Il buon cuore - Anno IX, n. 39 - 24 settembre 1910/Educazione ed Istruzione

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Educazione ed Istruzione

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Beneficenza Religione

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Moralità e gentilezza pubblica


In questi ultimi tempi, qui da noi, è stato un rifiorire di iniziative, rivolte all’educazione ed alla cultura morale del nostro popolo che, fra tanti difetti, ha pure virtù non poche di sana energia, di pazienza e di entusiasmo.

Nell’aprile u. s. avemmo, in Roma, un Congresso internazionale Pro-morale (particolarmente contro il turpiloquio, la bestemmia e la pornografia), che qualche buon frutto già diede: basterebbe la circolare Luzzatti, del i6 giugno u. s., coi relativi sequestri di libri e fotografie oscene.

Una squisita anima di straniera, la signorina Cecilia Meyer, che da 30 anni almeno dedicò la sua vita alle buone cause popolari, fondando — con una indovinatissima, raffinata idea — la Pro-Gentilezza, ha fatto un gran passo per l’elevazione spirituale del nostro popolo e non solo del popolo! Ed ogni giorno son nuove iniziative che a queste s’aggiungono.

Ormai tutti sanno della fondazione che, dal 22 maggio è un fatto compiuto, della Pro-Morale, che già da Noma si espande ed impianta delle sezioni nelle varie città d’Italia ed all’estero, come il suo titolo di Internazionale richiede, e che si propone di raccogliere, in un solido fascio, le locali forze operanti per la soluzione serena e moderna dei problemi morali.

Allato a questa sorgono altre piccole iniziative, che, sono modeste e poco cognite, non per ciò son meno [p. 308 modifica] da lodarsi, e per le quali gli ideatori sacrificano pure — ed in oggi è qualcosa — danari di tasca loro.

Come esempio ci piace citarne due tipiche.

Una è quella del Codice dell’affabilità. L’autore ne è ignoto, almeno a noi; però saremmo propensi a vedervi lo stile, e più il cuore, di una gentile, pia signora. Il codice comprende 10 articoli, ed eccoli:

1. Proporsi ogni mattina Cristo per modello, mitis sum et humilis corde.
2. Allontanare la malinconia, anche quando si è soli, tenendo sempre il volto composto a serenità.
3. Ubbidire con umiltà e prontezza.
4. Non comandare senza aggiungere una parola di garbo.
5. Reprimersi, per non mostrarsi nè contrariati nè malcontenti, specialmente con le persone che ci sono antipatiche.
6. Cercare ogni mattina, davanti al buon Dio, ciò che può far piacere a quelli che ci circondano, studiarne i gusti, i bisogni, ecc.
7. Proporsi di usare sempre le formule di gentilezza, il buon giorno, la buona sera, il grazie, il sorriso, all’incontrarsi, l’addio, ecc.
8. Non dare avviso, o rimprovero senza prima trovarsi calmi e senza aver studiato il modo più dolce ed insinuante.
9. Sacrificare i proprî gusti per lasciar posto ai gusti degli altri, nella scelta del cibo, del giuoco, del libro, del passeggio, ecc.
10. Domandare scusa appena mancato.

Non c’è che dire, il Codice dell’Affabilità è magnifico, e, anzi, sotto un titolo di significato se vogliamo lieve e mondano, rinserra un tesoro di norme diremo vitali, e che, se applicate — nella loro evangelica essenza — farebbero davvero cangiare la faccia della terra. È, però, un vero codice eroico, che richiede tale disinteresse e forza quale oggi non è davvero comune trovare. Non sono forse le maggiori battaglie quelle contro sè stesso?

Il secondo esempio è una specie di codice anch’esso, ma senza alcuno esplicito carattere religioso.

Lo troviamo intitolato: Massime necessarie per appartenere al consorzio umano, ossia i 10 comandamenti dell’uomo, e n’è autore E. Bossi, l’operaio industriale romano, che l’ha fatto stampare per suo conto — principalmente ad uso e consumo d’un suo nipote — e lo sparge gratuitamente nel pubblico. Reca la data del 16 agosto scorso e, anch’esso, è in 10 articoli:

1. Anteponi il sentimento del dovere a quello del diritto.
2. Non lasciarti guidare dall’istinto ma dalla ragione.
3. Non rimettere a domani ciò che puoi fare oggi.
4. Sii amabile con chicchessia.
5. Conserva la calma in tutte le manifestazioni della vita.
6. Sii sereno nella gioia e nella sventura.
7. Rispetta l’opinione altrui per avere il rispetto della tua.
8. Sii riconoscente con chi ti beneficò.
9. Venera e rispetta l’età e l’esperienza.
10. Sii diligente, giocoso e fermo di carattere.

