Il cavaliere di buon gusto/Atto I

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Atto I

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Personaggi Atto II

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ATTO PRIMO.

SCENA PRIMA.

Camera del Conte Ottavio.

Il Conte Ottavio in veste da camera e parrucca,
sedendo ad un tavolino1, leggendo un libro.

Convien poi dire, che in questo secolo piucchè mai fioriscono gl’ingegni peregrini in Italia. Questo libro è sì bene scritto, ch’io lo reputo testo di lingua2, e in oggi certamente pochi Italiani scrivono in questo stile. Questo sogno è un capo d’opera3, e il [p. 122 modifica] dialogo fra il calamaio e la lucerna è una cosa molto graziosa4. Ma il sole principia a riscaldare la terra. Or ora verranno visite; non voglio lasciarmi trovare in quest’abito di confidenza. Chi vuole esiger rispetto, deve anche in casa propria prendersi qualche piccola soggezione. Chi è di là?

SCENA II.

Brighella, Cameriere e detto.

Brighella. Illustrissimo.

Ottavio. Chiamatemi il maestro di casa.

Brighella. Illustrissimo, gh’è una novità.

Ottavio. Che cosa c’è di nuovo?

Brighella. El maestro de casa no se trova.

Ottavio. Come non si trova?

Brighella. In camera noi gh’è, e no gh’è più nè i so bauli, nè gnente della so roba. El s’ha cercà per mezzo Napoli, e nol se trova.

Ottavio. Ha portato via qualche cosa?

Brighella. Per quanto el credenzier, el cogo e mi abbiemo fatto diligenza, no podemo dir che manca gnente.

Ottavio. Perchè dunque credete voi se ne sia andato, dopo otto giorni ch’egli era al mio servizio?

Brighella. Mi, lustrissimo, ghe dirò el perchè. Perchè l’ha ordenà al sior segretario de revederghe i conti della settimana.

Ottavio. Ma io costumo così. Ogni settimana fo i conti al maestro di casa.

Brighella. E lu, che sta cossa no ghe comodava, el se l’è sbignada5.

Ottavio. Ho piacere che se ne sia andato. Mi avrà portato via qualche zecchino, ma non importa. Se io era uno di quelli che fanno i conti una volta al mese, mi avrebbe portato via [p. 123 modifica] molto più. Mi converrà provvederne un altro. Ma frattanto chi supplirà alle di lui veci?

Brighella. Vussustrissima cognosse i so servitori. La sa de tutti l’abilità, la sa de chi la se pol fidar, onde no la pol fallar.

Cameriere. Illustrissimo; io ho servito tre anni per maestro di casa.

Ottavio. Dove?

Cameriere. In una città che si chiama Vipacco.

Ottavio. Vipacco? Dov’è questo Vipacco?

Cameriere. Nel principio della Germania, fra il Friuli Tedesco e la Stiria.

Ottavio. Io ho viaggiato quasi tutta l’Europa, e non mi sovviene questa città. Parmi aver sentito dire, che Vipacco sia una piccola villa. 6

Cameriere. Oh illustrissimo no; è una città. (L’ho detta, bisogna sostenerla). (da sè)

Ottavio. Bene, sarà. Chiamatemi il bibliotecario. (a Brighella)

Brighella. La servo.7 (parte)

SCENA III.

Il Conte Ottavio ed il Cameriere, poi il Bibliotecario e Brighella.

Ottavio. Chi avete servito? (al cameriere)

Cameriere. Un cavaliere di quel paese.

Ottavio. Quanto vi dava di salario?

Cameriere. Tre zecchini il mese, e le spese.

Bibliotecario8. Eccomi a’ suoi comandi.

Ottavio. Portatemi il tomo di Martiniè, lettera V9.

Bibliotecario. La servo subito. (parte)

Cameriere. (Ora leggerà, e non si ricorderà più di Vipacco). (da sè) [p. 124 modifica]

Ottavio. Da vestire.

Brighella. Subito. (parte)

Ottavio. A Napoli, avete servito da cameriere.

Cameriere. L’ho fatto per necessità.

SCENA IV.

Brighella con l’abito, va per metterlo ad Ottavio, e detti.

Cameriere. Date qua, non tocca a voi.

Brighella. Son servitor anca mi.

Cameriere. Gli staffieri non mettono le mani addosso ai padroni. (gli prende l’abito e veste Ottavio)

Brighella. (Chi sa che un zorno la fortuna no me fazza buttar zo sta livrea). (da sè

SCENA V.

Il Bibliotecario col libro, e detti.

Bibliotecario. Eccola servita.

Ottavio. (Prende il libro, lo mette sul tavolino, siede e legge.)

Cameriere. (Se io arrivo a esser maestro di casa, voglio far abbassar l’albagìa a questi staffieri). (a Brighella)

Brighella. (Me confido che el padron l’è un cavalier de giustizia). (al cameriere)

Ottavio. Signor maestro di casa. (al cameriere)

Cameriere. Illustrissimo.

Ottavio. Venga qua, signor maestro di casa.

Cameriere. Grazie alla bontà di V. S. illustrissima.

Ottavio. Ella ha servito a Vipacco.

Cameriere. Illustrissimo sì.

Ottavio. Vipacco, borgo d’Italia nel Friuli, nella Contea di Gorizia, vicino alla sorgente d’un fiume da cui prende il nome. (leggendo)

Cameriere. Mi creda, illustrissimo...

Ottavio. Siete un briccone. Andate via subito dal mio servizio. [p. 125 modifica]

Cameriere. Ma perchè?...

Ottavio. Andate in questo momento.

Cameriere. La supplico per carità.

Ottavio. Meno repliche.

Cameriere. Pazienza! Me ne anderò.

Brighella. (Signor maestro di casa, la reverisco). (al cameriere)

Cameriere. (Sian maledetti i libri, e quei che li stampano), (da sè, parte)

Brighella. (Questa la godo, da galantomo). (da sè)

Ottavio. Un servitore bugiardo non fa per me.

Bibliotecario. V. S. illustrissima è di buon gusto in tutte le cose, e lo è ancora nella scelta dei servidori.

Ottavio. Sì, i miei servitori li pago bene. Do loro un salario che diffìcilmente avranno da un altro; li premio e li regalo, ma voglio che abbiamo tre ottime qualità: puntualità, attenzione e pulizia.

