Il cavallarizzo/Dialogo 2

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Dialogo primo Dialogo terzo
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Dialogo Secondo; Prospero, & Claudio.


Pros.
Tutte le fiate che l’huomo comincia errare, & non se ne emendi, ancor che l’errore nel principio sia poco, nel fine si fa grande. Et però ben dicono questi dotti che cosa humana è il peccare, d’Angelo è emendarsi, & di demonio è il perseverare nell’errore, la qual perseveranza così fatta è quella che propriamente si può dire ostinatione, & è quella che veramente condanna l’huomo. Io conosco di haver errato nel principio non havendovi contradetto, ne fatto altre obiettioni dal principio del nostro ragionamento Messer Claudio, nelli due nostri libri superiori, che quelle poche ch’io feci; per i’che quanto più siano iti innanzi, & andaremo, tanto maggior s’è fatto, & si farebbe l’errore, se non lo emendassimo per sorte, con quello hysteron proteron che diceste voi; & io dico col ritornare in dietro, à guisa di quelli che per voler ire à Milano pigliano la via di Napoli, li quali se non ritorneranno subito indietro, ma camineranno così al contrario, sempre maggior si farà l’error del loro viaggio. Et anco ch’io potessi fare senza il ritorno, & far che l’andato sia perfetto, che non però è di molt’importanza, vò nondimeno, prima che piu oltr’io lo seguiti, ritornar da capo a dimandarvi, perche causa havete posto nel primo libro che’l Bucefalo cavallo d’Alessandro Magno fu compro sedici talenti, essendo non dimeno stato secondo Plutarco, compro tredici?
C.
A questo io vi rispondo, che bisogna leggere de gl’altri auttori ancora, & che se l’un vuol tredici, l’altro ne vol sedici, & però non essendo questo errore non accade ch’io me ne emendi.
P.
Hor ancora ch’io potrei dire che [p. 118v modifica]nel parlar de’ cavalli da guerra, & da duello voi ve ne siate parlato molto seccamente, così anco ne i notandi, & altre cose, non voglio però dirle ma.
C.
Di gratia aspettate un poco, se quello ch’io dissi de’ cavalli da guerra, & da duello vi par poco, leggete Valturio, & Absirto nella translazione di Ruellio, & Xenofonte ancora, che ne trovarete scritto assai copiosamente, ma nei notando confesso in vero essermene passato leggiermente, per haver in animo un giorno di scriverne tanti, che forse vi veniranno in fastidio à leggerli.
P.
Dunque havete voi in animo di scrivere un libro di notandi?
C.
Ho in animo di scrivere un’altro sì, dove saranno tante cose da notare, che forse vi veniran in fastidio.
P.
A’ me non veniranno à fastidio già, pur che siano come si deve, & pertinenti à quest’arte. Ma ditemi per vostra fè, per che causa non volete voi, sì come vi sete dichiarato ne i libri di sopra, che al cavallo si dia ne con bastone ne con altro, tra l’un orecchia & l’altra, volendo non dimeno il Signor Federico Grisone che à caval ricalcitroso, & che non vol porsi a segno si dia fortemente con bastone in cotal luogo, & che si sgridi con voce terribile?
C.
Già ve lo dissi, & ora vi replico, che in quel luogo il colpo è mortale, per trovarsi ivi una commissura, la quale si pò agevolmente aprire con un colpo; & aperta ne seguita la morte. Et però ben disse Homero. Et qua haerent capiti letaleq; vulnus praecipue fit equis. Et sol l’autorità di si gran Filosofo e Poeta contra quella dello allegato vi pò bastare.
P.
Bastami in vero; & circa i due libri di sopra sono ispedito, che non vo perdervi piu tempo in dimandarvene; perche veggio che già sapete chiuder i passi à chi tropp’oltra vuol caminarci, & ritornando al comminciato viaggio di hieri, vorrei che mi dicesti, che importerebbe se ben il cavallarizzo non fosse nato nobile; perche à me pare che questo non si rilevi, & che la perfettioone sua possi stare, come in effetto sta in molti, & forse nella maggior parte de’ cavallarizzi, senza nobiltà tale. Et se mi volete confessare, de’ nobili se ne vedeno pochi eccellenti, & degli ignobili molti eccellentissimi; adunque ò questa nobiltà non se gli conviene, ò molto poco. Che dite à questo?
C.
So ben anc’io che la piu parte de’ cavallarizzi sono ignobili, & che non dimeno tra essa ce ne sono molti valentissimi, ma non fa il fatto; perche volendov’io dare il cavallarizzo compito degno di servire à ogni grande prencipe, s’io ve lo desse senza esser nato nobile, saria come darvelo senza naso, come diceste voi hieri, & imperfetto. Et importa in vero assaissimo la nobiltà, non dico hora della naturale, cioè di quella che dalla natura, ò se volete da Dio è uscita dalli lor nascimenti ne gl’animi di questi & di quelli altr’huomini, ma parlo di quelli che si reca dal sangue honorato de i progenitori. La quale è veramente quella che sprona l’huomo sempre à non degenerare da quelli, & à far cose nobili & honorate. Oltra che ci fa rispettare, & havere un certo riguardo da tutti coloro con li quali conversiamo, & che ci conoscono, che ci rende molto grati [p. 119r modifica]
& honorati, dove all’incontro non così aviene di quelli che sono nati di sangue ignobile; percioche non saranno così prezzati, ne meno pare che sieno così spronati à fare cose nobili, & virtuose; non essendo anco spinti à non degenerare da i lor parenti, che se fossero incitati à questo, non farebbeno mai se non cose per le quali mostrarebbeno in mano la lor nobiltà; come ben spesso mostrano al contrario, se ben si sforzano alcune volte, & per un tempo di occultare con attioni buone la ignobiltà del sangue, d’haverla à sdegno.
P.
Voi dite il vero, & io ho conosciuto (poc’anni sono) un tale che in tal modo haveva à schivo l’esser nato ignobile, & in tal modo si sforzava di nascondere la sua ignobiltà, che non poteva patire ignobile alcuno, & tutte le sue attioni componeva si fattamente, che quasi pareva che fusse nato nobile; ma non dimeno di poi anco dava (come si dice) nelle scartate: & al fine fatto col volersi dimostrare troppo gentile, scopriva d’esser villano; & con affettar tanto le cose, dimostrava veramente quel che lui era. Si che sarà se non ben fatto che’l nostro cavallarizzo sia come volete voi nato nobile di sangue. Ma non volete voi però che sia nobile ancora di natura?
C.
Come s’io voglio, anzi questo principalmente.
P.
Et dove l’havete lasciato dunque a dire?
C.
Non l’ho io detto nel bello dell’animo & del corpo ch’io dissi?
P.
M’era uscito di mente, ma quello allattato à che serve? ;C.
O’ quanto importa succiar’ il latte materno nobile, & in quello nodrirsi; percioche fa che il padre & la madre gli vonno assai meglio, & così il figlio à loro, & i’fanciul nudrito dal latte materno prende le maniere: & qualità della madre propria, dove al contrario le prenderebbe se fusse nutrido di latte alieno, per il quale bene spesso ne viene nemico del padre & della madre: & che sia vero mirate che tra tutti i Prencipi Romani, Drusio Germanico fu bonissimo, & sceleratissimo Caligola quarto Imperatore, & da che venne? Sapete da che: perche il scelerato Caligola fu nodrito del latte d’una balia sceleratissima. Et suol spesso avenire che un’arbore è buono, & verde, là dove si leva, che poi è tristo & secco dove si trapianta.
P.
