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Il paradiso perduto/Libro quinto

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Libro quinto

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John Milton - Il paradiso perduto (1667)
Traduzione dall'inglese di Lazzaro Papi (1811)
Libro quinto
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Allo spuntar del giorno Eva racconta ad Adamo un sogno che l’ha turbata nella scorsa notte. Egli, benché lo ascolti con dispiacere, pur la consola; e quindi escono ambedue a prender cura del giardino. Loro cantico mattutino sulla soglia dell’albergo. Dio per tôrre all’uomo ogni scusa, manda Rafaello ad ammonirlo di non partirsi dall’ubbidienza, di far buon uso della sua libertà e di stare in guardia contro il suo nimico; a scoprirgli in fine quanto può essergli utile di sapere. Rafaelo scende nel paradiso. Sua comparsa. Adamo lo scorge di lontano, gli va incontro e lo conduce alla sua dimora, ove lo invita al suo pranzo. Rafaelo eseguisce gli ordini avuti, avverte Adamo del suo stato e del suo nemico e gli espone chi questi sia: gli narra il principio e la cagione della guerra avvenuta in cielo e come Satáno strascinò seco le sue regioni verso la parte Aquilonare e le spinse a ribellarsi, eccettuato il solo Abdiello, zelante Serafino che disputa contro di lui e lo abbandona.


 
I rosei passi per le piagge Eoe
Inoltrava l’Aurora, e ’l verde grembo
Alla terra spargea d’indiche perle
Quando col giorno uso a levarsi Adamo
5Si risvegliò. Dell’aere al par leggiero
Era il suo sonno, da temprati e puri
Cibi nudrito, e sol bastava a sciorlo
De’ fumanti ruscelli il mormorìo,
Il tremolar degli arboscelli scossi
10Dall’aura mattutina e ’l garrir lieto
De’ vispi augei che d’ogni ramo uscìa.
Non desta ancor con maraviglia ei mira
Eva, scomposta il crin, le gote accesa,
Argomento di torbido riposo;
15E appoggiato sul cubito, con guardi
D’amore ardenti sovra lei pendea
Fiso in quella beltà che, vegli o dorma,
Spira ognor nuove grazie. Indi la mano
Mollemente prendendole, con voce
20Soave, qual di Zefiro è il susurro,
Sul sen di Flora, bisbigliolle: Sorgi,
Sposa, amor mio, mio bene, ultimo dono
E ’l più caro del ciel; svegliati, o sempre
Nuovo diletto mio: splende il mattino,
25C’invita il fresco campo, e l’ora destra
Noi perdiam d’osservar come le piante
Da noi culte germoglino, e s’ingemmi
Quel boschetto vaghissimo de’ cedri;
Come la mirra e ’l balsamo distilli,
30Di quai color la terra e ’l ciel si pinga,
E come l’ape su pe’ fior novelli
Si posi e sugga il liquido tesoro.
A que’ bisbigli ella destossi, e vôlti
In Adam gli occhi paurosi, al seno
35Lo strinse e disse: O solo in cui riposo
Trovano i miei pensier, mia gloria e mia
Felicità, con qual piacer riveggo
Il tuo sembiante e la risorta aurora!
Chè questa notte (ah! simil notte unquanco
40Non trascorsi finor) sognai, se pure
Un sogno fu, non già, qual spesso io soglio,
Di te, dell’opre del passato giorno,
O di quelle che andiam pel nuovo sole
Divisando fra noi, ma un torbo e tetro
45Sogno fu il mio, qual non s’offerse prima
Al mio spirto giammai. Presso l’orecchio
Una voce gentil (la tua mi parve)
Fuori a diporto m’invitò: Tu dormi,
Eva? diceami quella voce; ah! vieni:
50Piacevol, fresca, taciturna è l’ora,
Se non che il vigil gorgheggiante augello
Rompe il silenzio della notte e sparge
Più dolci all’aure i suoi sospir d’amore.
Più chiaro il lume suo versa dal pieno
55Orbe la luna e vagamente ombreggia
La faccia delle cose. A che sì bella
Vista, se alcun non la riguarda? Il cielo
Con tutti gli occhi suoi perchè si veglia
Se non per mirar te, che l’amor sei
60Della natura tutta, e ovunque volgi
L’almo degli occhi tuoi fulgór sereno,
Desìo, diletto e maraviglia inspiri?
Ratta io mi levo a quella voce, come
Fosse la tua, ma te non trovo, e i passi
65Volgendo a ricercarti, mi parea
Soletta e dubitosa andar per vie
Che d’improvviso guidanmi alla pianta
Del vietato Saper; bella appariva
All’avvinto pensier, più bella assai
70Che non m’appar nel dì: mentre mirando
La sto meravigliata, ecco mi sembra
Veder a lei vicino un che all’aspetto
Color somiglia ed alle gemin’ali
Che noi veggiam dal ciel venir qui spesso.
75D’ambrosia le sue chiome eran stillanti,
E su quell’arbor fise anch’ei tenendo
Le desïose luci: O vaga pianta,
Dicea, di frutti sovraccarca, or come
D’alleggerirti il peso alcun non degna,
80Non Dio, non uomo, e l’alma tua dolcezza
Assaporar? Così spregiato e vile
Dunqu’è il Saper? qual mai divieto è questo
Se non quel dell’invidia? Eh, lo divieti
Chiunque vuolsi; il sommo ben che m’offri,
85Arbor gentile, alcun non fia che a lungo
Più mi ritardi. E perchè qui locato
Saresti tu? Ciò detto, ei non ristassi,
Stende l’ardita mano, il frutto spicca,
L’ammira, il gusta. A quel parlar audace
90Cui l’atto reo succede, un freddo orrore
Tutte mi ricercò le vene e l’ossa;
Ma quei gioioso ed esultante: Oh! disse,
Frutto divin, per te medesmo dolce,
Ma così colto ancor più dolce e solo
95Vietato, come appar, perchè di Numi
Se’ proprio cibo, e perchè insiem possente
Gli uomini in Numi a trasmutar tu sei!
