Il feudatario/Atto II

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Atto II

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Atto I Atto III

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ATTO SECONDO.

SCENA PRIMA.

Altra camera.

Il Marchese Florindo, poi Olivetta.

Florindo. Venite, belle giovani, in questa camera, che staremo meglio; con più libertà.

Olivetta. (In caricatura) Eccomi a godere le grazie di Vostra Eccellenza. (con un inchino)

Florindo. Oh graziosissima! Come vi chiamate?

Olivetta. Olivetta, ai comandi di Vostra Eccellenza.

Florindo. Quest’abito mi piace assai.

Olivetta. Ai comandi di Vostra Eccellenza.

Florindo. Voi siete bellissima. [p. 38 modifica]

Olivetta. Ai comandi di Vostra Eccellenza.

Florindo. Benissimo. Saprò approfittarmi delle vostre grazie. Ma dove sono queste altre signore? Favorite, venite avanti. (alla porta)

SCENA II.

Giannina1 in caricatura, e detti.

Giannina. Son qui per obbedire Vostra Eccellenza. (inchinandosi)

Florindo. Come avete nome?

Giannina. Giannina, per obbedire Vostra Eccellenza.

Florindo. Siete bella, siete graziosa.

Giannina. Per obbedire Vostra Eccellenza.

Florindo. Avete due belli occhi, una bella bocca.

Giannina. Per obbedire Vostra Eccellenza.

Florindo. Cortesissime giovinotte, io son contentissimo di questo mio Marchesato, non lo cambierei con un re di corona. Ma ecco l’altra mia bella suddita.

SCENA III.

Ghitta2 in caricatura, e detti.

Ghitta. Eccellenza, all’onore di riverirla.

Florindo. Volete voi partire?

Ghitta. Eccellenza no, vengo anzi ad onorarla.

Florindo. Oh cara! vi sono obbligato. Che nome avete?

Ghitta. Ghitta, per inchinarmi a’ cenni di Vostra Eccellenza.

Florindo. Ma voi parlate elegantemente!

Ghitta. Sarò ben fortunata, se potrò gloriarmi di essere, quale con tutto il rispetto mi dico, di Vostra Eccellenza.

Florindo. (Ha imparata a memoria la chiusa d’una lettera). (da sè) Sicchè voi siete le principali signore di Montefosco? [p. 39 modifica]

Giannina. Mio padre è il deputato maggiore, per obbedire Vostra Eccellenza.

Olivetta. Ed il mio è uno delli tre, ai comandi di Vostra Eccellenza.

Florindo. Me ne rallegro. E voi, signora mia, chi siete? (a Ghitta)

Ghitta. Sono... Non fo per dire... Vostra Eccellenza lo domandi... Sono l’idolo di Montefosco.

Florindo. Caro il mio idoletto, se io vi farò un sacrifizio, lo accetterete?

Ghitta. Sacrifizio? Di che?

Florindo. Del mio cuore.

Giannina. E a me, signore?

Olivetta. E a me?

Florindo. Ce n’è per tutte, ce n’è per tutte. Vi verrò a ritrovare. Aspettate. Dove state di casa? (ad Olivetta)

Olivetta. Dirimpetto alla fontana maggiore, per obbedire Vostra Eccellenza.

Florindo. (Cava un taccuino e scrive) Dirimpetto alla fonte3. E voi? (a Giannina)

Giannina. Quando uscite di casa, la terza porta a banda4 dritta, ai comandi di Vostra Eccellenza.

Florindo. Giannina. La terza porta a mano diritta. E voi? (a Ghitta)

Ghitta. In quel bel casino, sopra quella bella collina, domandate dove abita Ghitta.

Florindo. Bel casino, bella collina, la bella Ghitta. Non occorre altro, vi verrò a ritrovare.

Olivetta. Ma Vostra Eccellenza non si degnerà di noi5.

Florindo. Anzi sì, sarò tutto vostro.6

Olivetta. Oh! Eccellenza...

Florindo. Orsù, lasciamo le cerimonie. Fra noi, ragazze mie, trattiamoci con confidenza.7

Giannina. Oh! Eccellenza... [p. 40 modifica]

Florindo. Orsù; tanta8 Eccellenza mi annoia, trattiamoci9 con libertà.

Ghitta. Il signor10 Marchesino è un giovine senza cerimonie. Lasciamo andare11, e parliamo alla nostra usanza.

Florindo. Bravissima. Senza soggezione.

Giannina. Benedetto! Mi sentiva crepare.

Olivetta. Noi non siamo avvezze a titoleggiare.

Florindo. Basta che mi vogliate bene, e non voglio altro.

Giannina. Oh! come è carino12.

Olivetta. Oh! come è grazioso.

Ghitta. Oh! come è bellino.

Florindo. Staremo in allegria, canteremo, balleremo.

Ghitta. Ma la signora Marchesa?

Florindo. Non dirà niente.13

Giannina. Sarà buona come lui?

Olivetta. Ci vorrà bene come lui?

SCENA IV.

La Marchesa Beatrice e detti.

Beatrice. Eccomi, signore mie.

Ghitta. Oh, signora Marchesa! (le vanno incontro allegramente, senza inchinarsi, all’uso loro)

Giannina. Benvenuta.

Olivetta. Me ne rallegro.

Giannina. Sta bene?

Beatrice. Olà, che confidenza è questa? Con chi credete voi di parlare?

Ghitta. Eccellenza... Il signor Marchesino ci ha detto... che non vuole tante cerimonie.

Beatrice. Il Marchesino scherza. Voi sapete chi sono.

Florindo. Compatite, signora madre, sono di buon cuore. [p. 41 modifica]

Beatrice. Voi andate. Questa visita viene a me. (a Florindo)

Florindo. Non occorr’altro. (Esse fanno la visita a mia madre, ed io una alla volta anderò a visitarle tutte). (da sè, parte)

SCENA V.

La Marchesa Beatrice, Giannina, Ghitta, Olivetta; poi un Servitore.

Ghitta. (Ora sono un poco imbrogliata). (da sè)

Olivetta. (La madre è più sostenuta del figlio). (da sè)

Giannina. (Perchè siamo donne; se fossimo uomini, chi sa?) (da sè)

Beatrice. (Mio figlio non vuole usar prudenza). (da sè)

Ghitta. Eccellenza...

Beatrice. Chi è di la?

Servitore. (Fa riverenza.)

Beatrice. Da sedere. (il servitore distribuisce quattro sedie; parte, e poi torna) Sedete, (seggono) Vi siete incomodate a favorirmi.

Ghitta. Per obbedire Vostra Eccellenza.

