Il mestiere di vivere/1947

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1947

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1947


1° gennaio.

Diverso dalla chiusa spessa e operosa del ’38, da quella sdegnosa e ricca e amarognola del ’46 — stavolta è spessa e ricca (Dialoghi con Leucò, Compagno), ma ci sento un’energia che ronza piú forte della voce dell’opera e non promette opere ma squallide realtà.

Al caffè Rampone (grattacielo) via Viotti, dove ho pensato nel 1932 Ciao Masino.

26 gennaio.

Non ci sono che due atteggiamenti — il cristiano e lo stoico. Probabilmente il comunista vale a fonderli — ha la carità e il senso della roccia, sa che tutto è ferreo alla fine eppure fa il bene.

3 febbraio.

Tu parli parli parli. È perché sei stato per tanto tempo silenzioso. Ti spaventa l’idea che un giorno piú nessuno ti ascolterà? No.

Si dimentica soltanto quel che si era già dimenticato quando accadeva. Tu non ricordi nulla se non stati interiori, chiusi. [p. 309 modifica]

Un uomo una donna un ragazzo.

9 febbraio.

Per me il colle-montagna è il Taigeto, scoperto a quindici anni in Catullo, è l’Erimanto, il Cillene, il Pelion, scoperti in Virgilio ecc., allora, mentre vedevo le colline di Reaglie e ricordavo quelle infiammate di S. Stefano, Moncucco, Camo, S. Maurizio, Luassolo.

24 febbraio.

Crono era mostruoso ma regnava su età dell’oro. Venne vinto e ne nacque l’Ade (Tartaro), l’isola Beata e l’Olimpo, infelicità e felicità contrapposte e istituzionali.

L’età titanica (mostruosa e aurea) è quella di uomini-mostri-dèi indifferenziati. Tu consideri la realtà come sempre titanica, cioè come caos umano-divino (= mostruoso), ch’è la forma perenne della vita. Presenti gli dèi olimpici, superiori, felici, staccati, come i guastafeste di questa umanità, cui pure gli olimpici usano favori nati da nostalgia titanica, da capriccio, da pietà radicata in quel tempo. (Per i Dialoghi).

4 marzo.

Un amico per te non è piú un modo di stare insieme sintetico, di vivere, ma un passatempo, la variante del cinema. Cos’è? Non credo piú al lavoro in comune. Lavoro da solo e poi mi distraggo. Al tempo che credevo agli amici, non lavoravo.

5 marzo.

È notte, al solito. Provi la gioia che adesso andrai a letto, sparirai e in un attimo sarà domani, sarà mattino e ricomincerà l’inaudita scoperta, l’apertura alle cose. [p. 310 modifica]

È bello andare a dormire, perché ci si sveglierà. È il mezzo piú rapido di fare il mattino.

9 marzo.

Strada del Salino:

Oggi vedevi la grossa collina a conche, il ciuffo d’alberi, il bruno e il celeste, le case, e dicevi: «È com’è. Come dev’essere. Ti basta questo. È un terreno perenne. Si può cercar altro? Passi su queste cose e le avvolgi e le vivi, come l’aria, come una bava di nuvole. Nessuno sa che è tutto qui».

Volere lo stato laico è logico da parte dei non credenti, è una conquista, un passo avanti — è assurdo da parte dei cristiani. I preti, le gerarchie, il papa devono occuparsi di politica: Dante poteva dividere le sfere di papa e imperatore, perché era sottinteso che l’imperatore facesse una politica cristiana.

10 marzo.

Avevi quasi dimenticato la luna tranquilla sui corsi deserti. Ogni anno, si riscoprono le scene naturali e l’emozione è sempre quella: aver quasi dimenticato ecc.

Difficoltà dell’arte: dare come sorpresa cose ben note. Se non ti fossero ben note non te ne interesseresti tanto da trattarle in modo che sorprendano.

Felicità dell’arte: accorgersi che un proprio modo di vivere può esser legge di un modo di esprimere.

12 marzo.

Altro è dire che l’Olimpo ricalcava le istituzioni cittadine greche, altro che le istituzioni ricalcavano l’Olimpo. [p. 311 modifica]

14 marzo.

Hemingway è lo Stendhal del nostro tempo.

