Il ripostiglio di Monfalcone

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Alberto Puschi

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IL

RIPOSTIGLIO DI MONFALCONE




All’estremo lembo orientale della pianura cisalpina, poco lungi dalla foce del celebre Timavo, sorge in amena contrada la cittadetta di Monfalcone, dominata dal monte di egual nome, che è una delle ultime alture della Carsia, e le cui pendici sono percorse dalla ferrovia che da Udine passando per Auresina, mette capo a Trieste. In questa cittadetta, che prende fama dalle sorgenti termali già note agli antichi romani, nella via del Duomo, vicino al sito sul quale altra volta sorgeva il palazzo de’ rettori ed accosto alla vecchia cinta murale, apprestandosi le fondamenta per un nuovo teatro, alla profondità di circa un metro venne trovato ne’ primi giorni del passato mese di maggio un vaso di terra nerastra ricolmo di monete d’argento del secolo decimoterzo e del principio del decimoquarto.

Come di solito in simili contingenze, moltissime di queste monete andarono disperse; tuttavia riuscì al municipio del luogo, quale rappresentante del consorzio costruttore del teatro, di prenderne in custodia circa 1600 pezzi. Per gentile condiscendenza di quell’egregio podestà, avvocato Ernesto Trevisan, ed assistito dal chiar. signore Carlo Lonzar, ai quali mi sento in dovere di rendere vive grazie, io potei esaminare tutta questa considerevole massa di monete; inoltre estendendo le indagini mi venne anche fatto di conoscere quasi 400 di quelle che erano passate in altre mani. Non credo di esagerare, per quello che mi fu [p. 348 modifica]riferito, stimando che il ripostiglio contenesse duemila ed alcune centinaia di monete. Trovai che relativamente esiguo era il numero dei pezzi bene conservati; essendo quelli da me veduti in gran parte guasti per la forte ossidazione favorita dalla natura del terreno, così che difficile era di rilevare tutte le particolarità de’ differenti coni, e molte monete erano coperte da una dura crosta che le rendeva quasi indecifrabili.

Il maggior contingente del deposito, o più esattamente delle monete che ho esaminate, componevasi di grossi matapani di Venezia, preponderanti quelli del doge Pietro Gradenigo, di grossi aquilini di Merano e di grossi carentani o tirolini col nome di Meinardo. Ne do qui un breve prospetto dividendo il materiale in tre gruppi.


I. — Grossi veneziani.


Pezzi 788 e propriamente coi nomi di:

Pietro Ziani. 1205- 1229 pezzi 2
Jacopo Tiepolo. 1229- 1249. » 4
Marino Morosini. 1249-1253. » 2
Ranieri Zeno. 1253- 1268 » 34
Lorenzo Tiepolo. 1268-1275 » 45
Jacopo Contarini. 1275-1280 » 70
Giovanni Dandolo. 1280-1289 » 84
Pietro Gradenigo. 1289-1311 » 510
Marino Zorzi. 1311-1312 » 3
Giovanni Soranzo. 1312-1328 » 34


II. Monete dei conti del Tirolo.


a) Grossi aquilini (aguglini grossi, Meraner Adlergroschen). Pezzi 206.
D/ — + COMES 8 TIROL 8 Aquila semplice spiegata col capo volto a destra.
R/ — DЄ — MЄ — RA — NO. Grande croce che divide in quattro parti tutto il campo e la leggenda.

[p. 349 modifica]Rilevai parecchie varietà di questi grossi, riconoscibili principalmente dall’iscrizione per la quale i medesimi si possono distribuire in due serie. La prima è distinta dalla Є, la seconda invece presenta la stessa lettera nella forma di E ed ha nel maggior numero degli esemplari И in luogo del solito N. Ordinando abbiamo:


1. D/ + COMЄS 8 TIROL 8 R/ RA NO
      D★Є
      DЄ
      D • Є
      D⸪Є
      DЄ•
      MA
2. D/ + COMES 8 TIROL : R/ DE ME RA NO
    .   MA
    8   ИO
    „    
    „   8 8   MA•
        MA RA•
        DE RA
    + ∘    „   DE MA ∘
    + :    „   MA

Non vidi alcun esemplare in cui la Є caratteristica della prima serie fosse alternata con la E della seconda.