Giannina. Ai comandi di Vostra Eccellenza.

Olivetta. Serva umilissima di Vostra Eccellenza.

Beatrice. Siete fanciulle, o maritate?

Ghitta. Maritate, per obbedire Vostra Eccellenza.

Giannina. Ai comandi di Vostra Eccellenza.

Olivetta. Serva umilissima di Vostra Eccellenza.

Beatrice. Sono qui i vostri mariti?

Giannina. Io sono la moglie del semplicista, ed è in montagna a raccoglier l’erbe.

Olivetta. Il mio è il chirurgo, ed è andato a Napoli a cavar sangue a un cavallo.

Ghitta. Il mio è qui, e fa il cacciatore.

Beatrice. Ma compatitemi;14 voi sarete del basso rango.

Ghitta. Eccellenza sì. (con vanità)

Giannina. (Che cosa vuol dir del basso rango?) (a Ghitta) [p. 42 modifica]

Ghitta. (Vuol dire che noi non siamo della montagna, ma del paese più basso). (da sè) Eccellenza sì, siamo del basso rango.

Beatrice. Ci sono pure i deputati della Comunità?

Giannina. Eccellenza sì; mio padre è quel di mezzo.

Olivetta. Il mio è quello dalla parte sinistra.

Ghitta. E il mio è quello dalla parte diritta.

Beatrice. Dunque voi siete le più nobili del paese.

Ghitta. Eccellenza sì; siamo quelle del basso rango.

Beatrice. (Sono veramente godibili). (da sè) Vi ringrazio dell’incomodo che vi avete preso.

Ghitta. Per obbedire Vostra Eccellenza.

Giannina. Ai comandi di Vostra Eccellenza.

Olivetta. Serva umilissima di Vostra Eccellenza.

Beatrice. Chi è di là?

Ghitta. (Chi è di là. Sentite? Imparate). (a Giannina)

Beatrice15. La cioccolata. (al servitole che parte, poi torna)

Giannina. (Che cosa ha detto?) (a Ghitta)

Ghitta. (La cioccolata).

Giannina. (Per che fare?)

Ghitta. (Ignorante! Per bere).

Olivetta. (Che cosa ha detto?) (a Giannina)

Giannina. (Ci vuol dar da bere).

Olivetta. (Ho sete, berrò volentieri).

Beatrice. (Bella civiltà! parlano fra di loro). (da sè) Ebbene, raccontatemi qualche cosa.

Ghitta. Il lino, Eccellenza, quanto vale a Napoli?

Beatrice. Io non ne ho cognizione.

Giannina. Che volete voi che Sua Eccellenza sappia di queste cose? Una Marchesa non fila, come facciamo noi. Ella farà dei pizzi, ricamerà, farà delle scuffie. Non è vero, Eccellenza?

Beatrice. Sì, bravissima. Ecco la cioccolata. (Il servitore, che porta quattro chicchere di cioccolata, ne dà una alla Marchesa.) [p. 43 modifica]

Giannina16. (Che cosa17 è questa?) (a Ghitta)

Ghitta. (Cioccolata).

Giannina. (Così nera? Ehi! cioccolata nera!) (ad Olivetta)

Olivetta. (Io non ne ho più bevuto), (il servitore ne dà una a tutte18)

Ghitta. Alla prosperità di Vostra Eccellenza. (se l’accosta alla bocca, sente che scotta, e la ritira) (Ehi! scotta). (a Giannina, e ne va bevendo)

Giannina. (Scotta, non la voglio). (ad Olivetta)

Olivetta. (Nemmen io).

Giannina. Chi è di là? (chiama il servitore, e gli dà la chicchera)

Olivetta. Chi è di là? (fa lo stesso)

Ghitta. (Non posso più). Tenete, chi è di là? (come l’altre)

Beatrice. Che? Non vi piace?

Ghitta. Eccellenza, non ho più sete.

Beatrice. (In verità è da ridere. Vedo Rosaura in quella camera). (da sè) Ehi! Di ’alla signora Rosaura che venga qui. (al servitore)

Ghitta. (Avete sentito? Ha fatto chiamare Rosaura). (a Giannina)

Giannina. (Stiamo al nostro posto).

Ghitta. (La sarebbe bella! Siamo del basso rango).

Giannina. (Se vien Rosaura, non vi movete). (ad Olivetta)

Olivetta. (Oh! non dubitate).

SCENA VI.

Rosaura, dette, poi il Servitore.

Rosaura. Che mi comanda Vostra Eccellenza?

Beatrice. Venite qui, cara Rosaura, ho piacere d’avervi in compagnia.

Rosaura. Mi fa troppo onore, Eccellenza. (con riverenza)
(Le tre donne fra di loro la burlano.)

Beatrice. (Ehi! con queste donne è una commedia). [p. 44 modifica]

Rosaura. (Eppure hanno la loro parte di superbia).

Beatrice. Sedete, Rosaura. Ehi! porta qui una sedia.

Rosaura. Vostra Eccellenza è piena di benignità. (con inchino; le tre donne la burlano)
(Il servitore mette una sedia vicino a Ghitta dalla parte di Beatrice, e le donne si fanno cenni fra loro. Ghitta passa dalla sua sedia a quella messa per Rosaura, e così le altre due avanzano una sedia, e per Rosaura vi resta l’ultima.

Rosaura. Ha veduto, Eccellenza?

Beatrice. Che vuol dire, signore mie? Non vi piaceva il posto in cui eravate?

Giannina. (Rispondete voi). (a Ghitta)

Ghitta. Dirò, Eccellenza... Siccome... il rispetto della vicinanza mi obbliga... così son più vicina a riverirla.

Giannina. (Brava). (verso Olivetta)

Olivetta. (Ha risposto bene).

Rosaura. Queste signore19 non si degnano che io stia sopra di loro. Vede, Eccellenza, come mi sbeffano? (le tre donne ridono forte20)

Beatrice. Che maniera impropria è la vostra? Così perdete il rispetto ad una dama mia pari?

Ghitta. Eccellenza, non lo facciamo per lei.

Giannina. Non ridiamo di lei, Eccellenza.

Olivetta. Oh! Eccellenza...

Beatrice. Capisco che siete schioccherelle, e vi compatisco. Avete però della superbia, che all’esser vostro non conviene.

Ghitta. Eccellenza, noi siamo del basso rango...

Beatrice. Venite qui, Rosaura, sedete sulla mia sedia. Questa a voi si conviene, che siete nata civile. (si alza)

Rosaura. Rendo grazie all’Eccellenza Vostra.