15 marzo.

Si scrivono qui le cose che non si diranno piú, sono i trucioli della piallatura. La piallatura è la giornata. Qui è, come dire, un modo spiccio di far fuori le tavole d’approccio, le gabbie, le impalcature, i ghiribizzi. Si fa piazza pulita per veder chiaro il grosso pezzo che verrà.

Hai sostenuto che le forme, gli stili, la pagina sono un’altra realtà da quella vissuta. È banale. Ma è una nuova dimensione. Non è che si esprima niente, scrivendo. Si costruisce un’altra realtà, che è parola.

Tutti ebrei, tutti uguali, come niente fosse successo. Parlano dei grattacapi, dei problemi, del mondo, col tono di chi si mimetizza. Si vorrebbe vederli proclamare che sono qualcosa, che contano in quanto tali, che hanno una parola da dire. Ce l’hanno, e non lo dicono.

17 marzo.

Finita un’opera, si cerca di rinnovarne la forma non il contenuto. Lo stile non i sentimenti. Il simbolo non la cosa simboleggiata.

Dove si sente la stanchezza è nello stile, nella forma, nel simbolo. Di sentimento-contenuto se ne ha sempre abbondanza, per il solo fatto che si vive. [p. 312 modifica]

19 marzo.

Stendhal-Hemingway. Non raccontano il mondo, la società, non dànno il senso di attingere a una larga realtà interpretando a scelta, a volontà — come Balzac, come Tolstòj, come ecc. Hanno una costante di tensione umana che si risolve in situazioni sensorio-ambientali rese con assoluta immediatezza. Altre non ne saprebbero rendere, come invece i suddetti. Su questa costante han costruito un’ideologia, che è poi il loro mestiere di narratori: l’energia, la chiarezza, la non-letteratura.

Flaubert sceglieva un ambiente; loro no.

Dostojevskij costruiva un mondo dialettico; loro no.

Faulkner stilizza atmosfere e mitologizza; loro no.

Lawrence indagava una sfera cosmica e l’insegnava; loro no.

Sono i tipici narratori in prima persona.

22 marzo.

Il personaggio è concezione teatrale, non specificatamente narrativa. Il raccontare non richiede necessariamente i personaggi. Massimo narratore greco è Erodoto, non Omero — che anzi è teatro antelitteram.

L’800 aspirava al teatro e non ce la fece — creò invece un grande romanzo, ch’era teatro, cioè personaggi. Ora si tende a interessarsi nuovamente al puro narrare. Non si riesce nemmeno a mettere in piedi personaggi, è un lavoro banale, lo fa chiunque. La scoperta sta nel senso del ritmo, nel senso della realtà mossa, di Erodoto. Siamo contemporaneamente piú simbolizzanti e piú intellettualistici — non Iliade, ma Erodoto (spieghiamo che racconteremo il cozzo di Greci e Barbari, ne diamo le ragioni, almanacchiamo — non siamo piú puri contemplatori, ci muoviamo nel nostro mondo piú riccamente — passioni, figure, motivi, scherzi ecc. — ma insieme piú isolati).

L’epica è un teatro che ancora ignora il mezzo tecnico, l’istituzione, la scena. [p. 313 modifica]

Ecco perché Moby Dick è una scoperta del nostro tempo. Non è personaggi, è puro ritmo.

Narrerà ora non chi «conosce la natura umana» e ha fatto scoperta di psicologie significative e profonde, ma chi possiede blocchi di realtà, esperienze angolari che gli ritmano e cadenzano e ricamano il discorso. Hemingway ha la morte violenta, Levi il confino, Conrad la perplessità dei mari del Sud, Joyce lo stereoscopio delle parole-sensazione, Proust l’inafferrabilità degli istanti, Kafka la cifra dell’assurdo, Mann il ripetersi mitico dei fatti, ecc.

Chiedo scusa per averci messo Levi.

28 marzo.

Ecco conferma del 17 marzo. Ho ricchi spunti sentimentali per i dialoghetti ma sono bloccato perché mi manca una forma soddisfacente di accostamento — un nuovo paio di interlocutori che non siano il solito cliché.

2 aprile.

Gli dèi sanno-vedono magico-razionalmente e con distacco. Gli uomini fanno, non magicamente, con dolore. Dànno i nomi, cioè risolvono in creazione.