Brighella. (L’è un padron adorabile! Per lu me butteria nel fogo. Bel servir un padron generoso!) (da sè)

Ottavio. Brighella.

Brighella. Illustrissimo.

Ottavio. Quanti anni sono, che siete in casa mia?

Brighella. Sarà dodes’anni, e me par dodese zorni. Ho sempre ringrazià el cielo d’esser al servizio d’un cavalier tanto benigno come V. S. illustrissima, e spero de terminar in sta benedetta casa i mi zorni.

Ottavio. Io non ho mai avuto a dolermi del vostro servizio; siete un uomo fedele, siete onorato e civile; perciò destino appoggiare a voi il carico di maestro di casa.

Brighella. Illustrissimo, no so cossa dir; resto attonito e mortificà; la consolazion me leva el respiro, e no trovo termini per ringraziarla.

Ottavio. Il ringraziamento che avete a farmi, sarà l’attenzione e la fedeltà del vostro servizio.

Brighella. Spero che V. S. illustrissima non averà da dolerse della mia mala volontà; circa l’abilità, farò tutto per ben servirla.

Ottavio. Oh via, andate a deporre la livrea. Dite alla donna di governo, che vi dia due abiti da campagna del mio guardaroba. [p. 126 modifica]

Brighella. Grazie alla carità de V. S. illustrissima.

Ottavio. Come state di biancheria?

Brighella. Grazie al cielo, gh’ho el mio bisogno.

Ottavio. Ricordatevi di tenere in soggezione quei della famiglia bassa. Trattateli bene, ma fateli servire. Io do a’ miei staffieri e a’ miei lacchè, come sapete, danari per le cibarie; ma quello che avanza alla tavola, ho piacere che si distribuisca a quella povera gente. Questa distribuzione fatela voi, e fatevi merito presso di loro, acciò vi amino e vi rispettino, poichè a me non è lecito invigilare sulle minute cose della famiglia, e un buon maestro di casa può regolarla mirabilmente.

Brighella. Circa al trattamento della tavola, comandela che seguita sul piede solito?

Ottavio. Sì, già lo sapete. Alla mia tavola hanno da poter venire gli amici senza essere invitati. Dodici coperte ordinariamente si preparano dal credenziere, e se cresce il numero delle persone, si aggiungono de’ tavolini. Due portate di sei piatti l’una è il mio ordinario. Qualche volta si levano le zuppe e si cambiano i laterali, e i dodici piatti si fanno diventar sedici; ma una tavola di dodici piatti caldi è cosa discreta per un pranzo di tutti i giorni. Il vino della mia cantina per pasteggiare è assai buono. Due fiaschi e due bottiglie si daranno ogni giorno, e all’ultimo il rosolio ed il caffè. La sera non si fa cena. Chi vuol mangiare, ordini a voi ciò che vuole; e fateli servire nella loro camera. Questo è il mio ordinario. Nelle occasioni di trattamento, vi darò io le commissioni, a misura dell’impegno in cui mi troverò. Siate economo nello spendere, insinuate al cuoco di variar sempre nei piatti, di farli saporiti e di gusto, ma che non getti superfluamente; mentre tutto quello che io spendo, ho piacere che si goda, e se spendo sei, desidero, se si può, farlo comparire per dieci.

Brighella. Ho inteso benissimo, e V. S. illustrissima sarà servida.

Ottavio. Sentite, se volete fare la vostra fortuna, se volete migliorar condizione, se volete stabilirvi un pane per la vecchiaia, non cercate di farlo con mala arte da voi medesimo, ma portandovi [p. 127 modifica] bene, datemi campo che lo possa far io, per rimunerazione della vostra fedel servitù.

Brighella. Con un padron che cognosse, e premia, e benefica, bisogna esser fedeli per forza: ma chi tratta mal, ma chi è ingrato colla povera servitù, no se pol far amar, e poche volte trova zente fedel. (parte)

SCENA VI10.

Il Conte Ottavio ed il Bibliotecario,
poi un altro Cameriere.

Bibliotecario. Mi consolo ch’ella11 abbia fatta un’ottima scelta. Brighella è un uomo di garbo.

Ottavio. Lo conosco, e perciò lo rimunero. Chi vuol tenere in dovere la servitù, è necessario farle sperare il premio alle sue fatiche. Vedendo che il padrone benefica, ognuno lo serve con attenzione.

Bibliotecario. Comanda altro da me?

Ottavio. Avete fatta la divisione de’ libri antichi da’ libri moderni?

Bibliotecario. Sì signore.

Ottavio. Quai sono i più?

Bibliotecario. I moderni.

Ottavio. In questo secolo tutti scrivono, tutti stampano.

Bibliotecario. I libri vecchi si sono resi inutili.

Ottavio. Perchè?

Bibliotecario. Perchè gli autori moderni non hanno fatto che copiar dagli antichi, e abbiamo dagli scrittori del nostro secolo tutto quello che è stato detto e ridetto nei secoli oltrepassati.

Ottavio. Sì, ma sono necessari gli autori antichi per ricorrere ad essi, e confrontare ed intendere le proposizioni dei moderni.

Bibliotecario. Sappia, signore, che sto ancor io facendo una piccola fatica.

Ottavio. Sì! In che cosa vi divertite? [p. 128 modifica]

Bibliotecario. Fo un libro intitolato il Pasticcio. Da tutti i libri della libreria prendo qualche cosa, e formo un’opera che potrà dirsi universale.

Ottavio. Caro bibliotecario, non fate questa fatica. Di tali opere il mondo è pieno. Di questi pasticci ve n’è abbondanza.

Bibliotecario. Lo fo per impiegare con profitto le ore dell’ozio.

Ottavio. Impiegatele a leggere. Non vi fermate a imparare a memoria i frontespizi de’ libri, gl’indici e le sentenze, per comparire fra gl’ignoranti un uomo di erudizione: studiate fondatamente, e con metodo, se volete essere un uomo dotto.

Bibliotecario. In oggi vi sono tanti bei dizionari, che facilmente un uomo si può erudire.

Ottavio. In oggi non si studia più un’arte con fondamento. Si ricorre al dizionario, si apprende la cosa superfizialmente, si fa un embrione nella fantasia, non si digerisce bene veruna cosa, e gli uomini stessi diventano indici e dizionari.

