fatto possano venire; essa ha avuto riflesso nelle leggi della confederazione, le quali mostrano la tendenza alla soluzione radicale di avversare e restringere l’immigrazione in quei paesi, soluzione invero inadeguata al problema poichè, per impedire inconvenienti che si verificano in pochi centri, viene a far danno allo sviluppo economico di tutto quel vasto continente.

Illuminato invece si mostrò il parere del R. Console Generale d’Italia conte A. Raybaudi-Massiglia il quale osservò che per risolvere il problema della congestion bisognava non localizzarlo, ma cercarne la soluzione in un maggior equilibrio economico fra le varie forme di produzioni: le industriali e le agricole.

Orbene con la guida di questi concetti, apparisce chiaro che l’avviamento più opportuno da darsi ai nostri lavoratori è lo spingerli all’agricoltura in quelle regioni in cui delle buone condizioni alla classe agricola siano garantite dallo Stato.

La parte più rilevante della nostra emigrazione per gli Stati Uniti del Nord si distribuisce nei territori di New Jork e Boston porti di sbarco, ed agricoltori in massima parte, sacrificano le loro attitudini preziose per darsi ad un mestiere qualsiasi che li faccia campare, pur di non andare incontro a nuovo viaggio ed a difficoltà per cui mancano di mezzi, di cognizioni e di iniziativa.

L’Italica Gens per mezzo degli uffici suoi in Italia dei Segretariati di codeste città di sbarco corrispondenti cogli altri delle regioni agricole si impegnerà con ogni buon volere in questa azione di informazione e di avviamento, procurerà l’accordo dei lavoratori con imprese di colonizzazione che diano affidamento di serio risultato, cercherà di promuovere la formazione di nuclei italiani compatti, giacchè l’unione si palesa fattore importantissimo della fortuna economica e della conservazione dello spirito e carattere nazionale dei nostri emigrati. Ciò non solo per dirigere le nuove correnti, ma altresì per favorire lo sfollamento dei centri troppo popolati.

I Segretariati inoltre si propongono di aiutare gli emigranti nelle molteplici difficoltà che sì di frequente occorrono in ispecie ai meno colti: e così ad esempio nello scrivere lettere ai parenti, ottenere passaporti, rimpatrii, consigli circa la collocazione di denaro per cui spesso cadono nelle mani di banchisti truffatori, facilitare le relazioni colle autorità consolari e governative locali, ed in tutto ciò di cui possa abbisognare chi è poco esperto e lontano dalla patria.


E possa la parola unificatrice che l’Italica Gens non si stancherà mai di portare fra i nostri italiani di là degli Oceani, avere eco nel loro cuore, onde siano tratti a raccogliersi sotto l’unico vessillo della patria, e cessi quella scissione a base di campanilismo regionale, che caratterizza le nostre colonie, difetto grave che contribuisce tanto a disperdere le forze e il prestigio dell’Italia all’estero.

Infine non possiamo fare a meno di esprimere il voto che la prima azione in favore dei nostri emigranti sia adeguatamente svolta in patria mediante la preparazione delle masse avanti che quelle emigrino. Compito non privo di difficoltà, ma da affrontarsi a costo di qualunque sacrificio, data la sua importanza suprema.

Il distruggere l’analfabetismo in quella gente, il renderla meno ignorante, più capace, più civile sotto ogni riguardo, è una tutela preventiva indiretta di efficacia molto maggiore di qualunque assistenza od aiuto diretto. È a questo genere di tutela che il nostro Governo deve prima di tutto provvedere in patria, intensificando con qualsiasi mezzo, ed in special modo colle scuole diurne, serali, domenicali, l’opera di istruzione di educazione del popolo.

Tali sono sommariamente i punti principali del programma di azione della Italica Gens. Sembrerà strano ad alcuni che la Federazione rivolgendosi in modo speciale a Missionari e ministri di culto non domandi l’opera loro nel campo spirituale e religioso nel quale essi esercitano la loro precipua attività, e nel quale quanto in quello sociale forse più si formano il carattere e i destini dei popoli.

Essa, pur volendo, non potrebbe chiedere questo, poichè esorbiterebbe dal suo compito invadendo quello dell’autorità religiosa senza portarvi la necessaria competenza.

Nè d’altra parte ciò sarebbe per altri riguardi opportuno, poichè avendo l’Italica Gens carattere eminentemente nazionale e sociale, deve essere istituzione apolitica ed aconfessionale, aperta a tutti, a qualsiasi partito ed a qualsiasi fede appartengono, ispirata da quel largo sentimento di carità cristiana che, all’infuori e al disopra di qualsiasi considerazione politica e religiosa, si effonde con eguale amore su quanti della umana famiglia soffrano ed abbisognino di aiuto: sentimento che riempie il cuore di ogni eletto Ministro di Dio.

A coloro che, di fede diversa, sono indotti a guardare con occhio diffidente e talora ad ostacolare tutto ciò che è opera di persone legate a religione, osserviamo che ogni azione ostile all’Italica Gens sarebbe contraria agli interessi nazionali e sociali.

Considerino essi il grande vantaggio che la nazione può trarre dall’opera dei Missionari all’estero: vantaggio riconosciuto da tutti gli Stati, e che spinge la Germania protestante ad estendere la sua protezione alle missioni cattoliche e la Francia, in aperto conflitto con la S. Sede, a mantenerla sulle corporazioni religiose in paesi stranieri, per non vedere indebolirsi la sua influenza politica.

