Il buon cuore - Anno IX, n. 34 - 20 agosto 1910/Beneficenza

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Beneficenza

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Il buon cuore - Anno IX, n. 34 - 20 agosto 1910 Religione

[p. 265 modifica]Beneficenza


Un grave problema
femminile e sociale.

Sotto questo titolo, una distintissima scrittrice, la signora Graziella Monachesi, ha pubblicato uno studio veramente bello e interessante nella Perseveranza, la quale — come afferma anche un esimio Prelato — è uno dei pochissimi giornali che possan dirsi seri.

Riportiamo lo studio della Monachesi, facendo seguire qualche commento alla parte più difficile, quella delle cause del male da lei deplorato e dei rimedi adatti a combatterlo.

Se, nell’impeto tumultuoso di questo nostro andare affrettato, che ci toglie le mille sensazioni profonde e squisite della vita, la calma di guardare, intorno, i compagni del cammino, la via che ci lasciamo indietro, le care immagini passate, i fantasmi lieti e tristi delle ore più intensamente vissute, dei ricordi, dei rimpianti e, perfino il termine della corsa affannosa ad un perchè irraggiungibile ed eterno, noi potessimo scrutare con acutezza di sereno giudizio dentro di noi ed intorno, per conoscere a qual punto siano giunti dopo tanto affanno, qual’è il mondo d’affetti che ci siamo creati, quale il frutto migliore nato da questo turbine vorticoso di attività e di febbre che ci agita e travolge; uno spettacolo dolorosissimo ne colpirebbe, come l’improvvisa visione d’un mondo, distrutto da una cieca forza di sterminio. E sarebbe la rovina di quanto fu più caro, fin dall’infanzia remota dei nostri padri; di quello che fu il sacrario delle migliori virtù civili e morali della nostra gente e che resterà sempre, vorremo o no crederlo, il tempio, ove ogni religione ha il suo conforto; ove le preghiere s’affratellano, in una dolcezza di aspirazioni simili; ove il grido del dolore ed il canto della gioja accomunano le anime di ogni fede e dove si preparano, in ogni età e presso tutti i popoli, l’idea ed il germe vivo dell’avvenire, come un’onda perenne, che fluisca dallo spazio incommensurabile dell’ignoto verso il futuro, tra una culla ed una bara, ed una nuova culla. Voglio parlare della famiglia.


Il dissolvimento della famiglia.

Non sentiamo, infatti mancare, giorno per giorno, intorno a noi, un gran bene che nulla può colmare? Non sentiamo un’irrequietezza penosa, una nostalgia lacerante per gioje che, ogni aspirazione soddisfatta, nel cammino tormentoso dell’esistenza, non ci sa dare e che rimangono, in fondo al nostro spirito, come germi di fiori meravigliosi, condannati ad isterilire nel bujo e a disseccarsi, per mancanza di calore e di luce? La fretta della conquista, l’avida brama di giungere, non ci fanno riflettere sulla causa di questi turbamenti misteriosi dell’anima, di cui avvertiamo solo l’amarezza sconsolata e per i quali, quando crediamo di esserci riavuti, proviamo lo sconforto di chi, salvo per miracolo da una gran burrasca, si accorga d’aver perduto in essa, irrimediabilmente, i beni che gli erano più cari. Eppure la causa è talmente prossima a noi e così vicina ed immediata, da meravigliarci come non si abbia pensato a tempo a scongiurarla; essa è il disgregamento della famiglia. Mai, come oggi, in cui c’è maggior bisogno di forza morale, per progredire, e di soavità d’affetti, per rinnovellare energie abbattute ed entusiasmi spenti, la casa ha mancato al suo compito, alla nobile missione d’educatrice severa, di guida sicura, d’amica generosa e costante. Le cause di questo gran male sono infinite e molteplici; sembra che mille raggi di fiamme divoratrici convergano, da tutti i punti, sul focolare domestico, per distruggerlo e, la donna stessa, la gentile signora della famiglia coopera, non voglio dire volontariamente, ma, neppure incoscientemente, alla rovina del suo regno e della sua opera più nobile.

