Il cavaliere di spirito/Atto III

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Atto III

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Atto II Atto IV
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ATTO TERZO.

SCENA PRIMA.

Donna Florida con foglio in mano.

Ah misero don Flavio! nel fiore dell’età,

Difforme, contraffatto, perduto ha la beltà?
Ed io con tale sposo degno di scherni e risa,
Sarò con mia vergogna dal popolo derisa?
Doleami dello sposo che primo il ciel mi ha dato,
Perchè soverchiamente parevami attempato.
Era però nel viso giocondo e maestoso;
Or che dirò di questi orribile, mostruoso?
Ah, nel pensar soltanto di tollerar tal vista,
Il cuor si raccapriccia, l’immagine m’attrista.
Ma che di me direbbe lo sposo sventurato,
Se fosse in tal evento da sposa abbandonato?

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Questo sarebbe accrescer afflizione all’afflitto,

E pormi una vergogna, un’onta ed un delitto.
Oh, se venisse il Conte a consigliarmi almeno;
Trarmi saprebbe, io spero, ogni malìa dal seno.
Il messo non ritorna, che a me venir l’invita:
Chi sa che non mi chiami troppo importuna e ardita?
Però vuò lusingarmi ch’ei venga, e al mio periglio
Provido mi offerisca la norma ed il consiglio.
So ben ch’egli vicino, giovine, vago e umano,
Orribile più molto può rendermi il lontano.
Ma tanto nel discorrere è saggio ed è prudente,
Che condurrammi al meglio, ancor che sia presente.
Temo la taccia nera di sconoscente, ingrata,
Temo col sposo informe vedermi accompagnata.
So qual piacer si prova mirando un vago oggetto;
Pavento di don Flavio orribile l’aspetto.
Vorrei colla virtude far forza, e superarmi;
Ma tremo di me stessa, però vuò consigliarmi.

SCENA II.

Don Claudio e la suddetta; poi Servitori.

Claudio. Madama, ho già risolto troncar la mia dimora;

Vengo per riverirvi, e licenziarmi or ora.
Florida. Udiste il caso strano del povero mio sposo?
Claudio. Intesi ch’ei ritorna in patria vittorioso.
Florida. È ver, ma le sue glorie non mi rallegran molto;
Egli ha perduto un occhio, e difformato ha il volto.
Claudio. (L’arte di lui comprendo, facciam dunque la prova).
(da sè)
Capisco che vi deve affliggere tal nuova.
L’amor che a lui vi lega, lo brama a voi vicino;
Ributta una consorte l’orror del suo destino.
Se foste a lui congiunta, vosco l’avreste ognora:
Buon per voi, che sposata non vi ha don Flavio ancora.

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Florida. Ma la giurata fede non val più dell’anello?

Claudio. È ver, ma l’infelice oggi non è più quello.
Voi prometteste a un uomo di geniale aspetto:
Reso difforme in volto, può meritare affetto?
Se meritar lo puote la sua virtù, lo credo:
Voi pur di virtù piena ancor l’amate, il vedo.
Ma siete voi sicura d’amarlo ognor vicino,
Ad onta dell’insulto, che fecegli il destino?
Espor la vostra pace vorrete al pentimento,
Or che dispor potete con libero talento?
Sareste un’infelice, e tal sarebbe ei stesso,
Geloso con ragione, sofistico all’eccesso;
E della pietà vostra cortese al di lui stato,
In mezzo ai benefici vi diverrebbe ingrato.
Pur troppo van le donne incontro a mille affanni,
E crescono le noie col crescere degli anni;
Ma almen par che più tardi la femmina si penta,
Quando d’aver goduto un giorno si rammenta.
Ma se nel dar la mano a piangere è sforzata,
Come sperar può mai godere una giornata,
E come compatita può mai esser dal mondo,
Chi vuol sagrificarsi delle sventure al pondo?
La compagnia, direte, di un uom discreto e saggio
Può rendere felice qualunque maritaggio;
Ma dicovi, signora, che amor prende partenza,
Quando non vi si unisca un po’ di compiacenza.
Bello godersi un sposo, senza poter mirarlo!
Soffrirlo colle piaghe, e aver da medicarlo!
Parlovi non per brama che mia voi diveniate;
Da me, sprezzato a torto, amor più non sperate.
La carità mi sprona a dir mio sentimento;
La femmina ostinata risolva a suo talento.
Florida. Dunque la mia promessa più in suo favor non regge?
Claudio. Siete per tal evento assolta da ogni legge.
Il povero don Flavio, che il volto ha rovinato,

