Il buon cuore - Anno XI, n. 33 - 17 agosto 1912/Educazione ed Istruzione

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Educazione ed Istruzione

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Don Bosco e una pagina di politica ecclesiastica

Alcuni documenti in questi giorni studiati con cura da chi tra i salesiani ha modo di compulsarli, ci mettono in grado di far nota la parte importantissima avuta da D. Bosco in un episodio o non conosciuto affatto o conosciuto imperfettamente delle relazioni tra il Governo italiano e la Santa Sede.

Nel 1865 in tutta l’Italia cento otto sedi vescovili erano vacanti. Quarantacinque vescovi erano stati mandati in esilio; a diciassette eletti dal Papa il Governo non aveva permesso di entrare nelle diocesi: d’altre sedi erano morti i titolari. D. Bosco deliberò di iniziare pratiche presso gli uomini del Governo per indurli a por fine a tale condizione di cose. Ciò, dopo aver chiesto l’approvazione del Sommo Pontefice. Così uno scambio di lettere avveniva tra lui e Pio IX.

Intanto il Re Vittorio Emanuele era stato avvisato che il Papa gli avrebbe scritto una lettera. Pio IX infatti il 6 marzo scriveva, e con benevoli espressioni pregava il Re a tergere almeno qualche lagrima alla travagliata chiesa in Italia, venendo seco lui ad intelligenze per provvedere ai vescovati; e gli proponeva di mandar a Roma una persona laica di sua competenza, per trattare. Il Re rispose dal palazzo Pitti al Pontefice, con dichiarazioni di ossequio, promettendogli di spedire a Roma un inviato per entrare in trattative.

[p. 260 modifica]Fra quelli che si mostravano più inclinati a far sì che le pratiche avessero un esito conforme al desiderio del Santo Padre, era il Lanza ministro dell’interno. Con lui D. Bosco conferì più volte spontaneamente, chiamato. Egli era l’uomo che poteva in quel momento conoscere meglio d’ogni altro le disposizioni e gli animi della Corte Romana; prevedere quale inviato tornerebbe più gradito al Papa ed ai Cardinali; suggerire chi avrebbe potuto far buoni uffizi in Roma per l’esito delle trattative.

Il ministero scelse il deputato Saverio Vegezzi, un uomo attempato, leale, sommo giurista ed espertissimo negli affari. Questi partì il 14 aprile 1865 ed ebbe cortesi accoglienze dal Papa. Ebbe anche varie conferenze col cardinale Antonelli e trattandosi sempre in forma confidenziale, si convenne che lasciata da parte ogni questione politica per le diocesi vacanti in Piemonte, il Re avrebbe presentato i candidati a norma del concordato esistente; i vescovi delle provincie di cui erano scomparsi i principi, li nominerebbe il Papa direttamente, facendone conoscere i nomi al Re prima di preconizzarli: i vescovi assenti potrebbero ritornare, eccetto alcuni per ispeciali circostanze personali o locali. Si conserverebbero intatti i beni delle mense.

Roma non mostrossi aliena dal riformare alcune circoscrizioni diocesane: ma non ammise l’exequatur per le bolle pontificie nè il giuramento.

Ma appena si ebbe contezza nel pubblico della lettera scritta dal Sommo Pontefice al Re e della propensione del Re a secondàrne i voti, gli anticlericali si posero in agitazione. In Parlamento, il 25 aprile, alcuni deputati rinfacciarono al Governo la missione Vegezzi, accusandolo di venire a patti col Pontefice e sostenendo che la vacanza delle diocesi non era di alcun danno. Il giornalismo settario e le logge massoniche fecero eco; per tutte le città d’Italia si tennero assemblee tumultuose nelle piazze, nelle osterie e nei teatri per protestare.

Questo moto piazzaiuolo e anticlericale incoraggiò quei ministri che già erano disposti. Nel Consiglio, Natoli, Vacca, Petitti e Sella non vollero transigere sul giuramento e sul regio exequatur, e prevalsero.