O’ come mi date la vita, & come dite il vero: Io mi ricordo haver letto, che questa sceleratissima balia fu di campagna, & hebbe per nome Prasilla, la quale contra natura havea sì peloso il petto ch’era un stupore, & mi vergogno dirlo in honor di molti cavallieri.
C.

Dite pur via che già si sa.

P.
Da che’l sapete non accade dirlo.
C.
Ditelo che potrebb’essere ch’io nol sapesse.
P.
Cavalcava com’un cavallarizzo, & correa lancie à cavallo da cavalliero, & tirava di balestra benissimo, & occise questa crudel Tigre Hircana una sua figliola del cui sangue intingendosene le poppe le diede così intinte à succiare al sceleratissimo Imp. Adunque volete, che il cavallarizzo nato nobile, debba esser allattato dalla sua madre nobile. Ma à che poi volete che habbi la bellezza del corpo?
C.
I Prencipi soglion haver appresso huomini molto intendenti di fisionomia, & sogliono intendersi di tal pittura, imitando in [p. 119v modifica]questo il ricordo che da Aristotele ad Alessandro Magno, per poter poi schivare quelli che per il viso, & resto del corpo danno inditio di se cattivo, & quelli amare che dimostrano il contrario. Per questo adunque voglio che sia bello di corpo, che così essendo non solo sarà amato, & desiderato da Prencipi, ma da ciascuno, che lo veda aggittar cavalli, maneggiar arme, correr lancie, & far tutti quelli essercitij che se gl’apartenono, & che havemo detti. Et in somma la bellezza corporale gli serve in ogn’altra sua attione publica. Dico publica, perche nelle attioni private non importerebbe che fusse bello ò brutto, come nel studiare, nel comporre, & in molt’altre cose simili, dove non ha à compiacere se non à se medesimo; & quanto disguaglio sia da un brutto à un bello, che cavalchi bene non accade dire, che la cosa è troppo chiara. Ma non pensate già ch’io volesse che il cavallarizzo fusse bello come quello amico che sapete, che si fa i ricciuoli sulle tempie, si liscia, & striscia il viso, & si atila & inzibetta tanto, ch’io non so per me qual meretrice publica lo facesse; per cosa alcuna non voglio questo, ma si bene che sia nerboso, & forte, ben proportionato, di honesta grandezza, & che sia di viso che lo rendi amabile, & degno d’ogni riverenza insieme; desidero anco che vadi attilato come si conviene ad honorato gentilhuomo, ma non moschettato, & zibettato, ne meno con tanti tagliuzzi, & pontaluzzi, come al dì d’hoggi portano questi giovani affettati; li quali saria ben meglio che la natura havesse fatto nascere femine che huomini, da che sono così effeminati, & molli, non vi niego però, che non possi portare alcuni odori, tagli, & pontali nel vestire ma vieto il troppo; il quale in tutte le cose se deve schivare, & fuggire, & dico ancora, che se non li porterà sarà lodevole; pur che quello che porta in dosso sia fatto attilatamente, & come si deve, & ch’egli ogni cosa porti senza affetatione alcuna; dalla quale sopra tutti si deve guardare in ogni sua attione & maniera; & massime nel cavalcare alla presentia di gran maestri, & cavallieri. Le quai tutte cose agevolmente farà, se alla bellezza, che havemo detto, del corpo.
P.
Fermatevi per cortesia, accio ch’io non mi scordi d’alcuna cosa, ch’io vi ho à dire intorno à cotal bellezza. A me pare che poco importi che’l cavallier, & qualunque altr’huomo sia bello di corpo, perche ho visto molti brutti cavalcar eccellentemente, & far l’altre operationi che à cavallier honorato si convengono perfettamente, & mi ricordo haver letto nelle historie antiche di molti che furono deformi, & mal composti di corpo, che non dimeno in ogni virtù non hebbeno pari al mondo; come fu Giulio Cesare, il quale dicano ch’era si mal composto della persona, che essendo adimandato Marco Tulio dopo della vittoria che’l detto Cesare hebbe in Farsaglia, perche causa havea tenuto la parte di Pompeo, essendo così savio com’egli era, & non havea antiveduta la Monarchia del mondo dever cadere in Cesare; rispose che il vederlo di corpo così mal composto gli havea [p. 120r modifica]fatto disprezzare la sua grandissima riuscita.
C.
La conobbe bene Silla Dittatore, il quale vedendo Cesare ancora giovinetto disadatto, & mal composto di corpo, disse in Senato guardatevi da questo giovine mal cinto; percio che se non gliè troncato il passo sopediterà il popolo Romano. Bruttissimo fu Annibale Cartaginese, perche fu chiamato mostro non tanto per i gloriosi fatti, quanto per le sue brutte fattezze, & per la sua disforme figura. Et fu legge appo tebani che i fanciulli che nascevano molto belli fosseno occisi. Ma che volete inferire per questo?
P.
Che la bellezza adunque non fa il fatto à fare che uno sia più perfetto, ò manco buono cavallarizzo & cavalliere.
C.
Et io vi dico di sì, che essendo la bellezza corporale un vero inditio di quella dell’animo, & poscia da ambe due risultando la terza, che dicono gratia, si come credo altrove haver detto, è necessario che il mio cavallarizzo l’habbi à voler esser piu perfetto che si pote. Et vi dico di più che essendo l’Amore un desiderio di queste tre beltà per fruirle; & che generalmente ciascuno persuadendosi di esser bello, & gratioso ciascuno anco ama quello che è bello, riputando ò simile à se, per essere la somiglianza cagione di dilettatione, ne pò essere odiato, così essendo, da nessuno, perche il bello, & il buono à ciascun piace.
P.
Voi havete ragione, & veramente che noi vediamo che questi disadatti, & malcompositi di corpo ancor che cavalchino bene, & faccino dell’altre cose bene, non hanno però gratia; ne mai sono lodati, & amati come gl’altri, che sono ben composti, & agratiati. Ma seguitate mò pure il vostro parlare ritornando dove lasciaste se vi soviene, ch’io per me non mi ricordo.
C.
Dico dunque, ripigliando dove lassaimo, che agevolmente il nostro cavallarizzo farà tutte le sue cose che piaceranno al suo signore, & à ciascun cavalliere, se lontano da ogni affettatione havrà anco la bellezza dell’animo, & la gratia insieme. La quale ancora che nel più dalle due bellezze risulta, & sia dono di natura, si pò non dimeno anco acquistare con l’industria del sapere, & dell’andar rubbando à ciascuno quelle maniere, che più giudica belle, e che le sono grate.
P.
Ma che importarebbe che non sapesse ballare, ne far alla lotta, ne volteggiare, ne giocar d’arme, à piè intendo, che di quelle che havete detto à cavallo, mi pare che debba essere essercitatissimo.
C.
Non voglio che sappi ballare tanto per saper ballare, ne lottare sol per saper lottare, ne volteggiar à cavallo, che dell’à piede non mi curo che s’impacci, nemmeno di quello che si fa sulla corda, di nessuna delle cose che m’havete adimandate mi curo che sappi sol per saperne, ma perche sapendone si sarà essercitato molto in questi honorati essercitij, che oltra che gli potranno recare honore, utile & diletto, lo haveranno fatto ancora molto disinvolto, & disciolto del corpo, destro & leggiero; cose tutte apartinentissime al cavalcare bene, & leggiadramente, com’io vi dissi di sopra.
P.
Et la Musica à che volete che vi serva?
C.
A renderlo in quella perfettione ch’io desidero maggiore; [p. 120v modifica]perche, oltra che saprebbe una virtù molto eccellente da servirsene per diletto in ogni luogo, dove fussero Musici & gentilhuomini, & anco solo in camera, se accompagnato al canto della voce havesse il suono del liuto come havete voi.
P.
