Il ragionamento della dotta ignoranza/Il ragionamento della dotta ignoranza
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IL RAGIONAMENTO
DELLA DOTTA
IGNORANZA,
Havuto nell'Accademia di Trevigi
Savi del mondo, che ne doni naturali, e nelle scienze acquistate con la sottigliezza dell'ingengo, e con l'acutezza dell'intelleetto, avanzarono di gran lunga, gli huomini rozzi, et ignoranti, i quali poco curando il sommo bene delle dottrine, si diedero in preda a' piaceri dannosi del mondo, poiche contemplarono i moti del Cielo, il giro de' pianeti, le qualità degli elementi, le proprietà degli animali, e gli effetti maravigliosi della natura; fra le alte e dotte sentenze, ch'essi scrissero, si ritrova questa famosa proposizione, che ogni vivente genera una cosa simile à se nella propria spetie. Ogni vivente produce una cosa simile a se. Quindi avviene, che l'huomo genera un'altro huomo, e non già un bruto: e fra bruti il fiero Leone non genera timidi lepri; nè la semplice colomba produce l'aquila rapace. così veggiamo, che tutti gli effetti portano scolpite in fronte le belle sembianze, e le vive imagini delle cagioni, dalle quali essi procedono. Et questo non solo chiaro appare nelle cagioni qua giù terrene, e frali: ma etiandio si manifesta chiaramente nelle cagioni celesti, et eterne. I Cieli con varie influenze cagionano diversi effetti. Però i cieli secondo le loro diverse proprietà, e con varie influenze, cagionano differenti effetti, nè quali hor signoreggia il caldo, ò il freddo; e talhor domina l'humido, ò' l secco, come appunto le diverse virtù di quelle sfere celesti mostransi esser conformi à cotali proprietadi. Le cose naturali cercano di somigliarsi al primo ente da cui derivano. Et perche le cose naturali per istinto di natura, conoscono, che principalmente esse derivano da quel primo ente, e da quella prima cagione, che dà l'essere à ciascuna creatura, vanno con molta diligenza cercando, per acquistar nuova perfettione, di somigliarsi à lei quanto piu possono nelle lor' operationi. Là onde la terra vuol limitarlo nell'immobilità, il cielo nella rotondità. ove non può assignarsi nè principio nè fine: la materia prima, che di sua natura è spogliata d'ogni forma, sempre mai desidera una forma vie più perfetta, perche Iddio è purissimo atto: et la natura vuol somigliar quel primo motore nell'eternità, come quella, che non potendosi conservar negl'individui, che tutto dì si corrompono, và conservandosi nelle spetie. Perciò quell'effetto (Signori Accademici) può esser da me prodotto, che non sia affatto conforme alla mia natura, al mio basso ingegno, al mio rozzo intelletto, al mio poco sapere? Se io fossi dotto, e savio potrei agevolmente persuadervi ad abbracciar quello, che con tanta nostra utilitade, fà perfetta l'anima nostra, in cui il facitor dell'universo non solo impresse quello natural al desiderio, ch'ella sempre bramasse di sapere: ma altresi fecela capace di felicità; onde può esser partecipe di quel sommo bene, da cui pende la nostra beatitudine. Ma essendo io spogliato d'ogni scienza, e vestito di somma ignoranza, qual soggetto posso trattare, che non sia stimato aver’ origine da un’ huomo indotto et ignorante? O nobile ignoranza, o utile ignoranza, o necessaria ignoranza. Nobiltà dell’ignoranza.Chi non sa l’anima intellettiva esser forma del corpo humano, dalla quale l’huomo riceve un’essere attuale, essential e perfetto. Et chi non vede, che l’anima è così nobilem