Giannina. (Andiamo via). (a Ghitta ed Olivetta)

Ghitta. (Sì, sì, andiamo). (si alzano)

Beatrice. (Che femmine temerarie!) (da sè)

Ghitta. Eccellenza, noi siamo venute per umiliarci alla grandezza [p. 45 modifica] vostra21, non per fare onore ad una, che nel nostro paese non conta niente. Serva di Vostra Eccellenza. (parte)

Giannina. Serva di Vostra Eccellenza. (parte)

Olivetta. Serva di Vostra Eccellenza. (parte)

SCENA VII.

Rosaura, la Marchesa Beatrice, poi Florindo.

Beatrice. Io resto attonita, come dar si possa in costoro tanta temerità. Ma appunto la temerità procede dall’ignoranza. Io farò conoscere a queste impertinenti il loro dovere. Farò loro conoscere chi sono io, chi siete voi.22

Rosaura. Ah! signora Marchesa, mirate a qual grado di dispezione mi porta il destino. E qui dovrò vivere? E qui dovrò vedermi sacrificata? Signora Marchesa, abbiate pietà di me.

Beatrice. (Veramente23 merita compassione!) (da sè) Penserò24 al modo di rendervi consolata.

Rosaura. Eh! signora, se le parole bastassero, tutti gl’infelici 25 sarebbero consolati.26 Chi vive fra gli agi e le morbidezze, non crede agli affanni di chi languisce penando; e chi trovasi collocato in grado di nobiltà grandiosa, non cura, non ascolta e spesso ancora disprezza chi è nato nobile, ed è sfortunato.27

Beatrice. (Parla in guisa che mi sorprende). (da sè)

Florindo.28 Posso venire? Mi è permesso?

Beatrice. Venite; perchè tal dubbio?

Florindo. Quando vedo donne, ho sempre timore, ho sempre soggezione. [p. 46 modifica]

Beatrice. Quando però ci sono io, non quando le trovate sole.

Florindo. Chi sente voi, Eccellentissima signora madre, crede ch’io sia il maggior discolo di questo mondo. Voi mi fate un bel carattere. Cara signora, non lo credete. Io sono un veneratore della bellezza, che sa29 trattare le donne con rispetto e con civiltà.

Rosaura. Perdonatemi, signore, voi non mi avete fatto creder così quando...

Florindo. Oh! allora non vi conosceva; ma ora che so chi voi siete, non vi lagnerete di me. Signora madre, questa è una damina. Me ne ha informato il signor Pantalone.

Beatrice. Sì, è nata nobile, ma sfortunata.

Florindo. Per amor del cielo, non l’abbandonate. Soccorriamola. Io voglio fare la sua fortuna.30

Rosaura. Signore, questo bene lo spero dalla signora Marchesa.

Florindo. Eh! la signora Marchesa non vi può fare il bene che vi farà il signor Marchese... Io, io, cara, lo vedrete.

Beatrice. Rosaura, ritiratevi, se vi contentate. Ho da parlare col Marchesino.

Rosaura. Obbedisco. (Chi sa! può essere che il mio destino si cangi31). (da sè, parte)

SCENA VIII32.

La Marchesa Beatrice, il Marchese Florindo, poi il Servitore.

Beatrice. Badatemi con un poco di serietà.33 (si mette sul serio) Sapete voi chi sia quella giovane?

Florindo. Sì, signora, lo so.

Beatrice. Sapete voi che ella sia la legittima erede di questo Marchesato?

Florindo. Come! l’erede non sono io? [p. 47 modifica]

Beatrice. Sì, voi l’avete ereditato da vostro padre.

Florindo. Dunque è mio.

Beatrice. Ma il Marchese vostro padre lo ha comprato dal padre della infelice Rosaura.

Florindo. Chi ha venduto, ha venduto, e chi ha comprato, ha comprato.

Beatrice. Sentenza veramente da uomo letterato e di garbo! Il padre di Rosaura lo ha venduto, e non lo poteva vendere.

Florindo. Se non l’avesse potuto vendere, non l’avrebbe venduto.

Beatrice. Bella ragione! Quante cose si fanno, che non si potrebbero fare?

Florindo. Basta, sia com’esser si voglia. La cosa è fatta; e quel che è fatto, è fatto.

Beatrice. Non sapete voi che ella potrebbe ricorrere, domandare giustizia, ed essere risarcita?

Florindo. Sì, sì, vada in città; si metta a litigare. Senza denari, senza protezione, otterrà qualche cosa.

Beatrice. Dunque fondate la ragione vostra sulla sua miseria, sulla sua infelicità.

Florindo. E voi, signora madre prudentissima, mi consigliereste renderle a patti il Marchesato, e perdere il danaro e la giurisdizione? Una giurisdizione, che non la darei pel doppio di quel che ci costa. (Tutte le donne mie!) (da sè)

Beatrice. Vi sarebbe un rimedio facile ed onesto, se voi vi acconsentiste.

Florindo. Suggeritelo, e lo farò.

Beatrice. Come vi gradisce l’aspetto di Rosaura?

Florindo. Mi piace, è bella, è graziosissima.34

Beatrice. Aggiungete che ella è savia e modesta.

Florindo.35 È verissimo. (Anche troppo). (da sè)

Beatrice. Inclinereste voi a sposarla? [p. 48 modifica]

Florindo. A sposarla?

Beatrice. Sì, ella è nobile quanto voi.

Florindo. La nobiltà va bene, ma mi dispiacerebbe36 di perdere la mia libertà.

Beatrice. Un giorno o l’altro dovrete ammogliarvi.

Florindo. Sì, ma più tardi che potrò.

Beatrice. Eppure le donne non vi dispiacciono.

Florindo. È verissimo. (scherzoso)

Beatrice. E perchè non volete accompagnarvi con una donna?

Florindo. La donna non mi fa paura, mi fa paura il nome di moglie.37

Beatrice. Orsù, convien risolvere. O determinarvi di sposare Rosaura, o convien prendere qualche altro espediente.

Florindo. Aspettate che io la pratichi un poco, che io m’innamori, e forse la sposerò.

Beatrice. Sì, certamente di voi mi potrei fidare. O sposatela, o statele ben lontano.

Florindo. Ci penserò.

Servitore. Un uomo della Comunità con altri villani, che vorrebbero inchinarsi a Sua Eccellenza padrone.38

Florindo. Che cosa vorranno costoro?

Servitore. Credo vengano a presentare a Vostra Eccellenza dei regali.

Florindo. Oh! vengano, vengano.

