Istorie dello Stato di Urbino/Libro Secondo/Trattato Primo/Capitolo Sesto

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Libro Secondo, Trattato Primo, Capitolo Sesto

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Libro Secondo, Trattato Primo, Capitolo Sesto
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CAPITOLO SESTO.

Della Città d’Urbino Metropoli del suo Stato.


G
iace la Città famosa d’Urbino sopra la cima di due gran Monti, cinta di cupe valli, per cui, si come da gli hostili assalti sicura nella difesa rendesi, tanto dalla sontuosità de gli edificij, con ordine Archititonico disposti, da tutti meraviglia si tiene; e (toltone Sciena) per la più bella Città de’ Monti, che sia in Italia. Et quantunque per ragione del sito ov’ella è posta, invincibil si renda, tutta volta è stata munita d’un recinto di muraglie fortissime, affatto quasi terrapienate, e rese da molti baloardi sicure; le quali (se bene antichi) nondimeno veggonsi fabricati con gli orecchioni, per non tanto assicurar le cortine, quanto per potersi guardare l’un l’altro, nel modo, che nelle Fortezze di sospetto maggiore in questa nostra età si costuma: havendo gli Architetti moderni preso il modello da questi. Nel mezzo quasi delle sudette mura verso il Monte, che piega all’Occaso, si vede quella gran mole alzarsi, che si è fatta l’ottava meraviglia del Mondo; dico quel tanto nominato Palaggio, che per a residenza de’ Duchi fù con infinita spesa da Federico Feltrio eretto: ò per dir meglio, per consecrare della fama all’eternità il suo grand’animo, e le generose attioni; havendo in si meravigliosa struttura, avvilita la Natura non meno che confusa l’Arte: non potendo quella Idol più degno mostrare, di essere imitata; e questa formar disegno migliore per imitarla: Onde ogn’altra gran struttura d’Europa le cede; sicome Abramo Ortellio accenna; & apresso Bernardin Baldi più chiaramente si legge, che formonne di essa, e di ogni suo membro un Libro intiero; il quale, ben che venisse ristampato più volte, non è stato però bastevole di sodisfare al desiderio de gli Architetti curiosi. QUindi pochi nelle pubiche Biblioteche si vendono. Simile à questa, un’altra meraviglia quivi sotto il terreno si trova; vedendosi l’utero del Monte, il quale riguarda Borea in più pezzi tagliato, e da gli antri diviso in modo che de’ luoghi murati retiene l’ [p. 124 modifica]effigie, da cui distillano l'acque come dalle nubi gravide, e in gran copia, dentro una conserva ragunatisi, sgorgano senza mai seccarsi à fonti, che à beneficio de gli habitanti ne' più commodi luoghi della Cittade vennero fabricati. Evvi anche un celebre fonte fuora di queste mura, nella Piazza del Mercato; il quale per haver nel fondo di un'altissimo pozzo tanto copiosa la vena, per qual si voglia arsura non mai resta essausto; Onde mancando al tempo che Urbino tenevasi per li Goti, stimato venne da i Greci, che l'assediavan miracolo. Urbino fù ne i tempi antichi fondato, nel medesimo luogo, dove al presente si trova; della cui fondatione, e de gli suoi Autori, benche non habbia particolar cognitione, son però informato (se