che à lei non può alcuna creatura, per qualunque dignità pareggiarsi? le cose immateriali non superano le materiali? le cose incorporee non avanzano le corporali? le cose incorrutibili non sono più degne delle corruttibili? le cose eterne non sono più pregiate delle temporali? Qua giù in terra, e sotto il Cielo, non si veggono se non cose materiali, corporee, corruttibili, mortali; l’anima sola è immateriale incorporea, incorruttibile, immortale; la qual con modo maraviglioso in se cotiene la parte sensitiva, e l’intellettiva. Platone.Onde il Filosofo divino disse, ch’ella era un numero movente se stesso, ove accennò un numero binario, (che fra tutti i numeri tiene il primo luogo) havendo egli riguardo alla parte superiore, et all’inferiore, all'intelletto, et al senso. Et l’Ignoranza non elegge per suo soggiorno altro soggetto, che l’anima ragionevole creatura, dignissima. Forse possiamo noi affermare, che i bruti sieno ignoranti? I bruti non possono esser chiamati ignoranti. egli e chiaro, che essi non possono esser savi; e chi non può diventar savio,non possi ragionevolmente chiamar ignorante. dunque l’ignoranza e propria dell’huomo, il qual’è atto a vestirsi la bella veste della scienza. Dignità grande dell'huomo. Ma chi non s‘accorge l’huomo esser cosa bellisima, e nobilissima, della cui nobiltà tutti i Filosofi sottilmente n’han ragionato? Aristotile. Aristotile principe de’ Peripatetici, non senza ragione, lasciò scritto, che l’huomo è fine in un certo modo di tutte le creature, perch’egli scorgeva tutte le cose servire all’huomo, quasi che per l’huomo sieno state prodotte; la terra lo sostenta, l’acqua lo lava l’aere lo refrigera, il fuoco lo scalda, i Cieli l’illuminano, gli animali lo nudriscono. Perche Aristotile dicesse l’huomo esser fine in un certo modo delle creature Hermete Tremegisto. Et non vuole quel gran Filosofo chiamar semplicemente l’huomo fine delle creature percioche solo Iddio assolutamente, e senza aggiunto è fine dell’huomo, e di qualunque cosa creata. Hermete Tremegisto tre volte L'huomo è un certo tutto in tutto. L'huomo picciol mondo contiene in se tutto ciò, che trovasi nel mondo grande.massimo, con brieve et alta sentenza dichiarò la dignità dell’huomo quando disse, ch’era un certo tutto in tutto: prima dice, che l'huomo è un certo tutto, perche come picciol mondo, con maravigliosa similitudine racchiude in se tutto ciò, che vedesi sparto nel mondo grande. Talche se in quel gran teatro dell’universo il Cielo, ch’è di figura sferica, è collocato sopra tutti gli elementi: nell’huomo evvi il capo rotondo superior’ à tutti gli alti membri del corpo. Se nel mondo grande vi sono i sette pianeti, cioè la Luna, Mercurio, Venere, il Sole, Marte, Giove, e Saturno, i quali, come serena, e luminosa faccia, perfettamente abbelliscono il nostro Orizzonte; nel mondo picciolo sono due occhi, ecce il Sole, e la Luna; due nari, ecco Giove, e Saturno; due orecchi, ecco Marte, e Mercurio, la bocca rassembra Venere la qual sonmamente adorna il viso humano. Overo diciamo, che l’huomo somigli la Luna nel moto, Mercurio nella facondia, Venere nella bellezza, il Sole nella vivacità, Marte nella fortezza, Giove nella benignità, Saturno nella prudenza: come parimente il Poeta, singolar’ ornamento d’Hadria, dipinse con leggiadria, ma diversa maniera nella persona, ch'egli amava, in quel madrial, che comincia
Io fra il Ciel, e colei, cui son soggetto,
Scorger non sò di somlglianza alcuna.