Mi perdonino le Mamme buone, che vigilano sulle ansie dei figli, per riafferrare, con la dolcezza divina del loro amore, il dominio del consiglio e delle lacrime che solo si versano, anche quando il mondo ci crede uomini, sul loro seno; mi perdonino le spose, che sentono di non saper più trasfondere, nella carezza dell’affetto, un colore più potente delle mani gentili, quello [p. 266 modifica] del consiglio d’amica, di incitamento al bene, al perdono, al disinteresse; mi perdonino, soprattutto, le fanciulle, le giovanette, a cui, più che ad ogni altro, parlò da sorella, confessando con dolore, ma con franchezza, che la colpa dei loro affanni futuri e dei presenti, che le tempeste del loro spirito e il turbine segreto e spaventoso che tormenta il sacrario di molte famiglie, che l’angoscia inesprimibile e disperata che le spinge al suicidio o al disonore son dovuti alla donna.

I nostri tempi, a cui ci guidarono dolori sacri di battaglie e di martirii per la civiltà, non sopportano, è vero, il sonno di energie e la donna non deve negare, alla società, il contributo del suo lavoro, la genialità delle sue forze, l’impulso del volere e dell’entusiasmo e dell’intelligenza, che la rendono degna di comparire vicina all’uomo, come compagna ed amica, nel gran campo dell’attività umana; ella può essergli vicina nelle pianure e per le colline, sotto il sole, fra l’olezzo delle zolle feconde, per le fatiche del terreno; come nei laboratori ove, sul fracasso monotono e tragico delle macchine ed il silenzio triste degli uomini sorride, come una bella promessa, la letizia del suo sguardo luminoso; ella può essergli vicina negli ospedali, ove si soffre e si muore più rassegnati, per la sua carezza, come sui palcoscenici da cui l’arte sa trionfare sulle quotidiane amarezze e sugli egoismi degli uomini; ovunque l’idea di bene, di generosità rifulga; ove lo slancio dell’eroismo e del sacrificio compia prodigi e sempre, contro la materia inerte e contro l’ignoranza ed il male; contro la sventura e la vergogna; e per le virtù modeste che passano, coi ricordi intimi, quali semi fecondi di bene, nelle generazioni future; come per le glorie che i popoli salutano riverenti, nel tempo, e consacrano, ad alta voce, nella storia. Venga pure innanzi, dalla luce del suo mondo crepuscolare, questa creatura nobilissima, che ha procurato tanta gioja nella vita degli uomini; s’avanzi gentile e forte per le sue virtù, educate da secoli e riscaldate dal fuoco del sentimento e dell’entusiasmo; s’avanzi altera della sua nobiltà di affetti e d’idee e superba del destino che le è serbato. Poichè, non solo, ella è degna -di essere vicina all’uomo, nella vita sociale; ma gli è superiore nel sentimento, nella squisitezza degli affetti, nell’ardore dell’entusiasmo, nella pietà materna che ne guida gli atti per il bene altrui, per la rivendicazione di diritti sacri da parte degli sventurati; per il miglioramento dei traviati e dei derelitti, per la salvezza dell’innocenza, per la difesa dell’onore, della virtù, della giustizia a profitto dei deboli, degli infelici, dei dimenticati, della folla immensa di quanti potrebbero soffrir meno.

Si presenti e sorrida e rifulga per la sua grazia, nel mondo; ma ricordi, soprattutto, ch’ella è superiore all’uomo nella virtù e nel sentimento e che, perciò, a lei sola, tocca il supremo governo della famiglia e che la sua azione benefica e nobilissima si deve svolgere piena, prima nel santuario domestico.