E perchè dato agli uomini non fora
Divenir Dei? Quant’è più sparso il bene,
100Tant’ei più cresce e più d’onor n’acquista,
Senz’alcun danno, l’amor suo. Deh! vieni,
Eva leggiadra, angelica Eva, a parte
Vienne tu pur: la tua felice sorte
Più felice esser può, benchè più degna
105Esser tu non ne possa; il frutto gusta
E sii fra’ Dei Diva tu ancor: la terra,
No, tuo confin non sia: qual dato è a noi,
Per gli eterei sentier tu pur ti leva,
Ascendi al ciel, com’è tuo merto, e vedi
110Qual vita colassù vivon gli Dei,
E quella vivi. In così dir, dappresso
Ei mi si fece e presentommi parte
Del frutto ch’avea côlto; infino al labbro
Ei me lo sporse: quell’odor soave
115Di tal vivo desìo tutta m’accese
Che del gustarlo (mi parea) non seppi
Più rattenermi. Sulle nubi a volo
Seco allor m’alzo immantenente, e stesa
Veggo sotto di me l’immensa terra,
120Spettacol grande e vario! Io di sì strano
Mio cangiamento, di cotant’altezza
Ove mi trovo, attonita, confusa
Rimango; a un tratto la mia guida perdo,
E giù traboccar sembrami, ed in braccio
125Cado del sonno. Or ch’io son desta, oh quanta
È la mia gioia in ritrovar che tutto
Fu vano sogno! - Eva sì disse, e mesto
Adam le rispondeva: - O di me stesso
Immagine miglior, metà più cara,
130Tal sogno agitator del tuo riposo
Non minor turbamento in me pur desta;
Strano m’appar, non può piacermi, e temo
Che sia figlio del mal. Ma no: che dissi?
E d’onde il male? in te creata pura
135Niun male albergar può. M’ascolta: in noi
Molte minori facoltà che serve
Sono della Ragion quasi reina,
Il Creatore ha posto, ed è primiera
La Fantasia fra queste: ella di quanto
140Nei cinque si ritrae vigili sensi,
Imagini raccoglie, aeree forme
Che la Ragion dipoi congiunge o scevra,
Onde quanto da noi s’afferma o niega,
Quanto si crede o sa, l’origin prende.
145Quando posa natura, in sua privata
Cella ricovra la Ragione, e allora
L’imitatrice Fantasia sovente
A contraffarla destasi, ma insieme
Le antiche e nuove idee mal accoppiando,
150Vane chimere crea, prodigi e mostri.
Di quanto noi nella trascorsa sera
Insiem parlammo, in questo sogno parmi
Le simiglianze rintracciar, ma invero
Molto di strano evvi commisto ancora.
155Non t’attristar però: chè i rei pensieri
Possono per le umane e dive menti
Riprovati passar, nè macchia o biasmo
Lasciarsi dietro: quel che tu dormendo
Abborristi sognar, non mai, lo spero,
160Non mai tu desta acconsentir vorrai
Di porre in opra. Dal tuo sen sbandisci
Quindi ogni tema, ed ogni nube sgombra
Da que’ begli occhi che sereni e lieti
Esser solean più del mattin che spunta,
165Ed alla terra e al ciel sorride. Or vieni;
Torniamo all’opra, fra i boschetti, i fonti
E i freschi fior che dall’aperto seno
Or t’offrono i più rari eletti odori,
Di cui fer serbo nella notte. - Adamo
170Così conforta la leggiadra sposa
Che si rincora, è ver, ma due vezzose
Lagrimette cader lascia dagli occhi
Tacitamente e le rasciuga tosto
Co’ bei capelli: altre due care stille
175Che tremolanti le pendean dal ciglio,
A suggere co’ baci ei tosto corse,
Quai d’un cor puro grazïosi segni,
Di bel rimorso e pio terror sublime,
Così rasserenati il core e ’l volto
180S’inviano entrambi al prato, e dell’ombroso
Arboreo tetto sulla soglia in pria
L’aurora e ’l sole ammirano che sopra
La fiammante quadriga, ancor a mezzo
Nell’onde immersa i rugiadosi rai
185Vibrava a fior della terrestre faccia,
E tutta l’ampia orïental pianura
Di quel terren felice in vaga mostra
Presentava allo sguardo. Indi, sul suolo
Genuflessi ed umìli, al gran Fattore
190L’usato lor di mattutine preci
E laudi offron tributo in vario stile;
Stil, che senz’arte, immeditato e caldo
Sol de’ voti del cor, pronto discorre
Dalle lor labbra, or in faconda prosa,
195Or in sonanti armonïosi carmi,
E non ha d’uopo di leùto o d’arpa
Che gli accresca dolcezza. O grande, o eccelso,
O fonte d’ogni bene, eterno Padre,
(Eglino incominciaro) opre son queste
200Tutte della tua destra, è tuo lavoro
Questa dell’universo immensa mole
Mirabilmente bella. Oh! quanto dunque
Più mirabil di lei sarai tu stesso,
Tu sommo, tu ineffabile che siedi
205Tant’oltre a quelle sfere ove non giunge
Il nostro infermo sguardo, e solo in queste
Opre tue di quaggiù, quasi per nebbia,
Trasparir lasci testimone un raggio
Della suprema tua possa e bontade
210Ch’ogni confine, ogni pensier sorpassa!
Di lui parlate, o voi figlie di luce,
Voi, che meglio il potete, alate schiere
D’eterei Spirti, a cui mirarlo è dato,
Voi che lassù nel sempiterno giorno
215Gli alzate attorno al solio in lieto coro
Inni di gioia e cantici d’amore.
Unitevi, del cielo e della terra,
Voi, creature tutte, e lui cantate
D’ogni cosa principio e centro e fine.
220E tu dell’altre più lucente e vaga
Stella che chiudi l’aureo stuol di tante
Notturne faci e alla ridente aurora
Di luminoso cerchio il crin coroni,
Esaltalo in tua sfera or che rinasce
225Questo lieto del dì tenero albòre.
O sol, che l’alma insieme e l’occhio sei
Di questo vasto mondo, umile adora
Lui che i raggi ti diede, e lui confessa
Tuo Fattor, tuo Signor: di sua grandezza
230Quella ch’ei t’assegnò carriera eterna
Suoni ovunque le glorie e quando spunti,
E quando in mezzo al ciel t’ergi sublime,
E quando in seno all’océan t’ascondi.
Luna, che incontro al sol nascente or vai,
235Ed or ten scosti colle fisse stelle,
Fisse nel lor veloce orbe rotante;
E voi, cinque altri erranti astri sereni,
Che non senz’armonia movete intorno
Mistica danza, risonar le lodi
240Fate di lui che l’aurea luce fuori
Chiamò dal sen della profonda notte.
Aria, elementi, voi che prima prole
Foste della natura, e nel perenne
Vostro giro moltiplice mescete
245Tutto e nudrite, a lui gli omaggi ancora
Nel cangiar vostro rinnovate sempre.
E voi, nebbie e vapor, che grigi e foschi
Dai monti uscite e dai fumanti laghi
Finchè i villosi margini dipinti
250Non v’ha con l’oro de’ suoi raggi il sole,
Voi pur rendete al sommo Fabro onore;
E mentre il ciel di multiformi nubi
V’alzate ad abbellir, mentre, disciolti
In fresche piogge, gli assetati campi
255Scendete ad irrigare a lui porgete
Nel sorger, nel cader le vostre lodi.