Servitore. (I regali piacciono a tutti). (da sè, parte)

Beatrice. Riceveteli voi, che io intanto parlerò col signor Pantalone, per rimediare a quei disordini che io prevedo. (Povero figlio! Se non avesse la mia assistenza, anderebbe prestissimo39 in perdizione). (da sè, parte)

Florindo. Mia madre vorrebbe che io prendessi moglie per [p. 49 modifica] castigarmi; ma finchè posso, no certo40. Ho una giurisdizione, ove tutte le donne mi corrono dietro; sarei ben pazzo, se mi legassi.

SCENA IX.

Arlecchino con altri quattro Villani, che portano salami, prosciutti, fiaschi di vino, formaggio e frutti; e detto.

Arlecchino. (Fa riverenza) (No so, se me recorderò el complimento, che m’ha insegnà messer Nardo. Suggerime41). (ad un villano)

Florindo. Galantuomo, vi saluto.

Arlecchino. Zelenza... Quantunque l’obbligazion della nostra nobile Comodità...

Villano. (Comunità).

Arlecchino. Verso la grandezza de Vostra Zelenza. (Hai dit grandezza?) (al villano)

Villano. (Sì, grandezza).42

Arlecchino. Son qua in nome de tutti a regolar Vostra Zelenza43.

Villano. (A regalare).

Florindo. (Che tu sia maledetto). (da sè)

Arlecchino. A presentarghe salami e persutti, tutta roba del parentado de Vostra Zelenza.

Villano. (Del Marchesato di Vostra Eccellenza).

Arlecchino. E vin e frutti e formaggio delle vacche di casa di Vostra Zelenza.

Florindo. (Oh! che bestia). (da sè) Chi sei44?

Arlecchino. No semo sei, semo cinque, Zelenza.

Florindo. Sei di questo paese?

Arlecchino. Quattro de sto paese, e mi bergamasco, che fa cinque. [p. 50 modifica]

Florindo. Sei bergamasco, e sei venuto in questo paese?

Arlecchino. Zelenza sì. Dei bergamaschi ghe n’è da per tutto.

Florindo. Quanto tempo è che sei qui?45

Arlecchino. Che son qua, sarà un quarto d’ora in circa.

Florindo. Sciocco!46 Non dico in questa camera, dico in questo paese.

Arlecchino. Sarà dopo che son vegnudo.

Florindo. Ho capito, e che cosa fai in Montefosco?

Arlecchino. El mestier che la fa anca ela.

Florindo. Come? Che mestiere faccio io?

Arlecchino. Magnar, bever, e no far gnente.

Florindo. Tu mangi, e bevi, e non fai nulla?

Arlecchino. Zelenza sì. Vago a spasso co le pegore, e no fazzo gnente.47

Florindo. (Costui è il più bel buffone del mondo). (da sè)

Arlecchino. Ma la diga, Zelenza48. Èla una finezza far star qua incomodadi sti poveri omeni?

Florindo. Che ti venga la rabbia. Dovevi a dirittura condurli dal maestro di casa. Era necessario che io vedessi questi esquisiti regali?49 Andate dal maestro di casa; egli vi regalerà. (partono gli uomini coi regali)

Arlecchino. El regalerà? Aspettè, vegno anca mi.

SCENA X50.

Florindo e Arlecchino.

Florindo. Dove vai?

Arlecchino. A reverir el maestro de casa.

Florindo. Che cosa vuoi tu dal maestro di casa? [p. 51 modifica]

Arlecchino. No xelo elo quello che regala?

Florindo. Se vuoi esser regalato, ti regalerò io.

Arlecchino. Ben; tanto me fa da un, come dall’alter.51

Florindo. Dimmi un poco. Ci sono belle donne in questo paese?

Arlecchino. Eh! cussì, cussì; ma no miga belle come le bergamasche.

Florindo. No? Perchè?

Arlecchino. Perchè ghe manca el gosso.

Florindo. Conosci tu una certa Olivetta?

Arlecchino. Sior sì.

Florindo. Una tal Giannina la conosci?

Arlecchino. Sior sì.

Florindo. E la bella Ghitta, sai chi sia?

Arlecchino. Sior sì.

Florindo. Sai dove stiano di casa?

Arlecchino. Oh! se lo so.

Florindo. Conducimi da esse.

Arlecchino. La favorissa. Per chi m’ala piado, Zelenza52?

Florindo. Che cosa vorresti dire?

Arlecchino. Mi, con so bona grazia, no batto l’azzalin53...

Florindo. Io sono54 il padrone di questo paese; quando comando, voglio essere obbedito. Ti fo onore, se ti ammetto alla mia confidenza. Voglio che tu mi guidi da queste donne, e se non lo farai, ti farò romper55 le braccia.

Arlecchino. Ma almanco56...

Florindo. Seguimi per tuo meglio. (parte)

Arlecchino. A Montefosco sto bocconcin de Marchese? Mi torno a Bergamo. (parte) [p. 52 modifica]

SCENA XI.

La Marchesa Beatrice e Pantalone.

Beatrice. Dunque, signor Pantalone, mi consigliate ancor voi a far questo matrimonio?

Pantalone. Certo che un zorno o l’altro sta putta pol trovar qualchedun che la mena a Napoli, che la introduga a la Corte, e ghe fazza restituir quello che per giustizia no se ghe pol levar.

Beatrice. Quando trattasi di giustizia, so anche io decidere contro di me medesima; e se un matrimonio può mettere in sicuro la nostra pace, non tralascerò di procurarlo. Spiacemi che il Marchesino non mi pare inclinato a farlo.

Pantalone. E pur la me permetta che ghe diga, col vede le donne, el par el gallo de madonna57 Checca.

Beatrice. È vero: per questo in Napoli non lo lascio mai solo. O viene meco, o lo mando col precettore, o con un buon cameriere, o con qualche stretto congiunto della famiglia.

Pantalone. La fa benissimo. I putti i se lassa andar soli manco che se pol, e più tardi che se pol; perchè, co i va soli, i fa delle amicizie, e i amighi xe quelli che li tira a precipitar.

Beatrice. Finchè stiamo in Montefosco, mi pare di viver quieta. Qui non ci sono donne che possano innamorarlo.

Pantalone. Cara Eccellenza, ghe dirò: dove ghe xe dell’acqua, ghe xe del pesce; voggio dir, dove ghe xe femene, ghe xe pericolo. Ste nostre donne, che no xe avvezze a veder forestieri, co capita qualchedun, le lo sorbe coi occhi: le ghe corre drio: le va a gara una dell’altra per farghe delle finezze.58 I pari le tien serrae, i marii le bastona, ma ele, co le pol, no le ghe mette scala59.