Ut ie>t ià ’Clr m- oUt. dii- '"fi ut- liti 'iti «io t )0 n 0,cinti- fetidi- Ititi CCtit ber tutu • ' le sJgnoranza^ /7 le forme erano in poteva nella materiaprima >& in atto nel primo mottore. Non.voglio tacere ciocche dell'huomo dice P 4 latui dottrina con.rfuonantegrido rimbombati a nelle fc ole d Atene Al quale aff er-.
tu, JV / , J f , Lhnomv,
ma, che. I huomoe vn caro dolce Le-1 come lì a dot game dell’ vniuèrf -, perche in lui fono in- fieme legate,&vmte le cofe mortali^ l’im Herr0, ■mori ah Je terrene>e le celeftiaìt,lemomen- ^ • tanee,e le fimptterne : perche rinchiude in ’f ' -> .. ‘ u .i . , 'SjZ. fe il corpo per natura temporale,e cor rutti? » vi *3^ 4f| bile, e l'anima incorruttibile, & eternaper- - 'u - che ejuanto alle foftanz>eJpir egli è a- dorno d'intelletto-,per rijpctto a i corpi cele - ' ' ” • *■ jlifaft lorofimile perlaperfetta compie fio ne, lontana dalla contrarietà z quanto a oli - ' v C j elementi in luijtgnoreggia la virtù del fuo -V*VJ KO co,e dell'aria, efopraumee la materia del- ; ** l'ac qua,e della terra-,e njpetto alle beftie di tutti ifenfi tronaf ornalo. O noblìif ima i- gnoran^a,che,/predando la compagnia de ; • 't gli animali irragioneuoh,tt dilettipraticar• 1 ’ 4 folo con l'huomo,coinè quello,che di nobiltà 9 foperchia ognaltra creatura. Ma non co- et* nofeete ancora,nobilitimi Accademici,co- a arreta / J .•- -, * gnorlr~~i94 B me JF Digitalizzato da Googie i8 Della Dotta me è grande l'vtilitdci arreca l* ^ r a za da quale così guida alla 1 za, come la guerra ci conduce alla pac e. No j) altro guerreggiano gli huomint fuor, t • • I I ^ «MRSVtVi che per viuere in pace : onde la guerra ha 4 .W ; * I J . L ■ V. - per fine la pace 9e di lei e cagione. Simile TPlPWtd? /S/TM/1V ^ ^ yurfi/l/ i) /A , . *.t « i w ls:n « » •p » jr •'V' j A w f»< /4 bìn~ io non vo ora lodando la pazza ignoranza, pmeuolcj. I ri * /* J • /> Z1 •/■ J a o che /prezza ogni fa per e, che ci fafimi li a fanciullipriui d'in onde
- ■ Platone chiam ollapa’/zia , f bruttura del-
Vanima : ma ben vengo a moftrarui, Dotta ronza, co
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e:n », Iu •r mente l'ignoranza e quel pungente fiero ne , ^ fpinge l delle fetenze / fenzacuiy non mai alcuno - ranza'fco* tare^eSauio. 2)/^///potetefcorgere,che /♦ ’» . ! . . • _ ' t t • . 4 u Ilici ili, 5 III vengo a moftrarui, che 0 tutti noi debbiamo abbracciar la dotta ivno w -wvw^*** p •»!/• O »»<f fia vti- ranza, da cui pende ogni vera fetenza, la hjftmtL,. qual'altro non bramafe non9 chefatti humili ne*propri occhi, fi reputiamo d'ejfer rftmpre mai ignoranti j imitando in ciò quel Detto di dotto maeftro della moralfilcfofiajhe di fife% tìocratzj . tanta humtltà >io so qucfto filo 3 eh'io non so cofa alcuna. Quinci Ariftotile fi moffie a (pecolar altamente le cagioni delle tofenaturali, e con iftupor di tutto il mondo ^
& 4tifatili v a V h K ir4 ri il f* {« i ti Digìta!iz2ato dà Go 1‘ lgt tficA pali tfu*. § ' TYP fm Uà ètti» rtjk 0~A fùd (M i,ck i fi 'tlk' [tfn ) ijM 4 dn ilef detti nw