Il diametro è di mm. 20-21; il peso dei pezzi di migliore conservazione varia da grammi 1.300 a grammi 1.435, quello medio di 60 pezzi scelti da ambedue le serie corrisponde a grammi 1.395 per cadauno.

Secondo l’accreditato giudizio del mio illustre maestro ed amico, il prof. Arnoldo de Luschin1, [p. 350 modifica]queste monete sarebbero state battute in Merano da artefici italiani per conto di Alberto III del Tirolo, morto nel 1253. Le medesime, al pari delle seguenti col nome di Meìnardo, ebbero rapida diffusione al di qua delle Alpi, ove avrebbero servito di prototipo a non poche imitazioni fatte da città e principi italiani, e delle quali le prime sarebbero comparse, come dimostrò il Promis, pochi anni dopo la lega monetaria di Cremona del 12542.

b) Denari tirolini col nome di Meinardo, conosciuti comunemente coll'appellativo di grossi carentani o tirolini (denarii de XX, Zwainziger o Etschkreuzer), Pezzi 915.

D/ — ME IN AR DV’. Grande croce che scompartisce tutta la moneta, intralciata da una minore.

R/ — + COMES — TIROL. Nel mezzo aquila spiegata col capo volto a sinistra.

Più numerose sono in questo gruppo le varietà di conio e rendono evidente che questa specie di monete ebbe molte emissioni, le quali si succedettero per un periodo di anni abbastanza lungo.

La principale differenza si riscontra nell’aquila, che oltre allo stile ed al disegno diverso, lungo gli omeri è ora adorna di sottile fascia, simile al gambo del trifoglio, ed ora ne è priva. Il primo tipo che nel nostro deposito apparve in gran copia era stato considerato come meno antico dal Luschin, quando con esattezza degna di venire raccomandata ad esempio, descrisse il ricco ripostiglio di monete di egual specie, scoperto nella primavera del 1867 a Primano nella valle del Timavo superiore e sul versante dell’Adriatico3. Ma contro il suo parere furono mosse obiezioni, [p. 351 modifica]dinanzi alle quali egli stesso si mostrò propenso ad invertire l’ordine dando la precedenza agli esemplari coir aquila semplice; laddove il professore Arnoldo Busson reputava non essere questa varietà di nessuna importanza per la classificazione dei denari di Meinardo4.

Comunque, sì gli uni che gli altri sono altresì distinti da un contrassegno, collocato nel rovescio tra le parole COMES e TIROL, il quale può riferirsi all’emissione, oppure venir riguardato per sigla del zecchiere, vigendo allora anche nel Tirolo l’uso di dare in appalto la fabbricazione della moneta. I segni da me osservati rappresentano: una rosetta ora a cinque, ora a sei foglie, ovvero quattro più piccole disposte a croce; un ramoscello con tre fiorellini, un fiore campanuliforme, un giglio al rovescio; un globuletto solo oppure tre congiunti da due lineette doppie, un globulo sormontato da altro minore; una stella a sei raggi, ora grande, ora piccola, la quale in alcuni pezzi è fiancheggiata da punti; una crocetta patente, uno scudo in senso inverso; — oppure somigliano ad una coda di rondine o di gallo alpestre o di aquila — o si compongono come di due piccole lune crescenti, opposte l’una all’altra e separate da un ovolo, — od hanno la forma d’incudine in mezzo a due lunette pure crescenti. È probabile che qui i medesimi non si arrestino; ma nello stato di conservazione poco buona delle nostre monete, non m’è riuscito di rilevarne di altri. Alcuni de’ nominati figurano tanto sui denari coll’aquila adorna di fascie, che per brevità diremo fregiata, quanto sugli altri che l’hanno semplice, vale a dire senza tale distintivo. In questi segni comuni alle due varietà noi potremmo ravvisare il [p. 352 modifica]passaggio dall’una all’altra specie, se altre e più marcate differenze non ce lo facessero dubitare. I contrassegni che più si ripetono negli esemplari col primo tipo dell’aquila, sono le quattro rosette disposte a croce, il ramoscello coi fiorellini, la crocetta, lo scudo, il globulo solo ed i tre globuletti congiunti da linee; in quelli del secondo tipo la coda d’aquila.