Fermatevi, questo suono non diceste voi hieri.
C.
Mi fate ridere, horsu, dichianlo hora; lo levarebbe assai di malenconia, & da qualche humor cattivo. Ma sopra tutto li giovarebbe nell’aggitar cavalli; percioche havendo bene i tempi, & le misure appreso in essa, meglio li saprebbe usare ne i maneggi de’ cavalli; ne quali più che altra cosa si richiedono à farli bene & giustamente. Et chi non li osserva in ammaestrarli, mai sarà possibile che gl’ammaestri bene, il che felicemente, & con più agevolezza farà colui che havrà ragion di Musica, per haver il battere à tempo & la misura, che quell’altro che ne sarà ignorante. Et siate sicuro ch’egli è verissimo che tutte le cose che facciamo, le devemo fare ad immitatione del nostro Sommo maestro Iddio; il quale tutte le cose che ha fatto, & fece le creò, & crea in numero, misura, & peso.
P.
Ben vi diss’io che tutte le attaccavate come vi pare. Et per dirvi il vero voi mi parete un di quegl’huomini che tirano volentieri ogn’acqua al suo molino, quanto à me, mai havrei pensato che la Musica fosse necessaria al cavalcare; ne per questo io l’apresi mai; ma hora, che voi m’havete aperto gl’occhi, vedo chiaramente che la m’ha giovato assai in quello che avete detto; & massime nel dare i salti à dui & à tre passi a un cavallo. Et per vero sì come le note brevi, & le semibrevi nella Musica, per dare essempio, si contengano ciascuna da per se sotto un tempo & una misura, & delle minime; & semiminime, & crome & semicrome ce n’entrano più, & che le massime sono quelle poi che portano seco più tempi sotto l’istesse misure & battuture: così si pò dire che sia nel far andar un caval gagliardo; percioche sotto un tempo se gli arrobba un salto; & sì come andate di salto in salto senza passo alcuni aiutandolo à saltare inanzi, per il lungo d’una cariera, over da fermo à fermo per dritto, & anco una volta, sotto un medesimo tempo, & una stessa misura, quasi come battestevo sotto un tempo nota breve per nota breve, il medesimo accadendo negl’altri tempi, & misure dell’altre note, che appropriatamente si possono convenire à gl’altri tempi, misure, & maniere del far andare il cavallo, si pò dire che malamente non che difficilmente potrà far questo, chi no haverà almeno qualche poco di musica; & anco che col bon giuditio, & con la pratica lunga l’homo si guadagni spesse volte iul tempo, et la misura che si conviene nel cavalcare, niente dimeno non saprà così bene adoprarla sempre, ne insegnarla ad altri, come farà il cavallarizzo che haverà questa tale cognizione di musica. Che dite mò vi messer Claudio?
C.
Voi havete discorso così bene ch’io per me non so piu che altro dire; & massime non sapend’io di musica. Et se non volete saper altro da me, la conclusione è già fatta.
P.
Con questa cortesia vorreste pur fuggire di render conto del resto, il quale sarà forse più duro à digerire, et più lungo a concludersi [p. 121r modifica]che non pensate; perche hora entriamo nelle qualità proprie dell’animo; il quale quanto sia piu difficile à conoscere delle attioni che al corpo s’apartengan, l’hanno dimostrato gl’antichi Filosofi, & hora lo chiariscono i moderni; li quali hanno perso, & perdono il cervello per conoscerlo; & chi ha voluto, & uno vuole che sia endelechia, & chi una & chi un’altra cosa facendolo chi mortale & chi immortale, ma di queste cose così sottili io non vò saper altro ne da voi ne da altri; per che à me basta esser certo di quello che ci ha manifestato non solo con la dottrina, ma con l’opere la Verità infalibile Christo nostro Servatore.
C.
Et che cosa è questa?
P.
Che noi siamo suoi fratelli, & coheredi del Regno del Cielo; perche se siamo heredi con esso insieme di quei supremi beni, & eterni, siamo anco immortali. Hor quanto à questo non più oltra, ma seguitiamo il camin nostro, Voi volete di sopra, che il cavallarizzo sia principalmente di animo bello, cio è bono & ben qualificato; & particolarmente volete che sia sagace, prudente, patiente, & temperato, à me pare che più tosto (con queste tante virtù, voi lo vogliate fare fratello del Cortegiano) che descriverlo Cavallarizzo.
C.
Io non so di chi me lo facci fratello o cognato, ma so bene ch’io non saprei dire tante virtù, quante io ne desidero in un perfetto cavallarizzo. Il quale se mancherà dell’antedette, mancara anco di quella perfettione che se gli conviene. Et ditemi di gratia, s’egli non sarà prudente in considerar l’andato, & antivedere lo avenire, provedendo con discrettione al tempo che corre, come potrà mai far cosa che gli rieschi bene; ne che gratia sia al suo Signore, nel suo mestiere? & nelle altre sue attioni? Et come sara differente egli da gl’altri? li quali si pò dire che ogni cosa facino à caso; & che da caso siano guidati; alli quali (se pur le cose riescono bene) non si pò dare veramente lode; da che non per virtù, & prudentia loro, ma per mercè della Fortuna così gli sono successe in favore. Ma se il nostro Cavallarizzo farà le sue operationi fondate come si deve su questa sua virtù della Prudentia, chiaro è che non potrà mai far cosa che non gli rieschi veramente in laude, & honore; & che non sia grata al suo Signore. Il quale dev’essere lo scopo dove lui miri, & tiri sempre; & fondi sempre ogni suo honore, & ogni suo diletto.
P.
Andate piano. Adunque il fine di ogni sua attione virtuosa sarà non la virtù, & l’honore, ma il compiacere al patrone?
C.