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Chiamasi legalmente un uomo mutilato,

E la mutilazione de’ membri principali
È causa sufficiente per sciogliere i sponsali.
Non sciolgonsi egualmente per un puzzor di fiato,
Per qualche imperfezione scoperta in qualche lato?
Non dico che i sponsali si sciolgan de prœsenti:
Ma in quelli de futuro van sciolti i contraenti.
Florida. Ma un torto manifesto sarà sempre allo sposo.
Claudio. Secondo che l’intende chi cerca il suo riposo.
Può darsi ch’egli stesso per questo vi avvertisca;
Che brami esser disciolto, e dirlo non ardisca.
Credete voi ch’ei voglia andar contro al pericolo,
Sposandosi in tal stato, di rendersi ridicolo?
Conoscerà se stesso, saprà i doveri suoi,
Ma un qualche eccitamento aspettasi da voi.
Florida. Che mi consigliereste di fare in tal periglio?
Claudio. Signora, io non son nato a porgervi consiglio.
E poi di un uom che invano serbovvi un dì l’affetto,
Potrebbe ogni consiglio parere a voi sospetto.
Florida. Non dico che vi creda tutto quel che mi dite;
Ma voglio il parer vostro.
Claudio.   Per obbedirvi, udite.
Io scriverei un foglio a lui con tenerezza,
Spiegando del suo caso il duolo e l’amarezza.
Direi che siete pronta da esser sua consorte,
Che certo l’amerete ancor fino alla morte;
Ma che nel rimirarlo tanto difforme, e tanto,
Sarà perpetuamente cagion del vostro pianto.
Che in vece di godere col sposo i dì felici,
Sarete insiem congiunti due miseri infelici.
Però che dell’amore e dell’impegno ad onta,
A sciogliervi per sempre da lui sarete pronta;
E che lo consigliate per suo, per vostro bene,
Anch’egli dal suo canto a scioglier le catene.
Florida. E s’ei nega di farlo? E se mi chiama ingrata?

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E se alla data fede pretendemi obbligata?

Claudio. Allor sta in vostra mano miglior risoluzione.
Volendo esser disciolta, vi assiste la ragione.
Ma risolvete presto, prima che venga ei stesso.
Florida. Orsù, son persuasa; vuò risolvere adesso.
Ehi! da scriver recate. (alla scena)
Claudio.   (Spero averla acquistata).
(da sè)
Florida. (Chi sa ch’io non mi veda col Conte accompagnata).
(da sè. Servitori portano da scrivere)
Claudio. Corte parole, e buone. Ogni rispetto è vano.
Florida. A scrivere mi provo. Ah! tremami la mano.
Sposo mio dilettissimo.
Claudio.   Oibò, troppo gentile.
Florida. Egli mi die, scrivendomi, un titolo simile.
Claudio. No, no, dite: don Flavio.
Florida.   Mi sembra troppo amaro.
Claudio. Raddolcitelo un poco.
Florida.   Dirò: don Flavio caro.
Claudio. Ben ben, come volete. Indifferente è questo;
Basta che vi tenghiate men tenera nel resto.
Florida. Lasciatemi formare il foglio intieramente,
E poi lo leggerete.
Claudio.   Dirò sinceramente.
Florida. (Il passo è un po’ difficile, ma meno mi rattrista
Del conte don Roberto pensando alla conquista).
(da sè; si pone a scrivere)
Claudio. (Se l’amico vedesse ch’io son quel che la guida,
Oh sì, mi chiamerebbe furente alla disfida.
Ma s’egli è un uom d’armi, ho da temer? Perchè?
Conosco anch’io la spada. Viltà non regna in me.
E se rimproverarmi vorrà di tradimento,
Dir posso, che da lui offeso anch’io mi sento.
Io l’introdussi in casa di lei da me adorata,
Con arte e con inganno anch’ei me l’ha levata;

