Il diavolo, novelle valdarnesi/Fioraccio

Da Wikisource.
Fioraccio

../La strega IncludiIntestazione 19 dicembre 2020 100% Da definire

La strega
[p. 141 modifica]

FIORACCIO

[p. ill modifica] [p. 143 modifica]

FIORACCIO



Si chiamava Fioraccio, ma il suo vero nome era Antonio, e faceva bottega di pane e paste proprio sul ponte, dove ora ci hanno messo l’appalto del sale e tabacco. Era un ometto piuttosto basso di statura, massicciotto, sempre con una giacchettina di rigatino corta corta e colle scarpe sempre sciolte. Non portava mai il cappello, inverno o estate che fosse, e quando il sole gli batteva sulla zucca, monda come il palmo della mano, la faceva parere un paiuolo nuovo. Aveva gli occhi gialli come quelli dei gatti; pareva che ridesse sempre come in atto di canzonatura, e nel discorrere fischiava, perchè aveva pochi denti. Davanti glien’erano rimasti due soli; uno per parte. Se de’ birbanti ce ne sono stati in questo mondo, [p. 144 modifica] Fioraccio è stato certo uno dei primi, e poi ne ha fatte tante che in queste parti è più nominato lui che Barabba nel Passio. Con questo io non intendo di dirne male: e poi tanto è morto, e il suo destino gli è un pezzo che l’ha bell’e avuto. Come ho detto, questo Fioraccio vendeva le paste, il pane e il vino, e faceva osteria. Ma la vera bottega era nella stanza di dietro, che corrispondeva sull’orto; quello era il magazzino. Li c’era di ogni cosa; legni, pali, pannine, ferri, botti e barili, orci, fiaschi, grano, vino, olio: perchè Fioraccio teneva di mano a’ ladri; e quando c’era qualcosa di rubato, si poteva esser certi che prima o poi capitava in mano sua; e in tanti anni che fece questo bel mestiere non vi fu pericolo che una volta sola i carabinieri lo potessero arrestare. Gli saranno stati dietro mille volte, gli avranno perquisito mille volte la bottega e la casa, ma sempre a vuoto. La roba, quando ne cercavano, era riposta troppo bene e Fioraccio la faceva riapparire solamente quando era tempo. Se la comprava lui la roba non la pagava mai; i suoi quattrini nessuno sapeva come eran fatti; pagava a bestemmie: se qualcuno capitava in bottega, non c’era pericolo che avesse mai il suo: alla stadera ci aveva messo il piombo sotto, e poi lo dicevano: [p. 145 modifica]

— Ad andar lì da Fioraccio, otto a tutti, nove a qualcheduno, e dieci a nessuno. —

Allora non ci erano i finanzieri come ora. Di resti in bottega sua non se ne discorreva mai, non ce ne aveva mai spiccioli, e se alcuno gli faceva qualche osservazione poteva star sicuro d’esser trattato male. Perciò in quella bottega non c’erano mai le furie, e non c‘era pericolo che Fioraccio si sudasse a servir gli avventori. Ma si confondeva poco.

— Se non ci vengono, mi fanno un piacere! Così non mi sfatico!

Tanto la bottega del pane e delle paste era la copertina di quell’altra, che v’ho detto. Ma, basta ci fosse qualcosa di buono da fare, per vedere se si metteva a durar fatica, se si alzava anche la notte, e se sarebbe stato anche senza andare a letto! Altrimenti se ne stava tutto il suo santo giorno a sedere sull’uscio della bottega a dare la carica a quanti passavano, e uomini o donne, ragazze o maritate, ce n’era per tutti. Egli non conosceva nè Pasqua nè solennità, per lui tutti i giorni erano eguali. Se davanti a casa sua passava la Comunione, non c’era pericolo che si levasse la pipa di bocca, o si alzasse da sedere: allora sì che pipava forte, si vedeva proprio lo spregio. Non voleva sentir parlare nè di Santi nè di Madonne, e quando il prete andava a dar l’acqua benedetta e che gli domandava: [p. 146 modifica]

— Fioraccio, la volete l’acqua santa?

— La do da me — rispondeva.

In ultimo non glielo domandava più nemmeno.

Appena fu morto suo padre, fece pulito di quanti Santi e Madonne ci aveva in casa. Un giorno preso dalla rabbia bastonò ogni cosa.

— Ma non avete paura che Dio vi gastighi? — gli disse una vecchia, che andava a pulirgli la casa.

— Non ci voglio impicci per i muri — rispose Fioraccio.

