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Il podere (Tozzi)/IV

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III V
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IV.


Giulia, la notte innanzi che Giacomo morisse, buttatasi vestita sul letto, non aveva dormito. Tendeva l’orecchio ad ogni rumore della strada e a ogni tramestio della casa; ma la rabbia la sfiniva sempre di più, e la mattina non aveva forza di reggersi in piedi. Allora, rinfrescatosi il viso con l’acqua, andò ad assicurarsi da sè che il moribondo ormai non avrebbe potuto più dire niente al notaio; anche se fosse venuto prima dell’alba.

Tornò nella sua camera, si racconciò alla meglio il vestito che sul letto le si era spiegazzato; e pensò di correre subito a farsi consigliare da qualcuno.

Scacciata da Remigio, andò in casa della zia; e, con lei, dall’avvocato Renzo Boschini, che ambedue conoscevano da prima, per un’altra faccenda.

E scelsero bene; perchè il Boschini non sentiva scrupoli; o, per lo meno, li sapeva quietare. Quando gli riesciva, si faceva [p. 24 modifica]pagare prima; e poi i clienti dovevano rimettere la causa nelle mani di un altro, perchè era difficile che egli non si adoperasse ad imbrogliarla anche di più; accordandosi magari con i suoi avversari di tribunale. Dagli altri avvocati non solo era tollerato ma scusato; perchè a vincere una causa sostenuta da lui non ci voleva gran talento, quando avessero pensato d'offrirgli, senza averne l'aria, una parte dei loro guadagni. Tutto consisteva nel farlo con decenza e con dignità; o con qualche pretesto raffinato che era un capolavoro di malizia e di cultura legale. E, poi, ridevano di lui e di come si lasciava adoprare.

Le due donne lo trovarono, per l'appunto, nella stanza d'ingresso dello studio, mentre accendeva una sigaretta alla pipa del suo scrivano; un vecchio sudicio che portava il mantello anche d'estate, con i baffi sempre sporchi di saliva e di tabacco.

Il Boschini le guardò, come soleva, alzando la fronte, dove stavano appiccicati due riccioli neri: pareva che i suoi occhi sguisciassero dentro gli occhiali.

Fosca, la zia di Giulia, una donna che aveva partorito dieci figliuoli, gongosi o tisici, soffriva di male al cuore; e, avendo salito in fretta le scale, per tener dietro alla nipote, si reggeva una mano su la bocca, perchè si sentiva scoppiare; e avrebbe [p. 25 modifica]voluto appoggiarsi a una sedia. Ma sedie, all'infuori di quella dove stava il vecchio scrivano, non ce ne erano. Da un rettangolo sul muro, meno polveroso e meno sudicio, si capiva che ci doveva essere stato, qualche volta, un canapè.

Giulia aveva da vero un poco di febbre, e le era venuta una bolla sotto il labbro.

L'avvocato Boschini fece passare le due donne in un'altra stanza; e, informatosi con poche parole, all'incirca, di quel che si trattava, disse disfacendo tra le dita la sigaretta insalivata:

— Se non c'è testamento in suo favore, è impossibile ottenere niente; almeno che — proseguì, invogliato di fare una causa come non gli capitava più da qualche tempo — ella non porti qui due testimoni che possano dire, per esempio, che il signor Giacomo Selmi, prima di morire, un dato giorno, ha dichiarato in faccia a loro di essere debitore verso di lei di una certa somma prestata, e che ha obbligato a pagarla il suo erede... Come si chiama?

— Remigio!

Egli si rivolgeva sempre a Giulia, e mai a Fosca; che, del resto, s'era distratta pensando: «Anche gli avvocati, con noi poveri, si comportano come tutti gli altri. Questo non ci dà nè meno da sedere!»

Ma il Boschini, dopo aver suggerito [p. 26 modifica]questo mezzo, deliziandosi a vedere se l'avrebbe preso subito, continuò:

— Ci sono o no questi due testimoni? Ci pensi bene, perchè bisogna portare cose concrete e non chiacchiere. Altrimenti, lei mi farebbe compromettere per una causa non giusta del tutto; che io mi rifiuterei di fare. Perchè, sopra ogni cosa, devono stare la verità e la giustizia.

E con le mani pareva che volesse collocare la verità e la giustizia sopra qualche piedistallo.

— Che forse io faccio l'avvocato per quel pezzo di pane che me ne può venire?

Giulia, quasi inebriata del suggerimento, sorrise:

— I due testimoni ci sono.

Ella rispose così, pur sentendo, quasi immediatamente, che non avrebbe più potuto tornare a dietro; ma l'avvocato non le dette tempo a pentirsene; e le chiese:

— Si ricorda come si chiamano o me lo vuol dire domani, a mente più riposata?

— Domani, domani!

