Il buon cuore - Anno IX, n. 35 - 27 agosto 1910/Beneficenza

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Il buon cuore - Anno IX, n. 35 - 27 agosto 1910 Religione

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In memoria di S. E. Mons. G. B. SCALABRINI


Dall’organo dell’ITALICA GENS


(Continuazione, vedi n. 32).

II.

Signori, i pericoli che porta seco una tale emigrazione sono senza numero e del pari senza numero sono i mali che l’affliggono.

Quand’io, dieci anni or sono, raccolsi il grido di dolore de’ nostri poveri emigrati in uno scritterello che ebbe tanta eco nel cuore di tutti i buoni, e che riscosse in ogni ceto di persone così largo consenso di pensiero e di opere, io era ben lungi dall’immaginare il cumulo di mali e tutti i pericoli ai quali si espone il povero emigrante. Tutto, o signori, tutto cospira contro di lui, i suoi mali spesso incominciano prima dell’esodo dall’umile casolare, sotto la forma di un agente di emigrazione che lo determina a partire, facendogli balenare innanzi la facile conquista della ricchezza e lo avvia dove a lui piace e conviene, non dove l’interesse dell’emigrante consiglierebbe; e lo seguitano quei mali lungo il viaggio, spesso disastroso, e lo accompagnano al suo arrivo in luoghi infestati da terribili malattie, ne’ lavori a’ quali si sente spesso disadatto, sotto padroni fatti disumani o dalla bramosia insaziata dell’oro, dalla abitudine di considerare il lavoratore come un essere inferiore; e si aggravano que’ mali sotto i mille agguati che la malvagità tende loro in paesi stranieri, di cui ignorano la lingua e i costumi, in un isolamento che è spesso la morte del corpo e dell’anima.

E potrei citare fatti numerosi che dimostrano di quante lagrime sia bagnato e quanto sappia di sale il povero pane dell’emigrante, di quegli infelici che, tratti laggiù o da vane speranze o da false promesse, trovarono un’iliade di guai, l’abbandono, la fame e non di rado la morte, ove credettero trovare un paradiso; che, colorato del miraggio del bisogno, videro l’Eldorado, senza pensare che il simoun violento della realtà sperde in un attimo le incantate città dei sogni! Infelici! estenuati dalle fatiche, dal clima, dagli insetti, cadono sconsolati sulla gleba fecondata dai loro sudori, sul margine delle vergini foreste, che seppero dissodare non per se, nè pei figli, percossi da quel morbo fatale e gentile che è la nostalgia, sognando forse la patria, che non seppe dar loro nemmeno il pane, invocanti invano il ministro della religione santa dei loro padri, che lenisca i terrori dell’agonia colle immortali speranze della fede.

Signori, il quadro non è lieto, ma è la storia verace di migliaia e migliaia di nostri connazionali emigrati, quale io l’ho raccolta dalle relazioni de’ miei Missionari, quale mi venne scritta e raccontata da chi fu testimone e parte di quei tristissimi esodi.

Non vorrei però essere frainteso o sembrar pessimista. Le tristi cose accennate non ponno dirsi di tutti i nostri emigrati. Moltissimi di loro hanno trovato nei paesi ospitali pane sufficiente, molti agiatezza, e alcuni anche ricchezza, e formano nel loro insieme colonie di cui la madre patria può andar orgogliosa. Ma sono pure moltissimi i disgraziati, e in gran parte lo sono per loro ignoranza e per incuria nostra.

Ora i doveri e gli interessi che derivano da un tale stato di cose sono molti, importanti e, sebbene di ordine diverso, tutti intimamente collegati fra loro, poichè in tutto ciò che riguarda l’emigrazione, interesse religioso, civile e nazionale, pubblico e privato, non si possono disgiungere senza danno.

Di questa somma di interessi e di doveri, alcuni si riferiscono all’emigrazione in generale, come le leggi che la riguardano e la società di patronato, altri ai singoli nuclei di emigrati, come ad esempio le condizioni economiche o politiche dei paesi ospitali, i sistemi [p. 274 modifica] di colonizzazione adottati, le mercedi degli operai, gli scambi commerciali attivati. Io limiterò il mio dire ai doveri e interessi generali dell’emigrazione, non solo perchè il discorrere di tutti partitamente ci trarrebbe troppo per le lunghe, ma sì benanco perchè degli interessi particolari io ragionai diffusamente in altri miei scritti, e specialmente nella conferenza che tenni anche in questa città or sono dieci anni. Dò quindi tutto il tempo, che la vostra paziente cortesia mi concede, a quegl’interessi generali, che io compendio in due motti: proteggere e dirigere l’emigrazione; protezione e direzione che si esplica in azione legislativa, religiosa e filantropica, e che interessa quindi il Governo, il clero e tutti i buoni di qualsiasi partito.