E fosse stato cattivo per sè, tiriamo via: il male era che metteva degli scandali, e che guastava la pace delle famiglie. Quando vedeva la gente correre per fare a tempo alla messa ultima, si metteva va. sghignazzare:

— Correte correte, se no non ve ne tocca! Stamani vi deve dare qualcosa di buono!

— Fareste meglio a andare alla messa anche voi piuttosto — qualcuno gli diceva.

— Se il prete dà da desinare, vengo subito, — rispondeva Fioraccio.

Il Vangelo diceva che lo avevano fatto i preti, che i preti erano tanti birbanti, che predicavano bene e razzolavano male, e cose simili. Ma il peggio era che non rispettava neppure l’innocenza, e insegnava a’ ragazzi a rubare e [p. 147 modifica] a farla pulita. Per esempio a un suo nipotino di dieci o undici anni, che aveva ritirato in casa, gli diceva ogni mattina nel mandarlo fuori:

— E badiamo di non tornare a casa senza nulla stasera!

E se non portava niente, non gli dava da mangiare, e qualche volta anche lo bastonava.

— Se uno vuol mangiare, bisogna che se lo guadagni! — gli diceva.

Vicino alla bottega di Fioraccio c’era quella di una sua zia vecchia, che non ci vedeva quasi più. Fioraccio le mandava in bottega il ragazzo bell’e ammaestrato a rubarle i quattrini dalla cassetta; e siccome il ragazzo era piccoletto, e allora non ci erano i fogli come ora, gli diceva:

— Alla cassetta ci devi andare, quando la zia tu la vedi sull’uscio, e bada bene di pigliare di quelli bianchi, ma pigliane pochini per volta, perchè altrimenti se ne potrebbe avvedere.

E quando il ragazzo portava qualche moneta di quelle più grosse, Fioraccio gli dava qualche soldo o qualche gingillo. Una volta però videro il ragazzo alla cassetta, e ne toccò quanto un ciuco. Per iscolparsi raccontò le cose, come stavano e disse chi ce lo mandava: ma Fioraccio allora per vendicarsi lo bastonò [p. 148 modifica] bene bene, e lo mandò via di casa. E così Fioraccio rimase solo. Solo in casa e solo in bottega, poichè anche in bottega da ultimo non ci capitava più nessuno, perchè avevan paura delle bestemmie.

— Qualche volta gli si deve aprir la terra sotti i piedi! — dicevano tutti. La sua bottega la chiamavano l’Inferno, e ora quando si sente uno bestemmiare di molto si dice:

— O che è rinato Fioraccio?

È passato in proverbio.

E così campò molti anni. Ma alla fine arrivò l’ora anche per lui. Principiò a diventare scaduto, a levarsi tardi la mattina e ritirarsi presto la sera. La bottega si vedeva aperta un giorno sì, un giorno no; due sì e tre no. Era diventato strutto, tutt’ ossa e pelle, pareva un morto che camminasse, ad andare tentennava, e non si levava più il veggio di tra le mani. Tutti dicevano:

— Eh! Fioraccio c’è per poco!

C’era per poco davvero! A bottega non ci si vide più: qualche volta si rivide affacciato alla finestra, proprio nel mezzo del giorno, quando era caldo; ma con una cera da far paura: si vedeva proprio che reggeva l’anima coi denti. Era troppo brutta la sua malattia. Era mal di vecchiaia, e di quello lì non si guarisce! Poi si allettò, e invece di [p. 149 modifica] ravvedersi e di rimettersi al buono, almeno sull’ultimo, rincarava la dose, e bestemmiava più di prima; più stava male, più bestemmiava. E per questo motivo in casa non gli ci andava più nessuno; era sempre solo come un cane. Ci andava solamente quella vecchina, che ho rammentato, più per fare un atto di carità che per altro: Ma anche lei diceva a Fioraccio:

— Se non smettete di bestemmiare, io non ci torno più.

— Perchè? — domandava Fioraccio.

— Perchè ho paura che qualche volta il diavolo non abbia a portar via me e voi.

— Ma che diavolo e non diavolo! Se ci fosse davvero, sarebbe venuto prima d’ora a farmi una visita!

Il priore, quando seppe che Fioraccio s’era allettato, disse fra sé:

— E pure bisognerà andarci!

E ci andò, ma dico che quel giorno non desinasse nemmeno. Picchiò e salì le scale. Quando Fioraccio riconobbe la voce del priore, mandò tre o quattro bestemmie in fila, e disse alla vecchia:

— O che vuole da me questo coso? Non lo voglio vedere!