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Siam tutti due del pari, e in ordine all’amore

Non dee chi ha più fortuna chiamarsi traditore).
Florida. Ecco finito il foglio. Leggete quel ch’io scrissi.
Claudio. (Legge piano.)
Brava, diceste ancora di più di quel ch’io dissi.
Questo gentil rimprovero è a tempo caricato,
Don Flavio certamente sarà disingannato.
Piegatelo, e si mandi per il corriere istesso.
Florida. Attende la risposta fra le mie soglie un messo.
Claudio. Tanto meglio. Facciamo che subito si parta.
Florida. Eccolo chiuso; ed ecco a lui la sopraccarta.
Claudio. Datelo a me.
Florida.   Di fuori vedrete il messo a posta.
Claudio. Farò ch’egli solleciti a dargli la risposta.
Florida. Don Claudio, il vostro zelo mi obbliga sommamente.
(Ma se mercede ei spera, da me non avrà niente), (da sè)
Claudio. Venne il consiglio mio da un animo sincero.
(Almen per questa via di conseguirla io spero).
(da sè, e parte)

SCENA III.

Donna Florida sola.

E pur senza rimorsi scritto non ho quel foglio;

Ma farlo è necessario, se libera esser voglio.
Don Claudio disse bene, avrò da ringraziarlo,
E spiacemi non essere in caso di premiarlo.
Forse che l’avrei fatto, mancandomi l’alfiere,
Se più non mi accendesse quest’altro cavaliere:
Bramo di prender stato, e fin che non l’ho preso,
Posso temer il cuore da nuove fiamme acceso.
Ma quando sarò avvinta dal sacro nodo e forte,
Fida sarò al secondo, come al primier consorte;
Poichè la mia incostanza non è che ardore interno
Con sposo più gradito di vivere in eterno.

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SCENA IV.

Il Conte e la suddetta.

Conte. Eccomi al vostro cenno obbediente e presto.

Florida. A tanta gentilezza tenuta io mi protesto.
Conte. Che avete a comandarmi?
Florida.   Vi supplico, sedete.
Conte. Lo fo per obbedirvi.
Florida.   Questo foglio leggete.
(gli dà la lettera di don Flavio)
Conte. (Legge piano.)
Oh povero don Flavio! verrà glorioso in cocchio,
Gli allori vittoriosi mirando senza un occhio.
Florida. Vi par degno di scherzo l’evento sfortunato?
Conte. Questo de’ militari è avvenimento usato.
Chi torna senza un braccio, chi vien ferito in testa,
E un gioco è di fortuna la vita che gli resta.
Florida. Meglio per lui, che fosse ito glorioso a morte.
Conte. Meglio per lui? Non pensa così vostro consorte.
Florida. Per me non ho più sposo.
Conte.   Perchè?
Florida.   Vien difformato.
Conte. Un occhio non è niente, se il resto ha preservato.
Pensate voi, per essere privo di una pupilla,
Non vederà per questo il bel che in voi sfavilla?
Scacciate pur, signora, dal cuor sì fatto duolo;
Per dir che siete bella, gli basta un occhio solo.
Florida. L’occhio fors’anche è il meno. Leggete quel ch’ei dice:
Mezza la faccia ha guasta il misero infelice.
Conte. E per questo, madama, vi par che importi molto?
Nell’uomo la bellezza non contasi del volto.
È la virtù, è il costume, è il cuor che in noi si ammira,
Per cui la donna saggia accendesi e sospira.
Pregio è del vostro sesso beltà caduca e frale;
Nell’uomo la bellezza è cosa accidentale.