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do in brtette tempo, diuènne filo fi fi a naturale. Per quefio Platone, la- filando La carapatri a,volle fconoficìu to pellegrinar w lontani pacfiper appurar nuoite fetenze ,on de, affano venuto fidato* acqui Pio il nome di Filufiofio dittino <. Pero tanti altrifidai di quelle prim tacer iprefenti) hanno laficia memoria tale, che ancora viue nell’ifiorie » nell’imaginhe nelle Platone ^perchefimpre efii atti firn dofi d'efifer ignoranti,dotti diuen tarono.Così ignorante Pianando fi quel leg* giadro, efidmofio Poeta, nelfonettOyche co• nitrici a, _ _ Trmttfi» Alto ulentio ch’à penfar mi tiri > Marta mol Dimofiro quanto difideraffé difdperejnfie- • * me accennando il diletto, e , che fi trahe dall’intendere. Si come indarno fiderà alcuno d’efifer e ri fanato nel corpo,qual- hor non confi e d’efifer infermno mai potremo noi acquifiar le faenze,eh e fono la fianitd dell'anima fieprima non conoficiamo d’efifer ignoranti. Et come dalla conoficen- za della malatia ne fegue la vita del corpo; cofi dal conofietmento della propria ignoran B2 za 1 V • k tv * iJ J*™ Digitalizzalo da Google fojafitu
?o Della Dotta ^ m V za ne procede laperfettione dellanimale h e i quello > eh*e la farina al corpo, hftejfo e la fetenza all anima.Ma quejl ' dottrina rmll tSche n0n e a'troìc^e La cognition difee slcjfofeien za in vero così nobile che auanza qual un - que difeiplina fetenza tanto vtile all’ani- nia>quato e gioueuole il pane al corpo feicn za tanto necejfaria alla mente [quanto di cibo corporale e bif la carne. Pereto I i 1 1 4 *% »V O J quelle dueparole, cognofee te ipfumtfurono feolpite dalpublico configit di tutta la Gre fiatone * ciaCfe cr Adiamo à Platone) nelle porte del famofe tempio di Delfo, quafe, che non - teffero cjfer vfeiteda Intorno terreno, ma dall’oracolo celefte. Egli e cofet Si- % m nofcTfefièf gnorì npbtiifiimi) il feapere fo ì degno no le Sfere celefti, corne girano i dì bìnfimo. cpe gufa fe genera la nette, pioggia, gr agnino la, la rugiada ; d'onde nafeono i fulmini^ i tuoni, i lampi» i venti>i terremoti , onde habbia origine il fluffo, e r finJfo del mare : conciona che tutte le fetenze na- U 3 1 V * ' J 1 ~ turalmentcfon buone >1 he non fi safc non il verOych'e laperfettion dell’intelletto, come il lume dell aria. Ma che damo tanto in- t% |f } •* % «MA tenti % ti & tr k Ù) V .'lì. 'M flt Digitalizzato da Goo| (! ■di' ìli m citi la- m- 1 * citi sii reti * m rjrt id ► r, mi 'Si- W p ,h w ili ni* fi tini nt in: • * i Ignoranza* f * 2 1 irry'- 7>
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tenti* e curìofi di frper quefte , e che però lafiamo la propria cognitione , che non conofciamo noi Beffi, che non a nifi amo d'effer ignoranti ; tutto cto e meri tettole di gran biafimoye cfacerbo Ccme fipete, che iddio, innanzi che ( communi- Mbilijfm» cado la fu a infimi a bontàjfiuor dì fe quefia granfierà del mondo , eternamente 3conofcendo fe fteffoìproduffe il verbo eterno 3 che e la fra frpienza increata? Cofi voi prima concfcete voi me defimi ; e quindi da tetti à confederar le c'ofe chefono fuori di voi. Et come iddio in quella fra eterna generatione, in tal maniera man- * da fuor di fe Beffo il fro verbo, effendo che il padre, e'Ifigliuolo fono due perfine di flint e > che anco lo ritiene in fe d*ambedue vnifleffae lafofianzaeffen za chitina-.parimente efcafuor noi la Jlra intcllioenza, ma no abbandoni clamai noi me definii • e con oftendo noi tutto quello eh efuor a di noi > non ffc or diamo almeno di noifi e fi. Talché fei’anima per la fra