— Come? E perchè non lo volete vedere? Eppure mi pare che il venirvi a fare una visita non sia che una garbatezza! [p. 150 modifica]

— Intendo, intendo... ma di queste garbatezze me ne curo poco: i preti sono come le civette, portano cattivo augurio... e poi è l’ultima tinta!

Intanto la vecchia dall’uscio disse al priore, ammiccandolo coll’occhio:

— Passi, passi.

— Ma io ho detto di no! — urlò Fioraccio.

Il priore entrò in camera.

— Buon giorno. Fiore!..

Fioraccio rispose fra il sì e il no.

— Ho saputo che eravate malato e....

— Meno male che non hanno detto che ero morto!

— E son voluto venire a farvi una visita...

E così principiarono a discorrere; ma più il prete cercava di far cadere il discorso su quel che voleva lui, più Fioraccio saltava di palo in frasca. Da ultimo il priore disse fra sè:

— Qui bisogna farsi coraggio, tanto una volta dev’essere quella! — E battendo sulla spalla a Fioraccio:

— Fiore, non ve lo abbiate a male, se vi prego di una cosa. Voi sapete bene che non bisogna pensare solamente al corpo....

— Ho bell’e capito quel che mi vuol dire, e dove vuole andare a cascare! Quando mi vorrò confessare glie lo manderò a dire....

— Ma se non lo volete far ora... ritornerò... [p. 151 modifica]

— Non importa che stia ad incomodarsi.

Ma il priore, giacchè era entrato in materia, volle seguitare: gli disse che bisognava ravvedersi e pensare all’anima; che dell’anime se ne aveva una sola, che bisognava pentirsi del male fatto, che bisognava ravvedersi, che bisognava restituire, e tutte queste belle cose. Quando Fioraccio sentì dirsi restituire diventò una bestia, ed esclamò:

— Che le ho forse rubato qualcosa a lei?

— Non volevo dire a me; non volevo dire che abbiate rubato nulla a nessuno... volevo dire....

— Oh senta, priore, ho bell’e inteso, e fra lei e me dobbiamo far pochi discorsi. Fino ad ora siamo stati d’accordo, perchè siamo stati lontani. Se dobbiamo seguitare a star d’accordo, non s’incomodi a ritornarci, fino a che non la mando a chiamare.

Detto questo, voltò le spalle al prete, e non gli rispose più.

— E così? — domandò la vecchia al priore.

— Non ne ha voluto sapere. Se non ci mette le mani questo di sopra, credo che noi ci potremo far poco! Domani ci ritornerò, e speriamo....

— Dio lo voglia e la Madonna benedetta!

Il giorno dopo Fioraccio dette in un gran peggioramento ad un tratto. Mandarono a [p. 152 modifica] chiamare il priore in fretta e in furia, ma arrivò che era bell’e spirato.

Il fatto successe nel 1837; molti sono ancora vivi e verdi, e lo potrebbero raccontare meglio di me. Appena morto diventò tutto nero; andava via a pezzi. Suonarono, lo portarono in chiesa, e poi al camposanto, dove lo sotterrarono.

La mattina dopo avanti giorno (saranno state le quattro) il priore, che era a letto, sente picchiare, e domanda chi è, credendo che fosse una chiamata per qualche malato.

— È Cecco, — disse la serva.

— Chi Cecco?

— Cecco del .....

Era il becchino.

— O che diavolo vuole a quest’ora?

— Vuol veder lei.

— Fatelo passare..... sentiamo.....

Cecco si affacciò sull’uscio col cappello in mano.

— E ora, che c'è di nuovo?

— Una cosa che pare impossibile. Ier sera non sotterrai Fioraccio?

— Sì, e bene?

— È scappato di sottoterra.

— Come?

— È scappato di sottoterra!

— Impossibile! [p. 153 modifica]

— Ma pure è così. Passavo per andare a lavorare nel campo. Quando sono stato difaccia al camposanto, mi è venuto fatto di voltarmi ed ho visto come un panno bianco, proprio li dove l’avevo sotterrato. Credevo di non aver visto bene e mi son voluto sincerare. Per caso avevo la chiave in tasca, e sono entralo dentro..... Era lui! Gesù non vuol bugie, sono scappato senza neppur voltarmi indietro.

— E sei venuto a svegliar me!....

— O da chi dovevo andare? Il bello è che la terra non pare neppure toccata...

— Sarà stato qualcuno per far dispetto...

il cancello era chiuso?

— Chiuso a mandata. Se vedesse, è nero come il carbone, e puzza che appesta.

— L’hai risotterrato?