5 aprile.

Nel periodo clandestino tutto era speranza; ora tutto è prospettiva di disastro.

12 aprile.

Aver l’impressione che ogni cosa buona che ti tocca sia un felice errore, una sorte, un favore immeritato, non nasce da buon [p. 314 modifica]animo, da umiltà e distacco, ma dal lungo servaggio, dall’accettazione dell’arbitrio e della dittatura. Hai l’anima dello schiavo, non del santo.

Che a vent’anni, quando i primi amici ti lasciarono, tu soffrissi per nobile sofferenza, è una tua illusione. Ti dispiacque dover smettere abitudini gradite, non altro. E continui adesso, tale e quale.

Tu sei solo, e lo sai. Tu sei nato per vivere sotto le ali di un altro, sorretto e giustificato da un altro, che sia però tanto gentile da lasciarti fare il matto e illudere di bastare da solo a rifare il mondo. Non trovi mai nessuno che duri tanto; di qui, il tuo soffrire i distacchi — non per tenerezza. Di qui, il tuo rancore per chi se n’è andato; di qui la tua facilità a trovarti un nuovo patrono non per cordialità. Sei una donna, e come donna sei caparbio. Ma non basti da solo, e lo sai.

12 maggio. (Roma)

Ciò che piú giova alla poesia, alla «letteratura» di uno che scrive, è quella parte della sua vita che vivendola gli pareva la piú lontana dalla letteratura. Giornate, abitudini, casi che non solo parvero un perditempo, ma un vizio, un peccato, un gorgo. Qui la vita di costui s’arricchí. Vedi l’infanzia in ogni biografia. Vedi le male avventure.

13 maggio.

L’innocente, l’onesto cittadino, l’uomo che non c’entrava eppure fu vittima di un tragico errore al tempo delle guerre civili, diventa sempre meno interessante e quasi comico. Nessuno, in realtà, «non c’entra» ai nostri tempi. [p. 315 modifica]

27 maggio.

Ingresso all’Ade. La strada incassata nel tufo, coperta di ontani e olmi, verde e trasparente e cupa, che sbuca nel sole al portale di Sovana. Il mondo etrusco è oltre l’Ade, è ctonio. Su questa terra si sente che cosa significa «sottoterra», cioè «scavato nel tufo».

Si sente anche che cosa significhi che l’Esperia era la terra dei morti. I volti di un paese prima che la storia ci passi e dopo, si somigliano. Sono natura. «Natura» è il regno dei morti.

Una persona che ti ripugni, va sopportata. Dopo un po’ viene fuori — infallibile — qualcosa di non comune, di vero. Ciò anche se costei ti seccava per la sua banalità e insincerità. Anzi, per questo. Questa donna baffuta e sufficiente («Sampierdarena che ormai è Genova», «Non mi parlino di Napoli», «L’effetto che fanno gli asparagi, adesso non glielo posso dire» ecc.) spiega che gli asparagi vanno cotti con le punte fuori dall’acqua, cosí le punte cuociono al vapore e conservano il buono. Dice che Cinotti (via XX Settembre) è il miglior ristorante di Genova. Ha mangiato la zuppa di pesce a Napoli, su una chiatta. È odiosa, ma piena di cose.

(«Io avevo un’amica che adesso suona»

«In tempo di guerra non ho sofferto. Ah no non ho sofferto. Magari un’insalata, ma sotto c’era la carne... » «Da Ranieri, via delle Carrozze, ho trovato un cameriere che era a Chianciano. Mi ha trattato bene»).

2 giugno.

La folla, quando sia vista come umano vivaio di ciò che ti fa vivere, rasserena e dà coraggio.

Ci sono dei santi, dei preti energici, che hanno la superbia infantile della loro forza. Ma non tanto infantile: ne sanno l’uso e lo sfruttano. [p. 316 modifica]

L’insofferenza dell’uomo scrittore, delle sue lettere e diari, dei suoi gesti, il bisogno di ascoltare anonimamente la sua opera, nascono dall’esigenza di trovare qualcosa di assoluto, di guardare a un paragone, a una realtà operante. Sono premessa di classicità.

4 giugno.