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facendofifimi le à _ _ ma perfettione. ( Signori • Conofcenrji « a. „ x» ^ ' o dtfcjh’ffcu cademiri) che Dedalo huomo tngegnofififi tome Jht ne mU)padred'Icaroy à richieda di Mwos Re ttlÌdÀTÈfl * i » s# V V* J ^ n 1 1 J 1 1 J v rff tìV’ Cr et enfi fabrico il labirinto > entro cut H J J * I . f * ^ rinchiude il Minotauro > * ^ am aXz.au a tut i ^ n ; * * * J
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J i. . / *-* I « « • ^ ai -a a i - , ^ quell'horribil mofir, <? <:#/ fìppe dell’intricato labirinto. £/ <r/À vi dimofira% che non mai potrà alcun vfeir, libero y efaL no daldabirjntodi quello mondo,pieno d’im p acci,di fi odi, e d in ni ano,& quanti gli occhi non haurà il filo della propria conofcenz>a,e della propria ignoranza. Tufi*a del €^€j}0 s€ anco il mifierio, che ci fiuopre la W * ■ m ceno fa m ^ w'»rv^ »'f#r j io di fe ftef- Sacra Scritturarne in EXechielo leggiamo^ f0, come quel Profeta vide alcuni qualiy mentre andauano,non mai in dietro fi volgevano ma,ciaf un di loro caminando , di continouo fi endea la faccia verfo il fio viaggio. Et ciò altro non ci addita ,fe non che fihùomodee nelle fue operationi ... ... .guardarfe fi effoycpnofc erfefi efioyefiferfirn- prepreferite a fe mmai voltati- «i. >■* ^ ^ . ’-irO *> i de U
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h 1 ito Digitalizzato da Goog| E 7* 4ll h h k n « 11»«» dt' ' ■fili/ a /xi fùk tifi far ti m % riti •M 04 ’ij tri i n- a -fi. i ni VJ- l/l' v Ignoranza. 2$ do indietro il vifioyne d allontanato dofi per qual fi voglia aliena cogniti otre. Che fe per anentur a alcun di noi poco di ciò curando >deltutto abbandonerà feftejfojo- fio rimarrà à gufa di pietra pentimento > e fenza intelletto : come appunto auuenne alla moglie di Lotiche (prezzando il configlio delli Angioli> perche fi r tuo fi a veder lincendio delle cinque Città infami9 fiubitofi cangio in vna sìatoua di que egli e certo > che fé Beffo confifie la dotta ignoranza:cognofee* ecco la dottrinale ip/urn^eeco l'ignoranza; cognofice te ipfurnaceo la dotta ignoranza* Fiatone dijfe vna volta3che la Fi loffi a era vna conofcenza di tutte le cofe,vna notitia delle cofe diurne, (fi human cima qual*ingegno e cofi alto >qu al‘ intelletto e cosi fiottile , qual mente e cosi fiubltme, che pojfia fialir alla perfetta cognitione delle cofehumane ? chefi a atta à penetrar le cofe cele- ftialt ? chepojfia apieno conoficer le cofe naturali l Chi dunque non ranza ejfier maggior della ficlenza, e che I huomoanzi debba chiamarfi ignorante a - - » « - ^ — i — — • _ .1 _ j m £ 4- u?Ji WS“T> rticgcpA—i ^ cbecofa fia, fecondo Fittone* JJbuomo dee fim filmar fi flit* tofio tgno- ranìe fiche*» dotti* ' vt.* dP* iti • • • • Digitalizza da-Goocrte • • 'zj* < 1 Cerne Jìóu facile la ce- jnitioru di fePJf° •
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v. T eletta ùtile fi* o fuo detto, 24 Della Dotta r//? dotto,efauiolEt qu e vera fetenza,che e 1mafauìa^e dotta ignoranza.Forfè no ci farà cofa facile il conoftcer la noftra ignoranza? Forfè no potremo noi acquflar agevolmente cosi rara fetenza ? L'huomo con aran malaga* olezza cono fi e i moti diverti de Cicli, le rare virtù , le varie proprietà de gli animali, effendo che tutte q’teUe cofefono fuori di noi, c da noi fono molto lontane. Et ognvn sà , che la