— Non ci ho pensato neppure! E poi bisognerà che ci venga anche lei, perchè quello potrebbe anche non essere un affare naturale... non sarà.... non dico....

— Stamani per l’appunto non posso, devo andava all’Uffizio a X.

— Ci potrebbe venire avanti, è questione d’un ora.

— No, dài retta a me, vai e risotterralo.

— Ma.....

— Vai, vai, mettilo in fondo bene, e vedrai che non ritornerà più fuori. [p. 154 modifica]

Il becchino rigirò il cappello nelle mani.

— Farò come mi comanda.... Allora bisogna che vada a prender gli arnesi.... E si avviò fuori dell’uscio di camera. Il priore lo richiamò:

— Badiamo di non far discorsi perchè alle volte......

— Per me può star sicuro, non dico nulla.

— Facciamo anche questa — disse Cecco nel tirare a sè l’uscio per chiudere; — così potrò dire d’essermi ritrovato nel mio mondo a sotterrare due volte il medesimo morto!

La mattina dopo il priore si vede ricomparire Cecco.

— E ora che c'è?

— Siamo alle solite.

— Cioè?

— Fioraccio.....

— È sopratterra da capo?

— Per l’appunto.....

— Non par vero.

— Eppure è così. Se non ci crede, venga a veder da sè.

— Ci credo, ma che si fa? Bisognerà risotterrarlo. Forse potrebbe darsi che qualcuno....

— Sarebbe proprio un bel gusto! E poi è proprio da vogliosi andare a stuzzicare quel coso marcio, puzzolente. [p. 155 modifica]

— Non ti dirò, ma tante volte....

— E io lo risotterrerò, proviamo....

Il giorno, me ne ricordo come fosse ora, andavo a fare accomodare dal fabbro certe marre, e m’imbattei in Cecco, che veniva dalla stradella del camposanto colla vanga e colla pala in spalla.

— Che hai messo qualcun altro a dormire? — gli domandai:

— Se tu sapessi! — mi rispose.

— Che cosa?

— Ho risotterrato Fioraccio.

— L’hai sotterrato oggi? Almeno ce l’hai tenuto il suo tempo all’aria, — gli dissi io. — Che avevi paura che non fosse morto bene?....

— L'ho risotterrato! — E mi raccontò tutta la storia.

Io non ci volevo credere e mi rammento che dissi:

— Scommetto che ci è qualcuno, che l’aiuta a uscir fuori!

— Lo credo anch’io che qualcheduno l’aiuti; e ci vuol poco ad indovinar chi!

— Ho inteso quel che tu vuoi dire: no no qualcheduno colla vanga e colla pala.

— Si fa una cosa? Si sta a vedere stanotte noi due? Hai paura?....

— No, — mi rispose, — solo non ci starei, con te sì. [p. 156 modifica]

— Badiamo, non discorrere, — dissi io, — stasera alle nove vengo da te a cercarti a casa e poi vedrai se è vero quel che dico io.

La sera alle nove ero alla casa di Cecco.

— Dobbiamo andare?

— Andiamo; ma avanti voglio prendere un pezzo di paletto; almeno se qualcheduno viene....

— Hai ragione, — risposi — voglio prenderlo anch’io.

Levammo le spine al carro, e adagio adagio c’incaminammo verso il camposanto. La serata era brutta: voleva piovere. Fuori del Camposanto non c’era da stare, perchè ci avrebbero veduti.

— Dove ci riponiamo?

— È meglio entrar dentro.

Cecco prese la chiave aprì il cancello ed entrammo. Ma richiudere di dentro non si poteva.

— Lascia accosto — diss’io — tanto se vengono, non passano dal cancello, scavalcano il muro.

— Ma ci vedono qui.

— Dov’è la buca?

— Lì accosto alla stanza mortuaria.

— Allora stiamo nella stanza.

— Nella stanza?

— E dove? Non c'è altro posto, mi pare. [p. 157 modifica]

C’era una panchetta ci mettemmo a sedere. Io accesi la pipa.

— Che ti metti a fare? — mi disse Cecco, — se vedono il fuoco se ne accorgono subito che siamo qui.

— Già, e tu credi che io voglia star qui tutta la notte senza neppur fumare? mi addormento.

Si fece qualche altra parola, e poi ci chetammo; non avevamo voglia di discorrere nè lui nè io. Non si sentiva altro rumore che quello dei pipistrelli, che entravano ed uscivano dalla porta; si udiva solamente qualche cane abbaiare da lontano e friggere la pipa. Tirava vento acquaio e si sentiva veramente bene l’orologio di ***. Batterono le undici e poco dopo mi parve che ci fosse qualcuno a camminare nella strada.