Il Vegezzi, il 2 giugno, portò a Roma queste condizioni, che egli stesso confessò al cardinale Antonelli non essere accettabili. Tale fu pure il giudizio di una speciale commissione di cardinali. La Santa Sede tuttavia propose ancora che si venisse alla nomina dei soli vescovi del regno Sardo, e al ritorno di quelli esiliati. Il Vegezzi rispose che ne avrebbe informato il suo Governo; e il 22 giugno, nell’ultimo incontro del Vegezzi col cardinale, quegli ebbe a dire risultargli, dalle risposte ricevute da Firenze, che il governo persisteva nelle sue ultime proposte, e che avrebbe solamente acconsentito al ritorno dei vescovi esigliati, tranne alcuni. Così cadde ogni trattativa.

II.

Nel 1866, terminata la guerra contro l’Austria e cessata la violenza delle persecuzioni contro le persone dei vescovi, le trattative furono riprese. Il nuovo inviato del Governo, comm. Tonello, il 6 dicembre, accettò l’incarico di andare a Roma. Bisognava tuttavia che il Governo trovasse un intermediario ufficioso tra Sua Santità e l’incaricato dal Ministero, e D. Bosco fu giudicato adatto a tale ufficio. Non si era perduta la memoria degli avvisi e delle indicazioni da lui date al ministro Lanza nell’anno antecedente, e si sapeva quanto fosse stimato in Roma ed amato dal Pontefice.

Il presidente del Consiglio, Ricasoli, succeduto al Lamarmora, lo fece andare a Firenze. Nel cordiale incontro al palazzo Pitti, D. Bosco, fermatosi in mezzo alla sala, prima di sedersi, dichiarò:

— Eccellenza! Sappia che D. Bosco è prete all’altare, prete in confessionale, prete in mezzo ai suoi giovani, e come è prete in Torino cosi è prete a Firenze, prete nella casa del povero, prete nel palazzo del Re dei ministri.

Ricasoli cortesemente gli rispose che stesse tranquillo, poichè nessuno pensava di fargli proposte che fosssero contrarie alle sue convinzioni. Ciò detto ambidue sedettero e si entrò in argomento.

Don Bosco non ricusò, per fare del bene, di cooperare alla buona riuscita della missione Tonello, nel modo che ad un privato conveniva, scrivendo o parlando a personaggi eminenti che avevano per lui deferenza, ma prese anche a dimostrare come il governo, in ossequio alla Convenzione di settembre, avesse interesse a non opporsi in modo alcuno alle nomine che farebbe il Papa, perchè altrimenti era lo stesso che dichiarare la Convenzione un trattato illusorio.

Il ministro ne convenne e mentre si mostrava premuroso di entrare nelle viste di D. Bosco, fu chiamato ove il Re stesso in persona presiedeva per questo affare il Consiglio dei ministri. D. Bosco rimase solo in quella sala per lunga ora.

Finalmente Ricasoli tornò e gentilmente fece intendere a D. Bosco che il Consiglio dei ministri nulla avesse in contrario alla elezione dei vescovi, ma era però conveniente trattar prima colla Santa Sede della circoscrizione della diocesi, incorporando a poco a poco in forme da prestabilirsi alcune più piccole alle più grandi; ossia abolendo i vescovadi di poca importanza.

Don Bosco rispose che neppure indirettamente non avrebbe mai preso impegno di trattare con una simile condizione; non toccava a lui dar consigli al Santo Padre; nè era cosa onorevole per il Governo intromettersi in questioni che farebbero vedere a tutto il mondo come si tenesse la giurisdizione dei Pontefici. Se i ministri la intendessero diversamente, essere egli costretto a non accettare quel fiducioso ed onorevole incarico; invece di andare a Roma sarebbe tornato e rimasto a Torino.