Bibliotecario. Dunque i dizionari non sono utili ed apprezzabili?

Ottavio. Sì, lo sono per gli uomini che già sanno, non per quelli che hanno da apprendere, e lo fanno coi repertori.12

Bibliotecario. Se non mi comanda altro, torno in libreria.

Ottavio. Signor Indice, la riverisco.

Bibliotecario. Vado a divertirmi col mio Pasticcio. (parte)

Ottavio. Sarà un Pasticcio di pasta a vento, fatto sul gusto della sua testa.13

Cameriere14. Illustrissimo, il signor Pantalone de’ Bisognosi.

Ottavio. Venga, e fino ch’egli sta meco, non ricevo ambasciate.

Cameriere. La signora Contessa ha mandato a vedere se V. S. illustrissima è impedita.

Ottavio. Dite alla Contessa mia cognata, che or ora sarò di sopra a prendere la cioccolata con lei. (cameriere parte) Mia cognata [p. 129 modifica] è una donna curiosa. Pretende farsi rispettar assai per esser superba, e s’inganna di gran lunga. Grandezza di nascita e umiltà di tratto costituiscono il vero merito della nobiltà15.

SCENA VII.

Pantalone e detto.

Pantalone. Servitor umilissimo a Vussustrissima.

Ottavio. Ben venga il mio amatissimo signor Pantalone, sedete qui presso di me.

Pantalone. Come la comanda.

Ottavio. Che cosa abbiamo di nuovo?

Pantalone. Gieri ho vendù le volpe de Moscovia, e avemo vadagnà in sto negozio dusento zecchini, netti da capital e da spese.

Ottavio. Buono, in due mesi non si poteva guadagnare di più.

Pantalone. Se la comanda, gh’ho porta i cento zecchini della so parte.

Ottavio. Sì, date qua. Questi serviranno per fare un miglior accoglimento a mio nipote, che a momenti s’aspetta di ritorno da Roma.

Pantalone. Comandela veder tutto el ziro del negozio, la compra, la vendita e le spese?

Ottavio. Per ora no. Facciamo così. Notiamo che ho ricevuto da voi cento zecchini. Da qui a qualche giorno faremo fra voi e me un poco di bilancio.

Pantalone. (Cava il libro) Co la comanda, sarò sempre pronto. Fin adesso tutti i nostri negozi i xe andai ben. I quaranta mille ducati, che la m’ha dà da negoziar, unidi a altri vinti mille dei mii, i ha buttà pulito.

Ottavio. Vi dirò, signor Pantalone; per vivere da mio pari, e per trattarmi in una maniera conveniente al mio grado, ho rendite sufficienti, e non ho bisogno di procacciarmi profitti; a [p. 130 modifica] me piace far qualche cosa di più. Godo trattarmi nelle occasioni con qualche magnificenza; amo di farmi voler bene dalle persone, coltivarmi gli amici, godere il mondo, e per ciò fare, mi conviene eccedere le misure del mio patrimonio. Se con imprudenza volessi intaccare i miei capitali, come pur troppo tanti fanno, sarei degno di riprensione, e col tempo mi renderei ridicolo. Ho ritrovato pertanto questa16 miniera. Negozio con voi, e un capitale di quaranta mila ducati mi fa stare allegro, senza alterare il sistema della mia casa, senza sconvolgere l’economia.

Pantalone. Ella xe un cavalier, che l’intende per el so verso. Una volta la mercatura giera el meggio patrimonio delle case nobili. Anca in ancuo17 in qualche città corre sta massima, e el negoziar no tol gnente alla nobiltà. Bisogna uniformarse al sistema del liogo dove se abita, e per el proprio decoro bisogna anca dissimular. Onde la fa benissimo a far che i so bezzi ghe frutta, e el frutto goderlo e devertirse.

Ottavio. Per altro sono assai fortunato, per aver ritrovato in voi un uomo di vera puntualità.

Pantalone. Fazzo el mio debito, e gnente de più. Donca l’aspetta so sior nevodo?

Ottavio. Sì, il Contino mio nipote è uscito di collegio, e si aspetta in Napoli con ansietà, dovendosi stabilire il contratto di nozze fra lui e la marchesina Rosaura.

Pantalone. Un bon parentà. Una putta ricca e unica; me ne consolo infinitamente. Ma la supplico de perdon, perchè no se maridela ella, invece de pensar a so nevodo?

Ottavio. Caro signor Pantalone, voi mi volete poco bene.

Pantalone. Perchè disela cussì?

Ottavio. Se mi voleste bene, non mi consigliereste a maritarmi. Che cosa vorreste ch’io facessi di una donna al fianco?

Pantalone. So pur, che star colle donne no ghe despiase. [p. 131 modifica]

Ottavio. Sì, colle donne tratto e converso sempre volentieri: ma colla moglie mi annoierei in capo a tre giorni.

Pantalone. Se la fusse una muggier bona, no la se stufaria.

Ottavio. Trovatemi una moglie buona, e mi marito domani.

Pantalone. Mo no la crede che ghe ne sia de bone?

Ottavio. Sì, ve ne saranno, ma è come un terno al lotto. Uno contro cento diciassettemila quattrocento ottanta.

Pantalone. E pur m’impegneria de trovarghe una muggier bona e de so soddisfazion.

Ottavio. Orsù, per farvi vedere che vi amo e vi stimo, voglio prender moglie; voglio prendere questa buona dama, che voi mi proponete; ma con questa condizione, che voi mi abbiate a fare la sicurtà che veramente sia buona, e buona si mantenga, e tale non riuscendo, che abbiate voi a pagarmi venti mila ducati.

Pantalone. Mo sta sigurtà no la posso miga far.

Ottavio. Dunque non siete sicuro che ella sia buona.

Pantalone. La xe bona, ma la poderia deventar cattiva.

Ottavio. Ed io col dubbio ch’ella sia buona, e col pericolo che possa diventar cattiva, l’ho da prendere? Signor Pantalone, pensiamo alle volpi di Moscovia, che profittano18 più delle femmine da marito.

Pantalone. No so cossa dir. La fazza quel che la crede meggio, ma a tutto Napoli despiase, che Vussustrissima no se marida.