Gli uomini non sapranno ridere di voi quando, prima di comparire sulla scena della vita sociale, avrete compiuto il vostro dovere nel tempio della virtù, a cui furono educate le vostre madri ed a cui dovrete educare i figli. Se, per acquistare il diritto di lavorare ed agire come l’uomo, dobbiamo rinnegare il divino sentimento della famiglia, per cui anche la bimba di quattro anni, stringe sul cuore la bambola, chiamandola la sua figliuola e prepara la cucinetta ed il lettino e le cuffie, per darle una casa ed il benessere; val meglio ritirarsi dal campo; poichè, la bugiarda vittoria, sarebbe indegna di noi e della nostra missione.

L’odio della casa.

Ebbene, nell’attuale periodo di passaggio, la donna non ha saputo fissare gli occhi nel fulgore della luce promessa, senza rimanerne offuscata; il nuovo fuoco, il nuovo soffio di vita, costretti per secoli, hanno avuto la forza dell’incendio e del turbine e l’hanno travolta, prima ch’ella avesse il tempo di serbare intatto, nel cuore, il patrimonio ricchissimo delle virtù, dei doveri ereditati dal passato, per l’intelligente e materna bontà della sua opera educativa, nella famiglia; e prima che, con questo tesoro dell’anima, potesse muovere ardita, trionfatrice e pia, il cammino verso il riscatto dei suoi diritti.

Il popolo narra che, Masaniello, uno dei suoi eroi più cari, accecato dal fulgore improvviso della porpora e del trono, impazzisse e che, nell’ultimo canto d’Ofelia, caduta nell’acqua, mentre voleva attaccare, al ramo del salcio, pendente nel ruscello, il suo gentile trofeo di fiori, le antiche canzoni morissero, in un lamento nell’onda.

Oh! mia povera Ofelia!

«a te soverchia — fu l’acqua».

Oh! non muojano così, nel flutto vorticoso della vita nuova, le note squisite d’un inno che, la delicatezza femminile, la soavità delle virtù domestiche, la dolce modestia dei costumi muliebri, hanno composto gloriosamente di generazione in generazione; non muoja così la poesia sublime della donna, che è anche la poesia della civiltà.

Quando oggi, specialmente nei grandi centri industriali, vedo la folla di fanciulle e di giovani donne attraversare, come una corrente impetuosa, la fiumana dei lavoratori, provo una pena intensa, ineffabile. Le guardo e mi sembra che i loro atti, le parole, i movimenti, perfino la voce ed il riso, abbiano perduto la grazia, la squisitezza, la modestia della femminilità. Se, al mattino e alla sera, le lunghe file delle lavoratrici dànno, alle vie, non so quale espressione triste ed affannosa; nel mezzogiorno lo spettacolo delle operaje più giovani sdrajate sui prati, per la colazione, o disperse a crocchi chiassosi, nelle piazze, vicino alle trattorie più affollate, per le strade popolose, ove ridono e schiamazzano sguajatamente, coll’evidente preoccupazione d’attrarre lo sguardo, lo scherzo sottile e scortese o le frasi meliflue degli uomini, è ancora più angoscioso. Somigliano a quei fiori bellissimi per il colore smagliante dei petali e la rugiadosa freschezza delle corolle, a cui però fu negato il profumo. E, da questa vita strana di lunghe ore di fatica e di sacrificio e di pochi minuti di divertimento sguajato, di civetteria chiassosa, di leggerezza pervertitrice, dipende quel contrasto penoso di giudizio e d’affetto che sentiamo in cuore per esse; un sentimento cioè, di ammirazione e di pietà insieme; quel contrasto che ci rende colpevolmente indulgenti, che è la loro vita e che si potrebbe materializzare, direi quasi, in queste poche parole di duro significato: — quanta fatica materiale e quanta rovina morale per un misero guadagno che, nella maggior parte dei casi, basta a stento a soddisfare le prime necessità della vita!