Ricasoli lo pregò di attendere per qualche istante; ritornò in Consiglio e fece deliberare non dovesse pensarsi per allora all’abolizione di nessun vescovato; ma ad aprire le pratiche per le diocesi vacanti! Infine il ministro raccomandò a D. Bosco che andato a Roma si mettesse in relazione con Tonello, e lo appoggiasse per quanto poteva. D. Bosco, udita la risposta, ne fu [p. 261 modifica]soddisfatto e si dispose ad occuparsene per eliminare qualche difficoltà che potesse insorgere.

III.

Il comm. Tonello, al quale era stato aggiunto come collega l’avv. Callegaris, arrivava a Roma il io dicembre. Protetto e raccomandato dal card. De Silvestri, il giorno 15 era ricevuto in udienza da Pio IX. Il Papa gli fece intendere paternamente che non poteva mutare principi, ma accoglierebbe quei modi che rendessero possibile una tolleranza di fatto nelle reciproche relazioni: e l’incaricato usciva dall’udienza commosso. Il 21 si presentava al card. Antonelli.

Essendo tornati in diocesi i prelati espulsi, non vi erano più questioni di dichiarazioni e di licenze. La cosa era più spiccia. Il Tonello aveva ordine di acconsentire alle giuste esigenze della Santa Sede in vari punti, sui quali il Vegezzi aveva dovuto manifestare che il Governo sarebbe stato inflessibile; quindi furono facilmente abbandonate molte pretensioni e fra le altre quelle dell’exequatur e del giuramento dei vescovi.

Ma fin dalla prima udienza il card. Antonelli aveva dichiarato che la S. Sede, non mettendo ostacoli alle presentazioni dei vescovi delle antiche provincie del Piemonte e del Lombardo Veneto, non accetterebbe mai dal Governo quelle per gli altri Stati italiani e meno ancora quelle dei territori pontifici tolti al Papa. Ora questa esclusione metteva in pericolo tutta l’Italia centrale e meridionale di rimanere senza vescovi e poteva dar ansa a certe velleità scismatiche di qualche membro del Gabinetto italiano.

In vero il ministro dei culti, Borgatti, aveva scritto che si facesse ogni pratica solamente a modo verbale, anzichè con atti scritti, non volendo vincolarsi per l’avvenire. Era fisso nella ragione di Stato e nel diritto, secondo lui, della nomina dei vescovi, attribuita al laicato dell’Associazione cattolica. Il Tonello, secondo le istruzioni ricevute, doveva cercare che in avvenire il popolo avesse parte all’elezione dei vescovi.

Il Governo voleva ancora che tutti coloro, i quali venissero eletti, presentassero le Bolle; e il card. Antonelli non acconsentiva: molti cardinali volevano che il Governo accettasse a priori le decisioni del Papa.

Le cose stavano a questo punto, quando D. Bosco arrivò a Roma. Fu dolentissimo della cattiva piega che prendevano le trattative. Il Papa incerto lo mandò a chiamare e gli disse sorridendo:

— Con quale politica vi cavereste voi da tante difficoltà?

— La mia politica, rispose D. Bosco, è quella di Vostra Santità. È la politica del Pater noster. Nel Pater noi supplichiamo ogni giorno che venga il regno del Padre Celeste sulla terra, che si estenda sempre più vivo, sempre più potente, sempre più glorioso: adveniat regnum tuum! Ecco ciò che più importa.

E spiegò il suo pensiero. Non far distinzione nelle trattative fra provincie piemontesi, lombarde, venete e quegli Stati tolti ai principi italiani ed al Papa: il Governo d’Italia proponesse pure per i vescovati tutte quelle persone che più gradisse, e lo stesso facesse la S. Sede rappresentata dai card. Antonelli, riguardo al Governo; nè S. Sede nè Governo arbitrassero; il Pontefice confrontata la nota della S. Sede con quella del Governo, eleggessero coloro sui quali le due note andassero d’accordo; s’incominciasse con la nomina di solo un certo numero di vescovi, per dare principio alle provviste più urgenti delle diocesi vacanti; questi vescovi fossero destinati a quelle sedi per le quali non ci fosse difficoltà da parte del card. Antonelli; in quanto alle Bolle sarebbe affar suo; si raccomandava però che non si compromettesse con inconsulte rivelazioni l’esito della pratica.

