Il buon cuore - Anno XI, n. 48 - 30 novembre 1912/Educazione ed Istruzione

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Educazione ed Istruzione

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figure d’uomini d’altri tempi


Gaetano Lionello Patuzzi

(Continuazione e fine, vedi n. 43).


Il Patuzzi tornò a Verona nel 1871, nominato professore nell’Istituto tecnico Provinciale, dove insegnò, apprezzatissimo, per molti anni, Carmina non dant panem; e questo potevan dire a maggior ragione di quelli d’oggi i letterati d’allora.

Dei veronesi contemporanei al Patuzzi, anche il Betteloni trovò uno stipendio nel Collegio così detto «degli Angeli» e Giuseppe Fraccaroli, che doveva diventare un illustre ellenista, sfacchinava a dar lezioni private, mentre Carlo Gargioli faceva il regio provveditore e Adolfo Gemma il notaio.

Fu quello un bel cenacolo veronese, nel quale Gerolamo Rovetta portava — come disse il Bolognini — la vivacità indiavolata e satirica, profusa ne’ suoi drammi e nei suoi romanzi. E capitava in mezzo ogni tanto il Carducci, che inneggiava a Castelvecchio, all’Adige e a Teodorico e adorava il Lago di Garda.

Ma il Patuzzi, specialmente negli ultimi suoi anni, era andato trascurando l’arte sino a rompere con essa ogni rapporto: invecchiare mentre l’ingrata ringiovaniva anche un poco alle sue spalle.

Fatto presidente della locale Accademia di Lettere e Scienze, esercitò la pazienza negli studi di Folklore ed aiutò i fratelli Bolognini nella compilazione di un eccellente dizionario veronese-italiano. Poi gli fu affidata la Direzione del Collegio Provinciale, che lo appassionò e lo assorbì. Ormai ogni sua ambizione erasi rifugiata nel desiderio di lasciare un’impronta durevole del suo apostolato di educatore: e l’efficacia educativa non la traeva dall’applicazione dei metodi altrui, ma dal proprio carattere e dalla propria esperienza.

Se quest’uomo avesse abbracciati di proposito gli studi pedagogici sarebbe riuscio certo un eccellente teorico, ma non un pratico più felice e valente di quello che si dimostrò.

Nel profilo che il Bolognini presentò di lui non fu il tentativo di presentare un uomo straordinario, ma il proposito d’illustrarne quelle alte qualità di carattere e d’ingegno che inducono ad un sentimento spontaneo d’ammirazione e d’affetto.

E chi conobbe o chi non conobbe da vivo l’uomo coscienzioso, operoso e benefico che morendo lasciò tanto lutto tra gli intelligenti e tra i buoni, si sentì vicino ad una di quelle rare creature che quasi si fanno invidiare per il grande equilibrio della loro mente e del loro carattere: e pensò con un rammarico e con tristezza alla cresente decadenza di questo equilibrio negli uomini che nel tempo nostro sono preposti o si sono imposti nella vita, nell’arte e nella scuola con qualità solo apparenti, od anche opposte ai grandi fini della civiltà, dell’intellettualità e della educazione spirituale.

Perchè in questo intensificarsi dei bisogni sociali e privati, in questo dilatarsi crescente delle aspirazioni: in questo eccesso d’ogni attività corporale e mentale, il tipo normale dell’uo.no sano di volontà e di coscienza non potrebbe essere più raro a trovarsi.

Pirro Besso

La morte dei due Giuseppe

Da Mons. Biermans.


Tra le molte occupazioni del Missionario, vi è pur quella di assistere i condannati a morte. Il caso che sto per raccontare non è l’unico che mi sia capitato, ma quando l’avrete letto, capirete perchè lo prendo a narrare.

Due Baganda, Zeligwao e Bakiddao, si erano resi colpevoli di un orribile omicidio premeditato per cui, caduti che furono nelle mani della giustizia, la loro sorte non era dubbia.

Avvisato della cosa da un membro del Parlamento coloniale, mi recai al carcere. Due soldati mi condussero gli infelici, tutti e due sulla trentina, avvinti alla medesima catena.

— Mi conoscete, amici, dissi loro.

— No, signore, rispose uno, ma vedo che siete un sacerdote. L’altro tacque.

— Quale è la tua religione? domandai.

— Io, disse, solevo leggere coi cattolici e avevo principiato a imparare le preghiere.

— E tu, amico mio? chiesi all’altro.

— Sono pagano, rispose tetro.

Esortandoli io a prepararsi seriamente alla morte, Bakiddao il primo, acconsentì di cuore, ma l’altro fu intrattabile.