— C’è gente! — dissi io.

— Ho sentito, — rispose Cecco.

— Zitto! s’avvicina! eccolo.

Ma quello quando fu vicino al cancello si mise a fischiare, proprio come quando uno ha paura.

— È Faustino — disse Cecco — lo riconosco.

Infatti quello passò e seguitò, si sentì allontanare e poi più nulla. Dopo una mezz’ora una civetta mi passò proprio d’accosto al viso e mi fece riscuotere; ma ebbe paura di noi, [p. 158 modifica] scappò e si mise a cantare fuori del camposanto.

— Dev’esser vicino alla mezzanotte.

— Si potrebbe andar via — dissi io — ormai non viene più nessuno.

— Aspettiamo che batta.

— Aspettiamo...

— Zitto, batte.. cinque.. sei.. sette.. otto.. nove.. dieci.. undici.. e dodici.

Mi sentii prendere per un braccio e stringere forte.

— Guarda!

Dov’era sotterrato Fioraccio la terra si alzò adagio adagio, proprio come se gonfiasse per ribollimento, ed uscì fuori lui ritto; stette un momento, e poi ricadde in terra disteso per il verso della buca. Cecco non fece parola, traversò di passo lesto il camposanto, ed escì fuori; io dietro: mi volevo voltare per vedere se era proprio lui.... e sì che il coraggio non mi mancava... gli passai proprio d’accosto apposta, ma non lo guardai... la racconto come sta.... Cecco tremava; si sentiva a discorrere:

— Hai visto? — mi disse.

— Ho visto.... E il cancello non lo chiudi?

— Non vo’ chiuder nulla, deve venir da sè il priore a vedere.... lui che non ci credeva... ci voglio andar ora e tu devi venir con me.

— Ma che ti pare ora questa? — gli feci [p. 159 modifica] osservare io, — piuttosto domattina presto.

Vengo a dormire da te; giusto ho detto a casa mia che non tornavo, e avanti giorno ci andiamo.

Difatti presto presto eravamo dal priore, e gli raccontammo tutto il fatto.

— E che facciamo? — ci disse.

— Se non lo sa lei, chi lo deve sapere? — rispose Cecco.

— A provare....

— A che fare? A risotterrarlo, forse? Tanto inutile.

— È inutile sicuro — dissi anch'io; — si vede bene che nel sagrato non ci vuole stare. A essere tanto birbone....

— Zitto! — allora disse il prete — e non raccontate nulla a nessuno. Ve lo metto a scrupolo di coscienza. E poi non sta a noi a giudicare i morti. Tu, Cecco, vai e rimettilo sotto terra.

— Mi comandi quel che vuole, l’obbedisco in tutto; ma al camposanto ora com’ora non ci torno..... se vuole la chiave del cancello, eccola.... ma io....

— Non ti confondere, ci manderò con te qualcheduno.... se hai paura.... E voi, fatemi piacere di andare al convento di.... vi darò una lettera per il guardiano...

Difatti scrisse un biglietto, me lo détte e lo portai. Il guardiano lo lesse, e mi disse: [p. 160 modifica]

— Ho inteso; dite al priore che farò tutto.

Tornai a portare la risposta al priore.

— L’ha risotterrato? — domandai.

— Sì, ma c’è voluto del buono e del bello; non ci voleva tornare a nessun costo; alla fine però ci è andato.

— Comanda? — gli dissi.

— Per ora no; forse stasera potrò aver bisogno di voi. In caso vi manderò a chiamare.

— Sono a casa, vengo subito.

Nell’essere a lavorare non faceva altro che pensare fra me e me che cosa potesse volere da me il prete; mi immaginavo però che dovesse essere per via di Fioraccio. Verso le ventitre venne da me il nipote del priore a dirmi che fossi andato da lui. Andai, entrai nella canonica, e ci trovai due capuccini, che erano venuti per scongiurar Fioraccio. Il priore voleva che ci andassi anch’io.

— E quando bisogna esserci?

— Stanotte.

— Allora bisogna che vada a dirlo a casa.

La mia moglie mi disse:

— O che stai fuori anche stanotte? Non si sa quel che tu vada a fare.

Le inventai non mi ricordo che cosa, e dopo cena tornai alla prioria. Il Priore volle che anch’io cenassi li con lui. I cappuccini non vollero nè bere nè mangiare, e si sentivano [p. 161 modifica] nella stanza accanto dir l’ufizio e fare orazione. Quando fu verso la mezzanotte, uno de’ frali si affacciò all’uscio, e disse:

— È l’ora; andiamo.