Pio IX aderì al consiglio di D. Bosco e gli diede pieni poteri di trattarne col comm. Tonello, riservandosi ogni libertà nel decidere e stabilire.

D. Bosco pertanto fece i primi passi col card. Antonelli, e con qualche stento lo indusse a considerare le cose dal suo punto di vista, cioè con tatto politico quanto religioso nello stretto senso della parola.

Quindi recossi da Tonello al quale Ricasoli aveva telegrafato: «Vedete di intendervi con D. Bosco». Il commendatore, che non era nemico della Chiesa, si intese facilmente con lui, e non solo si prestò a non porre ostacoli alla nomina dei vescovi, quantunque le istruzioni di Ricasoli fossero assai difficili, ma si disse pronto a cooperare agli atti del Papa. Intendeva benissimo come Pio IX non potesse acconsentire che i nuovi eletti, e principalmente quelli destinati alle diocesi degli antichi Stati pontifici, presentassero le Bolle al Governo; quindi non si ostinò a volere tale presentazione e si contentò di un semplice avviso di nomina.

Il Papa, udita l’arrendevolezza del Tonello, ne fu contento ed approvò. Il Govérno italiano era interessato a dare una soddisfazione alla Francia, che favoriva l’accordo, e accondiscese. Da questo momento la discussione tra il delegato pontificio Antonelli e il commendatore si ridusse al modo di fare per riconoscere le nomine vescovili; e convennero verbalmente di procedere in questa forma: — Si stabilissero d’accordo le sedi e le persone da nominarvi; il delegato pontificio ne desse comunicazione al Governo designando le diocesi e gli eletti; la S. Sede spedisse Bolle conformi a quelle dell’ultimo arcivescovo di Genova, ommesso ciò che tocca la presentazione sovrana; se ne consegnasse nota all’inviato italiano, e questi scriverebbe al Ministero, affinché si dessero le disposizioni opportune, per immettere i nominati nel possesso delle loro mense.

A Roma dunque si aspettava che presto venissero preconizzati i nuovi vescovi, ma la scelta non doveva essere senza gravissime difficoltà. Il governo aveva mandato al comm. Tonello sessanta nomi di ecclesiastici a lui benvisi da presentarsi alla S. Sede. Il Papa conobbe subito che alcuni erano da eliminarsi, mentre gli altri gli erano sconosciuti. Su questi faceva scrivere da D. Bosco in varie parti per informazioni.

Anche dal Vaticano si trasmetteva al comm. Tonello una lista di sacerdoti giudicati degni dell’episcopato, colla distinta delle diocesi che sarebbero loro affidate; e questa fu spedita a Firenze. Il Ministero l’esaminò. [p. 262 modifica]Alcuni degli eligendi furono assolutamente esclusi, altri non si vollero insediati ove li proponeva il S. Padre, il quale fu anche costretto a traslocare qualche vescovo, già in sede, ad altra diocesi.

Pio IX fece qualche osservazione, ma non persistette nelle sue proposte, perchè gli pareva che non avrebbe ottenuto l’intento, con pericolo che andassero a vuoto le trattative; decise, secondo il consiglio di D. Bosco, di incominciare da quel momento ad accettare un certo numero di quelli, ai quali il Governo non avrebbe fatto opposizione. Quindi anche per far cosa gradita al Re, proponeva che mons. Luigi Nazari di Calabiana fosse trasferito da Casale a Milano.