Voi, venti, a cui dell’aere il vasto impero
Egli divise, or ne’ soavi fiati,
Or nei gagliardi, il santo nome sempre
260Risonate di lui. D’ossequio in segno
Piegate le ondeggianti altere cime,
O cedri, o pini: e voi, fontane, e voi,
Limpidi mormorevoli ruscelli,
Nel vostro dolce gorgogliar perenne
265Ripetete sue glorie. O tutte voi,
Alme viventi, a celebrarlo unite
Le vostre voci; e voi, canori augelli,
Che il vol stendete alle celesti porte,
Sulle vostr’ali e ne’ cocenti vostri
270Per ogni spiaggia ite a portarne il nome,
Voi che guizzate in mar, voi che la terra
Strisciate umíli o passeggiate alteri,
Fatemi fè se nel mattin, se a sera
D’iterar le sue lodi io cesso mai
275Ai monti ed alle valli, ai boschi e all’acque
Che ripeterle meco omai pur sanno.
Salve, o Signor del tutto. A noi deh! sempre
Sii largo de’ tuoi beni: e se la notte
Celato avesse e intorno a noi raccolto
280Alcun danno, alcun mal, com’or dilegua
L’ombre il sorgente dì, tu lo disperdi.
Così pregâr quegl’innocenti, e in core
Tosto rinacque lor l’usata calma:
Al campestre lavoro s’affrettan quindi
285Fra dolci rugiadette e freschi fiori,
E dove piene di soverchio umore
Stendon le piante e gli arboscelli i troppo
Vaganti rami ad infecondi amplessi,
Volgon la mano emendatrice, o all’olmo
290Sposan la vite che lo cinge intorno
Colle nubili braccia ed i soavi
Biondi grappoli suoi gli reca in dote,
Ond’ei s’adorna le frondose chiome.
In tai cure occupati, il Re del cielo
295Con pietà li riguarda; indi a sè chiama
Rafaello, gentile, affabil Spirto,
Quel desso ch’a Tobia si fe’ compagno
E con securo nodo unillo a Sara,
Vergine insieme e vedova di sette
300Nel dì delle lor nozze estinti sposi.
- Già udisti, Rafael (l’Eterno disse),
Che, fuggito d’Averno, il fier Satáno
Pel tenebroso golfo in sulla terra
Alfin è giunto, e in questa notte stessa
305Nel mezzo al Paradiso insidie e danni
Contro quella tramò coppia innocente;
E sai che in lei l’umana stirpe tutta
Perder a un tempo il perfido disegna.
Va dunque, e con Adam, qual suole amico
310Con altro amico, in compagnia trapassa
Di questo giorno la metà là dove
Fuggendo del meriggio i caldi rai
Egli ricovra al rezzo, e si ristora
Col cibo o col riposo. A lui favella
315Del ben che gode; i ricevuti doni
Tu gli rammenta, e che riposta è in lui,
Nel suo voler la sua felice sorte;
Che il suo voler libero è appieno, e quindi
Anco esposto a cangiarsi; ond’ei, fidando
320Troppo in se stesso, dal diritto calle
L’orme non torca. Il suo periglio infine
Non gli tacer, nè chi lo trama; digli
Qual inimico, che testè dal cielo
Cacciato fu, va macchinando come
325Altri con seco in simile ruina
Da un lieto stato simile pur tragga,
Per forza no (chè fia da me respinta),
Ma per menzogna e inganno. Ei questo sappia
Onde, se poscia volontario egli erra,
330In sua discolpa d’arrecar non pensi,
Che fu sorpreso e inavvertito cadde. -
Sì Dio parlò, sì di giustizia tutte
Compiè le parti. Le ordinate cose
Udite appena il messaggier, dal loco
335Dov’ei tra mille ardor celesti e mille
Velato stava di stellanti vanni,
Ratto e leggier spiccasi a vol: per tutto
Ripartite le angeliche falangi.
L’empirea via gli disgombraro: ei giugne
340Alla porta del ciel, che per sè stessa
Sovra i cardini d’ôr rapida gira
E innanzi a lui spalancasi; con tanto
Magistero formolla il Fabro eterno!
Colà non astro si frappone o nube
345Alla sua vista, ed il terrestre globo,
Per quanto picciol sia, discerne a tanti
Lucenti globi non disforme, e in esso
Coronato di cedri alto levarsi
Il bel giardin di Dio sovra ogni monte.
350Del gran Tosco così gl’industri vetri
Mostran, ma certe men, le terre e i mari
Nell’orbe della luna; e tal su i piani
Liquidi dell’Egéo scorge il nocchiero
Delo o Samo apparir qual nebulosa
355Lontana macchia. Indi all’ingiù si lancia
L’Angel con volo rapido le vaste
Onde äeree fendendo, e mondi e mondi
Lasciasi addietro. Or colle ferme penne
Striscia librato su i polari venti,
360Or del cedevol etra i campi sferza
Col veloce remeggio. Alfin là giunto
Dove sulle robuste ali s’innalza
L’aquila altera, alle pennute torme
Sembrar potea quel rinascente e solo
365Arabo augel, quando a locar nel tempio
Luminoso del sol gli avanzi suoi
Vola all’egizia Tebe. In sulla balza
Orïental del paradiso calasi
L’Angelo, ed in sua forma ivi si mostra.
370Vela ed ammanta le celesti membra
Triplice coppia d’ali: esce la prima
Dall’ampie spalle e gli ricopre il petto
Con regal fregio d’ostro e d’oro: a’ fianchi
Gli forma l’altra una stellata fascia
375Di molle aurea lanugine che splende
Di superni color: sporge la terza
D’ambo i talloni, e d’un’eterea azzurra
Grana dipinta con piumosa maglia
I piè gli adombra. Al favoloso figlio
380Di Maia ei stette somigliante, e scosse
Le penne ch’esalaro un’ampia intorno
Celestïal fragranza. Ogni drappello
Degli Angeli che a guardia eran là posti,
Tosto lo riconobbe, e al grado, all’alto
385Messaggio suo (chè apportator lo avvisa
Di qualche alto messaggio) in piè si leva
Di riverenza in segno. Egli trapassa
Le fulgide lor tende e ’l piede inoltra
Nel suol felice fra selvette amene
390Un odor soavissimo spiranti
Di balsamo, di nardo e cassia e mirra;
Larga, profusa ridondanza d’ogni
Don della terra: chè ripiena e calda
Di vigoría, di spirti ivi Natura
395Libere e sciolte d’ogni legge e modo
Sue giovinette fantasie dispiega,
Ed è nel suo disordine più bella.