Non dico così io; perche voglio che l’honore & l’amor della virtù sia principal fine nell’animo suo, & poscia gli fondi con prudentia per compiacere al suo Prencipe, & patrone. Et possono ben stare (come stanno in vero, queste due cose insieme) da che non son contrarie, ne come dicono contradittorie; come sarebbe à dire per dar essempio, che’l bianco fosse negro, & che il negro fosse disgregativo del vedere, & che medesimamente ne fosse insieme & in un tempo istesso, confirmativo; & far ch’io che ragion’hora con esso voi, parli insiememente & taccia. Pò adunque il cavallarizzo far ogni cosa per amore della virtù, & [p. 121v modifica]dell’honore, & pò farlo anco senza contraditione alcuna, per compiacere al suo Signore. Ne vi crediate che i schiocchi, & gl’huomini che viveno, & operano à caso, piaceno mai à suoi padroni. Ma volete vedere à che giovi la sagacità d’un cavallarizzo? mirate per essempio quello che giovò nel cavallarizzo di Dario Re de’ Persi, il quale si pò dire che gli diede l’Imperio, col trovar modo di far annitrire il suo cavallo; quando i Persiani erano intorno all’ellettione del novo Imperatore: percioche fece che il cavallo che dovea cavalcar Dario la mattina della ellettione, si innamorò d’una cavalla al quale fregando la natura con la mano; & ponendosela in petto al caldo, come fu al luogo della ellettione, perche sapeva che i Savij, over Magi haveano ordinato che quello fusse Re, il cavallo del quale quella mattina fusse primo ad anitrire, cavando fuor dal petto la mano, & con essa fregando il muso del cavallo di Dario, subito per quell’odore cominciò à nitrire, & fu fatto Re. Ma lassando gli essempi che sarebbeno infiniti se noi volessemo prolungarsi, vengasi un poco ad altro. Non sapian noi che dove gl’imprudenti cercano di piacere dispiaceno? & allo’ncontro li prudenti piaceno? perche non fanno ne dicano mai cosa piu di quello che se gli convenghi, & che vedino essere atta à piacere ad altri, aiutandola con bon discorso, il quale è parte pecoliare propriamente de’ prudenti, & sagaci. Et anco che le virtù sieno talmente in se ristrette, & insieme concatenate, che non troppo agevolmente si discatenino, & disunischino, & che ne ha & possiede una si possi dire, à un certo modo, per questa concatenatione di virtù morali, di possederle tutte, ho voluto non dimeno in particolare che il nostro cavallarizzo di questa catena ne habbi gl’anelli che voi vedete. Li quali quanto più di fin metallo saranno, tanto migliore, & più riguardevole lo renderanno. Et parmi che singolarmente all’offitio suo s’apartenghi l’esser prudente, per le ragioni che havemo dette, & che si potrebbeno dire quando non si sapesse manifestamente, che se il cavallarizzo non sarà prudente, & astuto, per così dire, bene spesso non solo nell’aggitar cavalli, ma in ogn’altra attione sua, farà danno à se, & per aventura à gl’altri ancora. Ho detto che vuol essere patiente, perche havendo à far con cavalli, & sovente con huomini che hanno il discorso peggio che bestie, & in sentir questi, & quelli mormorare delle sue attioni, sì à cavallo come à piede, se non sarà ornato di questa virtù della patientia, mal la potrà fare con cavalli; & peggio con gl’huomini. Et certo è verissimo, che con questa virtù, il piu delle volte, meglio si vince, & riduce a quel che si vuole un cavallo di grande, & gentil’animo, ancora che sia superbo, & disdegnoso, che con le battiture, & con sgridamenti pieni d’impatientia. Et è vero ancora, che con gl’huomini naturalmente superbi, & furiosi il parlar dolce rompe loro l’ira; dove il duro, & imperioso causa furore, & iracondia. Non nego però, che questi anco non sieno necessarij, in molte guise, sì ne’ cavalli, [p. 122r modifica]come con gl’huomini, si come di sopra nel secondo libro dissemo, con cavalli poltroni, infingardi, & restivi, & calcitrosi essere necessarijssimi; ma voglio però che in simili castighi si trovi anco sempre la patientia, & la temperanza: la quale fa conoscere la equalità dell’animo, & operare niente di più, ne manco di quello che si conviene ad huomo savio. Ne sta bene che con gl’huomini anco il cavallarizzo sia impatiente, & intemperato, adirandosi per ogni minima paroluccia, che senta dire in biasimo del cavalcar suo, & de’ cavalli ch’egli ammaestra, & governa, che così spesso bisognarebbe venire all’arme, non che alle contese, & alle parole: il che deve fuggire piu che sia possibile; eccetto però, che nelle cose che direttamente concernono honore, & vergogna. Nelle quali deve non solamente venire à quelle, ma essere fierissimo, & per modo di dire impatientissimo, & intemperato. Con la virtù adunque della temperantia mai eccederà nel più, & mai farà manco di quello che se gl’apartiene, non solo nelle aggitationi de’ cavalli, nelle quali questo sopra modo se gli conviene, ma ne anco nelle altre sue operationi publiche, & private. Il che quanto lo debbi far perfetto considerate mò da per voi, & però ho voluto sopra dirvi ch’io vorrei che fosse temperato.
P.
Benissimo certo, perche noi vediamo che questi impatienti, & intemperati mai fanno cosa buona nè a cavallo, nè a piede; & bene spesso vengono in disgratia dei lor Signori; sì come venne quell’amico, che voi sapete, che per darne, & volerne dare tante da un cavallo, lo amazzò; la hebbe però in questo dell’astuto, & il patrone del gentile, che adimandandogli perche lo havea così ucciso, rispose per farlo buono, & che sentendo che molt’altri cavalcatori n’amazzavano molti, egli ancora s’havea voluto provare in questo, & era il primo che havesse morto, havete ben fatto soggiunse il da ben Signore, ma per far di queste prodezze sarà bene che voi vi troviate altro padrone. Et quell’altro che per sentire ogni minima paroletta dire in poco biasimo de’ cavalli agitati da lui, & in molto meno suo, voleva la manco cosa combattere in stecato; & Dio sa poi quel che havrebbe fatto nel venire alle mani, & l’istesso era si intemperato in alcun’altre attioni sue, che bene spesso per il vino non sapeva mantenersi in nessun termine lodevole. Si che questi non sono termini di perfetto cavallarizzo, ma d’huomo impudentissimo, & intemperantissimo. Et però ritorno à dirvi che di là da bene ci havete sodisfatti in volerlo patiente, & temperato. Ma questa virtù della patientia,& temperantia, havrei à caro sapere come l’acquisterà il cavallarizzo.
C.
A’ guisa dei fanciulli dell’isole Baleare, che hoggi si chiamano Maiorica, & Minorica, li quali per acquistare il pane, posto dalle madri in alto assai, à fine che imparassino fin da tal’età ad assuefarsi alle fatiche, & ad acquistarlo col sudore, & con l’ingegno, se lo volevano mangiare bisognava che si affatigassero, & ingegnassero di salire su à prenderlo, over con le frombe à farlo cadere. Voglio inferire che queste virtù non s’acquistano se non con [p. 122v modifica]lunghe fatiche, & infino dall’età giovenile. Le quali virtù non potranno così facilmente havere coloro che sono nutriti in delitie, & piaceri; ma si ben quelli che sono allevati in travagli, & fatiche; & per questo io sarei di parere, che’l nostro cavallarizzo fosse stato prima alevato, & ammaestrato in queste virtù fin da fanciullo; che se sarà stato altamente, impossibile quasi sia che egli acquisti mai. Perche la pianta che ha fatto radici grandi, difficil molto è estirparla. L’acquisterà anco da gli essempi antichi & moderni. Ma de gli antichi, perchè de’ moderni n’havemo pochi, si potrà forse acquistare, riguardando gli atti di somma patientia, che usorono tanti grand’huomini à quel tempo. Et prima miri il cavallarizzo l’imperator Ottaviano, il qual essendo ornato di molte virtù, era nondimeno calonniato, & lacerato dalle lingue de’ cattivi; & le sopportava con alegro core; onde essendo adimandato perche non le estirpava; rispose, chi fece Roma libera da suoi nemici fece anco libere le lingue de’ maligni; che non saria honesto che le pietre fossero libere, & le lingue legate, over bandite. Un’altro Imperadore molto da bene, il nome del quale non mi viene à mente hora, solea dire, & gloriarsi che gli altri Imperatori haveano ottenuto l’Imperio Romano chi per un fatto glorioso, e chi per un’altro, & chi per una, & chi per un’altra via, ma che egli lo possedea per la patientia. Antonin Pio fu patientissimo Prencipe, di modo che nel Senato vedeva chi li voleva bene, & sentiva chi diceva mal di lui, & tanto fu la modestia, che gli amici ne restavano contenti, & i nemici con piacere. Grande essempio di patientia in somma fu quello di Catone, che essendo stato percosso in un bagno da un giovine, non si turbò, ne fece altra vendetta, che dire a colui che gli adimandava perdono, non mi ricordo che m’habbi offeso; & ben altra vendetta è quella veramente che giudica il nimico indegno della sua vendetta. Ma quella di Socrate in vero non fu minore, per non dir più d’altri, che infiniti sarebbono, & è degna di riso ancora, perche essendo stato percosso con un calcio da uno, & adimandato, perche non ripercuoteva quello: vuoi tu rispose, se un asino mi trahe de’ calci, ch’io ricalcitri lui? Acquistarassi anco le sudette virtù col considerare gli effetti buoni, che producano, & all’incontro i cattivi, che partoriscano l’impatientia & intemperantia, ò per dir meglio l’iracondia, & la dissoluzione. Ma questo basti col por freno à molti impettuosi dell’animo; & alle voglie dissolute, che ad essere impatienti, & intemperanti, & dissoluto ci conducano.