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È bello il vostro sposo? Ebben, la sua beltà

Godrete, se non tutta, almeno per metà;
E l’altra difformata dal fato disgustoso,
Sarà l’insegna nobile di un uomo valoroso.
Florida. E mi consigliereste che avessi il cuor si stolto,
Di prender per isposo un uom con mezzo volto?
Conte. Signora, a quel ch’io sento, vi tenta il rio demonio:
Il volto non è dove si fonda il matrimonio.
Lo dissi, e lo ridico, alla virtù si bada.
Florida. Tutta la sua virtude consiste nella spada.
Conte. Ditemi in cortesia: don Flavio avete amato?
Florida. L’amai.
Conte.   Ad obbligarvi con lui chi vi ha forzato?
Florida. Per dirla, amor fu solo che mi ha obbligato a farlo.
Conte. E perchè ha perso un occhio vorreste abbandonarlo?
Florida. Devo soffrir dappresso un mutilato, un mostro?
Conte. Quanti mostri vi sono ancor nel sesso vostro?
Quante spose eran belle da prima in gioventù,
E dopo maritate non si conoscon più?
Per questo s’ha da dire con onta e con orgoglio
Dagli uomini alla sposa: Va là, che non ti voglio?
Florida. Credea dal vostro labbro aver miglior conforto;
Ma veggo, a mio rossore, che voi mi date il torto.
Per scherno, o per inganno, diceste poco fa,
Mi avreste consolato s’io fossi in libertà.
Conte. È ver, ma in libertade per or non siete ancora.
Florida. Don Flavio è mio in eterno?
Conte.   No, aspettate ch’ei mora.
Florida. Eh, che la legge istessa provvede ed ha ordinato,
Che sposa si disciolga da sposo mutilato.
Egli non è più quello a cui promessa ho fede;
Se cambiasi l’oggetto, ogni obbligo recede.
Pensar deggio a me stessa, nè condannar mi lice
Il cuore al duro laccio, per vivere infelice.
Non parlo da me sola; nel mio fatal periglio

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Trovai chi mi ha prestato il provvido consiglio.

Già licenziai col foglio1 don Flavio in poche note;
S’accheti o non s’accheti, astringermi non puote.
So che scherzar vi piace, ma il ver lo comprendete.
Signor, parliam sul serio, son libera, il sapete;
E sciolta dall’impegno, e libera qual sono,
Del cuor, della mia mano, a voi ne faccio un dono.
Conte. Signora, or non si scherza. Grato al don non mi mostro.
Se grato esservi deggio, donatemi del vostro.
Il cuor, la vostra mano, promessa ad altri in moglie,
Il caso sventurato dall’obbligo non scioglie.
Per voi sento arrossirmi, e più mi maraviglio
Di quel che darvi ardisce sì perfido consiglio.
Voi non vedeste ancora il volto difformato
Di lui, nel pensier vostro qual mostro figurato.
Non sarà sì difforme. Ma forse ancor peggiore
Di quel che vi sognate, è sempre un uom d’onore.
Scrive la sua sventura ad una sposa onesta;
Qual ricompensa ingrata all’infelice è questa?
Se avesse il volto vostro perduti i vezzi suoi,
Godreste un tal disprezzo che si facesse a voi?
Sposa di lui sareste, e l’uom saggio, onorato,
Fuggito avria la taccia di comparire ingrato.
No, la legge non scioglie sposi per così poco:
Chi vi consiglia è stolto, o disselo per gioco.
Che differenza fate fra i nodi maritali,
E i santi giuramenti proferti nei sponsali?
Quel che lega due cuori, e che li vuole uniti,
Non è il letto nuziale, non cirimonie o riti,
Ma dal comune assenso di due liberi petti
Dipende il sacro impegno del cuore e degli affetti.
Mal vi reggeste, il giuro, scrivendo a lui tal foglio;
Sposa sua diverrete per onta e per orgoglio.