Ottavio. Gente che invidia il mio bene.

Pantalone. E quante dame aspira all’onor delle so nozze!

Ottavio. Non credo a nessuna.

Pantalone. E pur ghe ne xe assae, che ghe vuol ben.

Ottavio. Mi vogliono bene? Povero signor Pantalone! quanto siete buono! Amano i miei poderi, la mia tavola, le mie carrozze. Le conosco, le conosco, non mi lascio gabbare.

Pantalone. La le tratta però volentiera.

Ottavio. Sì; mi burlo di loro, come esse si burlano di me. Fingo [p. 132 modifica] di non capire, per goder meglio la scena. Mi vogliono bene? Maledette! Se arrivassero a innamorarmi, povero me!

Pantalone. Ma perchè donca le trattela?

Ottavio. Con qualcuno si ha da conversare. Poco più, poco meno, tutti al mondo vivono d’impostura; e chi è di buon gusto, dissimula quando occorre, gode quando può, crede quel che vuole, ride de’ pazzi, e si figura un mondo a suo gusto.

Pantalone. Vorla che ghe diga, che me piase assae sto modo de pensar.

Ottavio. Signor Pantalone, avete nulla da comandarmi?

Pantalone. Gnente, ghe levo l’incomodo.

Ottavio. Via; approfittiamo del tempo, che è cosa preziosa. Voi lo potrete impiegar bene co’ vostri traffichi: io non lo getto inutilmente. Lo distribuisco all’economia della casa, allo studio, al carteggio, alla lettura de’ buoni libri, al maneggio di qualche affare serioso, alla tavola, alla conversazione, e qualche volta a far un poco all’amore.

Pantalone. Donca la fa l’amor?

Ottavio. Sì; io fo all’amore, come il gatto fa all’amore colla bragiuola19, che sta cocendosi sulla gratella: la guarda, ma non la tocca.

Pantalone. Oh, che caro sior Conte...

Ottavio. Chi è di là?

SCENA VIII.

Il Cameriere e detti.

Ottavio. Servite il signor Pantalone. (al cameriere)

Pantalone. Ghe fazzo umilissima reverenza.

Ottavio. State sano.

Pantalone. (Co vegno qua, no andarave mai via. El gh’ha un descorso che incanta). (da sè) Bondì a vussustrissima. (parte, accompagnato fino alla porta dal cameriere) [p. 133 modifica]

Ottavio. Buon galantuomo! Non sa più di così. Crede che la sua visita abbia a occuparmi una mezza giornata. Cameriere.

Cameriere. Signore. Ottavio20. Il segretario ed il maestro di casa. (al cameriere)

Cameriere. Sono in anticamera.

Ottavio. Che vengano, e voi non partite. (il cameriere li fa entrare)

SCENA IX21.

Il Segretario, Brighella s’inchinano, e detti.

Ottavio. Segretario, rispondete a queste tre lettere. Alla prima termini generali: che mi farò gloria nelle occasioni di servire il raccomandato. Alla seconda con brio: che nel servire la virtuosa raccomandatami, non avrò merito alcuno, mentre il piacer di trattarla ricompenserà moltissimo le mie attenzioni. Alla terza, grave: che mi dispiace esser prevenuto, e non soglio favorire che la giustizia. Brighella, andrete a pagare22 due casse di vino che ho ricevuto. Rivredrete il conto23 del sarto. Per oggi, se vien mio nipote, duplicate la tavola. Tenete, questi sono trenta zecchini. Cameriere, andate dalla marchesina Rosaura, a vedere come ha riposato la scorsa notte. Fate la stessa ambasciata a donna Eleonora, sua zia. Segretario, leggete questo memoriale, e fate le due lettere di raccomandazione per l’oratore, a tenor dell’istanza. Avvertite che il pranzo sia magnifico. (a Brighella) Che l’ambasciata sia fatta a dovere, prima colla Marchesina, e poi a donna Eleonora. Accompagnatemi da mia cognata. (al cameriere, e parte)

Brighella. (Gran testa!) (parte)

Cameriere. (Gran mente!) (parte)

Segretario. (Gran cavaliere di buon gusto!24 (parte) [p. 134 modifica]

SCENA X25.

Camera della contessa Beatrice.

La Contessa Beatrice e la Baronessa Clarice.

Beatrice. Così è cara, cugina; oggi si aspetta mio figlio.

Clarice. È vero che vi è trattato di nozze fra lui e la marchesina Rosaura?

Beatrice. Sì; vi è questo trattato, ma non si concluderà.

Clarice. Per qual ragione? La Marchesina è nobile e ricca.

Beatrice. Non si concluderà, perchè ha preteso di voler fare questo partito26 il Conte mio cognato.

Clarice. Come zio del Contino, lo doveva fare.

Beatrice. Lo doveva fare? Cugina, ve ne intendete poco. Io sono la madre di Florindo: a me tocca a trovargli27 una sposa; e se ha da venire una nuora in questa casa, io l’ho da sapere prima d’ogni altro.

Clarice. Cara cugina, perdonatemi, se vi parlo con libertà. Non vi piccate di ciò, mentre il conte Ottavio è un cavaliere prudente; e quello che ha fatto, l’avrà fatto per utile della famiglia.

Beatrice. Mio cognato è un uomo prudente? È uno scialacquatore, un prodigo, che rovina la casa e precipita suo nipote.

Clarice. Tutto Napoli lo decanta per uomo savio.

Beatrice. Tutti non sanno quel che so io. Le rendite della nostra casa non possono mantenere quei magnifici trattamenti, quelle grandiose spese ch’egli è solito a fare.

Clarice. Ma che vorreste dire perciò?

Beatrice. Ch’egli intacca i capitali.

Clarice. Non ha venduto alcuno stabile.

Beatrice. Voglio che mi dia la mia dote.

Clarice. Non si sa ch’egli abbia debiti.

Beatrice. Quando arriva Florindo, ha da render conto della sua amministrazione. [p. 135 modifica]

Clarice. Credetemi, che v’ingannate.

Beatrice. Non lo può fare.

Clarice. Voi non potete sapere i suoi interessi.

Beatrice. So tutto; e vi dico che manda in malora la casa, e glielo direi in faccia.