Il priore fece il viso bianco, ma dovè fare di necessità virtù, e venire anche lui. Prendemmo una lanterna, ed uscimmo di casa dalla porticina dall’orto. Eravamo cinque: il priore, i cappuccini, Cecco, ed io: tutti zitti zitti; con quel buio si pareva tanti congiurati. Io ero avanti coi cappuccini, il prete e Cecco dietro. Arrivati al cancello mi provai ad accender la lanterna, ma non mi riusciva, un po’ per il vento, un po’ perchè i fiammiferi, che avevo presi in casa, avevano tirato l’umido: li avevo finiti quasi tutti: finalmente uno prese, misi la lanterna sotto il pastrano e l’accesi. Il priore fu l’ultimo ad entrare nel camposanto....

— Non lo dicevo io? — disse Cecco. — È bell’e ritornato fuori!

Io ero avanti. Il lume battè proprio sulla faccia di Fioraccio. Ma già che dico faccia?.. Pareva un pezzo di carbone: tutto nero, colla bocca aperta, e nel nero della bocca si vedeva spuntare quei due dentacci gialli; gli occhi erano come due buchi fondi colla luce gialla; pareva che risplendessero. Rimasi male, e mi fermai lì su due piedi. [p. 162 modifica]

— Dio! com’è brutto! — non potei fare a meno d’esclamare.

— Zitto! — disse il frate, che avevo accosto.

Poi tutt’e due si misero la stola, aprirono il libro, benedissero il morto coll’acqua santa, e principiarono a fare lo scongiuro. Io facevo lume; il priore mi teneva per una manica, e sentivo che tremava; ogni tanto, bisognava sentire, dava certi scossoni, che mi facevano tentennare la lanterna in mano.

— Se tu credi, non lo posso nemmeno guardare.

— E lei non lo guardi, ma non mi tenga per la manica, altrimenti, lo vede, non posson leggere.

— Antonio!... Antonio! — diceva il cappuccino — Antonio, rispondete!... ve lo comando in nome di Dio!

— E quello, zitto.

— Provi a chiamarlo Fioraccio, — diss’io in un orecchio al frate; — potrebbe darsi che al nome di battesimo non voglia rispondere.

Il frate intinse l’aspersorio nell’acqua benedetta e lo ribenedisse:

— Fioraccio! rispondete.

Si senti una voce cupa, come se venisse di sotto terra dieci braccia:

— Chi mi chiama? Che vuoi?

Rispondeva il Diavolo per lui! [p. 163 modifica]

— In che maniera non state dove vi mettono.... perchè?

— Perchè non ci posso stare.

— Io vi comando di starci!

— Non posso.

— Ci starete!

— No, perchè.... — e costì lo disse il perchè, raccontò quel che aveva fatto in vita.... raccontò certe cose!.... certe cose!.... che il prete poi ci mise sotto sigillo di confessione; disse che era dannato in corpo ed anima, e nel dir così proferì un’eresia. E poi disse:

— Portatemi via di qui!

— E dove volete andare?

— All’Arno. Voglio duecento braccia d’acqua. Da dove non si senta suon di campane!

— Ne avrai tre braccia.

Si sentì un’altra bestemmia, sempre da quella voce di sottoterra, perchè Fioraccio, ci badai, la bocca non la muoveva. E i frati benedivano.......

— Per l’ultima volta!.... Quant’acqua vuoi?

— Cinque braccia.

— Ne avrai tre e non più.

E costì a contrastare. Alla fine disse:

— Che dobbiamo andare? Andiamo. Ma non con tanta furia!

E nel medesimo tempo si vide scappare [p. 164 modifica] vestito di rosso e saltar ritto sul muro del camposanto.

— Oh! Va da sè, — dissi io.

— Zitto! — disse il cappuccino, — è proprio il momento di far gli scherzi! Ora non c’è da far altro: torneremo domani sera....

Ed uscimmo dal camposanto. Bisognava sentire come tremava il prete!

— Davvero! Che cose! — non potei fare a meno di dire quando fummo per la strada.

— Zitto! — vi ho detto, — rispose il capuccino. — Pensate piuttosto a pregar Iddio che ci tenga le sue sante mani addosso a tutti.

La mattina il prete mi mandò a chiamare, e mi disse:

— Bisogna portarlo via stanotte in tutte quante le maniere, e voi dovete fare la cassa.

— Ma io non ho mai fatto casse da morto!