Le leggende non offron notabili varianti; per lo contrario il diverso aspetto delle lettere, la figura dell’aquila disegnata in modo vario, e la croce stessa più o meno potenziata, provano come abbiamo già accennato, che la produzione delle monete di questa specie e collo stesso nome di Meinardo fu continuata per molti anni. Più corretti e di più fina esecuzione sono i denari coll’aquila semplice; gli altri sono meno belli, ed in molti le lettere si mostrano poco distinte o compariscono talvolta deformi per la esagerata larghezza delle aste. Ne’ primi vedesi esclusivamente la lettera ɑ; nei secondi la C. Riassumo le principali varietà, tralasciando d’indicare quelle che presentano lettere imperfette e monche.

1. Aquila fregiata.

D/

·ME IN AR DV'   R/

+ COMES

TIROL
"   I'IE " " "   "   " COI'IES   "
"   I'I I " " "   "   " "   "
"   I'IE " " "   "   " COM·ES· TI·ROL·
"   NE " " DVS   "   " COMES TIROL
"   II I NI " DvS   "   " "   "
"   · ME IN " DVS   "   " "   "


2. Aquila semplice.

D/ ME IN AR DV'   R/ + ɑOMES TIROL
"   " " AR DV'   "   " "   R


Il diametro è di mm. 19-21, il peso varia da grammi 1.250 a 1.530 e quello medio di parecchi [p. 353 modifica]gruppi di esemplari bene conservati da grammi 1.300 a 1.350 per ciascun denaro. Attenendosi alle analisi di alcuni pezzi del deposito di Primano, fatte eseguire dal Luschin, il quantitativo di fino sarebbe di 0.905, 0.890, 0.884 d 0.880.

Ad Alberto III, ultimo della famiglia de’ conti di Val Venosta, era succeduto nell’anno 1254 Meinardo I, marito della figlia di lui Adelaide e conte di Gorizia. Questi morì quattro anni dopo, lasciando lo stato ai figli Meinardo II ed Alberto II, i quali dopo aver governato in comune per parecchio tempo, nel 1271 si divisero il retaggio paterno. Quegli ebbe il Tirolo, questi la Pusteria e tutti i beni appartenenti al dominio de’ conti goriziani. Parecchie ragioni addotte dal Luschin fanno credere che già il loro padre abbia dato principio alla coniazione de’ denari carentani, nominati da’ Tedeschi Kreuzer, crucigeri, per la croce ond’erano adorni, o Zwainziger per il loro valore di venti veronesi, e ch’essa sia stata continuata da Meinardo II.

Ma come la zecca di Lienz, propria de’ conti di Gorizia, batteva contemporaneamente monete col nome dello stesso Meinardo, oltre che con quello di Alberto II, così non è meno probabile che tenendo i fratelli comune governo, l’officina di Merano avesse pur coniato per conto d’entrambi. Anzi dallo stesso trattato di divisione rilevasi che la moneta meranese doveva rimanere comune anche dopo la separazione de’ domini. Soltanto strano appare che laddove a Lienz ciascuno dei fratelli imprime il proprio nome sulle monete fabbricate per proprio conto, ne’ denari di Merano non comparisca che quello di Meinardo. Questo fatto non potrebbesi spiegare se non col tener per fermo che i fratelli abbiano mantenuto il tipo stesso introdotto dal padre loro, principalmente per evitare che qualsifosse innovazione non danneggiasse il prestigio [p. 354 modifica]che questa moneta godeva e non ne diminuisse gli utili che dovevano essere rilevanti. Non è poi meno probabile, per quello che fu esposto e per quanto c’informano documenti del tempo, che questi tirolini si continuassero a fabbricare anche dopo la morte di Meinardo II, almeno durante i primi vent’anni del secolo XIV. Forse che a questo periodo spettano gli esemplari coll’aquila semplice e di esecuzione più artistica. La riserva posta da Alberto II nel patto del 1271 circa i comuni diritti sulla moneta di Merano non è senza importanza per questa parte d’Italia e per le regioni contermini soggette all’influenza de’ conti di Gorizia, nelle quali i prodotti di quella zecca si trovano in grande copia accanto alle monete della repubblica Veneta. La diffusione degli aquilini e de’ tirolini era bensì favorita dal prestigio che i medesimi s’erano acquistati al di qua delle Alpi; tuttavia non credo potersi negare che v’abbiano contribuito pure largamente le molteplici attinenze di Gorizia col Tirolo.