Venir per l’odorifera foresta
Da lunge il vide Adam, che stava assiso
400Sulla soglia del suo fresco boschetto,
Mentre a scaldare il più riposto grembo
Della terra già il sole alto vibrava
Dritti i suoi raggi, e più gagliardi e vivi
Che Adam non avea d’uopo. Eva nel fondo
405Pel loro pranzo saporose frutta
Apprestando sen gìa sull’ora usata,
A sano gusto ed a verace voglia
Soavi frutta che non fan men dolci
Le nettaree bevande a lor frammiste
410Di grappoli, di bacche e latteo rivo.
Adam la chiama e dice: - Eva, t’affretta,
Vieni, vedi colà vêr l’Orïente
Qual degno de’ tuoi sguardi illustre oggetto
Fra quelle piante inverso noi s’avanza.
415Ei sembra un’altra scintillante aurora
Che sul meriggio sorga: un qualche Grande
Ci arreca, s’io non erro, ordin del cielo,
E forse in questo dì vuol farci degni
D’esser ospite nostro. Or vanne tosto,
420Arreca fuor quanto riposto serbi
Ed abbondanza spargi, onde s’onori
Il sublime stranier. Noi ben possiamo
Lor doni ai donator rendere in parte,
E largamente dar quel che concesso
425N’è così largamente. Il suo fecondo
Sen qui schiude Natura, e quanto i suoi
Tesor più spande, vie più ricca e bella
Mostrasi, e largità così c’insegna.
O Adamo (Eva risponde), o eletta parte
430Di sacra terra, in cui spirò l’Eterno
Il soffio animatore, aver non giova
Qui molto in serbo, u’ di mature frutta
Sempre da’ rami sì gran copia pende.
Io sol quelle riposi, a cui più grata
435E ferma polpa aggiugne il tempo e toglie
Il soperchio d’umor. Ma ratta or vado
E da ogni pianta ed arbuscello io voglio
Tal’eletta raccor d’ogni più vago,
Più saporoso e succulento pomo
440Ch’oggi in mirar tanta ricchezza il grande
Nostr’ospite confessi aver Iddio
Sparse qui sulla terra al par che in cielo
Le grazie sue. - Così dicendo, il guardo
Volge intorno sollecito e sen parte;
445E tutta intenta alle ospitali cure,
Va fra sè divisando a qual s’appigli
Scelta ed ordin migliore onde non sieno
Mal misti e mal graditi i sapor varj,
Ma più soave e dilicato all’uno
450L’altro succeda. Diligente scorre
Per mezzo a tante piante, e ciò che l’alma
Terra, feconda madre, entro le rive
D’ambe l’Indie produce, o là nel Ponto,
O sul punico lido, o dove un giorno
455Alcinöo regnò, tutto crescente
In quel ricco giardin, ella raduna,
Frutta d’ogni maniera, in liscia e molle,
In scabra e dura scorza, e tutto quindi
Con larga mano in sulla mensa ammonta.
460Uve odorate spreme e bacche elette,
E bevande ne tempera e prepara
Di soave sapore; un almo latte
Dalle mandorle elice, e pure tazze
Non le mancano all’uopo; indi la terra
465Sparge di rose e di squisiti odori
Tolti a’ freschi arboscelli. Intanto il nostro
Primo gran padre ad incontrar se n’esce
L’ospite suo divin, nè d’altro è cinto
Che de’ sommi suoi pregi: in lui medesmo
470La sua grandezza è tutta, assai diversa
Dal vano fasto che circonda i regi,
Quando di palafreni e servil turba
Il gran corteggio oro-listato abbaglia
Lo stolto vulgo e a bocca aperta il tiene.
475Senza timore alcun, ma pieno a un tempo
Di riverenza, all’Angelo s’appressa
Il primo padre, e, qual si debbe ad alma,
Superïor natura, a lui s’inchina
Profondamente in dolce aspetto e dice:
480- Celeste abitator (chè sol dal cielo
Ponno venir sì nobili sembianze),
Poichè lasciar quelle beate sedi
Ti sei degnato e onorar queste, i tuoi
Favori ah! compi ancor; con noi che soli
485Qui siamo e in don dal Creatore avemmo
Questo largo terren, piacciati, assiso
Di quel boschetto alla fresc’ombra lieta,
Prender riposo e insiem gustar di quanto
Più scelto a noi questo giardin comparte,
490Finchè dechini il sole e non sì vivi
Spanda i suoi rai. - Sì, qui perciò ne venni
(Amorevole e dolce a lui risponde
L’Angelo allora), e tal creato, Adamo,
Non fosti tu, nè tal soggiorno è questo
495Che possano i Celesti avere a sdegno
Di visitarvi spesso. Or sotto l’ombre
Del tuo boschetto andiamne pur, chè fino
All’imbrunir del dì teco mi lice
E giova dimorar. - Così dicendo,
500Nella silvestre loggia entrâr che tutta,
Qual di Pomona pingesi l’albergo,
Ridea vestita d’olezzanti fiori.
Ignuda e sol di sè medesma adorna,
Amabilmente grazïosa e vaga
505Più che silvestre ninfa e più di quella
Favoleggiata Dea che in Ida vinse
Le altre due di beltade e ’l pomo ottenne,
Eva ad accôr l’ospite suo celeste
In piè tosto levossi; uopo di velo
510Non ha; virtù la copre, e le sue gote
Pensier non è che di rossore asperga.
- Ave (le disse Rafael, divino
Saluto ch’assai dopo udì pur anco
Maria, riparatrice Eva seconda),
515Ave, o gran madre dell’uman lignaggio,
Del cui fecondo grembo uscir dee prole
Più numerosa mille volte e mille
Delle soavi frutta onde sì carca
Han questa mensa gli arbori di Dio. -
520Sorgea d’erbose zolle il largo desco
Cinto all’intorno di muscosi seggi,
E sovr’esso raccolta era d’autunno
Ogni dovizia, ancor che là perenni
Il ricco autunno e la stagion de’ fiori
525Si tengano per man. Parlando in pria
Si stetter essi alquanto, e ’l primo nostro
Padre sì cominciò: - Stranier celeste,
Deh! questi doni di gustar ti piaccia.
Quegli da cui discende ogni perfetto,
530Ogn’infinito ben, fuor della terra
Per alimento e per diletto nostro
Sorger li fe’: delle celesti essenze
Son forse cibo insipido; ma questo
Soltanto io so che comun padre a tutti
535È quei che li dispensa. Ingrato cibo
(L’Angelo a lui risponde) esser non puote
A puro Spirto quel ch’all’uomo, in parte
Incorporeo pur anche, ei diede in dono,
Ei le cui lodi sien cantate sempre.