— Basta che sia; quando volete farla una cosa vi riesce, e poi, bada lì, ci vorrà dimolta maestria! Anche se le commettiture non combaciano per l’appunto, vorrà dir poco.

— Eh sicuro! — risposi io.... Mi proverò.

— E penserete voi ad incassarlo e ogni cosa.... tornate, quando avete finito la cassa.

Andai a casa, presi certe assi di castagno, le segai e feci la cassa; poi andai alla prioria. Ci trovai il prete coi cappuccini, che discorrevano fra loro. [p. 165 modifica]

— La cassa è bell’e fatta.... la devo portar qui?

— Che ti pare? Quando è buio la porterai al camposanto, lì lo incasserai te; senti se ci viene anche Cecco.... insomma fai tu, basta che sia incassato.... E poi bisognerà pensare a portarlo.

— Ho capito, — risposi, — le devo fare tutte io a quanto pare! Facciamo anche questa!

— A dirlo a Cecco non si cava le mani di nulla, e qui bisogna risolvere.

— Ma a portarlo via come si fa?

— In qualche modo bisognerà portarlo.

— Bisognerà dirlo a qualcheduno della Compagnia.

— No, perchè lo sapete meglio di me, bisogna far la cosa occulta più che sia possibile.

— Occulta capisco, ma pure bisognerà trovare qualcuno che lo porti. E non la metto fatta di trovarli i vogliosi; di qui all’Arno è lunga.... ma se vuole, sentirò.

— Badiamo veh! prudenza!

— O non mi farebbe rider lei? Come si fa a chiamare uno a durar fatica per un lavoro come questo, e non dirgli di che si tratta; bisogna dirgliela tale e quale, come la sta.

— Fai tu, — mi disse il prete, — fai meglio che puoi, e buona notte.

Ma quando fui nella strada ritornai subito in su dal priore. [p. 166 modifica]

— Non abbiamo pensato ad una cosa. Incassarlo bisognerà incassarlo, perchè è marcio, e vi sarebbe da perderlo per la strada. E incassato chi lo porta per otto miglia? La cassa è di castagno, è pesa; ci vorrebbero che uomini! O chi prendesse un baroccio?

Combinammo di portarlo col baroccio, che andai a cercare da un mio cugino con la scusa di avere da portare certi fondi da tino. Poi andai con Cecco, che non voleva venire, e verso le ventiquattro e mezzo prendemmo la cassa, e la portammo al camposanto. Ma quanto fiato ci perdessi con Cecco lo so solamente io. Non voleva venire a nessun costo. E aveva anche ragione!.... Era sempre lì, come fu lasciato la sera avanti. Che faccia! Dio Signore! Si vedeva subito che era dannato! Da quella veste bianca gli usciva quella testa nera, colla cotenna gialla, con quei due dentacci fuori e cogli occhi fissi infondo alle buche.... pareva che ci guardasse....

— Andiamo, prendilo di sopra — dissi io.. — Mi rivolgo... discorrevo da me solo... Cecco era fuggito. Lo sento nella strada e lo chiamo:

— Cecco?

— Che vuoi?

— E che facciamo?

— Senti veh! Se puoi far da te, bene, se non puoi fare, chiama qualcun altro. Me, mi [p. 167 modifica] hai bell’e visto. — E non ci volle ritornare a nessun costo.

Mi ritrovai male... lì in quel momento.... solo in quel modo... volevo andar via anch’io... volevo chiamare.. ma poi dissi: — Qualcuno bisogna che lo faccia, voglio farlo io, il prete me lo ha ordinato e in fin de’ conti levavo uno scandalo... Feci un cor risoluto... l’alzai da una parte, lo rovesciai nella cassa, così come veniva... Un puzzo! un puzzo, Madonna, da levare il respiro! Avanti di mettere il coperchio o che non mi venne fatto di riguardarlo? Sarà stata l’ubbia; o non mi parve che ridesse!.... proprio come da vivo? Buttai il coperchio sopra, e fuggii.... bisogna che lo dica.... fuggii anch’io!

Il priore mi disse di attaccare il baroccio verso le dieci di sera, quando non c’era gente per la strada, e di fermare al camposanto. Ci trovai ad aspettarmi sul cancello il priore, i cappuccini, Cecco, un fratello di Cecco e altri tre, che aveva chiamati il priore. Tutti zitti prendemmo la cassa, la mettemmo sul barroccio; io presi il cavallo per la briglia, e partimmo. Era una notte buia, afosa, si durava fatica a respirare ed a vederci l’uno coll’altro al lume di due lanternoni da compagnia.