III. — Monete di zecche diverse.


A. — I pochi denari di Aquileia che offre il deposito di Monfalcone spettano a quattro patriarchi5.

1. Gregorio di Montelongo, 1251-69.


a) D/ – • GRЄGORI' • - • ЄLЄCTVS • Il prelato ritto di faccia tiene con ambo le mani un libro.

R/ – • CIVITAA- QVILЄGIA • S. Ermacora porge la croce al patriarca. Pezzi 2.


b) D/— GREGO — RlV' • PA • Il prelato seduto con vangelo e croce.

R/ — • AQVI — LЄGIA • Aquila spiegata con la testa volta a destra. Pezzi 2. [p. 355 modifica]

2. Raimondo della Torre, 1273-99.

a) D/ – • RAIMO - NDV’ PA • Il prelato seduto in faldistorio con libro e croce.

R/ — • AQVILЄ — GЄNSIS • Torre merlata, stemma gentilizio di Raimondo. Denaro coniato nel 1274. Pezzi 2.

b) D/ – × RAIMO ×× DNV' PA × La Vergine seduta tiene nel braccio sinistro il Redentore.

R/ — × AQVILE × - × GENSIS × Aquila spiegata volta col capo a sinistra. Coniato nel 1278. Pezzi i.

c) — RAIMV — NDV' PA • Patriarca seduto come sopra.

R/ — + AQVILЄGЄNSIS • Due bastoni gigliati e decussati.
Coniato nel 1281. Pezzi 1.

d) D/ – Uguale al precedente.

R/ — Uguale iscrizione. Croce, gli angoli superiori della quale hanno due chiavi, gl'inferiori due torri merlate.
Coniato nel 1287. Pezzi i.


3. Pietro Gerra, 1299-1301.

/B’— P𐐺TRVS — • PATRA. Prelato seduto con libro e croce.

R/ — AQVIL𐐺 G𐐺NSIS Aquila spiegata che ha sul capo una piccola croce e sul petto uno scudo increspato in cinque pezzi. Pezzi 3.


4. Ottobono de’ Razzi, 1302-1315.

D/ — ⸫ OTOBO — NVS ⸫ PA ⸫ Patriarca con Vangelo e croce, la parte inferiore del quale è coperta da uno scudo su cui è impressa l’aquila d’Aquileia.
R/ — + A - QVIL𐐺 - G𐐺NSI - S. Grande scudo partito, a sin. fasciato e a destra con banda di vaio. Pezzi 25.

B. — De’ vescovi di Trieste non comparve che il seguente denaro di Arlongo de’ Visgoni, 1260-12816.

D/ — • ARLON • — GV • ЄP • Vescovo seduto con pastorale e libro. [p. 356 modifica]
R/ – + CIVITA TЄRGЄTVM. Colomba coll’ali spiegate, volta a destra e tenente nel becco un ramoscello di olivo. Pezzi 3.

C. — Appartiene al conte Alberto II di Gorizia, 1 271- 1304, il denaro7 che ha nel

D/ — + ALBERTVS COMES. Leone che procede verso

sinistra.

R/ – + GORICIE DE LVON Rosa a sei foglie. Pezzi 3.


D. — Trento. Al vescovo Federico Wanga, 1207-1218, viene attribuito il grosso seguente, il quale potrebbe spettare del pari a qualcuno de’ suoi successori8.

D/ — + • EPS TRIDENTI • Busto di prelato in pontificale

volto a sinistra, il quale tiene il pastorale ed impartisce la benedizione.

R/ — + IMPERATOR e nel campo + F. Pezzi 1.

È invece di Eginone d’Appiano, altro vescovo di Trento, 1248-1273 il grosso9 che ha nel

D/ — + CI....TRIDENTI. Busto come nel precedente.
R/ — II’I — RE — RA — TO 8 Grande croce che divide tutta la moneta ed è accantonata da quattro rosette.
Pezzi 1.

E. — Le monete di maggior importanza e rarità offerte dal tesoretto di Monfalcone, sono alcune contraffazioni del denaro tirolino di Meinardo prodotte da zecche dell’Italia settentrionale.

[p. 357 modifica]1. — Acqui.

D/ — + ODONVS • EPISCOP. Aquila con fascie alle ali.
R/ — AQ — VE — NS — IS. Grande croce che divide tutta la moneta con altra più piccola tra le quattro braccia della prima. Pezzi i.