lontananza c impedìf e, che tronfi poffono apprendere le cofe lontane: come ft da lt:n- fi nitriamo vna torre fabricata in a campagna, non fi può dificernere iella fin tonda(0 quadrata, colpa de oli angoli di lei,eh e per effer troppo fono atti a ma dar la lor imagme a fili occhi no fri, otte fa fi la vifione . ■ Ma qual cofa e più vicina aliànima delianima ? qual cofa e piu ferite a nocche noi (lefi? L’huomo afe slef fi e vicino,a fefteffo èfacilmente può conofccr fi fteffo fa fin i onoranza, e tofto diventar prudente e fatuo. Foli è ben vero che interrogato Tàlete Milefio> qual cofa in quefia- vita fi potea chìamat - • * : * „ difi
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< N fr Ignoranza. 25" difficile , rifpofe, il con slejfo. £/, un altro fauio dìffe%chc q»tfta era. l’ultima cofani) *faceua l'huomo in quefto mondo.E tutto ciò nafceperche alcuni credono - quello,che veramente non fanno.E moL ti slimano d’efferpur giunti a quelle feien• , dalle quali fono affai lontani:fi che abbacinati , & accecati dall'amorproprio ,fi fi? uft ano deli utile ignoranza-) e vefono la danno fa arroganza; oltre à ciò alcuni altri penfano d’ejferefenza alcu difetto,ondefóto attendono a confiderar i difetti altrui, e niente curano di conofcer le proprie • fettioni. Per lo che difife un Filofofo, che ih uomo, ilquaie un folle cito viandante > chefmprc c amina,e non mai fi ferma* finche non giunge alla morte,porta due bifide* ci e funa innanzi al petto, e i altra dopale fpalli'dn quella mette tutti i difetti del com pagri 0> (fin quefta ripone leproprie - fettioni : volendo perciò pale far quelfauio* che gli h uomini fi dilettano di veder filo ali altrui errori> & aframente, li biaftmano ; e pofeia non conofcono i propri falli cerne loro c ottiene diligentemente gli correggono* U che è Plauto l Ondawpt» che l'hsomo mcdageml - mente cono jet fe flejje* Efopo.e fu* detto . Digitalizzato da Googte a 6 Della Dotta jlche be conobbe hauerprouato infe MeJJb quel Poeta, che eh (Te, Ben mi h poti ii dir, Frate tu vai L’altrui moftrado,e no vedi il tuo fallo, ApprcJfo,chi e colui,chevogliafprez,z>arfie ftefifo ? che di buon cuore fi dia a biafimat (e me defimo ? Che mentre,per poco tempo, confideriamo la noflra nobiltà, che fi amo creature nobtltfiime, epilogo, e fine dell’a f tre cofie create ;fiubito stimiamo d'ejfer, dégni d'ogni lode, e di non mai meritar, per qualunque operatione, alcun biafimo. Oltre che mirando l'huomo feftejfo > eficorgendo, che in lui fi contengono con marautgliofit fimi ghianda, tutte l'altre creature Je quali tutte fono perfette nelfuo grado,come quelle,che procedono da Dio perfetttfitmo 3 non può fe non malageuolmente conofiere d’effere in parte alcuna difetto fio . •£/ poi noi fi amo così aue^zi à correr dietro agli oggetti finfibilt , che ci apportano qualche diletto, che trattenuti dal fenfio > che fipra di fe non reflette> non fi ricordiamo punto di ritornar, à noi sìefii, onde ci dipartimmo. Ma>con tutto ciò, e cofa man fefta y che fi iddio A k t i m. £ %u ■ ■ fa, jilu éo ìtrif !/ nei» lìtn m i fai gin ?/« HUir 'He ■ Vii/ in bitta, 'unti ftck ’Wut M Digitalizzato da Google I UhtiomQ ignorante e conofcer h % f< jr », a i '+ •r Ignoranza. 