A quel che ci ritrovammo per la strada in quella notte Dio solo lo sa. Il barroccio [p. 168 modifica] ora era di qua ora di là dalla strada: tante volte attraverso agli alberi, mai diritto per dieci passi, e quel povero ciuco durava una fatica, una fatica, come se la cassa fosse stata di massello, di piombo. Quei due lanternoni si spengevano a ogni momento. Ogni tanto si vedeva accostare una specie di nebbia grossa, nera che copriva ad un tratto noi, il barroccio, ogni cosa. I frati badavano a benedire, e tutti noi ci raccomandavamo a Dio e alla Madonna. Anch’io in quel momento avevo perso il coraggio. Il povero prete si dovè fermare a una casa, perchè non poteva venire più avanti. Ma questo non era nulla.

A un tratto alla voltata del mulino di *** ci prese una furiata di vento come un uragano, che schiantò alberi, portò via i pagliai, le tegole del tetto: e intorno a noi fece un mulinello di foglie, di polvere, di paglia e di fastelli. Quando me ne rammento. Dio mio! Che affare, che notte fu quella! D’un vento in quel modo non ho memoria. Due pagliai a *** li portò via, come se fossero stati due pennecchi di stoppa; un pino grosso, che in tre uomini non s’abbracciava, lo svelse e lo portò attraverso il piano. E per gli argini d’Arno le querce diramate, le piante torte come legaccioli: non si vedeva più nè bestia nè barroccio, nulla. Non si sapeva più dove fossimo, e ci si racco[p. 169 modifica]mandava l’anima a Dio l’uno con l’altro; non lo so neppur io come ci ritrovammo sul greto d’Arno, proprio dove l’acqua era fonda più che per tutto. Riconobbi il posto a mala pena. La bestia si fermò da sè.

— Qui, — disse un cappuccino.

— No, — replicò quella solita voce del camposanto! — Più acqua!... più acqua! — e giù bestemmie da far paura.

— Questa ti basti!

E quell’altro bestemmie... bestemmie...

— Qui, te lo comando in nome di Dio!

Si vide ad un tratto una gran fiamma come a buttare dello zolfo sul fuoco..... scappò come un forzaiuolo vestito di nero.... Si sentì un tonfo nell’acqua, un gorgoglìo.... si guardò il barroccio.... non c’era più nulla.

Si torna via: io arrivato a casa, staccai il barroccio, e misi la bestia nella stalla.

— Che sei tu? — mi disse la moglie. — Aspetta, ora mi levo.

Io non risposi, non mi pareva neppure che dicesse a me.

— Vuoi mangiare? iersera tu non cenasti; tu devi aver fame.... c’è questa braciola.... in due minuti è bell’e cotta. — E così dicendo si mise ad accendere il fuoco.

Io lo guardavo, mentre mia moglie mise su una fascina, che principiò a scoppiettare e a far faville; e dissi proprio senza badarci: [p. 170 modifica]

— Così era lui!

— Chi lui?

Alla domanda di mia moglie mi avvidi di aver discorso troppo e di essermi confessato senza volere. Non le volevo dir nulla, ma alla fine glielo dovei dire. Mi provai a mangiare e non potei. Andai a letto. Mi ero mezzo addormentato, quando sentii aprir l’uscio di casa: mi misi in orecchio, e sentii come ruzzolare il calderotto e la mezzina per terra.

— C’è gente! — mi disse mia moglie.

— Ho sentito — risposi, — stai zitta! — Si sentì rumore di nuovo.

— Levati, c'è gente!

Mi levai, accesi il lume, andai in cucina, ma non c’era nessuno: le mezzine erano sull’acquaio, il calderotto attaccato al suo posto. L’uscio era chiuso colla stanga. Stetti un pezzetto in ascolto: nessuno. Ritornai a letto, si fece giorno, ed ancora non mi ero riaddormentato. Le mezzine e il paiolo seguitarono a ruzzolare sempre tutte le notti alla medesima ora. La mattina, fuori, trovai la vecchia, che aveva assistito Fioraccio. Mi fermò, mi discorse di lui, del fatto della notte, che aveva saputo, e poi in ultimo mi disse, quando le ebbi raccontato delle mezzine:

— Ed io a quell’ora, non potendo dormire, mi ero messa a dire il rosario per lui. Appena [p. 171 modifica] principiato, mi è apparito vestito di rosso, cogli occhi di fuoco:

— Non lo dir per me, mi ha detto, è inutile! Sono dannato. Dannato per sempre!!..

FINE