Ed in tale contrasto, nella leggerezza dell’inconsiderazione, si attenuano intanto e svaniscono [p. 267 modifica] irrimediabilmente le speciali virtù femminili che sono le forze necessarie per la vita morale della famiglia e le più vitali di conseguenze, buone o cattive, per la società.

A queste fanciulle che, quale unico sfogo naturale della loro gioja di vivere, della vivacità giovanile (costrette da lunghe ore di fatica e di silenzio) trovano lo scorrazzare per le piazze, il correre, come monelli, per le vie, il gridare tra loro e coi compagni di lavoro sguajatamente; la casa e la quiete modesta di essa, devono divenire, necessariamente, a poco, a poco, opprimenti e tediose e, tanto più, quanto ancora, nella famiglia, permanga il senso della passata educazione severa, del diritto che hanno i genitori di consigliare, di correggere e vigilare la condotta dei figli. Nasce, così, insensibilmente ma profondo, amaro, potente l’antagonismo fra i membri stessi della famiglia e s’inasprisce nell’ombra, una lotta sorda, tra figli e genitori, e cresce di ora in ora un odio dissolvitore delle più care e sacre gioje domestiche, degli stessi affetti famigliari, del benedetto vincolo di parentela che, solo, dà la forza ed il conforto di dominare virilmente le amarezze della vita e di vincerle e si genera perfino — sembrerà mostruosa la mia parola, ma purtroppo essa indica la terribile verità — si genera, dico, l’odio della casa. Come spiegare altrimenti, tante tragedie domestiche, tante vergogne private, l’arroganza brutale dei figli verso gli stessi genitori, l’incompatibilità minacciosa tra fratelli, la dimenticanza assoluta del rispetto, della venerazione, dei doveri che tutti abbiamo verso la nostra Madre e nostro Padre? Come spiegare la lotta tumultuosa dello spirito di chi, giovane, sano, come non seppe sopportare più la cara dipendenza verso i suoi, la sottomissione dolce ai loro consigli ed al loro volere, non resiste al primo urto contro la vita e s’uccide miseramente?

Ricostrurre la famiglia educando la donna.

E’ certo grave indelicatezza guardare nel chiuso mistero delle case; ma la bufera, che ha invertito, in molte di esse, ogni ordine ed ha travolto l’armonia dei rapporti domestici e la disciplina educativa coll’impeto brutale della distruzione, forza le pareti del Santuario e mostra a nudo, purtroppo molto spesso, la vergogna miserabilissima di tanta rovina. Allora gli occhi estranei possono pur profanare, con curiosità, l’intimità sacra della famiglia; ormai questa è distrutta per sempre. Di chi la colpa? Di quale causa? E’ troppo arduo indagare, o meglio, scoprire il vero; certo però è dovere di tutti e delle donne, in ispecial modo, d’arrestare il male e riparare.

La donna, dunque, per le presenti condizioni economiche e sociali, specialmente dei grandi centri, ove l’attività più intensa, ha creato vantaggi ed anche bisogni più vivi, è costretta dal lavoro ad abbandonare la casa e ciò non sarebbe triste, per la giovinezza, quando molte e molte savie e giuste condizioni ne regolassero e guidassero la nuova maniera di vita, in modo da non abusare delle forze, della virtù, della salute e della serenità giovanile. Soprattutto esse dovrebbero mirare a mantenere nel cuore delle fanciulle e delle giovani il culto della casa, l’amore della famiglia, la modestia e la squisita gentilezza dei sentimenti e delle maniere che fanno cara e rispettata la donna. Allora, quando la donna avesse imparato a sentire di nuovo il desiderio della casa come del suo porto tranquillo, dell’altare della sua bellezza e delle virtù femminili; dopo il lavoro non perderebbe il tempo fuori degli stabilimenti e degli studii privati e degli opifici a civettare fino a tarda ora per le vie, a scherzare impunemente colla propria virtù, a rodersi di desiderio e di invidia dietro alle futilità della vita, del lusso e della moda, ma ritornerebbe felice presso la madre, nella casa che attende la luce del suo sorriso; e la maternità la troverebbe, più tardi, pronta ai sacrifici sublimi per l’amore della nuova famiglia, per la fedeltà al compagno, per l’abnegazione ai doveri importanti della donna, per l’intensa volontà di educare seriamente i figliuoli. Ed infatti è dolorosissimo il pensiero, che ci colpisce, quando riflettiamo alla fretta che queste creature hanno di formarsi una nuova famiglia, quando esse stesse hànno distrutto la prima da cui nacquero, in cui ebbero le carezze materne, in cui crebbero per il lavoro del padre; quando odiano il tempio stesso della loro fanciullezza e della vecchiaja dei genitori. E, da questa leggerezza di sentimenti e da questa mancanza assoluta della educazione morale delle giovani derivano i mali peggiori della società: l’abbandono dei bimbi e la loro rovina fisica e morale, contro cui non è ormai più sufficiente l’opera dei privati e di associazioni, ma urge quella energica del Governo.