Anche qui abbiamo delle eccellentissime massime sociali, che completano, virilmente e modernamente, il Codice dell’Affabilità, e che se applicate anche modestamente, basterebbero a produrre una benefica rivoluzione in quei rapporti sociali, che la lotta per la vita e la nevrastenia rendono ogni giorno più crudi e stridenti.

IL DECRETO PONTIFICIO

circa l’età per la prima comunione


Il distinto sacerdote don Angelo Novelli, su questo argomento di attualità, che tanto interessa le famiglie, ha pubblicato nell’Unione le seguenti considerazioni:

Abbiamo veduto come il recente decreto della sacra Congregazione dei Sacramenti riguardante l’età della prima comunione, non importi nessuna innovazione sostanziale in materia, ma è un ritorno puro e semplice alla legge ecclesiastica non mai abrogata, anzi più volte confermata in questi ultimi tempi. Ciò che toglie in modo definitivo il recente decreto è la interpretazione pratica, che di tal legge era invalsa — non universalmente — interpretazione che con tutta probabilità ebbe origine spuria dai rigorismi gianseniani, e che venne poi accettata e sostenuta anche da teologi per il concetto, non riprovevole, che all’augusto sacramento si dovesse grande rispetto e che questo rispetto sembra meglio garantito con una notizia più matura del sacramento nel comunicando. Non sarebbe per altro inteso il decreto nella sua vera portata, qualora non si indagasse il principio che lo regge e che ora viene richiamato a sostituire quello che resse fin qui la pratica corrente. Ora tale principio appare evidente nel decreto in parecchi punti, là in modo particolare dove si parla del singolare amore di Gesù per la infanzia innocente e là dove si prospetta il male che può derivare alle sorti spirituali del fanciullo, al quale si ritarda l’unione eucaristica con Gesù. «Codesta consuetudine — è detto — per la quale col pretesto di tutelare il decoro dell’augusto sacramento vengono allontanati da essi i fedeli, fu causa di molti mali. Avveniva in fatti che l’innocenza della tenera età divulsa dall’abbraccio di Cristo, non venisse nutrita da nessun succo di vita interiore; da ciò derivava anche che la giovinezza privata di un validissimo aiuto, da tante insidie circondata, perduto il candore cadesse nei vizi prima ancora che i santi misteri delibasse. Anche se si premetta alla prima comunione una più diligente preparazione e un accurata confessione — cosa che non si fa dovunque — è sempre tuttavia lagrimevole la perdita della prima innocenza, che la Eucaristia ricevuta in più teneri anni poteva evitare».

È dunque la virtù soprannaturale che l’Eucaristia possiede come rimedio preventivo del peccato, il principio che nel decreto viene richiamato. Ora un tali principio è senz’altro una conseguenza naturale, derivante da tutta I’ economia soprannaturale in cui, per bontà divina trovasi attualmente collocato l’uomo, e [p. 309 modifica] trova la sua piena giustificazione nella dottrina cattolica della grazia. Il Battesimo rigenera l’anima, la fa vivere della grazia, della vita stessa di Cristo, inserendola come membro vivo sul mistico corpo di Cristo. La Cresima aumenta nell’anima questa vita iniziale, sebbene in sè perfetta, con la sua nuova grazia e coi doni dello Spirito Santo. Questa primizia misteriosa di vita divina nell’uomo rimane finchè la mala volontà non la indebolisce o la separa dal corpo mistico di Cristo, ma quando la malizia umana appare agli orizzonti dell’anima coi primi bagliori dell’intelligenza, con le prime ribellioni della volontà, allora è necessaria una nuova grazia che alimenti l’anima e la sostenga alla lotta. L’Eucaristia è il cibo dell’anima, il pane dei forti, non precisamente nel senso ch’essa è riserbata ai forti, ma nel senso ch’essa è dovuta ai deboli perchè divengano forti: essa, pane di vita, pane divino che non viene assimilato ma assimila colui che lo mangia, trasforma l’uomo in Dio.