Clarice. Cugina, non vi torna conto a disgustarlo.

Beatrice. Io non ho paura di lui.

Clarice. È un cavaliere che non lo merita.

Beatrice. Sì, sì, è un cavaliere che non lo merita. Ora me ne avveggio. Da qualche tempo in qua il signor Conte vi fa da cicisbeo.

Clarice. Questo nome di cicisbeo riguardo a me non gli conviene. I miei genitori non hanno pensato prima di morire a collocarmi; sono in un’età che so discernere il bene e il male, ma sono una fanciulla nobile, una dama onorata; non arrischierò in conto veruno il mio credito; ma se la fortuna mi offerirà le sue chiome, non sarò tarda nell’afferrarle.

Beatrice. Dunque se il conte Ottavio volesse far la pazzia28 di maritarsi, voi non avreste difficoltà d’accettar la sua mano.

Clarice. Perchè chiamate col titolo di pazzia un’inclinazione ch’egli aver potesse pel matrimonio?

Beatrice.29 Si ha da ammogliare mio figlio. La nostra casa non può soffrire l’incomodo di due matrimoni30.

Clarice. Cugina, questa non è casa vostra.

Beatrice. Come! Non è casa mia?

Clarice. Casa vostra è a Porta Capuana.

Beatrice. Qui c’è la mia dote.

Clarice. Questa è una cosa che facilmente si porta da un luogo all’altro. [p. 136 modifica]

Beatrice. Vi è mio figlio.

Clarice. Non è bambino, e poi il zio paterno è il custode legittimo del nipote.

Beatrice. A quel che sento, voi avete disposte le cose di questa casa: voi siete vicina ad esserne la padrona.

Clarice. Io non ho alcuna sicurezza di ciò, ma quando l’avessi...

Beatrice. Ecco il signor Conte, sarà venuto per lei. (con ironia)

Clarice. Per levarvi di pena, me n’anderò.

Beatrice. Oh, non commetta questo mal termine. (come sopra)

SCENA XI31.

Il Conte Ottavio e dette.

Ottavio. Riverisco la signora cognata.

Beatrice. Serva sua. (sostenuta)

Ottavio. M’inchino alla signora baronessa Clarice.

Clarice. Serva umilissima, signor Conte.

Ottavio. In che si divertono lor signore?

Clarice. Io parto in questo momento.

Ottavio. Forse perchè sono venuto io?

Beatrice. Sì signore, perchè siete venuto voi, la modestia la fa partire.

Ottavio. Signora mia, non son venuto per far alterare la vostra modestia. (a Clarice)

Clarice. Mia cugina si prende spasso di me. (al Conte)

Beatrice. Ed ella si prenderebbe spasso con voi. (al Conte)

Ottavio. La signora Baronessa è una damina che merita tutto.

Clarice. Voi mi mortificate.

Beatrice. Signor Conte, mi rallegro con lei.

Ottavio. Via, cara cognata, non m’invidiate questo poco di bene.

Beatrice. Anzi, per darvi piacere, me n’anderò. (vuol partire)

Ottavio. No, no, trattenetevi. Siete troppo di buon carattere.

Clarice. Signore, me n’anderò io. [p. 137 modifica]

Ottavio. La contessa Beatrice non vi lascierà partire.

Beatrice. Per me, se vuol andare, si serva.

Ottavio. Via, via, libertà di parentela. Eh signora, quando vi fate sposa? (a Clarice)

Clarice. Ah! non so che rispondere.

Ottavio. Poverina! Mi dispiace vedervi perder il vostro tempo.

Beatrice. Se vi dispiace, consolatela.

Ottavio. Sentite che cosa dice la contessa Beatrice? Sarei buono io per consolarvi?

Clarice. Signor Conte, a rivederla. (s’incammina)

Ottavio. Per amor del cielo, non partite sì presto.

Beatrice. Siete molto riscaldato, signor Conte.

Ottavio. Sì, sono sulle furie. (a Beatrice, scherzando)

Beatrice. Vi piace la signora Clarice?

Ottavio. Capperi! a chi non piacerebbe? Guardate che occhietti furbi!

Clarice. (Se dicesse davvero, felice me!) (da sè)

Beatrice. Questo è un matrimonio che si potrebbe fare.

Ottavio. (Zitto, non dite questa bestialità). (a Beatrice) Ah Baronessa! Mi volete bene?

Clarice. Signore, a una figlia nubile non conviene rispondere.

Ottavio. Sentite: se non mi rispondete colla bocca, capisco da’ vostri occhi che cosa mi volete dire.

Clarice. Siete troppo furbo.

Ottavio. Da voi a me, non so chi ne sappia più.

Clarice. Eh, signor Conte...

Ottavio. Via, terminate.

Clarice. Cugina, a rivederci. (vuol partire)

Ottavio. Sentite, sentite.

Clarice. Non voglio sentir altro.

Ottavio. Una parola, una parola.

Clarice. E così? (toma indietro)

Ottavio. Cari quegli occhi!

Clarice. Il diavolo, che vi porti. (Mi sento che non posso più). (da sè, parte) [p. 138 modifica]

SCENA XII.32

La Contessa Beatrice ed il Conte Ottavio,
poi un Cameriere.

Ottavio. Io crepo dalle risa.

Beatrice. Voi ridete, e Clarice si lusinga.

Ottavio. Ebbene, lasciatela fare.

Beatrice. Non vorrei, signor cognato, che ancor voi, sotto pretesto di ridere, faceste davvero.

Ottavio. Non vorreste? Oh diavolo! Non vorreste?

Beatrice. Io non sono capace di simulare. Quel che ho in cuore, l’ho in bocca. Certamente non potrei essere contenta, che un matrimonio del zio rovinasse il nipote.

Ottavio. (Ora le vuò dar gusto). (da sè) Ma cara signora cognata, per questi umani riguardi vorreste permettere che un povero galantuomo avesse a patire?

Beatrice. Eh, non siete più ragazzo.

Ottavio. Appunto per questo. Quando io era ragazzo, poteva sperar qualche buona avventura; ora, se non mi marito, per me non vi è altro.

Beatrice. Dunque vi volete ammogliar davvero?

Ottavio. Se trovassi chi mi volesse, perchè no?

Beatrice. Trovereste anche troppo da rovinarvi.