Che cosa bisogna fare? l’azione educativa è sempre quella che, per il suo stesso principio e per il suo valore nobilissimo, deve prevalere su qualunque altra, quale opera efficace di prevenzione. Come non si può pretendere che una pianta malata dia buoni frutti; così non si possono forzare, a buone conseguenze, cause radicalmente cattive. Bisogna educare la donna, sia essa operaja od impiegata (non si creda che, quest’ultima, sia meno bisognosa della prima, di tali cure): bisogna educarla alle severe virtù femminili, istillarle, di nuovo, nel cuore l’amore ed il rispetto per la famiglia. Questo amore è una fiamma facile a far divampare nella sua anima destinata agli affetti; ed essa brucerà, di nuovo, purificatrice, quando, un’accorta educazione ne avrà liberato le faville dalla cenere della ignoranza, dell’indifferenza, della vanità e del cinismo.

I mezzi più adatti.

A questo sacro còmpito di redenzione morale della donna e della famiglia non bastano le scuole festive, i ricreatori popolari, ecc.; occorre vigilare le fanciulle quotidianamente e combattere le forze che ne distruggono di continuo la bontà; ora, per ora, nel luogo istesso ove vivono e dove, abbandonate al cattivo esempio e alla propria incosciente sfrenatezza, devono necessariamente guastarsi. Dovrebbe divenire obbligo dei padroni degli stabilimenti, di uffici privati, di laboratori, ecc., d’unire al corpo di fabbrica destinato al lavoro, spaziosi giardini ridenti ove le operaje potessero far colazione e ricreazione senza uscire per le strade, ampi locali luminosi, direi quasi d’educazione, ove esse nei giorni festivi potessero raccogliersi piacevolmente e gustare musica, rappresentazioni artistiche ed educative insieme, a cui potrebbero anche prender parte secondo le proprie inclinazioni, e letture e conferenze, ecc., sotto la guida e il discernimento educativo di volonterosi. Le spese? Dovrebbero essere collettive; del Governo, dei padroni degli stabilimenti, ecc.; ove le operaje danno l’opera delle loro energie giovanili, dei privati, di quanti cooperano anche ora alla vita di istituti educativi per il popolo. Si tratta di cambiar metodo e non di [p. 268 modifica] aumentare le spese. E, d’altra parte, quando in una casa ammala gravemente uno dei membri, non si pensa a spese, si sacrifica tutto pur di salvarlo. E la Società, la grande seconda famiglia, deve, come quella, compiere, per il suo bene, sacrifici senza misurarne la gravezza apparente e transitoria. Se i luoghi di lavoro e di prigionia e di sacrificio, presentassero anche, come la didattica della moderna educazione vuole nelle nostre scuole, l’aspetto gioviale del riposo e della ricreazione, necessari per rinfrancare e rinnovellare le forze e la prontezza e l’amore dell’operosità, noi vedremmo ben presto chiudersi lo spettacolo vergognoso delle giovani creature affollate nelle osterie, nel folto dei giardini pubblici, lontano dalla vigilanza materna; nelle improvvisate sale da ballo dove confluiscono come mille rigagnoli, torrenti limpidi e torbidi insieme. E lo scopo principale di quelle riunioni cordiali e festose dovrebbe essere non solo di allontanare ed evitare il male, ma riaccendere nelle anime, per mezzo del piacere dell’istruzione indiretta e dell’educazione, l’amore della famiglia, delle virtù domestiche, il rispetto dei doveri sacri verso i genitori, la venerazione per ogni loro consiglio o per la severa e dolce disciplina famigliare che, ora, disprezzano ed odiano come un freno ingiusto e crudele.