Per quanto viva sia la gioia di stare con amici, con qualcuno, è piú forte quella di andarsene soli, dopo. La vita e la morte.

Dopotutto è un brav’uomo, G. Vuole veramente aver compagnia. Ha tremendi fardelli di un gusto passato, e non se ne accorge.

Ma sei sicuro di non volergli bene soltanto perché hai potuto pagare e regolare il conto? «Sarò cadavere» ha detto, «sono vile, fammi pagare. Signore, il piú tardi possibile».

23 giugno. (Torino)

Un discorso di comizio ha la natura del rito religioso. Si ascolta per sentire ciò che già si pensava, per esaltarsi nella comune fede e confessione.

1° luglio.

In sostanza, perché si desidera esser grandi, esser geni creatori? Per la posterità? No. Per girare tra la folla, segnati a dito? No. Per sostenere la fatica quotidiana sulla certezza che quanto si fa vale la pena, è qualcosa di unico. Per l’oggi, non per l’eterno.

10 luglio.

Contemplato a lungo la collina oltre Po e notato che insomma sono tutti parchi, ville, strade note e rinote. [p. 317 modifica]

Dov’è l’interesse per il selvaggio, che pure t’incute? Quel che accade al selvaggio è di venir ridotto a luogo noto e civile. Il selvaggio come tale non ha in fondo realtà. È ciò che le cose erano, in quanto inumane. Ma le cose in quanto interessano sono umane.

Notato che Paesi tuoi e Dialoghi con Leucò nascono dal vagheggiamento del selvaggio — la campagna e il titanismo.

In questo argomento, si può sperare di andar oltre al Richiamo della foresta? Che pure ti scoccia assai.

L’arte del Novecento batte tutta sul selvaggio. Prima come argomenti (Kipling, D’ Annunzio ecc.), poi come forma (Joyce, Picasso ecc.). Leopardi con le illusioni poetiche giovanili ha vagheggiato questo selvaggio, come forma psicologica. Anderson, a modo suo, ha toccato questo selvaggio, nella naturalità della vita del Centro-ovest. Tutto ciò che ti ha colpito in modo creativo nelle letture, sapeva di questo. (Nietzsche col suo Dioniso...)

Con la scoperta dell’etnologia sei giunto a storicizzare questo selvaggio. La città-campagna dei primi libri è diventata il titanismo-olimpico dell’ultimo. Tu vagheggi la campagna, il titanismo — il selvaggio — ma apprezzi il buon senso, la misura, l’intelligenza chiara dei Berto, dei Pablo, dei marciapiedi. Il selvaggio t’interessa come mistero, non come brutalità storica. Non ti piacciono le storie partigiane o terroristiche, sono troppo spiegabili. Selvaggio vuol dire mistero, possibilità aperta.

La tua idea, del 23-26 agosto ’44, che selvaggio sia il superstizioso, il non piú accettabile moralmente, mentre il semplice caso è naturale (anche la crudeltà della natura ci appare moralmente superata), accompagna la tua favola perenne — il selvaggio, il titanico, il brutale, il reazionario sono superati dal cittadino, dall’olimpico, dal progressivo. Cfr. Paesi tuoi, Dialoghi con Leucò, Compagno. Tu esalti l’ordine descrivendo il disordine.

21 luglio.

Si aspira ad avere un lavoro, per avere il diritto di riposarsi. [p. 318 modifica]

26 luglio.

da nilsson, The Minoan Mycenean ecc.

p. 279: «La terra è da una parte il luogo di riposo dei morti che sono sepolti nel suo seno, dall’altra la datrice della fertilità. Le divinità ctonie appaiono nel doppio aspetto di signore della morte e della fertilità.

Ho già piú volte espresso i miei dubbi quanto alla generale validità di questo ipotetico sistema, specie quando si sviluppa oltre e le divinità ctonie sono contrapposte alle olimpiche».

28 luglio.

id., p. 413: «Nell’antichità... il motivo per cui si costruiva un tempio in un dato luogo era che questo luogo era già sacro. La sacralità era inerente al luogo, ed essa dipendeva specialmente dal culto».

Apollo è il mandamalanni. Cfr. Fiore e Cavalle dove compare come tale, e solo cosí.