540Il tuo corpo ebbe un’alma, e i nostri spirti
Fur di sensi dotati; e se l’uom pensa
Ed intende e ragiona e tanto s’erge
Sull’incarco terren, l’Angelo ancora
Scende a nudirsi. Ei vista e udito e tatto
545E gusto ha pur, siccome l’altro, e volge
In sua propria sustanza il preso cibo,
Quel ch’è corporeo in incorporeo: e sappi
Che quanto fu creato ha d’uopo ancora
Di sostegno e riparo. Il guardo gira
550Sugli elementi: dal men puro sempre
Il più puro è nudrito; il mar riceve
L’onde sue dalla terra, e terra e mare
Nudriscon l’aere, e l’äer nutre quindi
Gli eterei fuochi, di cui splende il cielo,
555E pria la bassa luna, ond’è che impressi
Quei foschi segni nel suo volto stanno,
Non purgati vapori e non ancora
Conversi in sua sostanza. In simil guisa
Dall’umido suo grembo anco la luna
560Agli alti globi il nodrimento invia,
E ’l sol che luce all’Universo imparte,
Riceve anch’esso d’umorosi esali
Da tutte l’altre sfere ampia mercede
E a lunghi sorsi l’oceán si bee.
565Ambrosie frutta a noi gli arbor di vita
Ministrano lassuso e néttar puro
L’uve celesti: d’ogni ramo e fronda,
Allor che sorge a noi la nostra aurora,
Stillan melliflui sughi, e il suol si copre
570Di rugiada e di manna ignote in terra:
Pur qui sì varïati i doni suoi
Ha l’alto Creator che a quei superni
Non disconviensi il compararli, ed io
Non sarò schivo dal gustarne. A mensa
575In così dir s’assise, e insiem con loro
Entrò del pranzo a parte. Eva leggiadra
D’almi liquori coronava intanto
I ridondanti calici odorosi
E ministrava ignuda. Oh del bel loco
580Degna innocenza! Ah! se terreno oggetto
Destar potesse nei celesti petti
Foco amoroso, di perdono allora
Fatti gli avrìa tanta bellezza degni;
Ma un purissimo amor dei divi Spirti
585Sol è la fiamma; ed era all’uomo ignota
Gelosa cura allor, che poi divenne
De’ tristi amanti un infernal martiro.
Avean co’ cibi soddisfatta omai,
Non gravata natura, allor che in seno
590(Così destro veggendo il tempo e il loco)
Surse ad Adamo di saper desìo
Le oltramondane cose e aver contezza
Di lor che il cielo han per soggiorno, e tanto
In grado e ’n possa egli innalzati vede
595Sopra di sè, di lor cui tanta parte
Fe’ di sua luce Iddio. Quindi la voce
All’empireo ministro ei così volge
Accorta e rispettosa: - Oh! qual bontade,
Tu che col gran Fattore insieme alberghi,
600Oggi hai mostro ver me! D’entrar ti piacque
Sotto quest’umil tetto e gradir queste,
Benchè indegne di te, terrestri frutta,
Al par di que’ celesti almi conviti:
Pur qual fra loro è paragone! - Un solo
605(L’Angel rispose) onnipossente Nume
E, fu, fia sempre, da cui scende il tutto,
E, se vizio nol guasta, a lui ritorna.
Tutte perfette uscîr da lui le cose,
Ed una in pria fu la materia tutta
610Che tante poscia e sì diverse forme
Ebbe e sì varj di sostanza gradi,
Varj gradi di vita in ciò che vive.
Ma più affinata e spiritale e pura,
Quanto a Dio più s’accosta o a Dio più tende,
615È ciascheduna cosa entro quel giro
Che assegnato le fu. Per ordin lungo
E ad ogni specie misurato aspira
A farsi spirto il corpo. Esce più lieve
Così da sua radice il verde stelo;
620Indi più tenui spuntano le frondi,
Su cui più dilicato il fior s’innesta
E dolci olezzi spande, e i frutti poscia,
Fatti cibo dell’uomo, a gradi a gradi
Della vita, dell’alma e della mente
625Servono e di ragion gli uffici vari;
Doppia ragion che, argomentando, il vero
Lenta rintraccia, o con un sol veloce
Lucido sguardo lo contempla e scerne.
Propria è dell’uom la prima, a noi concessa
630Più spesso è la seconda, e vario è il grado
Lor, non la specie. Non stupirti adunque
Se quel che Dio per voi buono discerse
Io non rifiuto, ma, qual voi, lo volgo
In mia propria sustanza. Un giorno forse
635Simili a noi voi pur sarete, e i nostri
Più lievi cibi a vostra essenza allora
Non si disconverran. Cangiati in spirti
Col rivolger degli anni anco saranno
I vostri corpi forse, e allor, qual noi,
640Sovr’ali snelle per l’eteree piagge
Aggirarvi potrete, e a grado vostro
Qui far soggiorno o negli empirei campi.
Di meritar quella più lieta sorte
Or sia vostro pensier, sommessi, fidi,
645Nell’amore immutabili del sommo
Vostro padre e signore; e tutto intanto
Il ben godete del presente stato,
Non capaci di più. Cortese Spirto
(A lui risponde Adamo), ospite amico,
650Di qual puro splendor le nostre menti
Irradii col tuo dir! Come dal centro
Alla circonferenza hai tutto mostro
L’ordine di natura, onde per gradi,
In contemplando le create cose,
655S’ascende al Creator! Ma perchè mai
Que’ ricordi d’amarlo e quegli avvisi
D’obbedirlo aggiungesti? Ah! dimmi, e come
Mancar giammai d’ubbidïenza e amore
Potremmo verso lui che fuor del limo
660Ci trasse e qui nel maggior colmo pose
Di ciò che uman desìo può chieder mai?
- Figlio del cielo e della terra (a lui
L’Angel rispose), ascolta: a Dio tu devi
La tua felicità: da te dipende
665Il serbarla però. Fisso nell’alma
L’alto suo cenno ognor ti stia: riposta
È in ciò tua sorte, e a ciò mirò l’avviso
Che or or ti diedi. Ei ti creò perfetto,
Immutabil non già; buono ei ti fece,
670Ma durar tale, in tua balìa lasciollo.
Libero per natura è il tuo volere
Nè di necessità sente o di fato
Freno o giogo veruno: Iddio richiede
Spontanei, non costretti i nostri omaggi,
675Nè grati in altra guisa esser gli ponno.
E come un cor da fatal forza spinto
Dar prova indubitabile potrìa
D’obbedïenza e amor, se a lui non resta
Del contrario la scelta? Io stesso e meco
680Tutta insiem l’oste angelica esultante
Presso al trono di Dio, quel ben supremo
Per merto sol d’obbedïenza e fede
Serbammo già, siccome il vostro a voi
Sol per tal mezzo or di serbare è dato.
685D’amarlo e di servirlo un dì noi pure
O di lasciarlo appien liberi fummo,
E l’esser buoni o rei fu nostra scelta.