In quanto all’importanza di coltivare l’amore alla lettura e di guidarne con coscienza le ricerche e la scelta, essa è straordinaria specialmente oggi in cui, per il nobile bisogno che il popolo ha di appagare l’avidità della mente, più sveglia del passato, vediamo dilagare tra le fanciulle, i ragazzi, i giovani e le donne, per le vie, negli uffici, negli stabilimenti, in casa, libercoli di nessun valore letterario, educativo, istruttivo, non solo; ma dannosissimi per idee falsate dalla mancanza di serenità di chi scrive con preparazione ed intenti ben diversi di quelli di educare. Queste letture accrescono l’incontentabilità nelle masse giovani, fiaccano o sviano dalla rettitudine le energie migliori, fresche, possenti, serene delle nuove generazioni, creano il turbamento delle coscienze e le ombre di immaginari fantasmi nemici intorno; nella casa, fra gli amici, ovunque.

Sembra impossibile, eppure questo lavoro lento e costante di distruzione, o meglio, di traviamento, che ha portato il fango delle passioni nelle famiglie, spiega, secondo me, la brutalità di certi atti della folla, di individui contro individui, di crudeltà inaudite che la cronaca deve registrare quasi giornalmente. Infatti, quando nella casa non c’è più la dolcezza delle maniere, la venerazione per i genitori, la cortesia affettuosa tra i fratelli, il rispetto reciproco e l’indulgenza benevola; l’indole dell’uomo s’inasprisce; egli perde la squisitezza dei migliori sentimenti, ciò che l’educazione morale gli ha dato di bello e di buono e si scopre negli istinti volgari di violenza e di prepotenza e d’egoismo. E se tale brutalità si sfoga nella casa, ove i più dolci affetti santificarono la nostra infanzia, dove la benedizione materna ed il capo bianco di nostro padre non si rispettano più; come reprimersi fuori di essa, tra gli altri individui, al cozzo delle loro volontà, dei loro desiderii, contrari ai nostri?

L’egoismo, mostro divoratore dell’anima umana e dei più generosi sentimenti, trionfa così, indomabile e feroce, mentre da ogni parte, forse per ingannare ipocritamente noi stessi, gridiamo fratellanza e stendiamo a destra ed a sinistra, le mani, in atto d’amicizia e di disinteresse, senza carezzare ed ajutare nessuno.

Io non so deplorare tutto ciò, senza una amarezza che sorpassa ogni dolore, poichè la causa prima di tanti mali, l’origine di tale rovina sociale, di cui non si potranno mai misurare i danni in ogni stato, in ogni condizione, nelle più disparate e lontane conseguenze, nei più contrari effetti, è proprio, come dissi, la famiglia: senza l’azione benefica ed educativa della quale a me sembra che tutte le nostre scuole, gli istituti d’educazione, le opere di beneficenza, di previdenza, di carità, sieno inutili rimedii, chiamiamoli pure così, perchè sono, in realtà, farmachi della scienza di fronte alle malattie che la natura dichiara inguaribili.

