Il corsaro/Canto II/V

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Filosofia

Canto II
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V.

   Al crudo invito impugnano le faci,
E tutt’empion di fiamme, e di ruina
Dal minarèto al portico; crudele
Gioja sta sovra l’occhio di Corrado;
Ma sen’dilegua tosto, ch’improvvise
Fiedon quel cor, tra le battaglie immoto,
Femminee strida. » Arda l’Harem ei sclama,
» Ma se vi cal di vita, a le meschine
» Non sia tra voi chi oltraggio arrechi. Spose
» Abbiam noi pur, oh, il rammentate! e fera
» Su quelle un dì scender potrìa vendetta,
» Di queste i torti a riparar. Nemico
» Sol nostro è l’uomo e l’uomo sol si spegna,
» Ma, salvi noi, legge è salvar gli imbelli;
» Obblìar I’ potrei, non unqua il Cielo,
» Se al mio cenno or s’insanguini la terra
» Di miserande vittime innocenti.
» Me chi vuol segua; è tempo ancor; le mani

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» Nostre serbiam da questa colpa almeno!
E su per l’ampie crepitanti scale
Slanciasi, e abbatte ogni riparo, e adusto
Non sente il piè da l’infiammato suolo.
Tra le faville, e l’orride colonne
Del crebro fumo a stento anela, e varco
Di stanza in stanza pur si schiude. Arditi
Vanno i suoi, cercan, trovano, fan salvo,
E preda ognun di non mirati vezzi,
Con forti braccia a tanto eccidio invola;
Calma l’alto spavento, le svenute
Membra sostien, ed ogni cura imparte
Ch’ a indifesa beltà dèssi tra i rischj,
E gli aspri modi di sue genti placa
Così Corrado, e insanguinati assai,
Brandi così dal più ferir rattiene....
Ma chi è costei che dal fumante loco
Pietoso ei tragge? Chi è costei? L’amore
Di lui che a morte egli sacrò; vezzosa
Regina dell’Harem, de l’abborrito
Seid la schiava.