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E il merto, che poteva farvi un discreto amore,

Perduto già l’avete, volubile di cuore.
Piango per l’alta stima che avea di voi formata;
Piango che da voi stessa vi siate rovinata;
E che caduta siate nel vergognoso eccesso
Di debole incostanza comune al vostro sesso.
Florida. Ah signor, mi atterrite. Misera sventurata!
Da chi mi diè il consiglio sarò dunque ingannata?
Conte. Credete a chi vi parla con animo sincero;
Son cavalier, son tale che non asconde il vero.
Florida. Lungi non dovria molto esser chi porta il foglio.
Stelle! ne son pentita. Ricuperarlo io voglio.
Chi è di là?

SCENA V.

Gandolfo e detti.

Gandolfo.   Mia signora.

Florida.   Il messo è ancor partito?
Gandolfo. Non so.
Florida. Che si ricerchi: quand’ei se ne sia gito,
Che dietro gli si mandi, e rendami quel foglio,
Che prima di spedirlo rileggere lo voglio.
Gandolfo. Subito. (È inviperita; sempre peggior diviene.
Eh, fin che sarà vedova, non averà mai bene.)
(da sè, in disparte)

SCENA VI.

Il Conte e donna Florida, poi Gandolfo.

Conte. Posso saper, signora, chi sia quel forsennato,

Che vi ha nel caso vostro sì male consigliato?
Florida. Signor, senza temere che un torto a voi si faccia,
Per suo, per mio decoro, lasciate ch’io vel taccia.
Conte. Sì bene, in ciò vi lodo. Scordatevi di lui
Il nome, la persona, non che i consigli sui.

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Florida. Ecco il fattor che torna.

Gandolfo.   Il messo è ancora qua.
Il foglio non l’ha avuto; per or non partirà.
Florida. Come! non ebbe il foglio?
Gandolfo.   Di ciò non dubitate.
Florida. Don Claudio ove si trova? A ricercarlo andate.
Col foglio che gli diedi, ditegli che a me venga;
E se l’ha dato al messo, che il messo si trattenga.
(Gandolfo parte)

SCENA VII.

Il Conte e donna Florida.

Conte. Don Claudio è il consigliere?

Florida.   Perchè?
Conte.   Già tutto intendo.
La verità si scopre ancora non volendo.
Florida. Spiacemi che scoperto vi ho inutilmente il core;
Che meritai rimproveri, parlandovi d’amore.
Conte. Sarei, se mi lagnassi di ciò, troppo indiscreto:
Sentir che voi mi amate, mi fa superbo e lieto.
Certo che la virtude, che al vostro amore è scorta,
Oltre i confini onesti per me non vi trasporta.
Florida. Fin che son io d’altrui, non penso a nuovo affetto;
Don Flavio se mi vuole, avrammi a mio dispetto.
Ma s’ei soverchiamente lasso, dolente, afflitto,
Pel danno cagionatogli dall’ultimo conflitto,
In libertà mi lascia di scegliere altro sposo,
Conte, sareste allora al desir mio ritroso?
Conte. Sarò qual si conviene a onesto cavaliere;
Farò con chi mi onora, sì certo, il mio dovere.
Voi siete tal da rendere felice un vero amante,
Avete per retaggio le grazie del sembiante:
Occhi avete vivaci, dolce parlar soave,
Una maestà vezzosa, affabile nel grave.

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Mancavi una sol cosa per rendervi perfetta,

Che parlivi sincero col cuor mi si permetta:
Dal ceto delle donne assai vi distinguete,
Ma un poco come l’altre volubile voi siete.
Togliete questo solo difetto rimediabile,
Protestovi, signora, che voi siete adorabile. (parte)

SCENA VIII.

Donna Florida, poi don Flavio.