Ottavio. Si è rovinato anche il povero mio fratello, posso rovinarmi ancor io.

Beatrice. Mi maraviglio di voi. Vostro fratello ha avuto una moglie savia.

Ottavio. Oh perdonatemi, non mi ricordava che foste voi la vedova di mio fratello.

Beatrice. Volete empire questa casa di donne?

Ottavio. Sì: più donne che vi saranno, avremo più amici che ci verrarmo a trovare.

Beatrice. Che caro signor cognato! L’avete trovata la sposa? [p. 139 modifica]

Ottavio. Ne ho tre o quattro, e non so chi scegliere.

Beatrice. Prendetele tutte.

Ottavio. Se potessi, perchè no?

Beatrice. Volete che ve la dica: vi crescono gli anni, e vi scema il giudizio.

Ottavio. Avanti che vada il resto, vo’ prender moglie.

Beatrice. E mio figlio?

Ottavio. La prenda anch’egli.

Beatrice. Due matrimoni in una volta?

Ottavio. Io non entro nella sua camera, nè egli nella mia.

Beatrice. Due spose in una casa?

Ottavio. Vi sono dei letti anche per otto.

Beatrice. Mi sento rodere dalla rabbia.

Ottavio. Poverina, vi compatisco. Vorreste un pezzo di marito anche voi?

Beatrice. Meritereste ch’io lo facessi.

Ottavio. Capperi! sarebbe un gran castigo.

Beatrice. Porterei la mia dote fuori di casa.

Ottavio. Mi confido che vi andereste anche voi.

Beatrice. Mi dispiacerebbe per il mio figliuolo.

Ottavio. Oh, grand’amore è quello dei genitori verso i figliuoli! Non vedo l’ora anch’io di vedermi d’intorno tre o quattro bambini, che mi consolino.

Beatrice. Voi lo fate per farmi arrabbiare.

Ottavio. Voi vi arrabbierete, ed io mi goderò la bella sposina.

Beatrice. Ancora nol posso credere.

Ottavio. Signora cognata, osservate questo bell’anello.

Beatrice. Questo è un anello da sposa.

Ottavio. E de’ belli!

Beatrice. L’avete comprato per vostro nipote?

Ottavio. L’ho comprato per la mia sposa.

Beatrice. Mi vien un caldo, che non posso più.

Ottavio. (Far arrabbiar le donne è la più bella cosa del mondo!) (da sè) [p. 140 modifica]

Cameriere33. Illustrissima, la signora donna Eleonora manda l’ambasciata che vorrebbe riverirla.

Ottavio. Oh cara donna Eleonora! È una vedovina garbata.

Beatrice. Anche questa vi piace?

Ottavio. A me piacciono tutte.

Beatrice. È sola? (al cameriere)

Cameriere. È colla Marchesina sua nipote.

Ottavio. La marchesina Rosaura, che sarà vostra nuora.

Beatrice. Mia nuora? Ditele che non ci sono. (al cameriere)

Ottavio. Oh spropositi! Mi maraviglio di voi, signora cognata. In questo c’entro ancor io. Il partito di matrimonio è stato maneggiato da me, e se non la volete ricever voi, anderò nel mio quarto e la riceverò io.

Beatrice. Bene, bene, la riceverò. Ditele che è padrona, (cameriere parte) Ma su questo matrimonio vi è molto da discorrere.

Ottavio. Che obbietti potete avere contro di un tal matrimonio?

Beatrice. A me non è stato parlato nelle convenevoli forme.

Ottavio. Ve n’ho parlato io.

Beatrice. Io, come madre, doveva essere la prima a saperlo.

Ottavio. Perdonate, non ci ho pensato. Ma correggerò l’errore. Voi sarete la prima a saperlo, quando mi mariterò io.

SCENA XIII34.

La Marchesina Rosaura, Donna Eleonora e detti.

Eleonora. Contessa mia, vi son serva.

Beatrice. Serva umilissima, donna Eleonora.

Rosaura. Signora Contessa, a lei m’inchino.

Beatrice. Serva, signora Marchesina.

Ottavio. Gentilissime dame.

Rosaura. Serva, serva.
Eleonora.

Eleonora. Siamo state colla Marchesina mia nipote a ritrovar mia [p. 141 modifica] sorella, e nello stesso tempo l’ho condotta a far il suo dovere con voi.

Beatrice. Vi ringrazio che abbiate fatta per mia cagione una visita di più.

Rosaura. Sono obbligata al signor Conte, che mi ha favorito di mandar a vedere se ho riposato bene.

Ottavio. E un’attenzione dovuta dal mio rispetto ad una dama di tanto merito.

Eleonora. Anch’io ho avuto la stessa finezza; non so se per grazia, o per accidente.

Ottavio. Per la premura ch’io aveva d’aver nuove del vostro stato. (ad Eleonora)

Eleonora. Non son degna delle vostre premure.

Ottavio. Anzi niuna cosa mi preme più della vostra grazia.

Beatrice. (Maledetto quel mio cognato; s’attacca con tutte), (da sè)

Eleonora. (Se dicesse davvero, felice me!) (da sè)

Ottavio. Signora sposina, voi mi parete malinconica.

Rosaura. Eppure internamente non lo sono.

Beatrice. È sposa la signora Marchesina? Me ne rallegro.

Eleonora. Voi lo sapete meglio d’ogni altro. (a Beatrice)

Beatrice. Io? Non so nulla.

Eleonora. Signor Conte, donde nasce questa indolenza35 della signora Contessa?

Ottavio. Nasce dalla bizzaria del suo spirito. Ella sa benissimo che si è verbalmente concluso il trattato di nozze fra la signora marchesina Rosaura ed il contino Florindo mio nipote; sa la dote stabilita; sa i patti concordati; sa che l’affare è nelle mie mani; tutto sa, di tutto è contenta, e intende fare uno scherzo alla sposa, mostrando che una tal nuova le rechi qualche sorpresa.

Beatrice. È vero; tutte queste cose le so, ma non per parte della signora Marchesina.

Rosaura. Perdoni, signora Contessa: io sono in un grado da non [p. 142 modifica] dovermi impacciare in tali affari; ma quand’anche avessi potuto dispor di me stessa, non sarei venuta io a domandare lo sposo.