27 iddìo stampo nell'anima noftra quefia no- perche debbile proprietà naturale, che fmpre ella - f* filmar fi fideraffe di fapere > bifogna affermare, ^ Vhuomonon mai acquìfti compiutamente im“ alcuna fetenza,perche nonfa vano,e di fu- file così pregiato appetito d'intendere .Et * -i- , più oltre fappi amo, chefecondo ilparer de* P eripatetici,moltopiùfono le co fesche l'huo mo non conofce,cke quelle, ctiegli apprende. Etfe ciaf unporta due bolgie vna sù'l petto, e l'altra su lefalle, il fatti 0 pero ha <e da confiderar la bolgia pofta sul petto, & appreffo la faccia,in leifefieffo do,ela fu a miferia ; poco curando di mirar dietro le [palle la b facci a delle altrui im- perfettioni. ' Ne punto la grandeTgza della natura noftra dee rimouerfi da così alto penftero ; laquale fi fattamente e abb affiatatola della dfubidienza de' primi padri no fi ri, che anzi deefi chiamarfiomma infelicitat he compiuta dignità, ?Et fe tanto fi vantiamo per effer creature ragìoneuoli , perche più tofionon feguiamo gli honefh, e virtuofi difideri della ragione, che i * neftit vitiofi appetiti delfenfo?Tutto,que* u fu ili ti- f é t li• i l 0. (<
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fio Digitalizzato da Google i , +. -vi *8 Della Dotta fio adunque debbiamo attentamente confi- •Ci derare,accioche conofciamo m gr^ . m Cognitione te noi sì e fii. E tanto più, che l'ha omofen«. /t fitjfo ia cotznttiondi fie sì e fio, (come dice '4 fomma- . v > /-> • ■* t i • < .»« ». «£«/ ione ) non può cono fi ere Iddio ; anzi dalla • /*«*- • noftra conofcenzafe crediamo al Profeta, fafii in noi marauighofio il conoficimento di lui:ma ehi non conofice Iddio non può amar 10 , perche l'amore Jùppone la cognitione ; imperoche le cofie non fi pojfiono amar,e chi non ama iddio,come fuofit chia mar buo Chrifiiano,come meriterà il Cielo, - comefa lira w Paradfij?Ncn e tutti noto* eia fi un ejfer tenuto amar iddio co tutto il cnore,con tutta l animalo tutta la mente ? » ^ 1 Et quefio e pur ilprincipal commandamcn to diurno, dalla cui ojferuanzapende la no- Etra fallite. Lihumiltà non folo è lodata da Dottori Sante; e dalla Sacra Scrittura ; ma anche da filofofi, e gentili, che non bancario 11 vero lumhdi Dio : E chi non ha letto, iddio donar la gratia a quegli, eh e fono orna- ti d'humiltà-, virtù cofi rara,(fi eccellente , che nonfipuò defi. riuer e,flagrata a Dio, come leggiadramente dijfe Monfignor
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Elamiti ii» h hC[ P '1 il it Sii, ù) f ì / pigitalizzato da Go< a k
Mi I il Uff S« Hi é, ■d ni 0 0 ià ini 0 là l4‘ tlt 0 4 ,i> i .Ignoranza.' tf Fiamma( 'unicoJplcndor della tton Lateranenfe) in quei due verfi, vu- - -» Virtù diuina,à Dio canto diletta, (ftro J Quato fcriucr nò può terreno iochio- Et con la gratia diurna non fi acquifia la gloria eternai Chi dunque farà così mentecatto >ch e non bramile procuri dejfer eternamente beato?La qual beatitudine cornin eia dalla cono faenza di fefleffo.Perche ere* chl no? cfir r ”: ■ J J J JJ . noftefe flef de te voiyC begli animali refi ino perfemprc fi fijfi fimi feruij e 'fichi aui dell'h uomo ? perche efii non iea brutl * conofconofe sì efii, ne la l fiercZ- • - za. Il cauallo non mai potrebbefi domar col fieno,colmorfio, con gli egli conofcejfe la fua ferocia. Chi dunque non c on ofe e fe sì effo, il che all’hu omo s appartiene fi fafimilea' bru dafii in preda alle brutture del peccato. Là