Eppure, senza una severa educazione della donna, senza cioè il rinnovamento e la redenzione della famiglia, che dipendono da essa, convinciamoci che non sarà possibile il progresso, il miglioramento della Società, l’avanzarsi delle genti verso il loro destino supremo; ma che, anzi diverrà certa e spaventosa ed irrimediabile la rovina dei migliori sentimenti e di quelle leggi di robustezza delle virtù, d’educazione morale che, sole, conservano le glorie passate e governano ed assicurano il progresso dei popoli verso l’avvenire.

Graziella Monachesi.


Anima nobile ed onesta, la signora Monachesi, con forma davvero elevata e con una sovrabbondante copia di argomentazioni che rivelano una donna studiosa, ha segnalato il pericolo del disgregamento della famiglia. È pur troppo vero il quadro ch’ella presenta delle operaie somiglianti «a quei fiori bellissimi per il colore smagliante dei petali e la rugiadosa freschezza delle corolle, a cui però fu negato il profumo»; ma l’egregia scrittrice, nel suo studio, è pervenuta a scoprire le prime cause del male e qualche rimedio efficace? Da questi lati il lavoro della Monachesi, benchè ammirabile, anzi risplendente per la potenzialità della sua penna superiore, ci sembra mancante: manca a nostro avviso quell’esperienza che proviene non dallo studio teorico, bensì dalle constatazioni pratiche, fatte per anni in diversi ambienti, nei diversi rami della società, nei campi del lavoro, dell’istruzione e della beneficenza; e manca soprattutto quella verità che deve venire dall’alto, al di sopra d’ogni argomentazione scientifica, sociale, o morale che si voglia dire.

Noi non esitiamo a ripetere quello che abbiamo detto più d’una volta: — Al disgregamento della famiglia e alla conseguente demoralizzazione delle masse si è pervenuti per gli effetti fatali della scuola laica. Il cattivo esempio è venuto dall’alto al basso e da un gran pezzo. Dall’Università alla scuola elementare — fatte le debite eccezioni — i ben pensanti constatano troppo sovente gli effetti micidiali dello scetticismo. Così oggi abbiamo un gran numero di maestri materialisti, propagatori di errore, e gran numero di studenti d’ambo i sessi, che starebbero meglio nei campi e nelle officine.

Oh, come si è rivelata sempre più deficiente la così detta istruzione civile e morale, senza l’idea religiosa! Invano pochi buoni tentano por freno al materialismo invadente; intanto il male si allarga colla enorme diffusione di libri immorali e di giornali che suscitano sfrenate e vergognose passioni con descrizioni [p. 269 modifica] suggestive di fatti scandalosi. Coll’istruzione obbligatoria, ispirata a povere idee di civiltà e di moralità, si è dato un rasojo a doppio filo in mani quasi incoscienti, e colla libertà di stampa, degenerata in licenza e vergognosa speculazione, si sono avvelenati migliaja di cuori ingenui.

Ma l’egregia signora Monachesi esamina specialmente il problema delle fanciulle operaje, e vorrebbe poter migliorare le loro condizioni morali; ma con quali mezzi? Quelli che ella propone sono ineffettuabili e ci trasportano nel campo delle utopie. Anzitutto si è fatto troppo lungo cammino nella via della indipendenza, della libertà della persona e del pensiero, e anche le folle femminili — quelle che vivono d’una vita tutta materiale — si sono corrotte da molti anni, come si è veduto e si vede quasi quotidianamente in orribili manifestazioni.

Noi rimontiamo anche alla sommossa del 1898, nella quale donne e fanciulle operaje eran quelle che precedevano le turbe dei dimostranti e scagliavano atroci insulti ai soldati. Che non si disse allora sul problema del miglioramento morale delle operaje? Un indice sicuro lo diede l’illustre monsig. Bonomelli co’ suoi opuscoli scintillanti di parole fatidiche; ma che cosa fecero le classi direttive? Si eran veduti allora gli effetti della trascuratezza di tutti i partiti e di tutte le autorità a cui risalivano le responsabilità gravissime dei disordini; e si eran vedute le conseguenze della indifferenza religiosa, del cattivo esempio, che sempre ha portato e sempre porterà le folle a vivere come bruti, senza amore alla famiglia, senz’alcun pensiero per l’anima.