Conforme al parere del Promis10 questo grosso sarebbe stato battuto dal vescovo Oddone Bellingeri, che tenne il governo della città di Acqui tra il 1305 ed il 1313 e fu favorito dall’imperatore Enrico VII.

L’esemplare di Monfalcone è di buona conservazione e pesa grammi 1.400.


2. — Incisa.

a) D/ — I'IAR — CKO — INC — ISE : Doppia croce come nel precedente.
R/ — + OTO ︙ INPERATOR ︙ Aquila con fascie. Pezzi 1.

b) Varietà del precedente.

D/ – ︙ I'IAR – CKO – INC - : ISЄ.
R/ – + OTO ︙ II'IPERATOR ︙ Pezzi 1.

Il primo pesa grammi 1.400 ed il secondo 1.300.

Questa rarissima moneta fu per la prima volta pubblicata dal Luschin11, che l’aveva rinvenuta nel ripostiglio di Primano da noi già citato. Ma il suo esemplare che ora trovasi nel gabinetto numismatico di S. M. in Torino, porta nel dritto:

I'IC - h︙ I - CI - SE.


I marchesi d’Incisa vantavansi di discendere da Adalasia, figlia di Ottone I e moglie del marchese [p. 358 modifica]Aleramo di Saluzzo; epperò è verisimile che a questo imperatore eglino facessero risalire i privilegi sui quali fondavano le loro pretensioni12. L’origine di questo grosso imitante il tipo del tirolino può forse ricercarsi tra gli anni 1305 e 1310, vale a dire prima della grida emanata da Pavia li 7 novembre 1311 da Enrico VII circa il valore delle monete che correvano allora nelr Italia settentrionale e contro l’abuso delle contraffazioni.


3. — Ivrea.

D/ –   ̯V P — OR — EG — IA    Doppia croce come nei precedenti.
R/ — + FREDERICVS     IP/. Aquila con fascia. Pezzi 4.

Due pesano grammi 1.300 e due grammi 1.400 per cadauno.

Questa moneta13, a quanto opina il Promis, sarebbe stata coniata dalla città d’Ivrea nell’epoca che precedette la sua dedizione ai principi di Savoia, 13 13, e nella quale ella protetta dall’imperatore Enrico VII per alcuni anni governossi a repubblica. Il privilegio di zecca le sarebbe stato accordato già prima, o almeno ella pretendeva di averlo ricevuto dall’imperatore Federico Barbarossa, per il quale aveva parteggiato contro la Lega lombarda; da ciò il nome di questo monarca sulle sue monete.


4. — Mantova.

D/ — DE — I'IA — NT — VA. Croce doppia come nei precedenti.
R/ – + VIRGILIVS - . Fra le due rosette un piccolo scudo bandato e nel campo aquila con fascie agli omeri. [p. 359 modifica]Un altro esemplare ha nel diritto dinanzi al nome della città un punto ed una rosetta. Pezzi 2.

Il peso è di grammi 1.500 per ciascuno.

Il Portioli14 ascrive tale moneta al tempo dei due capitani Luigi e Guido Gonzaga e la ritiene battuta dopo Tanno 1329, in cui per diploma di Lodovico il Bavaro delli 6 novembre questi signori furono creati vicari imperiali di Mantova. Egli sostiene la sua ipotesi adducendo lo scudo che sarebbe l’arma dei Gonzaga, e l’aquila quale emblema della dignità di vicari imperiali che non poteva essere usato da chi non avesse prima conseguito il vicariato. Ma lo scudo dei due esemplari di Monfalcone non sembra essere fasciato come in quello illustrato dal Portioli; pare invece bandato di quattro pezze. Non voglio escludere che ciò possa essere uno sbaglio dell’incisore poco esperto; però lo stile e la forma delle lettere s’accosta troppo ai tirolini ed alle contraffazioni che abbiamo descritte, per non doversi ammettere che anche il grosso in questione spetti al primo decennio del secolo XIV e che probabilmente la sua origine non sia stata del tutto legale.

