Il contratto sociale/Libro terzo/V

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Libro terzo - Cap. V

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Cap. V

Della aristocrazia.

Qui abbiamo due persone morali distintissime, cioè il governo ed il sovrano, è per conseguenza due volontà generali, l’una che riguarda a tutti i cittadini, l’altra solamente ai membri della amministrazione. Così, quantunque il governo possa regolare la sua interna polizia come gli talenta, non può tuttavia mai parlare al popolo se non in nome del sovrano, vale a dire in nome del popolo stesso; il che non debbesi mai dimenticare. [p. 118 modifica]

Le prime società governaronsi aristocraticamente. I capi delle famiglie deliberavano fra sè delle pubbliche bisogne. I giovani cedevano di buon grado alla autorità della esperienza. Quindi i nomi di preti, di anziani, di senato, di geronti. I selvaggi della America settentrionale governansi ancora oggidì in questo modo, e sono benissimo governati.

Ma a mano a mano che la imparità d’instituzione soperchiò l’imparità naturale, la ricchezza od il potere fu preferto alla età1, e la aristocrazia divenne elettiva. Finalmente il potere trasmesso in un coi beni del padre ai figliuoli rendendo le famiglie patrizie, rese pure il governo ereditario, e furon visti senatori di vent’anni,

Sonvi adunque tre sorta di aristocrazia; cioè naturale, elettiva, ereditaria. La prima non conviene se non ai popoli semplici, la terza è il peggiore di tutti i governi, la seconda è il migliore, ed è l’aristocrazia propriamente detta. [p. 119 modifica]

Oltre al vantaggio della distinzione dei due poteri, essa ha pur quello della scelta de’ suoi membri; imperciocchè nel governo popolare tutti i cittadini nascono magistrati, e nell’aristocratico propriamente detto sono ristretti ad un picciol numero, e non divengono tali se non per elezione2: modo, per cui la probità, i lumi, l’esperienza, e tntti gli altri motivi di preferenza e di pubblica stima sono altrettante nuove guarentìe, che saremo saviamente governati.

Inoltre, più comodamente si formano le assemblee, si discutono meglio gli affari e più con ordine e diligenza si spediscono, il credito dello stato è meglio sostenuto all’estero da venerabili senatori che non da una moltitudine oscura o disprezzata. [p. 120 modifica]

In una parola è il migliore ed il più naturale ordine, che i più savii governino la moltitudine, quando si è certi che la governeranno a suo vantaggio e non a vantaggio di se stessi. Non bisogna moltiplicare indarno le giurisdizioni, nè fare con venti mila uomini ciò che possono fare ancor meglio cento uomini eletti. Ma uopo è notare, che l’interesse di corpo comincia costì a diriger meno la forza pubblica sulla regola della volontà generale, e che un’altra inevitabile propensione toglie alle leggi una parte del potere esecutivo.

Riguardo poi alle particolari convenienze, non ci vuole nè ‘no stato così piccolo, nè un popolo così semplice e sì diritto, che l’eseguimento delle leggi conseguiti immediatamente dalla volontà pubblica, come in una buona democrazia. Non ci vuole nemmeno una nazione talmente grande, che i capi sparsi per governarla possano farla da sovrano ciascuno nel suo dipartimento, e cominciare a rendersi indipendenti per diyentare alla fin fine padroni.

Ma se l’aristocrazia esige alcune virtù di [p. 121 modifica] meno del governo popolare, ne esige altresì delle altre che le sono proprie, comela moderazione nei ricchi, e il contento nei poveri, perchè sembra che una uguaglianza rigorosa vi sarebbe fuor di luogo, non essendo nemmeno stata osservata in Isparta.

Del resto è bene, che quella forma comporti una certa disuguaglianza di fortuna, affinchè in generale l’amministrazione dei pubblici affari sia affidata a quegli che possono meglio consecrarvi il loro tempo, ma non come pretende Aristotile perchè i ricchi siano sempre i preferti. Al contrario importa che una scelta opposta insegni qualche volta al popolo, che nel merito degli uomini vi sono ragioni di preferenza più importanti della ricchezza.

  1. Egli è chiaro che la parola ottimati presso gli antichi non significa i migliori, ma i più potenti.
  2. È cosa di grande momento il regolare con leggi la forma della elezione dei magistrati; perchè abbandonandola alla volontà del principe, non si può evitare di cadere nella aristocrazia ereditaria, come avvenne alle repubbliche di Venezia e di Berna. La prima è da lungo tempo uno stato disciolto, e la seconda si mantiene per l’estrema saviezza del suo senato, eccezione onorevolissima e pericolosissima.