Il comm. Tonello, da uomo leale e cristiano, ascoltava volentieri i consigli di D. Bosco, il quale gli espose l’incarico avuto dal Papa di presentargli alcuni sacerdoti piemontesi da eleggere per gli antichi Stati. Tonello approvò la scelta da lui fatta e dal Pontefice già accettata.

Nella lista preparata da D. Bosco e scritta di sua mano, il primo nome era quello del canonico Lorenzo Gastaldi, proposto alla sede di Saluzzo. Gli altri, indicati, presentati da D. Bosco stesso, erano: per Alba il can. Eugenio Roberto Galletti torinese; per Asti il can. Carlo Savio di Cuneo; per Alessandria il can. Antonio Colli di Novara; per Cuneo il can. Andrea Formica diocesano di Alba.

Pio IX venne dunque ad una prima proclamazione di vescovi; il 22 maggio 1867, tenne concistoro segreto e annunziò 17 nomine, di cui 4 in Piemonte e Liguria, 3 in Sardegna, 2 in Sicilia, 3 in Toscana, 2 nelle Marche.

Il 27 in un altro concistoro, preconizzava per l’Italia altri 17 vescovi, fra i quali uno nell’Umbria, 2 nelle Romagne, uno nel Piceno, uno in Sardegna, 6 in Piemonte ove restavano ancora vacanti Fossano, Vigevano e Susa che poco prima aveva perduto mons. Odone.

I vescovi nominati nei due concistori, accettati dal Governo italiano, e che presero possesso delle loro diocesi, furono dunque trentaquattro.

Tuttavia rimanevano ancora vacanti quasi due terzi delle diocesi d’Italia. Per alcune di esse il Governo di Firenze aveva già dato il suo consenso, quando il 4 aprile Ricasoli dava le dimissioni con tutto il ministero per questioni di finanza, ciò troncò le ulteriori trattative e il comm. Tonello lasciò Roma.

Ma D. Bosco aveva fatto un gran bene alla Chiesa: ne solo in quell’anno; ma per i susseguenti, poichè di mano in mano che vi era bisogno e possibilità di preconizzare qualche nuovo vescovo, Pio IX avea nelle note di D. Bosco i nomi di sacerdoti proposti da lui e già dal Governo accettati.

PENSIERI


Curare i malati vuol dire molto, ma molto di più che fasciare le ferite e porgere cucchiai di medicine.



Lotte nazionali e religiose

in Austria-Ungheria.

Vienna, agosto.

L’Austria Ungheria è il mosaico più interessante che si offra al nostro sguardo, dal lato politico, come dal lato religioso; spesso il politico e il religioso sembrano confondersi ed allora scaturiscono equivoci perniciosi non mai deplorati abbastanza. Non intendo questa volta di richiamare l’attenzione sopra la «Hofburg» insuperabile nell’arte di reggere i popoli, di mettere, di accentuare i contrasti tra nazionalità e nazionalità purchè il risultato finale sia la esaltazione del trono, al quale guardano baldanzosi o pavidi vincitori e vinti. Mi occorre sovente nel riscontro quotidiano degli avvenimenti di mettere in luce questo aspetto politico del mosaico austro-ungarico; ma v’ha un altro aspetto, interessantissimo, al quale non pongono generalmente attenzione i corrispondenti di giornali politici, voglio dire l’aspetto religioso.

In un paese dove esistono l’unità religiosa, l’unità nazionale e di razza si può talora cercare di mettere in contrasto il sentimento nazionale e la fede religiosa per ragioni politiche; ma se l’idea religiosa è profondamente radicata nelle masse popolari, un tale tentativo finirà sicuramente nell’insuccesso perchè il tempo, che è galantuomo, non tarderà a mostrare dove cova l’equivoco. L’esempio della patria nostra è molto eloquente a questo riguardo.