Uno dei soldati, per fortuna, era un buon cattolico: lo pregai d’istruirli ogni giorno. Poco dopo costui mi fece sapere che Bakiddao imparava bene, ma l’altro non voleva sentir nulla.

La condanna a morte prefissa dal Governatore non si fece molto aspettare: doveva essere eseguita l’indomani mattina. Mi affrettai al carcere. Bakiddao era come fuori di sè: cadde ai miei piedi, piangendo e supplicando che gli ottenessi la grazia! Alla fine lo calmai e gli parlai del Battesimo. Con grande attenzione mi ascoltò; sapeva bene le principali verità e si pentiva del suo peccato.

— Bakiddao, chiesi io, vuoi tu essere battezzato, diventare un uomo dabbene, ed andare in Paradiso?

— Sì, Padre, voglio fare una buona morte.

— Ebbene, dissi, accetta con rassegnazione la tua condanna, prega bene, pentiti, e domattina ti battezzerò.

— Grazie, Padre, rispose.

E Zeligwao? Dovetti purtroppo tornare a casa, lasciandolo ostinato più che mai, niente commosso dalle mie urgenti istanze, nè da quelle del suo compagno di catene. Quanto melanconico fu quel ritorno!

L’indomani, poco dopo le cinque, ritrovai i due infelici, seduti in una piccola veranda, attorniati dai [p. 359 modifica]soldati, ti emanti da capo a piedi, nell’aspettazione della chiamata fatale, che doveva essere alle sei.

Senza perdere tempo, diedi un’ultima istruzione, e pochi secondi dopo, inginocchiato avanti a me con a fianco il cattivo ladrone, Bakiddao riceveva sul capo l’acqua rigeneratrice, mentre io diceva: Giuseppe, io ti battezzo nel nome del Padre, e del Figliuolo e dello Spirito Santo.

Di nuovo insistetti presso Zeligwao, ma non volle neanche rispondermi.

Allontanatomi un poco, apersi il rituale e posi il segno al posto delle preghiere per la sepoltura. Nel voltare le pagine, mi cadde sott’occhio il nome di S. Giuseppe: leggere quel nome ed indirizzare al Santo una fervorosa preghiera per il povero ostinato fu tutt’uno.

Mancavano pochi minuti alle sei; mi avvicinai di nuovo a Zeligwao... ma ne ebbi un «no» secco.

— Ebbene, dissi tra me, non posso far di più.

Venuta l’ora, accompagnai la triste comitiva verso il palco, pregando con Giuseppe Bakiddao e consolandolo.

Giunti a pochi passi dal palco, l’Ispettore mi pregò di trattenere indietro i prigionieri, intanto che si ag, giustava qualche cosa. L’occhio mio cadde allora naturalmente sopra Zeligwao.

— Mio caro amico, dissi, pentiti di quanto hai fatto, e consenti ch’io ti battezzi.

Oh, buon S. Giuseppe!

— Benissimo, Padre, rispose fermo, battezzami.

Il mio servo, con l’acqua battesimale, se ne stava lontano da me: per fortuna io avevo in tasca una boccetta di acqua santa.

— Amico mio, gli dissi, domanda perdono al Signore di tutti i tuoi peccati e credi tutto ciò che io ho insegnato a Bakiddao.

— Mi dolgo di tutto, rispose, credo tutto, abbiate la bontà di battezzarmi.

Ad onta dei regolamenti, levai il sacco che gli ricopriva la testa; egli si chinò, ed io, versando l’acqua sopra il suo capo, dissi: Giuseppe, io ti battezzo nel nome del Padre e del Figliuolo e dello Spirito Santo.

Gli aveva appena rimesso il sacco, che venne l’ordine di avanzare. Bakiddao fece dapprima una resistenza terribile, ma riuscii a calmarlo; Zeligwao invece salì sul palco senza alcuna resistenza.

Quando dopo aver letto le preghiere del rituale sopra la tomba di Giuseppe Bakiddao, gli indigeni mi videro leggere le medesime preghiere sopra quella di Giuseppe Zeligwao, grande fu la loro meraviglia: non si erano accorti di quanto era successo in quei pochi minuti di aspettativa, e solo più tardi narrai loro ogni cosa.

(«Corrispondenza Africana»).

L’Unione di Messe


Chi pregherà per me sempre?.,. Chi si ricorderà di me, quando io sarò sparito dalla terra?... Chi mi porterà soccorso quando l’anima mia non sarà più tra i viventi?...