Considerato il decreto da questo punto di vista non solo appare spiegabilissimo, ma sorge spontanea la meraviglia dal fatto che la Chiesa abbia tanto tardato a togliere una pratica che sconveniva così apertamente alla natura del sacramento. Devesi in ciò avvertire che essa non ha mai cessato, sebbene non in forma solenne come al presente, di rivendicare la legge antica, tutrice della vita soprannaturale del bambino, e la legge tridentina e le ultime risposte delle Congregazioni romane sono la prova, poi, che la Chiesa è prudente e paziente e aspetta a togliere abusi, quando questi come tali si rendono evidenti e manifesti. Oggigiorno il ritardare la prima comunione a tre, a quattro a cinque anni dopo l’età della ragione sarebbe abuso intollerabile, sarebbe esporre il sacramento a innaturale e illogica detorsione de’ suoi fini, poichè sta il fatto, doloroso ma certo, che oggi per mutate circostanze d’ambiente, fisiologiche, psicologiche e sociali, il fanciullo è più precoce nel male di quello che non fosse nei tempi andati. Forse che la maggior notizia del sacramento, quale la si crede d’ottenere in età più avanzata — ciò del resto è discutibile — assicuri tanta efficacia all’Eucaristia, che compensi la incalcolabile perdita di energie spirituali a cuì si condanna il bambino col lungo digiuno eucaristico? Sarebbe pensare che più valgano le disposizioni soggettive, puramente umane, del fanciullo, che non la virtù operativa del sacramento. Forse che tre o quattro anni di digiuno comunicano all’anima più luce di quella che potrebbe dare il mistero d’un Dio che nutre l’uomo della sua carne e del suo sangue? In faccia al sole che raggia nel pien meriggio, che importa una fiaccola di più o di meno? Certamente, è pur necessaria la fiaccola della ragione, ma, in nome di Dio, non si creda ch’essa sia tutto nel misterioso lavorio dei sacramenti nella piccola anima umana.

Una difficoltà più speciosa che vera di parecchi al recente decreto consisterebbe in ciò. Oggi — si dice — la istruzione preparatoria alla prima comunione assolve tutta la istruzione religiosa del giovanetto; non perchè la sollecitudine della Chiesa e lo zelo dei sacerdoti terminano lì, ma perchè di fatto, sta il pregiudizio generale che, fatta la comunione, ogni istruzione catechistica ulteriore è soverchia. Genitori e ragazzi subiscono l’impero di un tal pregiudizio, così che nè gli uni sentono, dopo la prima comunione il dovere di fornire i loro figli d’un ulteriore insegnamento religioso, nè gli altri quello di sottomettervisi. Il decreto anticipando l’età della prima comunione non era il pericolo di rendere deserte anzi tempo le nostre scuole della dottrina cristiana e per conseguenza l’altro pericolo di istruzioni religiose incomplete, moncate sul più bello? La difficoltà è più apparente che reale, abbiamo detto, perchè, precisamente questo è uno degli scopi che hanno mosso la S. Sede a dettare questa nuova norma perchè lo stolto pregiudizio si tolga e si cessi di avere la prima comunione come le lettere dimissorie della Chiesa alla vita terrena come una porta che si chiude, ma la si abbia giustamente invece come una porta per cui si entra nella vita spirituale più perfetta. Non bisogna nemmeno esagerare il pericolo, perchè dall’eta in cui col nuovo decreto è fatta legge a prima comunione a quella per cui per consuetudine la si impartisce, il fanciullo in via ordinaria, si trova ancora in quel periodo in cui vive d’autorità ed è protetto dall’ambiente sufficientemente ancora sano della famiglia, quindi è sperabile che non torni difficile, con un po’ di zelo da parte del clero, riaverlo alle scuole del catechismo anche a comunione fatta. A dissipare i resti d’un pregiudizio toccherà precisamente al clero, il quale vorremmo che non dimenticasse mai queste grandi ed elementari verità; che lo zelo ha vinto difficoltà maggiori, che all’obbedienza generosa arride il trionfo, che coopera nei generosi e nobili sforzi Gesù stesso nell’anima innocente e indiata dei piccoli fanciulli. Come e quando praticamente per lo innanzi sarà fatta la preparazione dei neo-comunicandi diranno i vescovi: noi non abbiamo in ciò nè veste, nè potere per indicarlo.