P.
Assai mi contento di questo; ma quell’essere Gioviale, & Martiale che voi volete, pare tutto di soverchio, & se non mi renderete ragione rimaremo con cattiva opinione di voi. Ma lassando le burle, diteci da vero di gratia à che serve.
C.
Serve à questo, che se sarà Gioviale il cavallarizzo, sarà anco allegro, giocondo, piacevole, & atto à farsi amare da ciascuno, & massime da grandi; & molto meglio esserciterà l’officio [p. 123r modifica]suo, & le sue operationi, che se fusse Saturnino, & melanconico, ancorche i melanconici soglio essere assai ingegnosi; ma si come sono di sottil ingegno quasi sempre, cosi anco sogliono essere molte volte pericolosi & per se stessi, & per altrui; perche ben spesso entrano in profonda atra bile; dalla quale suol venire soventemente il furore, & le frenesie; & altri inconvenienti, & diffetti grandi. Il che non accade nel gioviale, havendo l’humor sanguigno sempre ben disposto, & qualificato. Et se sarà oltra questo martiale, che pò ben essere l’uno, & l’altro insieme, sarà più atto à farsi rispettare, & à quello che all’arme s’apartiene; & quanto si convenghi questo al cavallarizzo lascio mò considerare à voi. Oltra che Giove gli dona la giocondità, & l’allegrezza, la quale alcuna volta lo potrebbe levar dal segno, nel quale noi vogliamo che persista, & Marte mitiga quella, & giova à non farla trappassare di là da i termini; perche l’infiamatione di Marte mitiga pur assai la dolcezza & allegrezza che porge il sangue, & aere di Giove. Et questi tali huomini sono molto piu atti de gl’altri ad imprese grandi, & honorate. Volendo noi dunque che il cavallarizzo sia perfetto, & degno di servire à ogni gran Prencipe, & il Prencipe molte volte trovandosi in guerra, dove dev’essere à canto il suo cavallarizzo, se non sarà bellicoso, & martiale mal potrà servire come si deve al suo Signore, & però io ve l’ho formato con queste parti come vedete.
P.
Benissimo certo. Se non fosse stato così Fabritio figliuolo dell’eccellentissimo domatore di cavalli, Messer Giovanbattista Ferraro, non rimaneva essangue appresso al suo Signore, che per soccorrerlo nella settimana santa, & rimetterlo à cavallo, nel mezo dei nemici, & nella tempesta delle archibugiate, & moschettate, l’infelice giovine, ma che dic’io infelice? da che egli per spogliarsi d’una vita mortale, ne prese un’altra che lo farà eternamente felicissimo? dismontando adunque dirò il molto più che felice giovine, che sempre in simili imprese si trovava ben à cavallo appresso à quello, non curandosi tra le crude spade di nemici di rimanere occiso, per mettere l’amato suo Signore sul suo cavallo, ò vivo, ò morto che fusse, cadè anch’esso morto appresso à quello. ;C.
Essempio veramente di grande amore, & di maggior perfettione; ne credo che quello di Niso, & Euriolo, tanto dalle penne Mantoane celebrati al mondo, à questo vadi inanzi, ne quell’altro meno di Cloridano, & Medoro. Ma ben dirò che questo avanza quelli se le furie crudelissime non che delle nude, & inimiche spade, ma delle moschettate, & scopettate si devono temere. Hor vedete adunque Signor Prospero mio, se al cavallarizzo bisogna essere anco, com’io v’ho detto, bellicoso & martiale, & pronto à mettere la vita per il suo signore.
P.
Cosi è certo. Ma l’essere di forte, & constante animo mi pare che sia soverchiamente detto, perche al mio giuditio, chi è d’animo bellicoso & martiale, è anco d’animo [p. 123v modifica]tale.
C.
Ancor di meno che nelle guerre & nelle imprese private habbi effetto quello che voi dite, nondimeno non ha effetto in ogni cosa; che ben dovete sapere, che molti sono stati bellicosissimi guerrieri, & valorosi capitani, che se bene i fatti d’arme; & l’imprese pericolose non li hanno ispaventati, ne mossi punto da quella fierezza, & bravura degl’animo loro, la Fortuna nondimeno contraria spesse volte, & le infamie, & altri accidenti gl’han’ fatto piangere, & dolere da vil femminelle; & quello che mille & mille nemiche spade non poterono piegare, ne ispaventare un sol caso avverso ha fatto andare le quereli fin al cielo, & dubitare, & esser timidi; & alle volte morire. Come di Quinto Catullo si legge, & di molt’altri li quali non fa di mestiere ch’io racconti, perche l’historie ne sono piene. Non così voglio che sia il cavallarizzo del qual parliamo; percioche ne avversa fortuna, ne accidente in contrario alcuno vò che lo possi rimuovere da quella saldezza d’animo la quale fa che l’homo sempre sia il medesimo; & lo fa veramente nominar forte, & costante.
P.
Et à questo?
C.
Come? Se il cavallarizzo per ogni poca cosa in contrario che gli succedesse, come accade ben sovente, che lo stato humano essendo sottoposto à i colpi di fortuna, mai sia stabile, ò nella robba, ò nella persona, ò anco nell’honore, che ardirò dire, si turbasse, & sgomentato ne facesse quei pianti, & quelle querele al cielo, che fanno gli efeminati, sarebb’egli perfetto? & nell’offitio suo servarebb’egli quel decoro & honesto, che tanto si desidera in ogni attione? Senza’l qual decoro siamo imperfettissimi non che perfetti; senza’l quale anco l’animo nostro non pò essere buono ne bello. Et io già vi ho detto che il cavallarizzo col corpo bello deve avere l’animo bellissimo. Voglio adunque da che hora à me sta formarlo, che sia per questo d’animo costante, & forte.
P.
Così mi pare che fosse quell’infelice padre, che vedendo il figliuolo trafisso per mezzo il core, da un dardo di Cambisse, dal quale adimandato s’egli havea fatto bel colpo: senza perturbatione alcuna rispose, bellissimo, veramente non l’havrebbe saputo fare Apollo così bello. Et Arpalo che in un convito del Re de’ Persi di poi che hebbe mangiato la carne de’ suoi figlioli, apresentandogli le teste dal crudel Re; & adimandato s’egli era stato ben trattato; senza punto mutarsi in viso, ne in favella rispose, che ogni cosa era grata in quella cena Regale.
C.
O fortezza d’animo sopra tutte le altre fortezze, O costantia d’animo più di ogn’altra incredibile; veder uno il figlio trapassare per mezzo il core, & non morire; ma non pur non morire, ma non mutarsi d’animo tantillo ne di volto. Et l’altro veder i figli tagliati in pezzi, arostiti, e mangiarne le carni, et di poi veder quelle teste, le cui bocche solea udire, & baciar si spesso, & non morire? ma non pur non morire, ma ne ancora turbarsi, & non pur turbarsene, dar segno alcuno di dolore, ma dar risposta tale allegramente. Questa per vero fu troppo gran costantia, questa veramente fu troppo eccessiva fortezza d’animo. Chi’l crederebbe mai? et fu pur [p. 124r modifica]vero, se alli historici devemo prestar fede.
P.