L’UNIONE DI MESSE a beneficio delle Missioni africane, istituita dal Sodalizio di S. Pietro Claver e canonicamente eretta da S. Em. il Cardinale Respighi, Vicario generale di S. Santità la quale ci procura l’ineffabile beneficio di partecipare agl’immensi tesori di grazie accumulati nel S. Sacrificio della Messa.

Pagando una volta sola Lire 1 si partecipa per sempre, anche dopo morte, ogni anno a 300 S. Messe che si dicono nella cappella di S. Pietro Claver in Roma, via dell’Olmata, 16.

Le 300 Messe vengono dette secondo le intenzioni degli associati, sia per i vivi, sia per i defunti.

In questa Unione possono anche essere iscritti fanciulli e defunti.

La partecipazione ai vantaggi spirituali di questa Unione comincia all’atto del versamento dell’elemosina suddetta.

Ogni associato riceve come segno d’iscrizione una immagine con a tergo l’attestato di sua ammissione all’Unione, firmata e timbrata dalla Direttrice generale del Sodalizio di S. Pietro Claver.

L’iscrizione all’Unione di Messe è il miglior servizio che si possa rendere a sè stesso ed è anche il miglior regalo che si possa fare ai propri cari defunti.

Il mese di novembre è specialmente ad essi dedicato, mai non sempre portiamo loro un soccorso efficace, perchè non sempre disponiamo dei mezzi necessari. Ma chi non avrà una lira, con la quale assicurare per sempre un aiuto ai cari defunti, ai genitori, ai parenti, agli amici?... tanto più che una tale elemosina vale anche per le povere Missioni africane.

(«Corrispondenza Africana»).

Dal Congresso Eucaristico di Vienna


In occasione di tale Congresso, il Sodalizio di San Pietro Claver organizzò nei locali della sua succursale un’esposizione eucaristica, meritevole di essere visitata. I molti arredi esposti erano stati confezionati da nostri amici e benefattori. Ammirammo bella biancheria da altare e da ministri, bei ricami, lavori al crichet ed al tombolo. I vasi sacri meritano una speciale menzione, specie gli ostensori, pissidi, calici, ecc. Contammo 12 calici, 28 pissidi e le offerte a questo scopo seguitano ancora. Molti parati da messa, incensieri, stole, veli, umerali rallegrano il cuore e gli occhi dei visitatori, e questa gioia aumenta al riflettere che presto tutti questi oggetti andranno nella lontana Africa a nutrire la fede e l’amore di G. C. Sacramentato. Molti furono i visitatori, di ogni stato e nazionalità, fra essi il Vescovo Kol di Gran, Zorn di Bulach, di Strassburgo, il Conte Mikes di Steinamanger, Mons. Rieder di Salisburgo, Mons. Vescovo di Asti, il Vic. apost. di Kartum, Mons. Geyer, il princ. Massimiliano di Sassonia, il Vescovo greco-unito di Czechoicw di Przemysl in Galizia, le LL. AA. II. Arciduchesse Maria Cristina, princ. di Borbone con sua sorella, principessa Maria Giuseppina, la Granduchessa Alice di Toscana con le sue tre figlie, la Arciduchessa Margherita, Germana ed Agnese. La direttrice generale, Contessa Ledochówska e la direttrice della succursale di Vienna, Sig.na Giovanna Schuhma cher, coadiuvate da altre sodali e zelatrici. accompagnarono i visitatori, dando loro spiegazioni.

Dopo la chiusura dell’esposizione si procedette alla spedizione degli oggetti in Africa, tenendo conto per quanto è possibile, dei desideri e domande dei Missionari.

(«Corrispondenza Africana»).

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Disposizioni testamentarie del Cav. Rodolfo Sessa.

Il rimpianto cav. Rodolfo Sessa, con generoso e illuminato spirito, lasciò cospiciie disposizioni testamentarie di beneficenza, tra le quali quella di lire 200.000 a favore della cura marina degli scrofolosi — opera da lui prediletta — e quella di L. 20.000 a favore del Pio Istituto pei Figli della Provvidenza, da lui apprezzato per l’alta finalità della salvezza dell’uomo nel fanciullo.

Così il rimpianto cav. Sessa si è reso benemerito sotto molteplici aspetti: per il vistoso legato a incremento della cura integrale degli scrofolosi al mare, per lasciti a favore dei fanciulli abbandonati, delle giovani lavoratrici, dei vecchi poveri (Piccole Suore) per opere di culto e di beneficenza a Cremella e a Mirabello, nonchè per cospicue disposizioni dirette ad accrescere i patrimoni artistici d’istituti cittadini.

Trattasi, riassumendo, d’una munificenza che si avvicina a 400.000 lire.