Il ponte di Lanzo (Pont del Roch)

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Giovanni Prati

Olindo Malagodi 1843 Indice:Prati, Giovanni – Poesie varie, Vol. II, 1916 – BEIC 1901920.djvu ballate Il ponte di Lanzo (Pont del Roch) Intestazione 21 luglio 2020 25% Da definire

Carina di Nole
Questo testo fa parte della raccolta Dalle 'Ballate alla figlia'
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III

IL PONTE DI LANZO

(pont del roch)

Donne leggiadre, Satana
è astuto al par di voi ;
anzi talvolta, armandosi
degli artifizi suoi,
5la niente e il cor vi leva,
figlie superbe d’Èva,
coi mascherati fascini
del canto e dell’amor.
Noiato un di Lucifero
10d’udir nei biechi regni
suon di codarde lacrime
e d’impotenti sdegni,
per giocondarsi un poco,
lasciò la nebbia e il foco,
15e usci pel mondo in abiti
d’Isello il trovator.

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Cosi, girando incognito
pei chiostri della Spagna,
tra le bendate vergini
20di Francia e d’Alemagna,
turbò parecchie celle
di monaci c di belle,
lanciando in quelle tenebre
l’idillio del piacer.
25Poi nella vaga Italia,
poco devota al Credo,
le corde risonarono
d’isello il citaredo,
e spesso in un lettuccio
30fu il vi lo ed il cappuccio;
si enorme è nella musica
di Satana il poter.
Venne una notte il bindolo
giullare ad un convento,
35e fece uscir tra i salici
tal nota di lamento,
che all’are di Maria
ratto balzar Lucia
di costernati palpiti
40l’inerme cor senti.
Luciti, fuggita al secolo
e il vel da un lustro cinto,
cessato avea di piangere
Isél credulo estinto;
45Isél di Lonzo, il bardo,
che, tenero e gagliardo,
cantò sirvente in nobili
corti, e tornei ieri.

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     Ai conosciuti numeri
50mentr’ella balza e guata,
della celletta in polvere
casca la ferrea grata.
Tentò fuggir, ma invano,
dal musicante arcano...
55e spicca un salto, e pallida
sul sen d’Isello è giá.
     — Monti — ei prorompe — e pelaghi
per te varcai, Lucia;
ma giorno e notte io, vedovo,
60piansi la vergin mia.
E il bianco fior, tremando,
sfogliai di quando in quando;
e a’ suoi giocondi oroscopi
oggi risposto egli ha.



     65Oh me felice! I principi
dicean: — Ci canta d’armi. —
E tu arridevi, o tenera
inspiratrice, ai carmi.
Sovente alla mia lode
70plause la dama e il prode,
ed io quei plausi, in tacito
premio, ti posi al piè.
Ma via di qua mi spiacquero
le piú leggiadre cose.
75D’astri ogni del fu povero,
nudo ogni april di rose.
Ed or nel tuo sorriso
racquisto il paradiso;
torno il piú vago arcangelo,
80ora che son con te.

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Ma perché taci e dubiti
presso il tuo dolce Isello?...
Colomba mia, deh! baciami
col bacio tuo piú bello.
85— Ah! se ti fui pur cara,
lascia ch’io torni all’ara,
fremendo è Iddio. Rispettami:
sposa di Cristo io son.
— Sogni e follie! — Ma il demone
90impallidi a quel nome.
Sul capo reo com’aspidi
gli si rizzar le chiome;
e fuor dal* labbro arcigno
scoppiò si forte un ghigno,
95che i monti vacillarono,
di quelle risa al suon.
— Bada, fanciulla improvvida!
non mi voler nemico.
— Che parli, Isél? Dissimile
100tu sei dal tempo antico.
Cogli occhi il cor mi suggi;
piú Isél non sei; deh! (uggí*.
— Bella Lucia, rassegnati:
meco fuggir dèi tu.
105— Ah! chi mi salva?... — È inutile,
por nel tuo Dio la spente.
A’ cenni miei soggiacciono
i vivi e i morti insieme.
— Smetti la celia, o crudo.
110Lasciami! il del in’è scudo. —
L, in quella, di caligine
l’aria coperta fu.