Hor seguitiamo più oltra, la robustezza però del corpo ancor che in parte aiuti molto il cavalcare, non par però, che ne anco tanto al cavallarizzo si convenga, che senz’essa non possi fare; pur che non sia di soverchio; & che sia vero vostro padre non fu egli debile, & di poche forze? & chi fu mai non dimeno più aggratiato; & bello nel cavalcare di lui? Il quale su cavalli asprissimi, come sapete se à quel tempo se ne trovavano, & usavano, pareva piantato & inchiodato in sella, & come si dice, quasi un Centauro, tant’era unito & incollato à cavallo. Et chi ne seppe mai più di quest’arte di lui? Non fu egli per questo prima gratissimo à Lodovico Duca di Milano per sopra nome detto il Moro gratissimo All’Alviano così franco & valoroso capitano, generalissimo de’ Venetiani, non men caro alla nostra signora Duchessa di Milano, & sopra modo accetto al Gran Capitano Prospero Colonna? per non starsi à dire che recusò di servire à Francesco padre di Henrico Re di Francia, & di molt’altri grandi. Non sete debile ancora voi? & non vi mancano di molte parti; che voi desiderate che sieno nel vostro cavallarizzo? & in quest’arte non dimostrate saperne tanto quanto altri che sia? & se non nel cavalcare, il quale so ben’io che mai da un tempo in qua havete fatto se non con grandissimo rispetto, per molti rispetti humani, al meno col comporre che havete fatto di quest’opera? nella qual compositione si vede chiaro non solo quel che sapete, che havete fatto, che fate, & che havereste potuto fare quando i prencipi vi fosseno stati più benigni, over vi fusseno, ma la grandezza, & altezza alla quale inalzate tanto quest’arte, & con modo christiano, & catolico da per tutto, che ne antico, ardirò dire, ne moderno alcuno non credo vi trapassi innanzi, se pur v’arivi.
C.
Non più di gratia Cavallier Prospero che mi farete dire, ò che voi siate adulatore, & che vi vogliate burlare di me, ò che l’affettione che mi portate vi abbarbaglia la vista facendovi parere quello che veramente non è, & in questo caso intraviene à voi proprio quel che à molti suole incontrare, che peccando in qualche discesa calda, & discorrendo qualche poco di humor sanguigno soverchio ne gl’occhi, par loro di vedere avanti à quelli andar alcune moschette rosse over luciolette. Ma molto meglio dirò s’io vi dico, che così propriamente vi aviene, come accade à quelli, che per veder meglio la cosa si metteno gl’occhiali, ma se li metteno rossi, per li quali poi anco che ogni cosa gli para più grande assai di quello che non è la vedeno però, che è molto peggio, di colore rosso. Levatevi dunque gl’occhiali rossi dell’amor, che mi portate, & di pii fate giuditio, & in vero se così seguirete in lodarmi, & in lodar le cose mie, darete inditio manifesto à questi Signori e cavallieri, che v’hanno fatto giudice in questa lite, di essere non che sospetto, ma del tutto partialissimo. Tacete di gratia, ch’io non vò per questa [p. 124v modifica]volta mi replicate parola, ma seguendo, io vi risponderò, & prima di me à quanto ne havete detto, per ispedirmene in due parole dico, che l’essempio non tiene, & perdonatemi, da che io parlo di un cavallarizzo perfetto, & non di uno imperfettissimo come son’io. Il quale se voi lodate à torto, vostro danno, & per me vi ho pe iscusato per quanto n’havemo detto di sopra; & così credo che per questo haveranno questi Signori. Ma venendo a mio padre non niego che non fosse come voi dite, & debilissimo, & bellissimo cavalcatore; & che non havesse nel cavalcare un’arte squisitissima, così anco nell’intendersi di cavalli: ma non mi negarete voi però che quando fusse stato anco robusto non havesse molto meglio potuto essercitarlo, & meglio ancora potuto servire à Prospero Colonna nel fatto d’arme commesso alla Bicocca & in tutte quelle guerre & imprese; nelle quali fu appresso à tal Signore cavallarizzo maggiore, & favoritissimo. Ma lasciamo questo. So ben’io che molti deboli di corpo cavalcano bene, & attillatamente, & fanno cavalli che parlano; & fanno delle pazzie in cotal’arte, & so di dove pò procedere; ma non fa il fatto, imperoche se il cavallarizzo, oltre le parti suddette, havrà ancora la robustezza & la fortezza del corpo, oltra che da lei sarà aiutato assai in tutte le altre attioni che al corpo s’appartengono, nell’aggitar cavalli infinitamente li gioverà, & farà che con men fatica aggiterà quelli; & sarà molt’atto à sopportare ogni disagio & fatica: cosa che non sì agevolmente pò accadere alli deboli. Li quali per le poche forze che hanno mancano presto nelle fatiche, & nei disagi. Oltra che non sono così atti à cavallo in quelle lettioni, nelle quali il perfetto cavallarizzo dev’essere, come farebbe à dire nel spezzar lancie all’incontro con l’avversario, in terra, & in altro modo, nel torneare, & far di se prova à cavallo armato con un’altro chi più vaglia in levarsi da cavallo, & star serrato in sella; come fece quel gentilhuomo Polacco quando noi eravamo paggi in Napoli della felice memoria della Signora Duchessa di Milano, che per forza trasse di sella quell’huomo d’arme, & gittò in terra, le quai cose tutte, & altre che si potrebbono dire, ancora che il debile facesse bene, & aggratiatamente per l’ingegno, & spirito, che havesse; non dimeno non le potrebbe mai fare, ne soffrire con quel petto, & capo saldo, che il robusto & vigoroso farà, & metterassi ben spesso à rischio, se con nerboso assai s’incontra in giostra, ò in altro, di andar di sotto; & restar vinto, ne mi allegate essempi in contrario, che per uno che voi ne adduceste io ve n’addurrei mille all’incontro.
P.
Io non vò allegarvi altro essempio in contrario ne antico, ne moderno, eccetto quello del Conte Santa Fiore, il quale ciascun di noi sa che non è robusto, ne grande, & pur non dimeno è de gl’attillati, & valorosi cavallieri ch’oggi diportano arme à torno; & in tutti gli esercitij di cavalleria riesce tanto divinamente, che non è sì sciocco, ne sì saggio [p. 125r modifica]homo al mondo, che lo miri, non ne resti innamorato, & pieno di stupore; & per il contrario quanti grossi & grandi son hoggi al mondo, li quali ancor che sieno robustissimi nondimeno si allontanano & danno tanto discosto da quel segno dove dà il Conte, che è uno stupore; & da che vien questo?
C.
Non v’ho io detto che non vogliate allegarmi essempi, che per uno io ve ne posso in contrario addurre infiniti? Et che sia vero, non potrei io dirvi del Signor Sforza Palavicino cavallier valorosissimo, del Signor Carlo da Gazolo, del Signor Luigi Gonzaga per sopra nome detto Rodamente, le forze stupende de quali, & la maestria nel giostrare, & in tutte le altre guise d’essercitij, che à cavallieri s’apartenghi havrebbe pieno di maraviglia, & atterito il mondo? Et la grand’arte, & valore in tutto quello che à cavallier valorosissimo si conviene, del mio Signor Pompeo vero erede del gran valore di suo padre Camillo Colonna, dove lo lascio? Certo che questo solo potrebbe stare al paragone di qual’altro cavallier valoroso si fosse se pur non andasse innanzi. Come si potrebbe anco con verità dire, sel tempo ci bastasse, dell’Illustrissimo Signor Giulio Orsino. Al valore & animo invitto del quale se ben l’invidiosa Fortuna, nella guerra tra Paolo quarto, & Filippo d’austria Re di Spagna, fu si contraria, che tra mille & mille inimiche spade egli solo a piede opponendosi a tutte, con animo deliberato di più tosto voler morire gloriosamente, che vivere fuggendo con l’amico essercito sotto Segni, havendo già previsto tutto il successo di quella giornata, & ispianatolo principalissimo capitano al suo Genarale, dal quale fu molto ben inteso ma non già creduto, al cui valore dico se ben l’inimica Fortuna in tal giornata guastò una gamba, non potè però levare che non si possi essere chiarissimo specchio & essemplare di cavalleria à ciascuno, & massime di prudentia & di virtù, così come per tempo andato fu, & spero debbi ancora essere, del correr lancie, & di tutti quegl’altri honorati essercitij, che à cavallier valoroso & intrepido capitano s’apartengono.