Ben altrimenti critica è la situazione di uno Stato in cui sono incorporate nazionalità diverse, che hanno per soprappiù concezioni religiose in antitesi tra di loro. Avviene allora che i diversi nazionalismi antagonistici si erigano, l’uno contro l’altro armati, e bene spesso rendano responsabile l’idea religiosa dei loro eccessi, della loro lotta ad oltranza. Il cattolicismo è qualche cosa di veramente ammirabile ben sapendo armonizzare l’amore di patria coi principi superiori di civiltà, di umanità e di fratellanza. Il nazionalismo gretto che odia chi è nato cento metri al di là della frontiera nazionale pel semplice fatto che fa parte di un’altra famiglia, di un’altra patria, non potrà mai comprendere lo spirito elevato del cattolicismo, che consacra l’amore di patria, senza venir meno ai principi di civiltà e di umanità. Tutto ciò si comprende perfettamente, teoricamente parlando, ma provatevi a vivere tra popoli, tra razze, tra nazionalità cozzanti tra di loro, e voi vedrete che il politicante saprà sfruttare l’idea nazionale contro il cattolicismo, che solo fra le religioni trascende e non si confonde col nazionalismo.

L’Inghilterra è l’anglicanismo, la Germania vuol essere l’impero protestante luterano, la Russia è l’ortodossia, solo il cattolicismo ha una vita propria, che non gli viene da un potere politico, in tutti i paesi.

L’Austria-Ungheria può avere qualche similitudine nella sua costruzione esteriore colla Chiesa cattolica, in quanto abbraccia nel suo organismo i popoli più diversi per nazionalità più opposte, ma ecco che contro la sua compagine sono diretti i movimenti, apparentemente religiosi, e formalmente politici.

[p. 263 modifica]Al Nord continua sorda persistente la campagna del «Los von Rom». Il «Los von Rom» — è ormai un fatto indiscutibile — non dovrebbe essere che la preparazione al «Los von Oesterreich» (Stacchiamoci dall’Austria). Ciò che espongono non è più una novità. Giorgio Goyau ne’ suoi ammirabili studi sull’«Allemagne Religeuse» ha messo in evidenza le batterie del protestantismo tendente a rappresentare il giovane impero tedesco, come un impero essenzialmente protestante, come la vittoria di Vittemberga su Roma.

Se non che, non tutti gli avvenimenti si sono svolti.

Il pangermanismo tende a stringere tutti i tedeschi sotto un solo scettro; qualora ciò avenisse, la prevalenza protestantica verrebbe con ciò stesso a mancare; di qui la campagna accanita del «los von Rom» diretta a staccare anzitutto i cattolici da Roma per mantenere domani all’impero germanico aggrandito lo stesso carattere odierno. Tutto ciò è detto chiaramente dai «leaders» del movimento. Certi pastori protestanti — e di alcuni ho già riferito su queste colonne — proclamano altamente la loro campagna antiaustriaca, e ciò che più stupisce è che il governo tace. Perchè? Ho chiesto a una persona che poteva saperne qualche cosa, e mi ha risposto che il governo austriaco ha temuto di creare un’altra «irredenta»; sarà e non sarà, ma una cosa è certa che l’irredenta pangermanista prosegue indisturbata, nell’attuazione dei suoi piani, assecondata oggi da un movimento libero-pensatore e socialistoide che in nome dell’aconfessionalismo chiede l’uscita in massa dalla Chiesa cattolica. Ciò che importa è che l’edificio cattolico si sgretoli, non importa poi se il protestantismo o il libero pensiero ne abbiano a trarre vantaggio.

Ancora in questi giorni i nemici del cattolicismo sono tornati all’assalto, prendendo a pretesto il congresso ecauristico internazionale che disturba i sogni di molti.