onde , per la fuperbta fi zia famigliando - al fiero Leone,per l'inuidia al rauco Cerno,y peri ira al Can rabbiofo ,per la gola al Lupo rapace,per la Ufi tuia allofquamofo Por- - rco,per' l'olio aiT affo finn acch eper l'a- ,uaritia all'infitti ab il fangu finga . Et per tuentur a tutto ciò volle mani fe far fittalo ^ •*, - J -•* t • ‘‘ V* - - *• *- - • ► • J Digitalizzato dyppgie 3« Della i Dotta la. cono- rafiauìfiVtmo 3 quando dijfeyche Vanirne de fcenz.a dt fe huomini vitiofìtrafmwrauano ne' corpi medefimo e » .. . .J » , £ ‘ - flI‘/cfitt{U Ritiene finalmente c la fomma della vera Bemomce, fi Lofi)fi a. Per la qual cofia Demon ac cfi lofio- 4 fuo detto fi0 interrogato, quando egli cominci affé a fi- lofio/are, rifpofe quando cominciai a cono- ficer me fteffio . Et Heraclito dimandato , pèrche non componefife ccfia alcuna i dififie 9 perche ancora non ho imparato a conoficer me medefimo. Ma eh evado io tuttauta - ficorrendo intorno a quefialto - tu Si dichiara uendofin ora dimòfirato quantofia nobile vtile, e necejfiaria la dotta ignoranza, che confifie nella cognition di fiefttjfio ; fetenza certamente nobilifiima 3 efi vtihfiima Iper cui Vhuomofilmigli a a Dio^efi corfieguifie il fiommo benesch'e la fiuaperpetoua felicità. Non è chiaro,che quefili Signori Accadenti cihan dato ricetto negli 'animi loro aque- fia nobil feienza ? In quefia fiorita Accademia alberga la dotta ignoranza; t quefia timprefeu . / /3 . . ; . r . ^ t ' i .. dcghMa appunt0 e I* nofiìra imprefia, non la vedete donici Sol- voi? eccola figurata in quella bella imagine
- iUt * dipinta i oue vedefii quella faccia
de Digitalizzato da Gooi 1 A rii iy- 74 'MI1 % P> fctt i* iki ck rJ ur H ù. 'M Ut' 'tt- (jit itti MI! i u Ignoranza 5* che vi etimo (Ir a La faenza > la qual ha ori- enne da nofhi fèniche albergano nelcapòi là doue le altre membra fono boiate, S*. imperfette : e ciò fign fica l’ignoranza, chex perfe cagione d’oqni difetto, Ma e vnito il volto di quella figura all’ altre membra , perche in quefia Accademia trouafivniia la dottrina all’ignoranza, Noi Accademicifi slimiamo ignoranti perofi amo folle citi nell’apparar le dottrine fi che da quefla hu mil eftimatione ne dipende la perfettione dell intelletto nofiro, Et non mai cefiare- mo di faticarcifin che habbiamo data l’vi- tima mano a quell’imagine imperfetta, il che ci dirnofir a quel moto pieno di fommo artificio, ViQVe AD VNGVEM. Et io inpar tic olare^ch erutto dì reputandomi ignorante fiofempre defideratofper intendere tutte le cofie ,per appagar il mio gl ufi o,e ragioneuole di fi derio, mi fon rìco- ueratoin quefla nobilifiima Accademia: do ue fiero fatiar pienamente l'intelletto mio con quel dolce cibo, che nudrifee l’anime nofire. Per ci oche qui e r'pofia quell’indorat a,e famofìfiimamerfa, del Sole, c «
■** < i * % v fr Moto del- l'imprefcu» dell' Accade mìa de follet iti. Allude#' l'attirar e# alla fìtti, particela tmprefe Digitalizzato da Google tanto studio, con tanta fatica, e con tanta sollecitudine fù ricercata d’Appollonio Tianeo,e da lui ritrovata nella ricca Etiopia, dove si gusta il soave licore delle scienze, che satiano le menti humane. Moto dell’impresa dell’auttore. HINC VERA SATVRITAS. Et qui finisco.
IL FINE.
IN VERONA,
Appresso Girolamo Discepolo.
MDXCI.
Con licenza della Santa Inquisitione.