Istoria delle guerre gottiche/Libro primo/Capo XXVI

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CAPO XXVI.

Vitige uccide i senatori in istatico ed occupa Porto. — Belisario con grave disagio riceve dalla città d’Ostia rinfrescamenti.

I. Vitige ribollente d’ira, nè più sapendo che macchinare spedì innanzi tutto gente degli astati a Ravenna perchè uccidessero i romani senatori quivi condotti al principiare di questa guerra. Tali di essi tuttavia addivenuti consapevoli dell’imminente lor fine e trovato pronto mezzo alla fuga, camparono la vita, del cui numero furono Cerventino e Reparato fratello del romano pontefice Vigilio, i quali direttisi ver la Liguria fecervi stanza; i compagni tutti ebbero morte. Di poi veduto che i nemici trasportavano con piena sicurezza dalla città quanto avessero in animo, ed introduceanvi per acqua e per terra le bisogna loro in copia, deliberò assediare la cosiddetta con romana voce Porto lontana da quelle mura cenventi stadj, intervallo che disgiunge [p. 125 modifica]Roma dal Mediterraneo. Trovi Porto alla foce del fiume Tevere, il quale a soli quindici stadj dal mare diviso in due alvei forma un’isola nomata sacra. Questa, procedendo il fiume, dilatasi talmente che misurata per lo largo e per lo lungo dà l’egual somma, vogliam dire tra l’uno e l’altro alveo stadj quindici. Da ambe le parti il Tevere è navigabile, e dalla destra scarica le sue acque nel porto. Di là da questa bocca e sopra la ripa in epoca lontana i Romani fabbricaronvi una città con mura fortissime all’intorno, che, pigliata la denominazione dal porto, Porto si chiama. All’alveo sinistro presso l’altra bocca del fiume Tevere trovi Ostia, lungo la ripa ulteriore, città per lo passato di grande rinomanza, ora affatto spoglia di mura. È antico lavoro romano la breve e piana via che da Porto città mette a Roma. Il porto a bello studio va sempre fornito di barche fluviali e nelle sue vicinanze havvi pronta copia di buoi. Laonde i trafficatori quivi afferrato e tradotte lor merci dalle navi mercantili sopra quelle del fiume, giungon pel Tevere, senz’aiuto di remi e vele, alla metropoli; imperocchè i legni quivi non possono venir contrariati dal vento a cagione delle molte giravolte dell’alveo e del tortuoso viaggio; nè sono di profitto veruno i remi combattuti di fronte dal corso dell’acqua: ma con funi legate dall’un capo ai colli de’ buoi e dall’altro alle barche traggonsi queste a mo’ di carra fino alla città. Dall’alveo sinistro poi del fiume la via da Ostia a Roma è selvaggia, assai incolta, nè presso della ripa, il perchè non consente al traino delle barche. Or dunque i Gotti sorpresa la città [p. 126 modifica]Porto senza guernigione al primo avvicinarvisi occuparonla, e fatto macello de’ Romani ivi a dimora ebbero anche in poter loro il porto; lasciativi quindi mille guerrieri di presidio gli altri tutti retrocedettero agli accampamenti, e così da quivi gli assediati vidersi tolto ogni agio di trasferire entro lor mura le derrate di mare.

III. Dopo questa perdita gli abitatori di Roma costretti a valersi pe’ loro bisogni della sola Ostia incontrarono, com’è chiaro, enormi pericoli e travagli; conciossiachè impediti dal procedere sino a lei colle barche, per necessità doveano apportare ad Anzio, lontano il viaggio d’un giorno, e di là con molta pena, mercè la scarsità somma delle braccia, condurvi le ricevute mercanzie. Nè Belisario, premurosissimo della salvezza di quelle mura, avea avuto mezzo di conservare Porto, alla custodia della quale se fossevi stato appena un presidio di trecento militi, mai più i barbari a mio giudizio sarebbonsi cimentati, in vista della fortissima sua posizione, ad entrarvi.