Quindi di noi gran parte a lui ribelle,
Non ha molto, si fece e fu dal cielo
690Spinta nell’imo inferno. Ahi! da qual somma
Felicitade in qual orrendo abisso
Di sempiterna pena! - I detti tuoi,
Mio divino maestro (Adam risponde),
Di diletto maggior l’orecchie e ’l core
695M’empion che nella notte i dolci canti
De’ Cherubini a questi colli intorno.
Io ben sapea che il voler nostro e l’opre
Fece libere Iddio, ma pur in mente
Sempre mi stette e sta fermo il pensiero
700Che del nostro Fattor scordar l’amore,
Scordar la nostra obbedïenza mai,
No, non potremo, e quel sì giusto e solo
Comando ch’ei ci fe’. Ma quanto in cielo
Pur or dicesti che addivenne, un qualche
705Dubbio in me desta e maggior brama ancora
D’udirne raccontar l’istoria tutta,
Ove a te non incresca. Ella esser dee
Al certo strana e di profonda e sacra
Attenzïon ben degna. Ancor gran parte
710Riman del dì: chè una metà pur ora
Di suo viaggio ha il sol fornita, e l’altra
Nel gran cerchio del ciel comincia appunto. -
Egli sì prega; Rafael consente
A sua dimanda, e dopo breve posa
715Così comincia: - Luttuosa, acerba,
Difficil storia a raccontar m’inviti,
O degli uomini padre. Ai sensi umani
Come possibil fia pinger le gesta
D’Angeli guerreggianti, e senz’affanno
720Di tanti spirti glorïosi un tempo
Narrar la miserabile ruina?
D’un altro mondo disvelar gli arcani
Concesso mi sarà? Ma sì: per tuo
Frutto ciò lice. Or tu la mente innalza,
725Ch’io quel che i sensi tuoi troppo sorpassa,
Come fia meglio, cercherò ritrarti
Sotto corporee forme. Ombra ed imago
È la terra del cielo, e più di quello
Che forse credi, all’un l’altra somiglia.
730Dalle tenebre antiche emerso ancora
Questo mondo non era, e dove or ruota
Il ciel stellante, ove la terra posa
Sul proprio centro equilibrata, il torbo
Caosse infigurabile regnava,
735Quand’un giorno (chè il tempo in grembo ancora
A eternità, d’ogni durabil cosa,
Se il moto insiem supponi, è la misura),
Un giorno, qual lassù lo adduce il grande
Anno celeste, dai confini estremi
740Di tutto il ciel, l’angelic’oste tutta
Per cenno dell’Eterno innanzi al trono
Si raccolse di lui: fulgide schiere
Senza fin, senza numero. Ben cento
E cento mila luminose insegne
745Ondeggiando per l’aere, i varj gradi
Segnan, gli ordini varj e i varj duci;
O riccamente nel lor grembo inteste
Portan di santo amor, d’ardente zelo
Alte memorie. Allor che tutti in mille
750E mille giri d’un’ampiezza immensa,
Cerchio entro cerchio, stettero, l’eterno
Padre, al cui fianco d’egual gioia in seno
Sedeva il Figlio, in mezzo a lor, dal monte
Che fiamme esala e ’l vertice sublime
755Tra fulgóre ineffabile nasconde,
Così parlò: - Figli di luce, o Troni,
Principati, Virtù, Scettri, Possanze.
Angeli tutti, il mio decreto udite,
Il mio decreto irrevocabil. Oggi
760Io generai Quei che dichiaro il mio
Unico Figlio; oggi il sacrai su questa
Santa montagna, e alla mia destra assiso
Ora il mirate: io lo destino vostro
Duce, e giurato ho pel mio nume stesso
765Che ogni ginocchio in cielo a lui s’inchini,
Ch’egli tenga mie veci, e il riconosca
Suo signore ciascun. Tutti congiunti
In pace eterna ed in eterna gioia
Sotto una stessa indivisibil legge
770Voi tutti siete. Me medesmo oltraggia
Chi lui disubbidisce, e lunge spinto
Dalla beante visïon divina
Nel buio esterïor quel giorno ei fia,
Nei golfi delle tenebre più cupi,
775A gemer senza fine e senza speme,
Della giusta ira mia vittima eterna. -
Così parlò l’Onnipossente, e i suoi
Detti con lieto plauso ognun accolse,
Ma ognun non fu ne’ plausi suoi sincero.
780Tutto si spese al sacro monte intorno
Quel memorabil dì, qual è costume
Spender i più solenni, in canti e in danze,
Mistiche danze ai regolati errori
Rassomiglianti dell’eteree sfere
785Mosse con ordin certo e stabil legge,
Che in lor diverse ed intrecciate e sempre
Pur medesime rote un sì soave
Destan concento che l’orecchia stessa
Di Dio n’ascolta con diletto il suono.
790Già la sera appressava (abbiam noi pure
Sera e mattino a far più vario e vago
Del ciel l’aspetto), e tutti insiem dai lieti
Balli a solenne splendido convito
Ci rivolgemmo: ad ogni cerchio intorno
795Fur le mense imbandite e colme a un tratto
Delle angeliche dapi; in coppe d’oro
Di perla e d’adamante il néttar scorre
Delizïoso in liquidi rubini,
Singolar frutto del celeste suolo.
800Coronati di fior, su i fior distesi
Beviam vita immortal, gioia ed amore
In dolce fratellanza. Eccesso alcuno
Esser non può lassù, ma sol la piena
Misura del piacere; e a larga mano
805Versando le sue grazie il Re del cielo
Gode al nostro goder. Già dal divino
Monte, onde alterna esce la luce e l’ombra,
S’alza la notte in vaporoso velo,
Che con dolce imbrunir tempra soltanto
810Quell’immenso splendor, nè mai più scura
Ella sorge lassù. Già tutti i lumi
(Tranne quelli di Dio che veglian sempre),
Una rosea rugiada, alma, soave,
Al sonno invita. Sopra il largo piano,
815Più largo assai che non saria di questo
Terrestre globo l’appianata massa
(Tai son gli atrj di Dio!), lunghesso i vivi
Ruscei che irrigan gli arbori di vita,
Si distendon le angeliche falangi
820In varj campi, in ordin vago: sorge
Di padiglioni e tende immensa fila
In un momento, ove del sonno in braccio
Al molle susurrar di fresche aurette
S’abbandona ciascun: veglian soltanto
825Quei che in loro vicenda intorno al soglio
Alternano di Dio la intera notte
Inni melodïosi. Era pur desto,
Ma non così, Satán (con questo nome
Or tu l’appella, chè il suo primo in cielo
830Perdè per sempre). Tra i più grandi Spirti
Onorato lassù, se non il primo,
Ei sedeva in favore, in grado e ’n possa:
Pur gonfio il cor d’un cieco invido orgoglio
Contro il Figlio di Dio, quando dal sommo
835Suo padre il vide a tanta gloria alzato.