Beatrice. Dunque anche queste villane si dilettano di fare all’amore? [p. 53 modifica]

Pantalone. E come!60

Beatrice. E non hanno riguardo a farlo con persone nobili61?

Pantalone. Anzi allora le se ne gloria, e le crede de far onor a la casa, co le fa l’amor con un cavalier.

Beatrice. Dunque il Marchesino anco qui è in pericolo?

Pantalone. Mi no ghe farave la sigurtà.

Beatrice. Fatemi il piacere, signor Pantalone, dite a mio figlio che venga qui. Vo’ concludere, se mai posso.

Pantalone. La servo subito. La fa ben, se la pol, a strenzer sto negozio. La salva, co dise el proverbio, la cavra e le verze62. (parte)

SCENA XII.

La Marchesa Beatrice sola, poi Pantalone che torna.

Beatrice. Non vi sarà nessuno del nostro parentado, che possa lagnarsi di un tal matrimonio. Per nobiltà, ella è di sangue nobile quanto il nostro. Suo padre marchese di Montefosco, sua madre dama povera, ma di antichissima casa. Circa la dote, non è poca dote il possesso pacifico di una giurisdizione male acquistata. Il povero mio marito l’ha comprata per poco...

Pantalone. Eccellenza, cerca, cerca, non lo trovo.

Beatrice. Dove può essere?63

Pantalone. I m’ha dito che l’è andà fora de casa.

Beatrice. Con chi?

Pantalone. Con un villan bergamasco, che va a pascolar le piegore sul comun.

Beatrice. Presto, fatelo cercare.

Pantalone. Ho mandà, Eccellenza,64 da per tutto. El paese xe piccolo: i lo troverà, e el vegnirà.

Beatrice. Mi vuol65 far disperare. [p. 54 modifica]

Pantalone. Vien siora Rosaura; la ghe diga qualcossa. Sentimo se ela inclinasse a sto matrimonio.

Beatrice. Convien farlo con arte, per non lusingarla invano.

SCENA XIII.

Rosaura e detti.

Rosaura. Signora Marchesa, io in Montefosco non ci posso più stare.

Beatrice. Perchè?

Rosaura. Ho sentito queste femmine impertinenti cantare una canzone contro di me. Mi dicono cantando cento improperi, cento impertinenze.

Pantalone. Eh! cara fia, avere strainteso; non ho mai sentio, che ste donne sappia cantar sta sorte de canzon.

Rosaura. Le ho sentite io ora, in questo punto. Una canzone napolitana, fatta contro di me.

Beatrice. Queste insolenti, giuro al cielo, me la pagheranno. Se lo saprà il Marchesino mio figlio, farà i suoi giusti risentimenti.

Rosaura. Oh! il Marchesino lo sa.

Beatrice. Lo sa! Come vi è noto che egli lo sappia?

Rosaura. È anch’egli in casa di Giannina; canta anch’egli la canzonetta contro di me, e anzi credo che egli ne sia stato l’autore.66

Beatrice. Non è possibile; v’ingannerete.

Rosaura. Eh! no signora. Non m’inganno. Il nostro giardino corrisponde sotto le finestre di Giannina. Ho inteso cantare, e mi sono accostata. Quando mi hanno veduta, hanno cantato più forte, e il signor Marchesino faceva da maestro di cappella.

Pantalone. Sonavelo la spinetta?

Beatrice. Signor Pantalone, andate subito in casa di colei. Dite a mio figlio che venga qui.

Pantalone. Vago subito. [p. 55 modifica]

Rosaura. Andate, andate, che vi sarà una strofetta ancora per voi.

Pantalone. Se quelle sporche le canterà contro de mi, da galantuomo, ghe farò la battuda.67(parte)

SCENA XIV.

La Marchesa Beatrice e Rosaura.

Beatrice. Rosaura mia, io vi amo e vi stimo più di quello che vi pensate.

Rosaura. Se sarà vero, si vedrà68.

Beatrice. Diffidate di me?

Rosaura. No signora, temo della mia sorte.

Beatrice. Noi siamo sovente autori della nostra fortuna.

Rosaura. Vi vuole qualche favorevole principio, per69 cooperare alla propria felicità.

Beatrice. Se vi faccio un’offerta, non vorrei espormi ad un rifiuto.

Rosaura. Se conoscete che l’offerta sia di me degna, assicuratevi della mia rassegnazione.

Beatrice. Anzi vi voglio offerire cosa degna della vostra nascita, maggiore dello stato vostro, ed uniforme ai desideri del vostro animo generoso.

Rosaura. Voi mi consolate.70

Beatrice. Vi voglio offerire uno sposo.

Rosaura. Va benissimo.

Beatrice. Un partito nobile.

Rosaura. Meglio ancora.

Beatrice. Orsù... mio figlio.

Rosaura. Signora, egli canta le canzonette contro di me, e voi mi dite delle favole per divertirmi. Serva di Vostra Eccellenza, (parte)

Beatrice. Venite qui... sentite. Ho fatto male a parlare ora che ha nelle orecchie le canzonette; ma se Florindo la tratterà come merita, si scorderà di tutto, amerà lo sposo, e riconoscerà in me non solo una suocera, ma una madre ed una benefattrice. (parte) [p. 56 modifica]

SCENA XV.

Campagna con collina e casa laterale.

Cecco alla caccia coll’archibugio.

Non so se sia venuto il signor Marchese71 a prender possesso del paese, o delle donne. Si è subito cacciato in casa di Giannina, e là con Olivetta cantano, scialano, e se la godono. Messer Nardo e messer Mengone qui non ci sono, non sanno niente, ma quando verranno, li avviserò io. Se il signor Marchese averà ardire d’andare da Ghitta mia moglie, l’avrà a discorrer con me.72 Eccolo, voglio ritirarmi. (si ritira)

SCENA XVI.

Florindo, Pantalone73 e detto nascosto.

Florindo. Come ci entrate voi? Voglio andare dove mi pare e piace. (a Pantalone)

Pantalone. So siora mare l’aspetta.

Florindo. Ditele che non m’avete trovato.

Pantalone. Ghe dirò quel che la comanda.74

Florindo. Ditemi, sapete voi dove sia la casa di Ghitta?

Pantalone. Cossa vorla da Ghitta?

Florindo. Voglio andarla a ritrovare.

Pantalone. E a mi la me domanda dove la sta?

Florindo. Sì, a voi. Vi domando una gran cosa?