P.
Voi messer Claudio sarete spacciato per adulatore, se entrate così apertamente sulle laudi di questi Signori che sono qui presenti. Et di già non vedete che se ne rideno.
C.
Se se ne rideno lor danno: à me basta dir il vero & se per questo io deggio essere tenuto adulatore da me mi protesto, ch’io mi contento che ciascun mi tenghi per tale; ma tornando all’ordine nostro, perche non voglio prolungarmi tanto, vi rispondo brevemente.
P.
Non passate più oltra di gratia. Hor non v’accorgete messer Claudio che le lodi che meritamente date al Signor Pompeo qui presente, più tosto le sono à sdegno ch’altrimente, come à cavalliere che si gode che i fatti di se parlino, & non le lodi cantate da altri; le quali ben spesso apportano seco fumo di adulazione grande quando massime sono dette in presentia del lodato proprio. Et à questo proposito mi ricordo haver letto di non so chi grande Imperatore, che essendogli letto un certo libro da un’istorico in sua lode, gli tolse il libro di mano, & gittollo in mare, [p. 125v modifica]non potendo sofrire le sue tante lodi.
C.
Certamente che vi havrete ragione in tutto questo che voi dite, quand’io eccedesse i termini com’eccedeva forse l’istorico Aristibolo, con il magno Alessandro, ma io col mio signor Pompeo vò si ristretto nel lodarlo, sapendo la natura sua aborir da se le sue lodi, che piu tosto posso esser ripreso per esser parco, che copioso, ma siasi pur come si voglia egli dell’astinenza mi perdonerà, & voi sarete contento ch’io seguiti più oltra nel nostro ragionare tralasciato.
P.
Seguitate pure che ad ogni modo con voi non si pò impattare.
C.
Quanto à quello che del Conte Santa fiore havete alegrato, rispondo brevemente, che la dispositione del suo corpo, & il ben spirito che ha, con l’industria grande, che ha posto ne gl’essercitij di cavalleria, sono quelli che lo fanno parere, & essere così miracoloso al mondo, & per contrario si pò dire di quegl’altri che non havete voluto isprimer voi; cio è che la disattitudine del corpo, & forse dell’animo, con il marcir nell’otio, & per aventura con l’essercitarsi in essercitij impertinenti, han fatto che restino come sono, & in cattiva opinione del mondo. Ma vedete Comendador Prospero che l’hora passa, & non potrete andare à spasso avanti cena; però sarebbe ben fatto che mettessimo fine al nostro ragionar d’hoggi.
P.
Non vi scusate che l’hora passi, che non importa, da che nessuno di noi ha maneggio per le mani da fare che punto importi. Et da che siamo entrati à parlar di questi così famosi cavallieri gran corridori invero, & maestri di romper lancie, & di tutto quello che à cavalleria s’apartenghi, vorrei che mi diceste il modo che desiderate che tenghi il vostro cavallarizzo, in questi simili honorati essercitij.
C.
Questo io lo lasciarei dire à voi altri cavalieri, essercitatissimi nelle giostre, in tornei, & ne i giochi delle canne, & caroselli, ch’io per me confesso non haverci mai fatto in vita mia, se ben ne ho vedut’infiniti di bellissimi in molti luoghi d’Italia, e fuor d’Italia, innanzi à Carlo V. Imperatore, & ad Henrico Re di Francia.
P.
Assai è questo, & ancor che questi cavallieri ne potessero rendere conto perfettamente, per la isperienza che ne hanno, non dimeno si contentano di udirne da voi, sperando così come nel resto ancora in questo da voi essere sofisfatti.
C.
Ancor che io sia sicuro di non potervi sodisfare, perche quell’arte che non si ha per pratica non si pò troppo bene isprimere, non dimeno voglio anco in questo condescendere, & compiacere à i vostri desideri: li quali so ben io, che piu per farmi dire, che per altro, à questo mi persuadeno, con patto però che non così poi mi vogliate astringere à dire delle altre cose che nel cavallarizzo desidero.
P.
Così vi promettiamo, hor su dite.
C.
Il correr lancie primieramente quanto all’anello direi che fosse da farsi con grande attilatura, percioche generalmente si corre disarmato, & senza mascara; sarei dunque di parere che’l cavallier che ciò facesse fosse avertito di andar più dritto à cavallo con la persona nel correre che fosse possibile, con le gambe distese à segno honesto, che non stanno [p. 126r modifica]manco bene tanto stiracchiate, & spinte innanzi come alcuni fanno, che paiono bruttissimi, ne vogliano essere attaccate al ventre del cavallo, ne meno troppo discoste da esso; hor avendo il cavallier levato la lancia dalla coscia nel principio del corso, & portandola così sospesa in aere col braccio alquanto inarcato, & col pugno che non trapassi innanzi ne dia in dietro piu della metà della coscia, & che la punta d’essa lancia non solo riguardi per mezzo l’orecchie del cavallo, verso l’anello, ma stia piu tosto alta in aere che bassa, & così correndo con la faccia serena, & non furibonda, come fanno alcuni marti irati, come fusse presso all’anello otto ò dieci canne, pian piano la mettesse in resta; cacciando un pochetto il pugno innanzi come fosse per accomodervela, & pogiando il dito annulare, & lo auricolare al petto havesse ben l’occhio di abbasciarla con fermezza à poco à poco, fin che li paresse che la punta della lancia fosse diritta verso il mezzo dell’anello; & così senza moversi punto ne di gambe, ne d’altro, lasciasse correndo trapassare l’anello dal cavallo sei o sett’altre canne; & di poi spingendo alquanto il pugno inanzi, levando la lancia di resta, con la punta alta tanto quanto era, o poco meno, quando la puose in resta, se la rimettesse alla coscia, & parasse per dritto, & giusto il suo destriero, che ben in simili fatti fa di mestiere che siano giusti i cavalli e destrieri, li quali nel corso non mi pare che debbino havere più di due para di speronate; che in vero quel batter tanto di sprone & quel dimenar di gambe, che per questo si fa nel correre, fa che l’huomo paia più tosto pignataio à cavallo che cavalliere, & fa danno anche nel portar la lancia. Et senz’altro dirvi sarei di parere che nel correre all’anello, & nel romper lancie in terra, si dovesse immitar il conte Conte Santa Fiore, & il nostro Signor Pompeo Colonna, li quali secondo il mio poco vedere, lo fanno tanto aggratiatamente & bene, quanto cavallier ch’io habbi mai visto.
P.
Et il Signor Accurtio Gonzaga, & il signor Giambattista, & il Signor Conte Federico Borromei non vi piacen’egli?
C.