— Bene! Si vede che lei non farà questa causa per avidità. E... quanti sono stati i denari prestati da lei al signor Selmi? Badi che la somma sia verosimile, perchè se anche gli avesse prestato, poniamo il caso, ventimila lire, il giudice, per quanto fosse vero, potrebbe sospettare. Bisogna che questa [p. 27 modifica]somma sia molto più piccola. Se ne ricorda?

Egli voleva far le cose con una certa saggezza e non esagerare troppo. Giulia si trovava impacciata; ma credette che, a non rispondere subito, l'avvocato avrebbe voluto forse non prendere più la causa. Poi, a passare da bugiarda in quel momento, non ci sarebbe stato più rimedio. Soltanto un'altra bugia la toglieva d'imbarazzo. E, perciò, disse:

— Siccome non tengo conto di cento lire più o cento lire meno, sono nel giusto se mi faccio restituire tremila lire.

— Bene. È una somma conveniente. Ed altri crediti non potrebbe vantarli? Per esempio, le ha pagato sempre il salario? Mi sembra che, se ella gli ha dovuto prestare tremila lire, il signor Selmi non avrà sempre potuto essere puntuale a pagare lei!

Ella riflettè un poco e disse:

— Mi promise trenta lire al mese, e non ho mai riscosso niente.

— Quanto tempo è?

Giulia riflettè più a lungo; e rispose:

— Sei anni.

— Non potremo chiederne che cinque. La legge non ne consente di più. E cinque anni, se non sbaglio, importano mille e ottocento lire, che con le altre arrivano a quattromila e ottocento. Ossia, possiamo [p. 28 modifica]dire, cinquemila. E, siccome è probabile che dobbiamo venire a una transazione, perchè bisogna prepararsi anche al peggio, è prudente, direi, chiederne ottomila!

Quando le due donne uscirono dallo studio, tremavano dalla gioia. Anche l'avvocato si sentiva meglio, più allegro, quasi faceto e soddisfatto; intelligente.

Del resto, dovutosi pochi mesi prima separare dalla moglie infedele, e presa in casa una giovane di cui era innamoratissimo, provava simpatia anche per Giulia; e a lui non importava molto accertarsi se Giulia mentisse interamente o a mezzo: durante la causa, se avesse avuto ragione Remigio, la verità sarebbe venuta a galla da sè. E questa, scusando la coscienza con il trovarsi messa su dall'avvocato, che sapeva meglio di lei quel che doveva essere deciso, non esitò più. Pigliare con le buone Remigio era impossibile; e, se non andava fino in fondo, avrebbe avuto il danno e le beffe. Bisognava che gli rendesse pane per focaccia!

E tra Fosca e Giulia, i due testimoni furono pescati il giorno stesso: il primo un tipografo, amico di Fosca; che, per l'appunto, tanto per fare una passeggiata in campagna, era stato a trovare per conto di lei il Selmi; e ci si era trattenuto a tenergli compagnia.

L'altro, Chiocciolino, un sensale, mezzo [p. 29 modifica]epilettico, che aveva questionato a morte con Giacomo per una bazzecola; pretendendo, come ripicco, di avanzare il pagamento di due maiali. Era anche riuscito, durante la malattia, a ficcarsi in camera e minacciarlo; e l’avevano dovuto riportare fino in fondo alle scale.

Il tipografo Corradino Crestai, soprannominato Ciambella, era alto quasi due metri, magro e sempre giallo, con due occhi che sembravano di piombo, con le dita delle mani così affilate che si vedeva la forma degli ossi. Si prestò a far da testimonio, perchè gli pareva ingiusto che Giulia restasse senza nè meno un soldo dopo aver avuto buona ragione a sperare di essere l’erede di quasi tutto.

Il sensale era pieno d’un odio cieco: dopo averne inventate di tutte, anche sul conto della moglie di Giacomo, tanto per vendicarsi, ora gli capitava proprio l’occasione di beffare Giacomo morto; quasi avesse potuto obbligarlo a sborsare di tasca quelle ottomila lire. E, intanto, anch’egli fece causa a Remigio, per essere pagato dei due maiali, ormai famosi tra i mercanti di Siena: dugento lire sole, del resto! Ma, a quel tempo, non erano poche.

Il Selmi era morto senza lasciare amici. Il suo carattere aspro e cupo gli aveva dato fama di cattivo; ed egli, sapendolo, [p. 30 modifica]s’era allontanato sempre di più anche dagli amici.

Quasi tutti i mercanti e i contadini, che s’informavano della malattia, perchè era molto conosciuto, accolsero la notizia della morte quasi con soddisfazione; come se l’avesse meritata. E tutti rivolsero il malanimo e la curiosità contro Remigio; trovando così il modo di vendicarsi con lui del padre. C’era una certa voglia di sapere quali persone egli avrebbe scelto, e se lascerebbe l’impiego per fare l’agricoltore.