Eleonora. Si aspettava che la signora contessa Beatrice venisse a favorirci, e darci qualche segno del suo aggradimento.

Beatrice. Orsù, io non sono stata ricercata a principio, e non voglio saperne nulla in avvenire. Della mia dote farò quello che mi parrà.

Ottavio. Non crediate già, signora cognata, che si voglia assicurar la dote della sposa colla vostra. Io mi obbligo, ed io ne sarò responsabile unitamente al nipote.

Beatrice. Mio figlio non ha ancor prestato l’assenso.

Ottavio. Lo presterà, lo presterà.

Beatrice. Forse sì, e forse no.

Ottavio. Lo presterà, lo presterà.

Beatrice. (Mio cognato mi fa crepare di rabbia). (da sè)

Cameriere36. Illustrissima, è arrivato il signor Contino.

Beatrice. Mio figlio? (s’alza)

Ottavio. Trattenetevi con queste dame. Anderò io ad incontrarlo.

Beatrice. Signor no, signor no; è mio figliuolo, voglio io vederlo prima di tutti. (parte col cameriere)

SCENA XIV37.

Il Conte Ottavio, Donna Eleonora e la Marchesina Rosaura.

Ottavio. Buon viaggio a lei. Signore mie, non fate caso del temperamento di mia cognata.

Rosaura. Ma io sono in grado di doverne far caso; poichè se avessi a essere la di lei nuora, mi metterebbe in pensiero38 il soffrirla.

Eleonora. Signor Conte, favorite, venite qui, sedete in mezzo di noi e discorriamola, giacchè non vi è la contessa Beatrice.

Ottavio. Oh, fortunatissima occasione d’essere fra due belle dame. (siedono) [p. 143 modifica]

Eleonora. Che dite di mia nipote, non è una giovine di tutto garbo?

Ottavio. Sì certamente, ha uno spirito delicato. È una di quelle che innamorano più tacendo, che parlando.

Rosaura. Avete39 ragione, poichè sono scipite le mie parole.

Ottavio. No, signora, mi spiego. Le vostre parole ripiene di modestia ponno mettere in soggezione un amante: ma i vostri occhi a dispetto vostro innamorano. (Tutte le donne hanno piacere a sentir lodare i loro occhi). (Da sè)

Eleonora. Non dico per dire, ma il conte Florindo potrà chiamarsi felice, se avrà una sposa di tal carattere.

Ottavio. Certamente, una sposa sì degna mi fa invidiare la sorte di mio nipote.

Rosaura. Signore, voi vi prendete spasso di me.

Eleonora. Caro Conte, dite il vero, vi ammoglereste voi?

Ottavio. Io non ho giurato di non prender moglie.

Eleonora. Quanto sarebbe meglio per la vostra casa, che voi vi accompagnaste! Questo vostro nipote, non si sa come possa riuscire.

Rosaura. Egli è nato dalla contessa Beatrice, non si può sperare che sia un agnello.

Eleonora. Voi siete un cavaliere pieno di ottime qualità.

Rosaura. Felice quella sposa, che fosse degna d’un tal consorte.

Ottavio. Signore mie, voi mi fate entrare in superbia. In verità mi fate venire la voglia di matrimonio.

Eleonora. Se vi dichiarate, non vi mancheranno partiti.

Rosaura. Voi meritate d’esser preferito ad ogni altro.

Ottavio. Marchesina, mi preferireste voi a mio nipote?

Rosaura. Signore, la mia età non mi permette rispondervi40.

Ottavio. Eh, avete detto tanto che basta.

Eleonora. No, Conte, l’età di Rosaura non è proporzionata alla vostra. A voi si conviene una dama che sappia conoscere il vostro merito. [p. 144 modifica]

Ottavio. Una vecchia io non la voglio.

Eleonora. Non dico vecchia; ma non tanto giovane.

Rosaura. (La cara signora zia parla per se medesima). (da sè)

Ottavio. Vorrebbe essere, per esempio, così della vostra età.

Eleonora. Per l’appunto. Vi tornerebbe a maraviglia.

Ottavio. E se fosse vedova, anderebbe bene?

Eleonora. Meglio per voi.

Ottavio. Meglio per me! Di ciò, compatitemi, non sono intieramente persuaso.

Eleonora. Una vedova ha più giudizio di una ragazza.

Ottavio. Che dite, signora Rosaura, siete persuasa di quello che dice la signora zia?

Rosaura. Io dico che ognuno difende la propria causa.

Ottavio. Via, ora tocca a voi a difender la vostra.

Rosaura. A una fanciulla non è lecito parlare di queste cose.

Ottavio. Se non la volete difender voi, la difenderò io. Voi siete una giovine di tutto garbo; non è vero, signora donna Eleonora?

Eleonora. Oh! di garbo, per quanto che porta la sua età, e la scarsa educazione che ha avuto. Per altro compatitemi, nipote, per un cavaliere di spirito non sareste il caso.

Rosaura. Sarà come dite. Io non ho nè spirito, ne autorità per sostenere il contrario.

Ottavio. Ma, cara donna Eleonora, avete pur detto voi che il conte Florindo potrà chiamarsi felice con una sposa di tal carattere.

Eleonora. Oh! per un ragazzo è bella e buona; ma per un uomo non sarebbe il caso.41

Rosaura. (La signora zia mi fa delle buone raccomandazioni). (da sè)

Ottavio. Mio nipote è venuto a Napoli. Fra lui e la Marchesina si è trattato il matrimonio, ma non si è concluso. Egli vi ha da prestare l’assenso, e mi dispiacerebbe infinitamente che non volesse ammogliarsi. [p. 145 modifica]

Eleonora. In quel caso ammogliatevi voi.

Ottavio. Sì; in quel caso potrei io esibirmi alla Marchesina.

Eleonora. Oh! la Marchesina non è a proposito per voi.

Rosaura. (Queste vedove sono invidiosissime delle fanciulle). (da sè)

Ottavio. (Donna Eleonora, istruitemi voi a chi in tal caso potessi io applicare). (piano a donna Eleonora)

Eleonora. (Ad una donna che vi ama, ad una donna la quale, corretti i grilli della gioventù, sa conoscere il prezzo delle fiamme amorose). (piano al Conte)

Ottavio. (Dite bene; a suo tempo mi prevarrò42 del consiglio). (come sopra)

Eleonora. (Parmi che il Conte non mi disprezzi).43 (da sè)

Ottavio. Cara la mia Marchesina, voi siete assai bella.