Riguardo all’età delle monete del nostro ripostiglio, troviamo che di data più recente potrebbero essere stimati i grossi del doge Giovanni Soranzo, il cui regno si protrasse fino all’anno 1328. Le aquileiesi invece si arrestano coi denari del patriarca Ottobono, morto nel 1315. Confesso che a me pare che quest’anno segni veramente il tempo, intorno al quale fu in Monfalcone nascosto questo tesoretto. L’essere relativamente scarso il numero de’ matapani del Soranzo, mentre in quantità considerevole sono quelli di [p. 360 modifica]Pietro Gradenigo, dimostrerebbe che le monete furono accumulate pochi anni dopo l’esaltazione di quel doge.

Se non ci fosse l’aquila, di cui fu supposto che stesse in relazione colla dignità di vicario imperiale, lo stesso Portioli15 non sarebbe alieno dall’accettare lo scudo, che nel suo grosso si vede fasciato, per arma de’ Bonacolsi, i quali dal 1276, col titolo di capitani del popolo, ressero Mantova per più di cinquant’anni. Ma trattandosi di contraffazione di una moneta forestiera che allora godeva in Italia molta reputazione, io sono d’avviso che della presenza dell’aquila non possa tenersi gran conto; laonde rimosso questo ostacolo nulla c’impedisce di giudicare che anche i tirolini di Mantova, almeno quelli del tipo di Monfalcone, sieno stati coniati intorno all’anno 1310.

5. — Verona.

D/ — : DE — VE — RO — NA. Croce doppia come nei precedenti.
R/ – + : SANCT’ : ʒENO – : Fra le quattro rosette lo scudo colla scala proprio degli Scaligeri, nel campo l’aquila coronata senza fascie agli omeri. Pezzi 2.

Uno degli esemplari da me pesato è uguale a grammi 1.400.

Questa moneta venne già attribuita a Can Grande della Scala (1311-1329)16, ma potrebbe essere stata battuta da questo principe ancor quando egli teneva il governo insieme col fratello Alboino.

F. — Di Padova sono le due uniche monete di mistura fornite dal nostro deposito. Corrispondono a [p. 361 modifica]due esemplari del denaro piccolo coniato dopo l’anno 125617.

G. – Chiude il prospetto la contraffazione del grosso veneziano, fatta da Stefano Urosio I, 1241-1272, di Rascia o Serbia e continuata dai suoi sucessori18, Differisce essa dal prototipo nella leggenda del diritto che è

• S • ST𐐺FAN’- VROSIVS e lungo l’asta R𐐺X. Pezzi 10.

Trieste, Agosto 1893.

Note

  1. Zur mittelalterlichen Münzkunde Tirols nella "Numismatische Zeitschrift„, Vol. I, pag. 155 e seg.
  2. Monete del Piemonte inedite o rare, pag. 24.
  3. Loc. cit. Appendice I, pag. 323 e seg.
  4. Kleine Beiträge zur mittelalterlichen Münzkunde Tirols nella stessa Numismatische Zeitschrift „, Volume X, pag. 329 e seg.
  5. Puschi, L’Atelier monétaire des Patriarches d’Aquilée, pag. 75 e seguenti.
  6. Puschi, Op. cit, pag. 82.
  7. Schweitzer, Abrégé de l'histoire des comtes de Gorice, pag. 65, num. 17.
  8. Gazzoletti, La zecca di Trento, pag. 33 e tav. I, n. 6.
  9. Gazzoletti, Op. cit., pag. 35 e tav. I, n. 8.
  10. Op. cit., pag. 7 e fav. I, n. 4. Vedi pure Luschin, Loc. cit. Appendice II, pag. 333 e tav. VIII, n. 6, ed A. Busson, nella “Numismatische Zeitschrift„, Vol. XIV, pag. 283.
  11. Loc. cit, pag. 334 e tav. VIII, n. 8.
  12. Promis, Sulle monete del Piemonte, Supplemento, pag. 35.
  13. Questo grosso, del quale quattro esemplari si rinvennero anche a Primano, fu già illustrato dal Promis, op. cit., tav. II, n. i, e venne ripubblicato dallo stesso Luschin, loc. cit., pag. 335 e tav. Vili, n. 9.
  14. La zecca di Mantova. Parte II, pag. 63, fig. 2.
  15. Op. cit. Parte I, pag. 52.
  16. Luschin, Loc. cit., pag. 336 e tav. VIII, n. 10.
  17. Verci, Delle monete di Padova, in Zanetti, vol. III, pag. 383 e tav. XX, n. 2.
  18. Ljubic, Opis Jugoslavenskih novaca, tav. IV, n. 15.