Come se mi piaceno mi piaceno tanto quant’altro cavallier che sia; mi piace anco molto il capitan Cencio Capisucca & infiniti altri gentilhuomini, & cavallieri, ma non accade nominargli, che sariano troppo lunghi. Piacemi nel correr lancie di tal sorte il Signor Pietropaolo Mignanello, il quale correndo porta sempre la faccia serena, & pare che in ogn’altra cosa pensa fuor che questa che ha per le mani. Non men mi piace il Signor Domenico de’ Massimi, & il Signor Rutilio de Mantichi, ambi li quali correno si ben lancie in ogni guisa, & con tanta leggiadria, che veramente possono stare tra i migliori cavallieri di tal essercitio. Mi piaceno ancora molt’altri cavallieri Romani, li quali com’io ho detto poco fa non starò à raccontare per non essere più lungo di quello che’l tempo & il luogo comporta. Ma havendov’io detto il parer mio circa tal correre di lancie questo basti. Nel correre all’incontro son di parere si tenghi l’ordine istesso, e che non si [p. 126v modifica]spalleggi, ne vadi poggiato più su una staffa che su l’altra, è ben vero che non mi dispiace se posta la lancia in resta, la qual resta vorrei che sempre peccasse in essere più bassa un dito che più alta con la punt’alta della lancia di subito vicino all’aversario si calerà, mirando bene di rompercela in testa. Et in questo il Signor Sforza Palavicino, il cavallier Posterla, & il Vistarino, col Signor Giovan Francesco Sanseverini, & anco il mio capitano Paolo Tagliaferri, sono stati & sono eccellentissimi a’ di nostri, & meritano essere immitati da ciascuno. Il giuoco dei caroselli & canne devria essere rubbato a’ Spagnoli, li quali lo fanno con tutta quella gratia & leggiadria che si richiede. Ne in questo dirò altro se non che non mi piace quel far tanto il fiero in simili giuochi, con quel trare così adirato quando si seguita il fugitore. Del torneare me ne passo con questo dire, che il cavallier sia avertito di andar ad incontrar l’inimico non per volerlo uccidere, ma per voler far segnalate, et bene le sue botte. Et in questo i cavallieri Italiani sono eccellentissimi, per il cavalcar bene che fanno, tra le altre buone conditioni che hanno; si come nel giostrare i Francesi; per la loro vigorosità, & fortezza sono anc’essi singolarissimi. Non vi ho detto ne accade dirvi altro del romper lancie in terra, ò alla quintana, sapendosi che quando la correrete bene, & romperete all’incontro, la romperete ancora meglio, & più agevolmente in quest’altre guise; & massime in terra dove non va altro di più che havendo la lancia in resta la lasciate calare quasi in un subito con la punta in terra, là in quel luogo, dove havete disegnato di romperla; & unendo ben le forze insieme, tenendo la man ferma della lancia in petto la romperete, & se in questo spingerete alquanto la spalla stanca innanzi non vi sarà disdetto.
P.
Quest’altra cosa vogliam saper da voi Messer Claudio, & poi non più per hoggi, ma con patto però che promettiate di ritornar dimane à dar fine al vostro cavallarizzo, il quale se così lasciaste non mi pare che fosse di quella perfettione, che vo ve lo havete immaginato; mi promettete voi questo?
C.
Ancor che il cavallarizzo, che havemo per le mani, potesse stare con le parti, che gl’havemo date tra i più eccellenti nondimeno io v’imprometto, per finirla hoggi, di ritornar dimane à rispendervi à tutto, quello, che m’adimandarete; con conditione però, che non la vogliamo fare à tutto transito, come havemo fatto hoggi, che di già siamo sulle Ave Marie. Hor seguitate dunque nelle vostre dimande; & fate di gratia come dicono del resto tosto.
P.
Eccovi la conclusione, nella qual dico che concedutovi tutto quello che fin qua s’è detto, mi par mò di soverchio troppo che vogliate che per questo il cavallarizzo, & il Prencipe à chi egli servirà, siano beati; essendo vero come è verissimo che la Beatitudine consista in havere ciò che si desidera; & in mancare di tutto quello che non si vuole; cosa però al fermo per impossibile in questa vita mortale, piena di stenti, & di mille & infinite angoscie, & mancamanti; & per questo ben disse colui saviamente, che nessuno era [p. 127r modifica]da ogni parte beato; & voi volete che dui beati siano al mondo, il vostro cavallarizzo, & il Prencipe. Se questo è vero seguita necessariamente che quel ch’ò detto hor hora sia falsissimo, ma questo è vero, adunque la vostra posizione è falsissima. Il perche levate adunque via quella felicità, over beatitudine dal vostro cavallarizzo, & Prencipe, se non volete essere canonizato per huomo che poco intende, & assai è ostinato.
C.
Io aspettava che desseno fine pur una volta à queste vostre bravure, per le quali havete fatto assai più lunga la conclusione che non sono state le promesse, alle quali si risponde però brevemente, acciò non pensaste di haver concluso, & vinto, che altro è la felicità ch’io ho detta, & altr’è la beatitudine che havete addutta voi; perche la vostra s’appartiene propriamente in patria, & questa che dic’io ogni viatore per così dire, la pò havere; della vostra è verissimo che nessuno in questa vita è da ogni parte beato, & della mia pò ben stare che se ben gli manchino quattro ò sei cose di quelle che si desiderano, sia non dimeno felice. Come per essempio di molt’antichi si pò vedere, & massime in Policrate tiranno dei Sannij il quale hebbe tanta felicità in vita sua, che mai argomento alcuno di tristezza in lui si pote vedere, et volendo da se medesimo eccitarsi dolore, prese un’anello di pretio infinito, & gittollo in mare; il qual’anello di poi ancora lo ritrovò (fra poco) in un pesce, donatogli da un pescatore. Gige Re di Lidi fu felicissimo, & hebbe una gioia in un’anello di tanta virtù, che rivoltandola ver lui vedeva tutti quelli che voleva: Onde per beneficio dell’anello tutte le cose conseguiva secondo il desiderio. Xenofilo Musico visse cento e cinque anni senza passione alcuna, & senza alcuno incomodo del corpo. Timotheo gran Capitano de gl’Atheniesi in modo tale fu felice, che in ogni guerra & impresa non solamente facile, ma certa si prometteva la vittoria. Alla quale prosperità havendo invidia gli Emuli, dipinsero la Fortuna, la quale nella sua nassa & rete metteva le città, & il tutto. Del che accorto, disse, se dormendo io piglio tante città, & fo fatti sì grandi, che pensate ch’io sia per fare quando sarò destato? Ma per finire, Quinto Metello fu sì felice, che tutto quello che desiderò gl’avvenne. Imperoche fu il primo bellatore, Ottimo Oratore, fortissimo Imperatore, col suo Auspitio le cose di grand’importanza si facevano, massimo honore gli era prestato, era di somma sapientia, fu havuto sommo Senatore, hebbe gran quantità di denari in bon modo acquistati, lasciò di pò di se molti figlioli, & fu preclarissimo sempre nella città di Roma. Che direte mò à questo cavallier Prospero? Sono pur stati felici questi, & felici reputati se bene gli mancorono alcune parti della felicità compita, che volete voi. Ma in questa felicità humana non pare à voi anco, che quello sia veramente felice, che aggiunto à tante parti quante noi havemo assignate al nostro cavallarizzo, havrà un vero amico al mondo?, & per lo più l’istesso sarà Heroo? Io mi ricordo haver letto che Menandro solea dire, che non solo chi havea [p. 127v modifica]un tale amico era felice, ma chi pure n’havea l’ombra. Se adunque il cavallarizzo havrà le conditioni che si son dette, haverà anco senza dubio di molti amici grandi, ma quando mai altro non havesse, non gli mancherà almeno l’ombra dell’amicitia del suo Prencipe. Che chiaro è che un prencipe buono & virtuoso sempre ama, & tiene per amico l’huomo virtuoso & da bene.

Il che havend’io così succintamente detto, fu concluso senz’altra replica, che ce n’andassimo à casa ma che nel seguente giorno all’hora solita, ci ritrovassimo nel luogo stesso, ad ascoltare il rimanente che voleva dire il Commendadore; & la sententia diffinitiva del Giudice severo. Così fu fatto & andassimo.