Eleonora. Via, non la burlate più, povera ragazza.

Ottavio. In verità, mi piacete.

Eleonora. Conte Ottavio, voi vi prendete spasso di mia nipote.

Rosaura. Signore, sentite che cosa dice la signora zia?

Ottavio. Via, cara donna Eleonora, già ci siamo intesi; ma lasciate ch’io faccia giustizia al merito della Marchesina.

Eleonora. Orsù, conosco che l’avete presa per mano, che la beffate. Povera nipote, non ho cuore di vederla deridere. Andiamo via. (s’alza)

Ottavio. Signora Rosaura, io non son capace di una mala azione.

Rosaura. So di che siete capace voi, e di che è capace la signora zia.

Eleonora. Animo: andate avanti. (a Rosaura)

Rosaura. Serva umilissima.

Ottavio. Addio, sposina adorabile.

Rosaura. (Mia zia m’uccide cogli occhi). (da sè, parte)

Eleonora. Che dite della sfacciataggine di mia nipote? Eh signor Conte, felice quello che può sposare una donna di mezza età. (parte) [p. 146 modifica]

Ottavio. Oh che piacere! oh che divertimento! oh pazzi quelli che sospirano per le donne! Chi sa fare, se le fa correr dietro. In oggi questa è la vera regola: scherzar con tutte, e non accendersi44 di nessuna.

Fine dell’Atto Primo.


Note

  1. Ed. Bett.: sedendo sopra un canapè, con un tavolino e da scrivere.
  2. Le opere dei Conte gasparo Gozzi  1 .
    1. Così l’ed. Pasquali. Nell’ed. Paperini si legge: Vedi il discorso dell’Autore premesso a questa Commedia al paragrafo ultimo.
  3. È contenuto in due lettere ad Antonfederigo Seghezzi (Lettere diverse cit., pp. 123 segg.) ed ha per argomento: «Gli uomini da Prometeo beneficati, d’essergli soggetti si stancano ecc.
  4. Trovasi nella lettera precedente alle due citate, pure al Seghezzi (pp. 115 sgg.)
  5. Se n’è andato. [nota originale]
  6. Vedi vol. I, p. 45, della presente ed. e Mémoires di C. G., P. I, ch. 17.
  7. Segue nelle edd. Bett., Pap. ecc.: (Siestu maledetto! Vipacco una gran città? E el patron ghe lo crede!)
  8. Qui comincia nell’ed. Bett. la sc. III.
  9. Alludesi al famoso Dictionnaire géographique el critique, tt. 10 in foglio, di Ant. Bruzen de la Martinière (1662-1746), più volte ristampato (a Ven. dall’ed. Pasquali, 1737).
  10. Nell’ed. Bett. continua la sc. V.
  11. Bett.: che V. S.
  12. Nelle edd. Bett. e Pap. segue: Tutto non si può sapere da un uomo solo. Il mondo è grande, e il Dizionario Geografico è il più utile e necessario.
  13. Segue nelle edd. Bett. e Pap.: Lo tengo in libreria perchè custodisca i miei libri, non già perchè mi voglia valere del suo talento. In oggi chi sa qualche cosa non vuol soggezione, e questa e la ragione per cui si vedono degli uomini dotti mendicar il pane. Il sapere solletica la vanità.
  14. Comincia in Bett. la sc. VI.
  15. Bett. e Pap.: il vero carattere di buon gusto.
  16. Anche in oggi. [nota originale]
  17. Bett.: questa segreta.
  18. Bett.: cagliano.
  19. Nell’ed. Bett. segue: che sia cocendosi sulla graticola. Allungo una mano, ma ho timor di scottarmi. Guardo qua e là se nessuno mi vede, poi do una addentata, e fuggo.
  20. Comincia la sc. IX nell’ed. Bett.
  21. Sc. X nell’ed. Bett.
  22. Bett.: anderete alla posta di Firenze a pagare.
  23. Bett.: le polizze.
  24. Nell’ed. Bett. segue qui la scena d’autore ignoto (forse dell’ab. Chiari), che si legge a p. 116.
  25. Sc. XII nell’ed. Bett.
  26. Bett.: di voler trattare il partito.
  27. Bett.: tocca ritrovargli.
  28. Bett.: bestialità.
  29. Nell’ed. Bett. precede: Bestialità, lo replico, ed orribile bestialità.
  30. Segue nelle edd. Bett., Pap. ecc.: «Il conte Ottavio è avanzato in età. Clar. Circa l’età, è uomo fresco e ben conservato. Beatr. Poverina! Non vi dispiacerebbe. Clar. S’egli volesse prender moglie, non avreste piacere che tal fortuna toccasse a me, piuttosto che ad un’altra? Siamo cugine. Beatr. Già, i parenti sono i nostri maggiori nemici. Clar. Di che vi potete doler di me? Beatr. Voi tendete alla rovina di questa casa. Clar. Se il Conte vuol prender moglie, voi non lo potete vietare. Beatr. Vedrò chi sarà questa femmina impertinente, che vorrà venire in questa casa a mio dispetto. Clar. Cugina, questa non è ecc..
  31. Sc. XIII nell’ed. Bett.
  32. È unita alla scena preced. nell’ed. Bett.
  33. Comincia nell’ed. Bett. la sc. XIV.
  34. Sc. XV nell' ed. Bett.
  35. Bett.: inscienza.
  36. Comincia nell’ed. Bett. la sc. XVI.
  37. Continua nell’ed. Bett. la sc. XVI.
  38. Bett.: non mi comoderebbe.
  39. Bett. e Pap.: Signor Conte, avete.
  40. Bett.: di svelarvi il mio cuore.
  41. Segue nelle edd. Bett., Pap. ecc.: Non dico che sia brutta, ma... (Ehi, sì belletta). È una giovinetta, è graziosina, ma... (Non ha gran giudizio).
  42. Bett.: valerò.
  43. Segue in Bett.: «Ros. (Mia zia mi tradisce)».
  44. Bett.: e non innamorarsi mai.