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Ei le fe’ intorno un vincolo
delle infocate braccia,
115si arrovesciò sunli òmeri
l’esanimata faccia;
e per obliqui calli
traversò monti e valli,
e i lampi illuminavano
120di quei due spettri il voi.
Quindi Satán, lo spirito
mastro d’eterni inganni,
piangea su lei. Sfiora vane
col lieve labbro i panni.
125E fe’sonar d’intorno
tutta una notte e un giorno
canti e sospir, da affliggerne
la bianca luna e il sol.
Ma tutto è invan. Quell’orrido
130allor si risovvenne
del loco ov’ella i fremiti
primi d’amor sostenne.
Era un burron stellato
di sette gigli e ombrato
135sol da una quercia; e al baratro
s’udia giú l’onda urlar.
Fu con tre passi ai ripidi
rocchi di Lanzo il vago.
Ella conobbe il rovere,
140i fiori e la vorago.
E, collo sguardo fisso
di lá dal tetro abisso,
sciamò rapita:—Ah! recami
quei gigli a ribaciar.

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145Lá t’adorai. Nell’anima
piena dei di fuggiti
oli, quante volte apparvero
quei deserti siti!
E il bardo lor mi fece
150spesso obliar la prece,
e in vacua solitudine
pianger sul mio destin.
Ecco la quercia, e i candidi
fiori d’intorno sparti,
155dove sin oltre al fèretro,
caro, io giurai d’amarti.
Oli! se avess’io le piume,
ben volerci sul fiume,
per lá posarmi c chiudere
160della mia vita il fin! —
Col piè di foco il torbido
nume picchiò la terra.
La costernata, estatica,
tutta ad Isél s’aiTerra;
165e in paurose forme
un negro ponte enorme,
come balen, la livida
vorago accavalcò1.

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Ebra, Lucia, sul memore
170declivio, in quell istante,
stringe... che mai? la gelida
spoglia del morto amante.
E Satana, giá terzo
nel formidahil scherzo,
175a contemplar quel funebre
bacio d’amor rista.
Sin che ambedue cadaveri
in nodo reo congiunti,
sotto la quercia, al sibilo
180aereo ilei defunti,
ei li serrò nel sasso
feral di Montebasso;
poi mormorò: — Benefica
vi sia l’eternitá! —
185Tinte d’orror le monache
per quella grata infranta,
mentre tcnean capitolo
sull’opra iniqua o santa,
udir come una romba
190di vento avvolto in tromba
passar sovra le cupole,
notte spargendo c gel.
Era l’ombrosa e splendida
di Satana figura,
i95 ch’indi girato ai vortici
della sonante Stura,
vi si tuffò, giocondo
dello aver corso il mondo,
i sacri chiostri a invadere
200e tòr le spose al del.

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Oggi sul ponte a vespero
passim di Lanzo i figli.
Ma inutilmente cercano
la quercia enorme e i gigli.
205La prima l’uragano
gittò spezzata al piano,
gli altri sul tetro tumulo
mai piú non rifiorir.
Sol qualche notte i villici
210vedono in capo al ponte
un feminil fantasima
baciarne un altro in fronte;
e Satana dall’alto
scendere, a salto a salto,
215e nel man tei di porpora
raccórli e via fuggir.
Sin dai remoti secoli
sulla petrosa scheggia
la pesta formidabile
220del bieco iddio vaneggia.
E, se talor sul guado
la figlia del contado
di qualche Isél la cetera
si ferma ad ascoltar,
225tosto dei due rimemora
il negro abbracciamento,
e sui grand’archi valica
come il folletto e il vento.
E d’una fronda al moto,
230a un suon di fischio ignoto,
gela, che i morti e l’ospite
paventa d’incontrar.

  1. Questa strofa è così in tutte le edizioni, senza la rima di ritornello nella strofa seguente. Si tratta, evidentemente, di una di quelle distrazioni, tutt'altro che difficili ad accadere in poeti abbondanti come il Prati [Ed.]