I Dialoghetti conservano gli elementi, i gesti, gli attributi, i nodi del mito, ma ne aboliscono la realtà culturale radicata in una storia d’innesti, calchi, derivazioni, ecc. (che ce li rende comprensibili). Ne aboliscono pure l’ambiente sociale (che li rendeva accettabili agli antichi). Quello che resta è il problema, che la tua fantasia risolve.

4 agosto.

Da harrison, Prolegomena ecc., p. 650.

«Gli olimpici si occupano altrettanto poco del Prima che del Poi; non sono né la sorgente della vita né il suo fine. Inoltre, altra caratteristica è che, con le piú rigide limitazioni, sono umani. Non [p. 319 modifica]sono una cosa sola con la vita che è nelle bestie, nelle correnti, nei boschi come nell’uomo. Eros “che ha i piedi sui fiori” che “dorme nelle pieghe” è di tutta la vita, è Dioniso, è Pan. Sotto l’influsso ateniese Eros si chiude in forma puramente umana, ma il Fanes di Orfeo era polimorfo, un dio-bestia misterico».

(Senza saperlo, applicavi quest’idea nei Dialoghetti polemizzando in base al mondo titanico e bestiale contro quello olimpico).

6 agosto.

L’idea surrealista (da Herb. Read) che le immagini, le ispirazioni siano magari messaggi telepatici captati — e tutta la teoria del sogno = poesia, dell’automatismo espressivo — tende a sottrarre il lavoro letterario dal terroso e ben piantato suolo naturale e sociale, dove ha un senso che interessa tutta l’esistenza, e buttarlo in un cielo esclusivistico di illuminazioni e trovate che da sole non sono che giochi — cosí come un caso di telepatia è un numero di teatro e non un fatto umano.

L’interesse di un’opera per chi la fa — e anche per chi la capisce — è di vederla formarsi tra tendenze contrastanti, comporre e innestare queste tendenze, dar loro un senso formale — e il massimo dei contrasti è fra l’inconscio e il conscio (esigenze sociali, comunicative, etiche, ecc.). Un’opera di mero inconscio — mero automatismo — è irrespirabile, o un mero scherzo.

10 agosto. (Forte dei Marmi)

I problemi che agitano una generazione si estinguono per la generazione successiva non perché siano stati risolti ma perché il disinteresse generale li abolisce.

Queste montagne dovrebbero essere greche. Dal mare si vedono le prime, scure e boscose, verde-ruggine, e dietro, lontano [p. 320 modifica]nel cielo, i profili spettrali, aerei, delle tutto-sasso, pallide, lievi. Il loro chiarore sovrumano è fatto di vene di marmo. Sono uno scenario selvaggio, ma pieno di forma e di ritmo, aspro, asciutto, mitico: greco.

16 agosto. (Forte dei Marmi)

La piú mite e pacata e molle stagione, l’autunno, soppianta la precedente e si stabilisce con sussulti paurosi, temporali enormi, tenebre sul mattino, turbini e stragi di foglie che fan capire quanta violenza costi la maturità.

18 agosto.

Un’opera non risolve nulla, cosí come il lavoro di tutta una generazione non risolve nulla. I figli — il domani — ricominciano sempre e ignorano allegramente i padri, il già fatto. È piú accettabile l’odio, la rivolta contro il passato che non questa beata ignoranza. La bontà delle epoche antiche era la loro costituzione in cui si guardava sempre al passato. Questo il segreto della loro completezza inesauribile. Perché la ricchezza di un’opera — di una generazione — è sempre data dalla quantità di passato che contiene.

25 agosto.

La prima grande manifestazione di «letteratura» e insieme la sua fondazione esemplare si accompagna al mito di un’età dell’oro, di una torre d’avorio (Arcadia virgiliana).

26 agosto.

Che a ciascuno accadano sempre le stesse cose, non è affermazione deterministica. Anzi. Se queste cose accadono non vuol dire che il soggetto è determinato dalla necessità di esse cose, ma che [p. 321 modifica]in ogni incontro porta la sua costanza, indole, persona, essenza ecc. ed è questa a scegliere gli incontri, a foggiarli sempre all’uguale. Per quanto entra l’io umano negli incontri essi sono liberi.

7 novembre.

Pubblicati Compagno e Leucò.