Credè scema sua luce, e quella vista
Tollerar non potéo. Covando in seno
Quindi il dispetto e i suoi disegni iniqui,
A mezzo il corso della notte, allora
840Ch’è più del sonno e del silenzio amica,
Indi sloggiar con le sue schiere tutte
Egli dispose, e dell’Eterno il trono
Privo lasciar di riverenza e onore.
Il primier dopo sè dal sonno ei scuote
845E sì gli parla con sommessa voce:
- Dolce compagno, ah, dormi tu? Qual sonno
Ti può chiuder le ciglia? E non rimembri
Quel decreto che ier da’ labbri uscìo
Di chi può tutto in cielo? I tuoi pensieri
850Tu aprire a me solevi e aprirti i miei
Tutti soleva io pure: un’alma sola
Noi vegliando eravamo, e sì diversi
Or siam? Tranquillo tu riposi, ed io
Veglio nel duol! Quai nuove leggi a noi
855Imposte sien, tu ’l vedi; e nuove leggi
Ponno in chi serve ancor nuovi pensieri
E nuovi suscitar consigli e inchieste
Sull’incerto avvenire. In questo loco
Più dir non è sicuro. I primi Capi
860Di nostre immense schiere or tu raduna,
E annunzia lor che per divin comando.
Pria che la notte il nubiloso velo
Abbia raccolto, io con spediti vanni
Al nativo Aquilon deggio affrettarmi
865Con ogni mio drappel: di’ lor ch’io debbo
Apparecchiar colà gli onor dovuti
Al gran Messìa, nostro Sovran novello,
E ricever suoi cenni, e ch’egli a tutte
Le legïoni in trionfante aspetto
870Tosto mostrarsi e dettar leggi intende.
Così parlò l’iniquo e ’l suo veleno
Nell’improvvido petto all’altro infuse,
Che incontanente e molti insieme appella
O ad un ad uno i varj Capi, e intíma,
875Come Satán l’ammaestrò, che il grande
Gerarchico stendardo indi esser mosso
Dee per sovrano impero anzi che splenda
Il nuovo dì; la suggerita causa
Soggiunge, ambigui motti ad arte sparge
880E semi di livore, onde lor fede
Quanta sia scorga, o la corrompa. Alcuno
Non osò dubitar; tutti fur pronti
Il segno usato e l’ordine supremo
Del lor duce a seguir; sì grande in cielo
885Era il suo nome e ’l grado, e tanto impero
Avea su lor quel suo raggiante aspetto
Simile all’astro del mattin che guida
Dell’altre stelle il coro! Ei così trasse
La terza parte dell’empiree squadre
890Sull’orme sue. Ma l’occhio eterno intanto
Dal sacro monte suo, di mezzo al giro,
Dell’auree lampe a lui d’intorno ardenti,
Senza lo cui splendore il tutto vede
E nel più cupo de’ pensier s’interna,
895Scoppiar la rea sedizïosa fiamma
Avea già scorto e che tra i figli stesa
S’era già del mattino, e quali e quante
Turbe sorgeano al suo voler rubelli:
E all’unico suo Figlio in dolce aspetto
900Così favella: - O Figlio, eterno erede
Di tutto il mio poter, Figlio in cui piena
Tutta la luce di mia gloria splende,
Or ogni dubbio dileguar si dee
Di nostra onnipotenza, e quai sien l’armi
905Che illesi qui terran per sempre i nostri
D’impero e deità diritti eterni,
Mostrare a tutto il ciel. Tu ’l vedi, un empio
Nemico è insorto che per tutto il vasto
Aquilonar paese alzar disegna
910Suo trono al nostro egual; nè di ciò pago,
Qual sia nostra ragione e nostra possa
Vuol pugnando provar. Contro l’audace
Or noi volgiam quanti ci restan fidi,
E senza indugio il santuario nostro,
915La gloria, i dritti e questo monte sacro
Si difenda e assecuri. - Ei tacque, e ’l Figlio
Con placido sembiante, onde partìa
Un vivo inesplicabile fulgóre,
Così rispose: - I tuoi nemici a scherno,
920Lor vane trame e lor consigli stolti
Ben a ragion tu prendi, eccelso Padre;
Ma l’odio lor più luminosa e bella
Farà mia gloria e quel regale impero
Che tu mi desti, ond’io confonda e atterri
925Un così folle orgoglio; e ben l’evento
Proverallo a quegli empj. - Ei disse. Intanto
Molto lontano in sulle rapid’ali
Il perfido Satáno era trascorso
Colle sue schiere; innumerabil oste,
930Quai gli astri della notte o quai dell’alba
Le rugiadose stille rilucenti
A’ rai del sol sopr’ogni fronda e fiore.
Vaste provincie, regïoni immense
Che Serafini, e Podestadi e Troni
935In lor triplici gradi hanno in governo,
Quell’iniquo varcò; contrade, a cui
Se paragoni questa terra intera,
È assai minore, o Adam, che il tuo giardino
Appo la terra stessa e ’l mare, in vasto
940E lungo pian dal globo lor distesi.
D’Aquilon ne’ confini ei giunge alfine
Ed al suo regio albergo. In arduo giogo,
Simile a monte sovrapposto a monte,
Folgoreggiava coll’eccelse moli
945Di torri e di piramidi che tratte
Furon da rocce d’adamante e d’oro,
Il gran palagio di Satán (con questo
Nome soltanto in tuo linguaggio io posso
Chiamar quella struttura). Ei, che l’Eterno
950In tutto ambiva d’emular, quel loco,
Del monte a guisa ove del cielo in faccia
Fu Messia coronato il divin Figlio,
Volle nomar dell’Adunanza il monte,
Dacchè colà tutti raccolti i suoi
955Ebbe con sue menzogne. Ivi s’arresta
Il traditore e avviluppando il vero
Così lor parla: - O Prenci, o Regi, o Troni,
O Possanze, o Virtù (se omai non sono
Un vôto suon questi pomposi nomi),
960Per supremo decreto un signor nuovo,
Ch’è a voi già noto, ed unto re s’appella,
In sè riduce ogni potere e troppo
La nostra gloria oscura in ver. Per lui
Or qui, solo per lui, con ratti passi
965V’ho tratti in questa notte e insiem raccolti,
E qui d’udire il vostro avviso io chieggo
Con quali onor fia meglio e con qual pompa
Novella ancor quest’altro Sir che viene
Le nostre a rimirar ginocchia inchine
970Or per la prima volta... Omaggio indegno!