Il pericolo è molteplice e varia di luogo in luogo, e non viene offerto dal pangermanismo, ma da una propaganda, spietata, intensa da parte della Russia. Leggevo nel Katholische Kirchenzeitung un articolo riguardante appunto il movimento scismatico tra i ruteni. Il vicario episcopale greco cattolico Michele Balogli aveva invitato i sacerdoti appartenenti al suo vicariato pel 22 giugno ad una conferenza che doveva seriamente studiare i mezzi atti ad opporre una diga al movimento scismatico. Alla conferenza presero parte, oltre al clero, anche i rappresentanti delle autorità cittadine. Il vicario episcopale tenne un discorso inteso a dimostrare il principio superiore che il popolo ruteno, solo nella stretta unione colla Chiesa cattolica e nell’assecondare l’idea di stato patrio può rispondere Alla sua vocazione. Si passò quindi alla discussione. Il clero si trovò unanime in questa constatazione che il movimento scismatico, di più in più crescente, reca con se il carattere di una vera agitazione politica ed ha un fondamento più antinazionale che religioso. La religione serve ai russofili come di manto per coprire altre mene. Il popolo ruteno non è abbastanza intelligente per cogliere le differenza che corre tra greco-cattolico e greco-orientale. Si diffondono a centinaia, a migliaia i fogli volanti venuti dal di fuori, dall’estero, in cui si rappresenta il clero cattolico come schiavo dei Maggiari di quei Maggiari che tendono in ultima analisi a snazionalizzare i ruteni.

Il pericolo è quindi grave, perchè viene ad un tempo da un’idea religiosa, rivolta allo stesso scopo. Il clero cattolico di fronte a questo fatto, non può a meno di cercare di opporre la verità all’errore, con libri, giornali, foglietti volanti, ma se la questione ha anche un aspetto politico, chiedesi se l’intervento dello Stato, sia del tutto superfluo. Certo la situazione è di una gravità eccezionale. passati giorni si leggevano sui giornali di Vienna delle notizie del seguente tenore: «La lotta per la autonomia della Chiesa greca. Si annuncia da Zagabria: i deputati di nazionalità serba del passato «Landtag» croato hadno tenuto una conferenza in cui hanno deciso, che in occasione della sospensione dell’autonomia della Chiesa nazionale serba tutti i partiti serbi terranno conferenza. Il partito serbo radicale d’Ungheria tiene il 2 agosto a Neusaz una riunione in cui perderà posizione contro le disposizioni governative. A Belgrado dicesi che i serbi d’Ungheria hanno l’intenzione di mandare una deputazione a Pietroburgo per riferire allo Czar parecchie cose slave pregandolo a difendere i serbi d’Ungheria, e specialmente la loro Chiesa».

Non entro pel momento a discutere sull’autonomia della Chiesa greco-ortodossa serba e sulla legittimità o no dell’azione spiegata dal governo ungherese, ciò che colpisce è il fatto di vedere dei sudditi ungheresi politici rivolgersi direttamente a Pietroburgo, allo Czar per una questione politica pel solo fatto che lo Czar sta non solo alla testa dell’artodossia, ma anche di un vasto impero avente determinati interessi politici.

Da ciò è dato — potrei moltiplicare le citazioni — di comprendere la critica posizione creata al cattolicismo austro-ungarico dal nazionalismo alleato col protestantismo ovvero coll’ortodossia.

Noi non possiamo a meno di preoccuparci dell’aspetto religioso della questione, ma poichè questa ha anche un contenuto essenzialmente politico, non sarebbe davvero superfluo, che non solo i cattolici, ma anche coloro che si preoccupano più particolarmente degli interessi di Stato, vigilassero anche più attentamente, perchè dal Nord e dal Sud dal luteranesimo come dall’ortodossia, vengono attacchi alla compagine religiosa, ma l’attacco qui non s’arresta, avendo in vista principalmente la compagine politica.




Il Municipio di Milano ha ordinato 200 abbonamenti per distribuire in tutte le scuole i fascicoli dell’ENCICLOPEDIA DEI RAGAZZI.



La NONNA è un capolavoro di una freschezza e di una originalità assoluta.