Ancor ammettiamo che si debbano fare le debite eccezioni e non veder troppo nero; ma appunto per questo dobbiamo notare la differenza nei risultati morali tra i dipendenti di padroni religiosi praticanti e quelli informati al precetto sterile della libertà di coscienza.

Avvicinandoci alla conclusione del nostro commento, dobbiamo dunque consentire che il rimedio, più che nelle proposte tendenti ad allargare le istituzioni di carattere laico e nella carezza che insuperbisce con eccessive concessioni, si deve trovare nel risveglio e nell’educazione del sentimento religioso, nel buon esempio e in quella fermezza che sa imporsi alla prepotenza e alla inesperienza.

Ottima signora Monachesi, a che servirebbero gli spaziosi giardini ridenti da lei ideati per la ricreazione delle operaie? E le sembra effettuabile una idea simile colla carestia d’area che abbiamo nei grandi centri industriali per gli uffici privati, per i laboratori, per tutti i corpi di fabbrica destinati al lavoro? Mancherebbe poi che s’invocasse il concorso del Governo in simile gigantesca intrapresa! Più azzardata è poi l’idea degli ampi locali luminosi ove esse (le operaie), nei giorni festivi, potessero raccogliersi piacevolmente e gustare musica, rappresentazioni artistiche ed educative, ecc. Di utopie — anche belle se vogliamo — è adunque inutile discutere; il loro destino è di dileguare dinanzi alla semplice visione dell’impossibilità di attuarle. La vera, la possibile, l’unica sorgente di salvezza, come giustamente ci fa vedere l’egregia signora Monachesi, è la famiglia. Nel passato, quando della famiglia esisteva ancora il culto, quando l’autorità dei genitori si riconosceva sacra, quando le pareti domestiche erano un asilo ed un rifugio, tante innovazioni che furoreggiano al giorno d’oggi, non si credevano necessarie. La donna non sentiva tanto la necessità di essere protetta. La sua semplice dignità, l’onestà sua istintiva, il decoroso suo contegno, erano per lei le migliori salvaguardie; ed avrebbe arrossito nel sentirsi ripetere che era giudicata tanto misera creatura da dover ricorrere all’ajuto altrui per conservare le prerogative più belle del suo sesso. Ma forse questo allora succedeva — ce lo permetta di dire la signora Monachesi — forse succedeva perchè allora nella famiglia esisteva quello che adesso purtroppo vi manca. Per educare la donna alle severe virtù femminili, alle leggi sacre della morale e dell’onestà, i genitori sentivano che qualche cosa doveva appoggiare le loro deboli forze; che non vi poteva essere che una luce capace d’illuminare il cammino, quella che, la Dio mercè, è sempre caduta dall’alto, quella che la maggioranza dei genitori del passato hanno sempre invocata e che, ben frequenti volte, fu anche invocata dai legislatori delle nazioni. La morale e l’onestà, sante virtù civili, sarebbero anche adesso rafforzate e affermate, se le virtù religiose venissero loro in appoggio; e malgrado i tempi più difficili, malgrado le insidie nuove, malgrado la vita più esposta, la donna, sia essa sposa o fanciulla, troverebbe in sè la migliore delle difese, troverebbe la forza di combattere quello che istintivamente le darebbe sapore di nausea.

Ma purtroppo siamo sempre dinanzi ad un problema. Ha la famiglia, civile ed operaja, la volontà d’affrontarlo quest’arduo problema? Ha la famiglia del giorno d’oggi la coscienza di riconoscere che l’immensa lacuna del sentimento religioso scava un abisso dove profondano tutti gli sforzi insieme riuniti, tutte le utopie, anche le più belle e poetiche, tutte le speranze, anche le più sacre e legittime?