Vil bassamento! Assai non era ed anzi
Troppo non era il tributarlo ad uno,
Ch’ora a due lo dovremo, a lui dovremlo
Ed all’imagin sua? soffrir cotanto
975Come si può? Ma se miglior consiglio
Le nostre menti ergesse, e questo giogo
Scuoter, spezzar alfin... Voi dunque il collo
Curvar scegliete? le ginocchia a terra
Riverenti piegar? No, s’io m’affido
980Di conoscervi bene, o se appien voi
Conoscete voi stessi: in ciel nascemmo
Figli del ciel che innanzi a noi niun tenne
In suo dominio, e se non tutti eguali
Siam qui, siam non perciò liberi tutti,
985E liberi del par; chè ordini e gradi
Non pugnan già con libertà, ma insieme
Ben si confan. Con qual ragione alzarsi
Altri può dunque in assoluto Sire
Sopra color che a lui son pari in dritto
990E pari in libertà, sebbene in possa
E in altezza di grado a lui minori?
Perchè impor leggi a chi, da leggi sciolto,
Pur mai non lascia il retto calle? E il Figlio,
Il Figlio ancor, l’imagin sua, da noi
995Or culto avrà, fia Signor nostro, ad onta
Di quegli eccelsi titoli che segno
D’impero son, non di servaggio, e i nostri
Ci rammentan pur sempre alti destini?
Così parlava quel superbo, e muti
1000Tutti l’udîr fin qui, quando levossi
Dal suo seggio Abdïel, di cui null’altro
Più venerava dell’Eterno i cenni
E n’era pronto esecutore. Ei tutto
Di zelo avvampa, e con severo aspetto
1005Così di quel furor l’impeto affronta:
- Oh falsi, audaci, scellerati detti!
Oh bestemmie che in cielo orecchia alcuna
Non mai s’attese d’ascoltar! E meno
Da te, ingrato, da te che tanto fosti
1010Sopra i tuoi pari sollevato! E l’empio
Tuo labbro quel giustissimo decreto
Osò biasmar di Dio che regio scettro
Ha dato al Figlio, e vuol che a lui s’inchini,
Come a sovran legittimo signore
1015Ogni ginocchio in ciel? Tu chiami ingiusto
Che un egual su gli eguali abbia l’impero,
E dritti alleghi e libertà discuti:
Ma chi se’ tu ch’osi impor leggi a Dio,
A quel Dio che ti fe’ quello che sei,
1020A quel Dio che creò tutte del cielo,
Come a lui piacque, le Possanze, e certi
Confini a lor prescrisse? A noi per prova
Palese è pur quanto benigno, e quanto
Del nostro ben, del nostro onor geloso
1025Sempre egli sia, quanto a scemarli avverso.
Ed or che sotto un capo insieme stretti
Ci vuol egli vie più, forse non mira
Il nostro ad innalzar felice stato?
Ma ingiusto siasi pur che un egual regni
1030Sopra gli eguali suoi, vorresti adunque
Tu te medesmo, ancor che illustre e grande,
O tutto ancora de’ celesti Spirti
L’unito merto a quell’eccelso Figlio
Agguagliar dunque? al Figlio suo, per cui,
1035Come per Verbo, egli creò le cose
Tutte e te stesso e queste immense schiere
Di tanta luce incoronate, Troni,
Principati, Virtù, Scettri e Possanze?
No, questo nuovo regno un raggio solo
1040Non toglie a noi dell’alta gloria nostra,
Ch’anzi più chiara splende or ch’Ei diviene,
Benchè Signor, del nostro numer uno.
Son nostre leggi le sue leggi, e tutto
L’onor ch’a lui si rende, a noi ritorna.
1045Cessa dall’empio tuo furor; rimanti
Dal tentar gli altri, e l’adirato Padre
A placar vola e l’adirato Figlio,
Finchè concesso d’ottener perdono
T’è forse il tempo. - Fervido parlava
1050Abdïello così, ma niun seconda
Il zelo suo, che intempestivo e strano
A tutti sembra. Di ciò lieto allora
E altero più che mai, Satán soggiunge:
- Creati adunque fummo, e ’l Padre al Figlio
1055Diè di crearci incarco? Oh nuova invero
Pellegrina scoverta! e dond’hai questa
Dottrina, di’, questi segreti appreso?
Chi mai dal nulla escir le cose vide?
Rammenti tu quell’ora, in cui da prima
1060Il tuo Fattor vita ti diè? Rammenti
Il tempo in cui non eri, o allor chi fosse?
Per propria forza animatrice noi,
Quando un corso fatal tutto compiuto
Ebbe ’l suo giro, per noi stessi al lume
1065Della vita sorgemmo eterei figli
Di questo natìo ciel parto maturo.
Da noi ci vien la nostra possa, e tosto
Saprà mostrare il nostro braccio a prova
Chi sia qui Signor nostro o nostro eguale.
1070Vedrai, vedrai se supplici d’intorno
Per impetrar mercè verremo al soglio
Di quel tiranno o a rovesciarlo: arreca
All’unto re tai nuove, e fuggi prima
Che al tuo fuggir la via si tronchi. - Ei disse,
1075E per quell’oste immensa un rauco e sordo
Mormorar, pari al suon d’acque profonde,
D’applausi echeggia a’ detti suoi: non meno
Impavido perciò l’eroe celeste,
Ancor che cinto di nemici e solo,
1080Fiero risponde: - Oh Spirto a Dio ribelle,
Oh da Dio maledetto, oh d’ogni bene
Orbo rimaso Spirto! Omai secura
La tua ruina io scorgo, e questa, avvolta
Nella tua fraude, sventurata ciurma,
1085Come del nero tuo misfatto, a parte
Entrar vegg’io di tua terribil pena.
Non affannarti, no, come tu possa
Di Dio sottrarti al giogo: omai sì dolci
Leggi non son per te: per te ben altro
1090È uscito irrevocabile decreto
Dal labbro suo: quell’aureo scettro, a cui
Ricusasti obbedire, in ferrea verga
A sfracellar la tua cervice altera
Converso è già: bene avvertisti; io lascio,
1095Ma non pel tuo consiglio o per le vane
Minacce tue, quest’empie tende omai
All’esterminio condannare: io fuggo
Perchè la provocata ira superna
Qui non divampi in subitana fiamma
1100E m’avvolga con voi. Sì, già sul capo
Della tremenda folgore ti veggo
Scoppiar il foco vorator: bentosto
Saprai qual man ti fe’ nel sentir quella
Che ti distrugge. - L’inclito Abdïello
1105Così parlò, solo fedel fra tante
Infide innumerabili caterve.
Non atterrito, non sedotto, immoto
La prima lealtà, l’amor, lo zelo
Ei sol mantenne, e dal verace calle
1110Nè l’esempio, nè ’l numero un sol passo
Storlo, potè. Di que’ ribelli in mezzo
Per lunga strada egli trapassa, e tutte
Lor grida ed onte con tranquillo e fermo
Volto sostien: sol col dispregio a tanta
1115Furia risponde, e a quelle torri altere,
Già vicine a sentir l’orrendo peso
Del divino furor, volge le spalle.