Istoria delle guerre gottiche/Libro terzo/Capo VI

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CAPO VI.

Totila prende molte castella, città e provincie. Assedia Napoli. — Giustiniano manda in Italia Massimino prefetto del pretorio con armata di mare e Demetrio, il quale prepara aiuti pe’ Napolitani. Un altro Demetrio nel tornare a Napoli cogli apprestamenti fatti, caduto il navilio in potere dei Gotti, paga il fio della imprudente sua lingua.

I. Totila di poi ebbe le castella Cesena e Pietra, trascorso quindi breve tempo andò nella Tuscia, ma indarno tentatine i luoghi forti nella speranza che si arrendessero, valicato il fiume Tevere, senza metter piede [p. 295 modifica]in quel di Roma, fecesi di subito nella Campania e nel Sannio, ove di leggieri conquistata Benevento, città munita, la smantellò di muro, acciocchè le trappe in cammino da Bizanzio protette nelle scorribande loro da’ propugnacoli non molestassero i Gotti. Mandate in appresso generosissime proposte ai Napolitani per entrare in quella città guardata da Conone alla testa di mille imperiali ed Isauri, nè compiutosi l’intendimento suo divisò cingerla d’assedio; e postole non lungi il campo vi rimase egli stesso colla maggior parte dell’esercito. Spedite inoltre le rimanenti soldatesche alla volta di Cumano, castello, e degli altri guardinghi ne acquistò il possesso e gran quantità di danaro; volle di più non si facesse menomamente oltraggio alle mogli de’ senatori quivi rinvenute, ed accordando loro con ogni cortesia di raggiugnere libere i proprj mariti n’ebbe presso tutti i Romani grande rinomea di bontà e prudenza. Siccome poi non vedeva comparir uom de’ nemici a rattenerlo, così mandando tratto tratto piccole schiere all’intorno operava importantissime cose. Nè altrimenti egli sommise i Bruzj, i Lucani, gli Apuli ed i Calabri, riscosse i pubblici tributi, fe’ sue le rendite pecuniarie, spogliandone i signorotti, e ordinò il tutto come assoluto despota dell’Italia. Il perchè Giustiniano, sospesi nelle epoche determinate i soliti stipendj alle truppe, andava loro debitore di molto danaro, e gl’Italiani scioglievansi in acerbe doglianze vedendosi privi de’ suoi beni ed esposti a gravissimi perigli. L’esercito mostravasi ben meno di prima subordinato ai duci e si rimanea di buon grado entro [p. 296 modifica]le città. Constanziano era di permanenza in Ravenna; Giovanni in Roma, Bessa in Ispoleto, Giustino in Fiorenza, Cipriano in Perugia, e degli altri ognuno si tenea in quelle mura dove nel principio, fuggendo, avea avuto ricetto.

II. L’imperatore all’udita di questi sconci penosissimi al cuor suo creò di colta Massimino prefetto del pretorio d’Italia, acciocchè e’ s’avesse l’imperio sopra gli altri duci e fornisseli, giusta il bisogno, di annona, ed inviò con lui molto navilio carico di soldatesca trace ed armena, Erodiano capitanandovi i Traci, e Faza, originario d’Iberia e nipote di Peranio da parte di sorella, gli Armeni; aveavi di più con essi qualche numero di Unni. Massimino adunque salpato da Bizanzio con tutta l’armata di mare ed afferrato nell’Epiro, vi consumò inutilmente lungo tempo, siccome colui che, affatto inesperto di guerra, era paurosissimo e tardo. In processo di tempo Giustiniano vi spedì anche Demetrio eletto a maestro della milizia, il quale per l’innanzi alla testa d’una coorte di fanti seguito avea Belisario in campo. Questi pertanto al pigliar terra nella Sicilia fatto consapevole che Conone ed i Napolitani erano travagliati da rigorosissimo assedio e da somma carestia di vittuaglia incontanente deliberò soccorrerli, ma scarso di mezzi per mandare ad esecuzione il suo buon volere, avendo seco poca gente e non addestrata nell’arte militare, appigliossi a tale stratagemma. Ragunato da tutta Sicilia gran numero di vascelli navigò con essi riempiuti di frumento e d’ogni altro bisogno della vita, facendo mostra ai nemici con quell’apparato [p. 297 modifica]di condur seco moltissime truppe; nè mal si appose nell’antivedere e deludere i pensamenti loro, essendo che i Gotti, alla nuova d’una fortissima armata di mare alle vele e proveniente dalla Sicilia argomentarono imminente l’arrivo d’assai poderoso nemico esercito. Che se Demetrio senza metter tempo di mezzo si fosse a dirittura portato a Napoli avrebbe, a mio avviso, incusso timore agli assediatori, e conservato la città senza opposizione. Egli per lo contrario intimoritosi del pericolo non volle afferrarvi, e posto in salvo il navilio nei porti di Roma, tutto quivi dedicossi ad arrolare soldati. Ma questi, già vinti dai barbari e tuttora delle costoro armi trepidanti, rifiutandosi marciare seco lui contro Totila ed i Gotti, obbligaronlo a battere la via di Napoli co’ soli pochi menati da Bizanzio. Aveavi poi un altro Demetrio da Cefalene in epoca anteriore nocchiero espertissimo delle faccende marineresche e dei pericoli soliti incontrarsi nel solcare le acque; e per siffatta perizia sua addivenne cotanto famoso navigando con Belisario nell’Africa e nell’Italia che fu scelto da Giustiniano a governatore della città di Napoli. Ora cominciatosi dai barbari l’assedio di quelle mura, villaneggiò assai protervamente in mille guise Totila, e fe’ mostra in tali calamitose circostanze d’accordare soverchia licenza all’effrenata sua lingua. Procedendo quindi le sciagure e vie più gravitando sopra gli assediati, per consiglio di Conone, ebbe cuore di montare ascosamente da solo un paliscalmo e navigare alla volta di Demetrio maestro della milizia. Uscito del pericolo, fuor d’ogni aspettativa, sano e salvo [p. 298 modifica] abbocossi col duce ed, esortatolo a starsene del miglior animo, eccitollo a compiere i pensati disegni. Se non che Totila informato poscia assai bene di qual tenore si fosse quell’armata fe’ incontanente apprestare di velocissime dromoni1 e non sì tosto i nemici appressarono ai lidi, poco lunge da Napoli, all’improvvista va sopr’esse a combatterli, e li volge in fuga. Uccisine molti, moltissimi pur caddero vivi nelle sue mani (essendosi potuti salvare appena i soli che al cominciar della pugna saltarono dentro i paliscalmi delle navi), e tra questi aveavi il maestro della milizia Demetrio. I barbari quindi impossessaronsi di tutto il navilio, del suo carico e delle genti. Ora trovatovi Demetrio governatore di Napoli gli tagliarono e lingua ed ambe le mani, e così mozzato diedergli licenza di trasferirsi ov’e’ meglio desiderasse, pagando in tal maniera a Totila il fio d’una imprudente lingua.

Note

  1. Spezie di nave lunga da trasportare frumento; il suo nome viene dal greco verbo τρέχω, fut. θρεξω e θραμω, pass. med. δεδρομα, curro.