Pantalone. La me perdona, sior Marchese, la m’ha in t’un bon concetto. [p. 57 modifica]

Florindo. Mi preme visitar questa giovine. Mia madre non saprà che voi mi abbiate insegnato la casa.75

Pantalone. Sior Marchese, no so cossa dir. Mi la venero e la respetto; la xe mio paron, e no me tocca a mi a darghe istruzion, avvertimenti, conseggi; ma per la mia etae, per l’amor che porto alla so casa76, Eccellenza, la me permetta che ghe diga e la supplico de ascoltarme. Tutti i omeni de sto mondo...

Florindo. Non voglio seccature.

Pantalone. Servitor umilissimo de Vostra Eccellenza. (parte)

SCENA XVII.

Florindo, poi Cecco.

Florindo. Questo vecchio di Pantalone so come è fatto. Di quando in quando vien fuori colle sue tirate da Seneca, da Cicerone. La gioventù non ama la77 moralità. Ora pagherei uno scudo, se trovassi la casa di Ghitta. (cava il taccuino) Bel casino, bella collina

avrebbe ad esser quella; mi proverò. (vuol salire la collina)

Cecco. Eccellenza, signor Marchese.

Florindo. Galantuomo, che cosa volete?

Cecco. L’onore d’inchinarla.

Florindo. Non altro?

Cecco. Mi conosce, Eccellenza, signor Marchese?

Florindo. Non mi pare.

Cecco. Non si ricorda dei deputati della nobile antica Comunità? Io sono uno dei laterali.

Florindo. Sì, sì, ora vi conosco78.

Cecco. E sono servitore obbligato di Vostra Eccellenza, signor Marchese.

Florindo. (Costui mi farà il servizio). (da sè) Ditemi, galantuomo, sapete voi dove sta di casa una certa Ghitta? [p. 58 modifica]

Cecco. Ghitta?

Florindo. Sì, lo sapete?

Cecco. Lo so.

Florindo. Quando lo sapete, conducetemi alla sua casa.

Cecco. Alla sua casa?

Florindo. Sì, alla sua casa.

Cecco. A che fare, Eccellenza, signor Marchese?

Florindo. Voi non avete a cercare i fatti miei.

Cecco. Sa, Eccellenza, che Ghitta è mia moglie?

Florindo. Me ne rallegro; ho piacere, vi sarò buon amico; andiamola a ritrovare.

Cecco. Ma che vuole da mia moglie? Parli con me. (altiero)

Florindo. Volete che ve la dica, signor deputato laterale, che mi parete un beli’impertinente!

Cecco. Da mia moglie non ci si va.

Florindo. Vi farò romper le braccia.

Cecco. Eccellenza, zitto, in segretezza, che nessuno ci senta: so adoperar lo schioppetto. Servitor umilissimo di Vostra Eccellenza.

Florindo. Siete un temerario.

Cecco. Zitto, favorisca: ne ho ammazzati quattro. Servitore obbligatissimo di Vostra Eccellenza.

Florindo. Così parlate al marchese di Montefosco?

Cecco. Senta, senta. Quattro o cinque per me sono lo stesso. Ossequiosissimo di Vostra Eccellenza.

Florindo. (Son solo: costui mi potrebbe precipitare). (da sè)

Cecco. Comanda che io la serva? Vuol divertirsi alla caccia? Vuol che andiamo nel bosco?

Florindo. No, no, amico; nel bosco non ci vado.

Cecco. La servirò a casa.

Florindo. Da vostra moglie?

Cecco. Là non ci si va.

Florindo. Non ci anderò; ma sarà peggio per voi. Giuro al cielo, me la pagherete. (parte guardandosi indietro, per paura di Cecco che giuoca collo schioppo.) [p. 59 modifica]

Cecco. Che cosa si crede il signor Marchese, che fra le rendite del suo Marchesato vi entrino anche le nostre donne?79 Se non avrà giudizio, averà che fare con questo schioppo. (parte)

SCENA XVIII.

Camerone primo della Comunità.

Nardo, Mengone, Pasqualotto e Margone in abito da campagna.

Nardo. Ah! Che cosa dite? Mi son portato bene?

Mengone. Benissimo.

Pasqualotto. Da par vostro.

Marcone. Avete parlato da maestro di casa.

Nardo. Bisognerà pensare a dargli qualche magnifico divertimento.

Mengone. Io direi che gli potremmo fare la caccia dell’orso.

Pasqualotto. È giovane, avrà paura. Piuttosto facciamo tirare il collo all’oca.

Marcone. Sì, a cavallo dei somari.

Nardo. E meglio poi la corsa nei sacchi.

Mengone. Non sarebbe meglio una festa da ballo?

Nardo. Bisognerà vedere, s’egli sa ballar alla nostra usanza.

Pasqualotto. Non sarebbe anche cattivo un giuoco di palla.80

Nardo. Basta, convocheremo la Comunità, e ci consiglieremo.

Mengone. Ecco Cecco.

Margone. Anch’egli dirà la sua.

SCENA XIX.

Cecco collo schioppo, e detti.

Nardo. Ma ve l’ho detto tante volte, che in Comunità non venghiate collo schioppetto.

Cecco. Oh, questo non lo lascio. [p. 60 modifica]

Mengone. Stiamo qui pensando qual divertimento potremmo dare al signor Marchese.

Cecco. Ve lo dirò io.

Nardo. Via, da bravo.

Cecco. Una mezza dozzina delle nostre donne. 81

Nardo. Come?

Cecco. Fa il grazioso colle nostre femmine. Si caccia appresso di tutte, le incanta,82 e non dico altro.

Nardo. Da chi è stato?

Cecco. Da vostra figlia.

Nardo. Da mia figlia?

Cecco. Sì, e anche dalla vostra. (a Mengone)

Mengone. Anche da Olivetta?

Cecco. E voleva andare da Ghitta; ma con un certo complimento l’ho persuaso a desistere83.

Mengone. Altro che la caccia dell’orso!

Marcone. Altro che il collo dell’oca!84

Nardo. Qui si tratta dell’onore e della reputazione.

Cecco. Minaccia, strapazza, fa il prepotente.

Nardo. Subito al rimedio.

Mengone. Che cosa pensereste di fare?

Nardo. Bisogna far consiglio sulla materia.

Margone. Direi...

Nardo. Facciamo Comunità.

Pasqualotto. Ecco qui, non ci siamo tutti?

Cecco. Schioppetto, schioppetto.

Nardo. No, politica: aspettate. Massari,85 serventi, portate i seggioloni. Non c’è nessuno? Ce li porteremo da noi.
(Ognuno va a prendere la sua sedia, e la tira innanzi, e tutti si pongono a sedere.) [p. 61 modifica]

Cecco. Non si poteva discorrere senza queste sediaccie?

Nardo. Signor no. Quando si tratta di cose grandi, bisogna sedere; e queste sedie pare che suggeriscano i buoni consigli.