Signori, in questo esame io dovrò ripetere osservazioni e citar fatti che dissi già qui e altrove, ma non è colpa mia se le osservazioni fatte ed i provvedimenti invocati non furono ancora tradotti in leggi. Del resto è cosa nota: il cammino delle idee è di una lentezza disperante, massime quando urtano interessi e passioni, ma è continuo quando le idee proposte sono giuste e di vera utilità. Insistiamo adunque, poichè ogni lentezza giunge alla meta, a condizione che la stanchezza non vinca chi se ne è fatto banditore.

Ed è per questo, o signori, che, a costo di abusare della vostra pazienza, io v’intratterrò ancora per poco su alcune mie proposte, riguardanti la legge sull’emigrazione, sul reclutamento dell’esercito, sugli agenti di emigrazione, sulle banche coloniali, e invoco non solo la vostra benevole attenzione, ma l’aiuto altresì della parola e dell’azione vostra, perchè, ciascuno nella sfera della propria influenza, voglia alla sua volta farsene propugnatore.

(Qui l’oratore spiega sue idee e progetti che furono accettati quasi tutti nella legge sull’emigrazione del 1901).

III.


I vantaggi che possono arrecare gli accennati provvedimenti legislativi sono evidenti, o signori, nè io vi insisterò; ma è del pari evidente che le leggi non bastano per sanare le piaghe che affliggono la nostra emigrazione, perchè alcune di esse sono alla natura della emigrazione stessa inerenti, altre derivanti da cause remote, che sfuggono all’azione della legge. Quindi, anche con le migliori leggi del mondo e cogli agenti di essa numerosi e perfetti, non si arriverebbe ad estirpare que’ mali. Di più, i Governi e i loro agenti sono vincolati da consuetudini e da riguardi internazionali, e certi provvedimenti o non possono usarli, o usandoli, non farebbero che inasprire i mali che si vogliono curare.

Ed è qui, o signori, che deve incominciare l’opera delle classi dirigenti; qui appunto, dove quella del Governo e della legge finisce, sconsigliando o dirigendo l’emigrazione, difendendola dagli agguati, circondandola di tutti quei conforti religiosi e civili che la rendono, contro i nemici, agguerrita e compatta, e, quasi direi, invincibile, poichè in questo caso la sicurezza di ciascuno diventa sicurezza di tutti.

Signori, quale immenso campo schiuso innanzi alla

attività del clero e del laicato in queste semplici parole: dirigere e proteggere la emigrazione! Dirigerla e proteggerla, sia rendendo più intensa l’azione dei Governo e della legge, sia surrogando le inevitabili manchevolezze dell’uno e dell’altra.

Ora, il dire che in questo decennio si è fatto nulla, sarebbe affermare cosa non conforme a verità, come non conforme a verità sarebbe il dire che si è fatto quanto si poteva e si doveva.

Le Società di protezione religiosa e civile, che sorsero e si divisero per selezione spontanea questo nuovo campo di attività, grazie a Dio non mancano.

Nel campo economico si sono andate costituendo, in questi ultimi tempi, Società di indole diversa, ma che tutte associano all’interesse privato il benessere della emigrazione. Fra queste mi piace segnalare la Società di capitalisti costituitasi in Milano collo scopo preciso della colonizzazione all’estero per mezzo appunto dei nostri emigranti. Io saluto con gioia queste nuove imprese, come sintomo di promettente risveglio della nostra attività colonizzatrice. L’intervento del capitale in cose riflettenti l’emigrazione è indispensabile quanto una buona legge, e non può mancare di procurare agli emigranti e a se stesso larghi benefici.

L’Associazione Nazionale di soccorso ai Missionari italiani, di cui è anima il vostro prof. Ernesto Schiaparelli, la Dante Alighieri che in altro campo tien vivo fra gl’italiani la patria favella, la Società di Patronato per l’emigrazione italiana, avente sede nella mia Piacenza, l’Istituto Cristoforo Colombo, Casa madre della Congregazione de’ Missionari di S. Carlo, sono istituzioni recenti e mirano tutte, più o meno direttamente, alla cura religiosa, civile e morale de’ nostri fratelli espatriati. Sono inizi confortevoli, germi promettitori. A noi, quanti siamo amanti del bene, il far sì che si sviluppino e crescano e dieno fiori e frutti copiosi.