Un’altra difficoltà alcuni la vorrebbero trovare nel fatto che la cerimonia così cara e impressionante della prima comunione cesserà d’or innanzi d’aver tutte quelle attrattive al senso religioso ch’ebbe fin qui. Intendiamoci subito: il cattolicismo non prescrive le emozioni, anco quelle che l’anima risente dai sensi esteriori, ma non vuole che la religione, che trascende tutte queste emozioni o per esse si esprime, da esse debba essere soverchiata o confusa. Il cattolicismo è la fede del mistero, all’azione del divino nell’anima, per la via di riti, semplici, simbolici, ma austeri. Non esclude nè l’arte, nè la poesia; divina essa attinge alle supreme bellezze, e inebria l’anima di dolcezze misteriose che piovono in essa dalle fonti più pure della gioia divina; ora di tutte queste recondite bellezze che la comunione reca all’anima si dovrà privare il bambino per preparargli una festa, ancor bella, ma umana? Nessun canto, nessun giglio, nessuna veste bianca può valere il sospiro di amore che a Cristo dona il cuore puro di un fanciullo.



Ricordatevi di comperare il 19.mo fascicolo dell’ENCICLOPEDIA DEI RAGAZZI che uscì in questa settimana.



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WERPEJA


LEGGENDA RUSSA


Dal fulvo crine e dalle luci belle
Werpeja bianca fata,
un dì col mondo nata,
sta assisa tra le stelle
avvolta nel suo peplo d’ermellino,
l’altissimo destino
che le affidava la superna Mente
attenta ad eseguire:
Quando un bambin vagire
ne la sua culla sente,
lassù nel firmamento
Werpeja tosto accende nuova stella,
ed indi intorno a quella
intesse con sue mani un fil d’argento
lungo o breve così come la vita
sarà dell’uom ch’è nato.
E allora che Iddio vuole sia finita
quella morta! carriera,
Werpeja bianca o austera
scuote il filo che all’astro sta legato;
quel cadendo con tremolo bagliore
in lontananza muore....
E sente quella scossa
la creatura in terra.
Allor l’alma si sforza
salendo al Creatore,
mentre il corpo discende nella fossa.


Or chi lo sguardo a sera
fissa lassù nella stellata sfera,
veder può a quando a quando
qualche cadente stella
che si spegne nell’imo tremolando:
Un’anima gemella
spezza l’argenteo filo
lasciando allora il suo terreno asilo.
In lor leggende strane
così narran le genti lituane.

Oreste Beltrame.

ANTONIO STOPPANI

NEL XX ANNIVERSARIO DELLA MORTE


Lettere di A. Stoppani al Padre Cesare Maggioni


Le lettere sono settanta e tutte si possono dire fotografie istantanee dello Stoppani in alcuni momenti turbinosi della sua vita.

L’interessante corrispondenza è preceduta dalle biografie dei due amici indivisi, Antonio Stoppani e Cesare Maggioni, dettate da A. M. Cornelio, e da un’introduzione del prof. cav. Giuseppe Morando.

La pubblicazione si completa con due lettere dello Stoppani al cardinale Alimonda e al sehatore Toreali, e con uno studio intitolato: Amore dello Stoppani al paese nativo.

Il prof. Morando, che ha diligentemente annotate le lettere dello Stoppani al Maggioni, così ne parla:

«Le lettere inedite, che pubblichiamo, c’interessano specialmente per quello che toccano della questione

rosminiana nel suo punto culminante. Oggi per noi il pathos di quei tempi drammatici è superato. Noi guardiamo la storia d’allora con occhio tranquillo ed animo sereno. Le ire sono cessate, la tempesta è dissipata, e colla nostra pubblicazione non abbiamo davvero nessun desiderio di riaccender quelle e di risuscitar questa. Ma è storia vissuta e non si potrà rimproverare allo storico che la racconta o che ne pubblica i documenti di voler rinfocolare od.i sopiti o passioni estinte».

L’Eminentissimo Cardinale Antonio Agliardi, appena ebbe l’annuncio della pubblicazione, scrisse per averla.

Prezzo L. 3. — L’utile andrà a beneficio dell’Opera di Assistenza degli Operai Emigrati Italiani e dell’«Italica Gens»

Commissioni e pagamenti ad A.M.Cornelio, via Castelfidardo, II. Si spedisce dietro cartolina vaglia di L. 3. Sí può acquistare anche presso la Casa Editrice L. F. Cogliati, Corso P. Romana, 17.