Mengone. In fatti sono avvezze da tanti anni a sentir consigliare, che ne sapran più di noi.

Nardo. (Sputa e si compone, e tutti fanno silenzio) Nobile ed antica Comunità, avendo noi penetrato per mezzo d’uno de’ nostri carissimi laterali, che il signor Marchesino cerchi d’infeudare le nostre donne nel Marchesato, bisogna pensare a difendere le possessioni del nostro onore, e le valli della nostra riputazione. E però pensate, consigliate e parlate, o illustri membri della nobile e antica Comunità.

Cecco. Io direi debolmente, per non impegnarci nè in ispese, nè in complimenti, di dargli86 un’archibugiata; ed io mi esibisco di farlo, in nome di tutta la nobile ed antica Comunità.

Mengone. No, amatissimo mio laterale compagno, non è cosa da farsi, mettere le mani nel sangue del nostro Feudatario; piuttosto direi, rassegnandomi sempre, che andassimo di notte tempo a dargli fuoco alla casa.

Margone. No,87 non va bene. Potrebbero abbruciarsi tanti altri che sono in casa, che non ne hanno colpa.88

Pasqualotto. A me pare che sarebbe meglio fare a lui quello che si fa alli nostri agnelli, quando vogliamo farli diventar castroni.89

Nardo. Ho inteso90. Ora tocca a parlare a me. Prima di metter mano al sangue, al fuoco, al taglio, vediamo se colla politica si può ottenere l’intento. Andiamo tutti dalla Marchesa madre. Quel che non farà uno, farà l’altro. Anderò io in prima, che sono il deputato di mezzo, e poscia i laterali. Se non faremo niente colla madre, procureremo di farlo col figlio; se non varranno le buone, varranno le cattive91; adopreremo il fuoco, [p. 62 modifica] gli schioppi ed il coltello, per salvezza della nostra nobile ed antica Comunità.

Mengone. Bravissimo.

Marcone. Dite bene.

Pasqualotto. L’approvo.

Cecco. Fate pure, ma vedrete che ci vorrà lo schioppetto.

Nardo. Andiamo. Viva la nostra92 Comunità.93 (parte)

Cecco. Viva l’onorato schioppetto. (parte)

Mengone. Per lavar le macchie della riputazione vuol esser fuoco.94(parte)

Pasqualotto. Ed io dico, che facendogli la burla degli agnelli, le nostre donne saranno sicure. (parte)

Fine dell’Atto Secondo.