Non è vero che il Paese nostro sia apata, o peggio scettico; basta saperlo illuminare, interessare, infondergli la fiducia, ormai stracca in ogni cuore per le continue delusioni. Le Società or ora accennate ne sono una prova.

Mi permetto di darvi alcuni dati statistici delle due istituzioni da me fondate e che trovarono sì larghe e pronte aderenze nel clero e nel laicato.

Dieci anni di vita; diciannove Comitati disseminati nei varii centri d’Italia, ove più numeroso è l’esodo migratorio; la Casa Madre in Piacenza con Seminario per gli aspiranti alle Missioni; la Missione al Porto di Genova per l’assistenza agli emigranti, diretta dal mio infaticabile D. Pietro Maldotti.

Missioni al Nord-America, con chiese esclusivamente per gl’italiani: due a New-Jork, una in Cincinnati, in New-Haven, in Provvidence, in Boston Mass, in Cleveland, in Kansas City, in Meriden Conn, in Buffalo, in Siracusa N. J., in Detroit Mich.

Nell’America meridionale: Missione centrale in San Paolo, in Encantado, nella Nuova Bassano, in Cappueras, tutte nella Diocesi di Porto Alegre; in Santa Felicitade, nella Diocesi di Spirito Santo; un’altra finalmente a Nuova Helvezia nell’Argentina. Unitamente alle [p. 275 modifica] Missioni, parecchie scuole con ospedale e due orfanotrofii. I Missionari, residenti in tutti questi luoghi, assistono, con periodiche visitazioni, le colonie italiane limitrofe.

Il modo con cui s’iniziò l’orfanotrofio di S. Paolo nel Brasile ha, direi quasi, del prodigioso.

A bordo della nave, su cui viaggiava un mio Missionario, il Padre D. Giuseppe Marchetti (già professore nel Seminario di Lucca), moriva una giovane sposa, lasciando un orfanello lattante e il marito solo, nella disperazione. Il Missionario, per calmare quel desolato, che minacciava di buttarsi a mare, gli promise di prendersi cura del bambino, e come promise fece. Giunse a Rio Janeiro, recando in collo quella innocente creaturina, e si presentò con essa all’esimio conte Pio di Savoia, allora Console Generale di quella città. Egli non potè dare al giovane Missionario che parole d’incoraggiamento, ma tanto bastò perchè questi, bussando di porta in porta, arrivasse infine a collocare il povero orfanello presso il portinaio di una Casa religiosa. Da quel momento l’idea di fondare a S. Paolo (dov’era avviato un orfanotrofio pei figli degl’italiani gli balenò alla mente, e con ingenti sacrifici riuscì a fondarlo di fatto. Conta ora quattro anni di vita, con 160 orfanelli un martire che prega per loro in cielo, poichè le grandi fatiche sostenute costarono al pio e zelante Missionario la vita.

Sia pace e gloria a lui!

Tutto questo ch’io sono venuto dicendovi, o signori, è una prova di ciò che possa la Religione unita al sentimento di patria carità.

Religione e Patria! Sono questi pur sempre i due grandi amori inscritti dalla mano di Dio nel cuore dell’umanità, il motto scritto a caratteri di luce sul vessillo immortale che i nostri padri pugnarono e vinsero. All’ombra di questo vessillo le fronti si levano serene, tacciono le ire, scompaiono le divisioni di parte, le destre fraternamente si stringono, riposano le famiglie, grandeggiano i popoli.

Religione e Patria! Signori, uniamoci tutti attorno a questo sublime ideale che, nell’opera tutrice della nostra emigrazione piglia, dirò così, forma e figura, e potremo sperare per l’Italia nostra giorni migliori, potremo sperare che si compiano sopra di lei, in tempo non lontano, i disegni di Dio.

Ancora una parola e finisco. Non sono molti anni, e negli Stati Uniti si fecero immani sforzi per americanizzare, se così posso esprimermi, gli emigrati delle varie nazioni europee. La Religione e la Patria piansero a milioni i loro figli perduti. Solo un popolo a quel violento tentativo di assimilazione seppe resistere, fu quello che aveva scritto sulla sua bandiera: la nostra chiesa, la nostra scuola, la nostra lingua.

Non dimentichiamo questo fatto, o signori. Adoperiamoci anche noi, ciascuno a misura delle proprie forze, perchè quanti sono italiani all’estero abbiano ad avere la stessa divisa, la stessa fermezza, lo stesso coraggio: per la Religione e per la Patria.



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