Almeno l’amore della grandezza della patria faccia tacere in ogni buon cittadino le passioni di parte; «almeno fuor del paese, come disse Luigi Luzzati, cessino i nostri dissidi, e agli emigranti che ci lasciano forse per sempre, si dia il conforto nella solitudine dei mari e in terra straniera di congiungere insieme Dio e la Patria». [p. 133 modifica]

A GIOVANNA D’ARCO


     La primavera scorrea, con fulgide
promesse, i Franchi paesi uberi;
e Tu del novissimo sguardo,
contemplavi la patria, o Giovanna.

     Fremeano, ebbri di sole e d’aria,
d’amor, di vita, le cose e gli esseri;
ma l’ombra di morte, (e qual morte!)
incombea su’ tuoi giovani dì.

     Come un’estiva corrusca nuvola
sui biondi campi, l’odio Britannico,
su Te, casto fior peregrino,
dirompeva con empio clamor.

     «Va, maliarda», dicean, schernendoti,
mentre passavi di ceppi carica,
gli sgherri del vil Borgognone,
e de l’Anglo Reggente i sicari.

     «Va, maliarda, le forze inique
che a nostro danno, che a nostro obbrobrio,
dagl’inferi mondi evocasti,
già son dome e disperse. Le voci,

     oh le tue voci già ammutolirono;
Carlo, e i tuoi fidi T’abbandonarono;
sei vinta, sei nostra, sei rea,
sei perduta». E Tu intanto compivi,

     sicura il passo, la fronte indomita,
l’ultima tappa del tuo calvario.
Rullavano cupi i tamburi,
le campane suonavano a morte.

     Della recisa tua vita florida
sentiva il core tutto lo strazio;
ma forte era l’anima; gli occhi
si fissavano in alto, a la meta;

     mentre la santa prece dei martiri
salia dal petto sul labbro vergine,
col voto che afforza e sublima,
col sospir che si dona e s’oblìa.

     «O mio Signore, di questa patria,
che, per Tuo cenno, difesi impavida,
di questa mia patria, o Signore,
sia l’ingiusta mia morte salute.

     La passione tua grande, l’umile
mia passione regga e santifichi!
Se in pace al rossor de lo scherno
e del rogo ai tormenti mi piego;

     sperdi la voce rea di calunnie
che l’onor mio troppo contamina!
Io vissi ed oprai nel tuo nome,
nel tuo nome morendo confido!....»

     E Iddio T’intese. Di fiamme un orrido
vol, saliente con guizzi e crepiti
feroci, mordenti ogni fibra
del tuo corpo riscosse e investì.

     Il vigoroso tuo piè fu cenere!
l’ardito braccio che vinse l’Anglica
possanza, fu cenere! Il volto
ah il tuo fiero bel volto fu cenere!

     Ma non il core, no; il puro, l’inclito
tuo core, illeso fu visto, fulgido
quasi astro; e fu il novo portento
di tue postume glorie un presagio.

     Sotto la mano che i giusti vendica,
ad uno ad uno, per fato ignobile,
ben presto perirono, e i Giuda
che di Te fean mercato, e gl’iniqui

     che le tue gesta d’onta coprirono,
e gl’inumani che il tuo segnarono
tremendo supplizio!.... Su tutti
bieca un’ombra d’infamia addensò.

     Sul Franco suolo, al moto instabile
de la fortuna, mille alternaronsi
vicende, fra popoli e troni;
luminose meteore vanirono

     pel Franco cielo, e nembi d’orridi
travolgimenti; ma la memoria
tua stette, o Giovanna, ravvolta
nel perenne suo nimbo di gloria.

     Stette la tua memoria. (Estinguersi
può forse il vero? forse dissolvere
può turbine umano l’idea
che in Dio nasce, in Dio vive e si fonde?)

     Stette la tua memoria, e fervido
più sempre un voto sorgea dall’anima
(de’ Tuoi non soltanto), di tutti
che a la croce son fidi e a la patria.

     Mirar dei Santi l’aureola cingerti
la pura fronte, che un dì cingeanti
le lugubri vampe; esaltare
col tuo nome de’ martiri il nome;

     e là ove il rogo Ti ergeano, erigerti
degno un altare!.... Sciogliamo al giubilo
la voce, o credenti, o fratelli,
d’ogni suolo! Esultiamo ne l’inno

     de l’alleluia! A Dio prostriamoci,
a Dio che l’eco d’uno e più secoli
raccolse, che il voto di tanti
cuori intese e fe’ pago. Esultiamo!....

     Or compie un anno dal dì che l’inclita
Chiesa di Cristo, pel ministerio
de l’almo suo Capo, fra i Santi
assumea la fanciulla guerriera.

     Quel giorno Roma, l’Urbe dei popoli,
fiera del novo trionfo splendido,
vincente gli antichi, mostrava
de’ suoi giorni migliori il sorriso.

     E il ciel ridea sovr’essa limpido,
piovendo nimbi d’oro allo storico
San Pietro, ove immensa una folla
inchinava alla bianca bandiera

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     de la sublime fanciulla d’Orleans!...
O forte, o pia, senti, la patria
che a l’Anglico giogo strappasti,
oggi ancora Ti acclama e T’invoca.

     E la Latina sorella italica,
lieta del nuovo serto purissimo,
che sotto il suo ciel T’incorona,
pur Ti acclama e T’invoca. Deh ascolta!

     Fraterno patto, le Franche e l’Itale
forze avvalori; per sempre sperdansi
le nubi che l’odio e il servaggio
tra nazione e nazione addensavano.

     Tutto a feconde gare magnanime
si esalti il mondo; e, come libere
ondeggian le varie bandiere,
così libera ascenda la fede.

Maria Motta
Maestra Cieca.