Florida. È vero, lo confesso, pur troppo sono avvezza

Gli affetti, le passioni, cangiar per debolezza.
A ragion mi riprende il cavalier gentile;
Soffro da’ labbri suoi la riprensione, umile.
Se mi vuol sua il destino, se mi fa sua la sorte,
Vedrà se amor io nutro di stabile consorte;
E se don Flavio istesso mi avrà compagna al fianco,
Fida sarò e costante al mio dover non manco.
Ah, che vederlo aspetto giungere a me dinante
Colla pupilla infranta, orribile in sembiante.
Ed io dovrò soffrire averlo per marito?
Flavio. Perfida! (a donna Florida)
Florida.   Oh dei! che miro?
Flavio.   Voi mi avete tradito.
Florida. Oimè, siete una larva, o il mio don Flavio istesso?
Flavio. Sì che don Flavio io sono, ma non più vostro adesso.
Florida. L’occhio...
Flavio.   Le mie pupille voi trafiggeste, ingrata,
Allor che per mio danno vi ho ingiustamente amata.
Non dei nemici il foco mi ha lacerato il volto,
Ma voi mi laceraste il cor nei lacci colto.
Ambe le luci ho ancora per scorgere dappresso
Di sposa ingannatrice il più orribile eccesso.

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Ecco nel foglio ingrato il testimon sincero

(mostra il foglio)
D’un’alma senza fede, di un cor perfido e nero.
Bella pietà di sposa al misero dolente!
Ecco il dolor da cui ferito il cuor si sente!
A un amator, che mostra di chiederle mercede,
La libertade in premio di sciogliersi richiede.
Perfida, siete sciolta, di voi più non mi curo,
Ma contro il mio rivale di vendicarmi io giuro.
Cadrà il conte Roberto vittima del mio sdegno...
Florida. Ah signor, v’ingannate...
Flavio.   Sì, morirà l’indegno.
Florida. D’un cavaliere onesto il ver mal conoscete.
Flavio. Tanto più è reo di morte, quanto più il difendete.
Cadrà sugli occhi vostri, cadrà, lo giuro al cielo.
Florida. Ma se innocente è il Conte!
Flavio.   Conosco il vostro zelo.
L’amor che a lui vi lega, sì, barbara, comprendo.
Difendetevi entrambi.
Florida.   Son rea, non mi difendo.
Conosco di un indegno i rei consigli e l’onte;
Chi vi tradì è un rivale, ma non è questi il Conte.
Flavio. E chi sarà?
Florida.   Don Claudio.
Flavio.   Don Claudio è un fido amico.
Florida. È un traditore, è un empio, e con ragione il dico.
Flavio. Chi vergò questo foglio?
Florida.   Io lo segnai: lo veggo.
Flavio. Dunque la traditrice in queste note io leggo.
Sia pur chi esser si voglia il complice malnato,
Andrò di qua lontano, ma non invendicato.
Mi pagherò nel sangue i scorni, i danni e l’onte.
Sì, lo protesto, il giuro. Ha da morire il Conte, (parte)

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SCENA IX.

Donna Florida sola.

Misero! a lui si vada... Ma se colà mi vede,

Don Flavio più si sdegna, più reo per me lo crede.
L’avviserò che venga... Ah no, s’ei vien, lo veggio,
Tanto più reo il suppone, e l’avvisarlo è peggio.
Che farò dunque? Incontro lasciarlo al suo periglio?
Non gli darò, potendo, nè aiuto, nè consiglio?
Don Claudio... è il nemico. A chi ricorro intanto?
Misera! non mi resta che la vergogna e il pianto.
Ma perchè mai don Flavio finger la sua ferita?
Se per provarmi il fece, fu la menzogna ardita.
Fosse di me pentito? Chi sa che non sia questo
Per sciogliere l’impegno un perfido pretesto?
Alfine è ver ch’io sono volubile di cuore,
Ma anche don Flavio istesso fu ingrato e mentitore.
E pur tale ingiustizia contro di me si sente:
La donna è sempre rea. E l’uom sempre innocente.

Fine dell’Atto Terzo.

Note

  1. Così le edizioni Guibert-Orgeas, Zatta ecc. Nell’ed. Pitteri si legge: Già licenzio con un foglio ecc.