Lavori del ’46 — dei 38 anni. Hai voglia di scrivere piú che mai. Meno male.

Questo amore tranquillo, senza problema, è il piú grosso dei tuoi problemi. Ti entra nel sangue piú degli altri. È quello vero? Chi sa.

8 novembre.

Rispondo che l’assoluto e fiducioso abbandono di sé all’umiltà, alla grazia, a Dio, ha il difetto di essere un gesto presuntuoso, una superbia, una speranza ingiustificata. Una comoda ipotesi.

Mi si risponde. Ogni uomo è cosí. Cade in strada e tende la mano. Si sente morire e si affida a chiunque. La vera esperienza costringe alla totale abdicazione e alla speranza. Quando siamo perduti, speriamo.

Rispondo che non è ancora un motivo perché la cosa sperata sia reale, esistente.

Mi si risponde di accettare il mio gesto istintivo. Non posso sbagliarmi. Non esiste piú il problema di sbagliarsi, perché in quel modo tutto mi è dato, anche la fede.

Rispondo che allora...

Mi si risponde...

Rispondo... [p. 322 modifica]

11 novembre.

Se la persona che aspetti non tornasse, non venisse mai piú a cercarti, restasse dov’è, il suo coraggio avrebbe l’inutile effetto di farsi rimpiangere. Tu che ami tanto farti rimpiangere, impara quanto sia futile l’effetto.

La Casa in collina può essere l’esperienza che ha culminato in Ritorno all’uomo.

21 novembre.

Sapere che qualcuno ti attende, qualcuno ti può chiedere conto dei tuoi gesti e pensieri, qualcuno ti può seguire con gli occhi e aspettarsi una parola — tutto questo ti pesa, t’impaccia, t’offende.

Ecco perché il credente è sano, anche carnalmente — sa che qualcuno lo attende, il suo Dio. Tu sei celibe — non credi in Dio.

7 dicembre.

Si è tanto parlato, descritto, divulgato l’allarme sulla nostra vita, sul nostro mondo, sulla nostra cultura, che vedere il sole, le nuvole, uscire in strada e trovare dell’erba, dei sassi, dei cani, commuove come una grande grazia, come un dono di Dio, come un sogno. Ma un sogno reale, che dura, che c’è.

11 dicembre.

«Le madri» dicono i latini, parlando delle baccanti. Non è strano? No, se si pensa che l’orgiasmo bacchico è un rito d’iniziazione dei tempi matriarcali.

«... the hunting, fighting, or what not, the thing done, is never religious; the thing re-done with heightened emotion is on the way [p. 323 modifica]to become so. The element of action re-done, imitated, thè element of μίμεσις is, I think, essential... Not the attempt to deceive, but a desire to re-live, to re-present» (harrison, Themis, p. 43).

Non corrisponde al tuo vedere mitico, alla tua «seconda volta»? E in questa mimesi c’è il segreto della poesia. Ri-presentare una cosa (atta, una caccia, una battaglia, non è raccontarla? Ri-presentarla prima che avvenga, per farla accadere (magia), non è profetarla? Ecco la poesia, che è magia e rito — religione.

Il fascino dei miti greci nasce dal fatto che posizioni inizialmente magiche, totemiche, matriarcali, iniziatiche vennero — per la strenua elaborazione del pensiero cosciente avvenuta nei secoli x-viii a. C. — reinterpretate, tormentate, contaminate, innestate, secondo ragione, e cosí ci sono giunte ricche di tutta questa chiarezza e tensione spirituale ma tuttora variegate di antichi simbolici sensi selvaggi.

20 dicembre.

Che il rito preceda sempre il mito e il dogma è la grande legge delle cose spirituali. Se per rito dici vita e per mito e dogma poesia e filosofia, la cosa è chiara.

Anche il rito dell’agape e dell’eucaristia precedette i Vangeli e ne determinò la forma.

28 dicembre.

Il mito greco insegna che si combatte sempre contro una parte di sé, quella che si è superata, Zeus contro Tifone, Apollo contro il Pitone. Inversamente, ciò contro cui si combatte è sempre una parte di sé, un antico se stesso. Si combatte soprattutto per non essere qualcosa, per liberarsi. Chi non ha grandi ripugnanze, non combatte.