Note

  1. Bett.: Eleonora.
  2. Bett.: Corallina.
  3. Bett.: Olivetta dirimpetto al fonte.
  4. Bett.: mano.
  5. Bett.: Ma V. E. si degnerà di noi?
  6. Bett. aggiunge: «Carina, datemi la vostra bella mano, ad Olivetta».
  7. Bett. avverte: ad Eleonora.
  8. Bett. e Pap.: Ora tanta ecc.
  9. Bett.: parliamoci.
  10. Bett.: Oh via! Il signor ecc.
  11. Bett. e Pap. aggiungono: la gravità.
  12. Bett.: Oh caro!
  13. Bett. e Pap. aggiungono: senza cerimonie.
  14. Segue nelle edd. Bett. e Pap.: a Montefosco non vi è di meglio? Voi sarete ecc.
  15. Sc. VII nell’ed. Bett.
  16. Sc. VIII nell’ed. Bett.
  17. Bett. e Pap.: Che roba.
  18. Bett.: il servo dà ad ognuna la sua tazza.
  19. Bett.: gran signore; Pap.: signore grandi.
  20. Bett.: le tre si mettono a ridere forte.
  21. Segue nelle edd. Bett. e Pap.: «non per fare onore a colei, che nel nostro paese non si stima un fico. Serva di V. E. parte. Giann. Noi abbiamo case, campi, prati, cavalli, bestie bovine, Eccellenza, e colei è una miserabile. Serva di V. E. parte. Oliv. Sino i ragazzi, Eccellenza, quando la vedono, gridano: la signora morta di fame, la signora morta di fame. Serva di V. E. parte. Ros. piange».
  22. Bett. e Pap. aggiungono: Rosaura, perchè piangete?
  23. Bett. e Pap.: Ah veramente.
  24. Bett. e Pap.: Via, non piangete. Penserò ecc.
  25. Bett. e Pap.: tutti i poveri al mondo.
  26. Bett. e Pap. aggiungono: Permettetemi ch’io vi dica, che chi non prova la povertà, non sa con quanta pena il povero la sopporti. Chi vive ecc.
  27. Bett. e Pap.: chi è nato nobile sfortunato.
  28. Comincia nell’ed. Bett. la sc. X.
  29. Bett.: uno che sa.
  30. Bett. aggiunge: Sì, farò io la vostra fortuna.
  31. Bett. e Pap.: «(Ma! comanda con autorità, ed io sono costretta ad obbedire. Chi sa! Può essere che non vada sempre così). parte. Flor. Sentite... fidatevi di me. verso Rosaura».
  32. È unita nell’ed. Bett. alla scena preced.
  33. Segue nelle edd. Bett. e Pap.: «Flor. Eccomi ad ascoltarvi, si mette in serio. Beatr. Sapete voi chi sia quella? ecc.».
  34. Bett: è bella e graziosina.
  35. Segue nelle edd. Bett. e Pap.: «Oh, circa a questo poi, poco più, poco meno. Beatr. Eh, sempre date nelle ragazzate! Fior. Così diceva anco mio padre. Beatr. Pover’uomo! Vi ha dato de’ belli esempi! Basta, dunque Rosaura non vi displace, eh? Fior. Vi dico di no. Beatr. Inchinereste voi ecc.».
  36. Bett. e Pap.: La nobiltà la stimo il meno. Mi dispiacerebbe ecc.
  37. Segue nelle edd. Bett. e Pap.: «Beatr. Per qual ragione? Flor. Perchè so quello che voi avete fatto passare a mio padre. Beatr. Egli, poverino, era uno che non si contentava della propria moglie. Flor. Son suo figlio... ho paura... Beatr. Orsù, convien ecc.».
  38. Bett. e Pap. aggiungono: «Flor. Villane ce ne sono? Serv. Eccellenza no. Fior. Che cosa vorranno questi tangheri? Serv. Credo ecc.
  39. Pap.: prestamente.
  40. Bett. e Pap.: non me la ficca certo.
  41. Bett.: Suggerissime; Pap.: suggerissem.
  42. Segue nell’ed. Bett.: «Arl. (No li vedi che l’è piccolo? No va ben). Verso la piccolezza de V.E... Flor. (Or ora lo bastono con tutti i suoi regali). Arl. Son qua ecc.».
  43. Bett. e Pap.: «la vostra bestialità». Vill. (A regalare la vostra benignità). Fior. (Che tu sia maledetto) ecc.».
  44. Bett. e Pap.: Tu, chi sei?
  45. Mancano queste parole nelle edd. Pasquali, Zatta ecc.
  46. Bett. e Pap.: Asinaccio!
  47. Segue nelle edd. Bett., Pap. ecc.: «Flor. Sei guardiano di pecore? Arl. Per servirla, per obbedirla; anzi son vegnudo a pregarla d’una grazia. Fior. Cosa vorresti? Arl. Per star seguro in casa, se la volesse uno che ghe fasse la guardia, son qua mi. Fior. Temerario! Tu mi tratti da pecora? Arl. Oh, Eccellenza no, so el mio dover. So destinguer el maschio da la femmena. Fior. Costui è ecc.».
  48. Bett. e Pap.: caro sior.
  49. Segue nelle edd. Bett. e Pap.: «Arl. Sicchè donca, per dirla senza cerimonie, a chi ghe manda sta roba, la ghe n’indorme. Fior. Andate ecc.».
  50. È unita nell’ed. Bett. alla scena precedente.
  51. Bett. e Pap. aggiungono: La favorissa.
  52. Bett. e Pap.: sior.
  53. Vuol dire: non faccio il mezzano. [nota originale]
  54. Bett. e Pap.: Pezzo d’asino, arrogante. Io sono ecc.
  55. Bett. e Pap.: ti romperò.
  56. Bett. e Pap.: Ma sior, almanco un per de paoli. Fior. Sei un temerario. Voglio che tu mi serva, e se avrò a riconoscerli, lo farò come e quando vorrò, parte. Arl. A Montefosco ecc.».
  57. Bett.: donna.
  58. Bett. e Pap. aggiungono: El paese xe piccolo, subito el se sa.
  59. Si dice di chi ruba e degli uomini licenziosi: Boerio, Diz. cit.
  60. Bett. e Pap. aggiungono: E chi le vol innamorar ben, a forza de pugni e de spentoni.
  61. Bett.: con persona anco nobile?
  62. La capra e i cavoli. [nota originale]
  63. Bett. e Pap. aggiungono: Uscito? Non lo credo.
  64. Bett. ripete: ho mandà.
  65. Bett. e Pap.: Ah, mi vuol ecc.
  66. Segue nelle edd. Bett. e Pap.: «Pant. (Oh che fio!) Beatr. Non è ecc.».
  67. Bett.: ghe batterò la battua.
  68. Bett.: scorgerà.
  69. Bett.: per indi.
  70. Bett. e Pap. aggiungono: Ditemi tutto, per pietà.
  71. Bett. e Pap.: Il signor Marchese non so se sia venuto ecc.
  72. Bett. e Pap. aggiungono
    Con questa schioppetta ne ho fatte delle altre. Eccolo ecc.
  73. Bett. e Pap. aggiungono: Arlecchino.
  74. Segue nelle edd. Bett., Pap. ecc.: «E vu, sier tocco de furbazzo, la siora Marchese ve vol regalar. Arl. Vago subito. Flor. Dove vai? Arl. A tor el regalo della siora Marchesa. Flor. Se ci vai, ti fa bastonare. Arl. Donca sì tutti generosi a un modo. Schiavo suo. Flor. Dove corri? Arl. A custodir le mie pegore. Quelle povere bestie no le me dona gnente, ma almanco no le comanda. Vu volì comandar e no volì donar. Sì pezo delle bestie, parte. Flor. Costui è un gran temerario. Pant. A sta sorte de zente, Eccellenza, no se dà confidenza. Flor. Ditemi, sapete voi ecc.».
  75. Segue nelle edd. Bett. e Pap.: «Pant. Eh, me maraveggio. Flor. Se ci fosse colui d’Arlecchino, non lo chiederei a voi. Pant. Sicchè donca mi e Arlecchin semo l’istesso. Se confonde i omeni, se scambia le cariche, e mi de appaltador de le rendite sarò deventà appaltador dei maroni. Sior Marchese, no so cossa ecc.».
  76. Bett. e Pap.: nobilissima casa.
  77. Bett. e Pap.: non vuol tanta.
  78. Bett. e Pap. aggiungono: alla faccia.
  79. Segue nelle edd. Bett. e Pap.: La mia schioppetta non falla. Mi parerà d’aver ammazzata una lepre.
  80. Segue nelle edd. Bett. e Pap.: «Marc. Meglio poi il trucco da terra. Pasq. Ovvero alle bocce [Pap.: pallottole]. Nardo. Basta, convocheremo ecc.».
  81. Segue nelle edd. Bett. e Pap.: «Nar. Ma come? Cecco. Ditemi, lo avete fatto regalare? Nar. Sì, gli abbiamo mandato del buono e del meglio che si potesse mandare. Cecco. Ora egli pensa di regalar noi. Nar. Davvero? Come? Meng. Che cosa ci vuol regalare? Cecco. Delle bellissime pennacchiere all’ultima moda. Nard. Io non capisco. Cecco. Fa il grazioso ecc.».
  82. Bett. e Pap. aggiungono: le tira giù.
  83. Bett. e Pap.: ad andarsene.
  84. Bett. e Pap. hanno invece: Altro che il trucco da terra!
  85. Bett. e Pap. aggiungono: bidelli.
  86. Bett.: direi di dargli.
  87. Bett. e Pap. aggiungono: signor laterale destro.
  88. Segue nelle edd. Bett., Pap. ecc.: Questa sarebbe una cosa ben fatta: a tutte le porte delle nostre donne mettere una rete, farlo andar di notte, e se ci casca dentro, far che tutti lo vedano, e svergognarlo.
  89. Bett.: li vogliamo far diventar castrati.
  90. Bett. e Pap. aggiungono: la nobile ed antica Comunità.
  91. Così l’ed. Bett. Le altre edd., sbagliando: o le cattive.
  92. Bett. e Pap. aggiungono: nobile.
  93. Segue nelle edd. Bett., Pap. ecc.: «Viva l’onore, trionfi la vergogna, perisca il rossore, e innalzisi il doppio trofeo della nostra marcata riputazione, parte. Cecco. Viva l’onore e viva la onorata schioppetta».
  94. Segue nelle edd. Bett. e Pap.: «Marc. A me piace il ripiego delle reti. Così si prendono quelli uccelli che cercano di beccare, parte. Pasq. Ed io dico ecc.».