prestar fede si deve al favellar delle pietre) come de' Romani fù Municipio, & illustrato da quelli con gratie singolari; però che da gl'Imperatori, che dominavan il Mondo, eletto fù per habitatione de i personaggi primieri, da' quali con singolar diligenza venivano custoditi: come notato viene in una manuscritta Historia, che parimente nella manuscritta Libraria Ducale conservasi. I Goti, che furono della Romana grandezza, e della libertà d'Italia capitali nemici, scelsero questa Città per uno de i luoghi, che più forti per tutta la Provincia stimarono, da poter alle forze del Greco Imperatore, che venivan lor sopra, resistere. Dopò la traslatione del Romano Impero nell'Alemagna, una fù di quelle, che fattasi libera, e governatasi à guisa di Repubblica, per longo tempo sempre la parte Imperiale, co'l titolo di Ghibellina mantenne. E se ben dalle penne scarse di Tolomeo, e di Strabone, Urbino lasciossi adietro; non mancarono però altre, anco dell'antiche, le quali con più liberalità fanno di esso gloriosa, & honorata memoria, come Plinio, che nella sesta Regione d'Italia collocandolo, chiama gli suoi Cittadini Urbinates Methaurenses, quasi alludendo,che à gli suoi tempi fosse questa Città la più chiara, e la più celebre d'ogni altra, che nella vicinanza del Metauro situata ne stesse; & che sola meritato habbia dal famoso fiume la nominanza pigliare. Con più lunghi discorsi nel decimonono libro delle sue Historie ne ragiona Tacito, mentre narra delle guerre Vitellesche gli eventi, che in questo circuito furono sanguinosi. E Procopio nel secondo libro delle guerre Gotiche, havendo mostro, come sopra da gli stessi Gothi con grossi presidij custodita veniva, soggiunse commendando la sua fortezza, la quale reputò invincibile; che se bene fù dà Greci longamente assediata, non mai però havrebbe alle forze di quelli ceduto; quando i difensori, dalla sete, che lor travagliava, per esser secchi i fonti, astretti fossero stati di rendersi à Bellisario Duce di quelle genti à patto: & con l'occasione del sopradetto Fonte, il quale, contro il suo natural consueto (come si è detto) cessò, molti altri ne ragionano con alto stile; specialmente il Sabellico, nel terzo libro [p. 125 modifica]dell'Ottava Eneade; Flavio Biondo, nel quinto dell'Historie; Leandro, ne gli Umbri Senoni; & in altro senso anche ne parla Giovan Villani, dentro gli Annali di Fiorenza, raccontando in diversi luoghi di essi le attioni heroiche all'opportunità del tempo fatte da gli Urbinati: singolarmente in castigare i Tiranni, e tutti quelli, che ingiustamente la loro libertà opprimevano. Non potendosi quelli più dalle molestie de nemici difendere, al tempo di Bonifacio Ottavo Sommo Pontefice, sotto la protettione si posero di Guido Feltrio; il quale col titolo di Conte signoreggiolla: & essendo questo d'intelletto prudente, e valoroso nell'armi, à grande stima portò la Citta, e rispettati rese per tutta Italia i Cittadini, che dall'essempio instruttti del lor Signore, divennero anch'essi nelle guerre gloriosi: Di dove prese occasione Francesco Panfili scrivere nel suo Piceno, al primo libro come quì sotto:

Extulit illustris Feretro de sanguine Guido,
Armiger Italia praelia multa gerens.


Essendo poscia Guido invecchiato, lasciando nella Contea della sua casa un saggio Postero, con intentione, e con saldo proposito di ritirarsi dal Mondo, & di dar tutto à Dio l'avanzo della sua veneranda canicie; nella Religione entrò di S. Francesco, ove con grand'essempio di buontà, & con incredibile ritiratezza, vivea: Mà essendo con molta instanza ricerco da un gran Prencipe amico suo, di un consiglio, il quale da una Famiglia potente de suoi sudditi molestato, non poteva il seggio stabilire nel Regno; Si aspro fù il modo proposto da Guido, che quello essequito, poco meno mancò, che tutta quella Famiglia non si estinguesse. Onde il Dante prese occasione di rappresentare nel ventesimo Canto di haverlo trovato all'Inferno ne i tormenti della sesta Bolgia; cosi scrivendo le parole, che dalla bocca di quello spirito disse haver sentito.


E disse Padre, da che tù mi lavi
Di quel peccato, ove mò cader deggio,
Lunga promessa, con l'attender corto
Ti farà trionfar ne l'alto seggio.
Francesco venne poi com'i fù morto,
Per me: mà un de' neri Cherubini
Gli disse, non portar: non mi far torto,
Venir se ne dee giù trà miei meschini,
Perche diede il consiglio frodolente,
Dal quale in quà stato gli sono à crini,
Ch'assolver non si può chi non si pente,
Nè pentir, e voler insieme possi,
Per contradition, che nol consente

[p. 126 modifica]Sino a Federico, à signoreggiare Urbino seguirono i Feltreschi, co'l titolo di COnti, mà esso per lo suo incredibil valore sendo il maggior Capitano di quella eta, da Sisto Quarto Sommo Pontefice, honorato fù, con tutti gli suoi Posteri del titolo Ducale. Di questo gra Prencipe, ogni Scrittore di quei tempi celebra sino alle Stelle i meriti gloriosi; principalmente il Panfili, che in quattro soli versi non lasciò lode à dietro, che alle virtù di sì heroico soggetto non fosse corrispondente, così cantando.

Hinc genitus fratris sumit Federicus habenas
Moribus insignis, militiaque bonus:
Curritur huc, docta tamq; veniatur Athenas;
Hinc fluit assidua fons Heliconis aqua.

A Federico nel Prencipato successe Guido, virtuosissimo, e splendidissimo Prencipe, il quale essendo un Mecenate novello de' letterati, alla sua Corte invitava i primi Cavaglieri dell'Italia, e dell'Europa tutta i più purgati ingegni; dove imparavano gli esperimenti d'ogni nobile professione, che render suole illustri, e generosi gli animi, non men che già si fè nel Liceo della dotta Athene; per la fè, che ne fanno i Cronisti, e sopra ogni altro il Conte Baldassar Castiglione, facendo questo delle sue compositioni oggetto, che diè col titolo di Cortegian alla luce. Mancando à vivi quest'inclito Heroe, senza lasciar figliuoli heredi: ottenne dalla Santa Sede, che Francesco Maria figlio di Giovanna sua Sorella, e di Giovanni della Rovere, che fù nipote di Sisto Quarto, Signore di Sinigaglia, e di Mondavio, nel Ducato, in vece di legitimo figlio le succedesse, il quale, se ben da Leone Decimo cacciato ne fosse, con la patienza però, e con la virtù dell'armi vi si rimise; alqual (come dicemmo) Guido Ubaldo successe: indi à questo Francesco Maria Secondo, & ultimo Duca di questo Stato, il quale, sicome nella morte del detto fù devoluto al Sommo Pontefice, che sopra di esso tiene il supremo Dominio: cosi la prima d'ogni altro luogo Urbino, come vera Metropoli acclamollo Signore, & senza contrasto con lieta fronte gli se diede in mano. Molte cose degne ancora, come reliquie delle sue grandezze, hoggi si vedono in Urbino, che non si devon passar con silentio; e specialmente quella tanto famosa Libraria, di cui raccontano gran cose gl'Historici, e maggiori ne cantano i Poeti; singolarmente quello, che al suon dell'accordata lira, di Amatunta celebrò gli amori, annoverandola trà le prime quattro Librarie del Mondo, in questi versi:

Ceda Athene famosa, à cui già Serse
Rapi gli Archivij d'ogni antico scritto,
Che poi dal buon Seleuco all'armi Perse
Ritolte in Grecia fer nuovo tragitto.

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Nè da suoi Tolomei d'opre diverse
Cumulato Museo celebri Egitto
Né di tai libri in quest'etate, e tanti
Urbin si pregi, ò il Vatican si vanti.

Infiniti Libri, tutti manuscritti si conservano quivi, tanto in Latina, come in Greca, & in Hebraica lingua; i quali non pure invitano i letterati, per le curiose, & isquisite materie, che ivi si leggono; quanto per quei che sono desiderosi di vedere la loro inestimabil bellezza; si per esser miniati, e di pretiose figure adorni; come per la ricchezza, ed artificio della pretiosa legatura, vedendosi tutti di velluto cremiso, e di puro argento coperti, co i capitelli di seta, e d'oro; & à fin che non perdano la descritta bellezza, nelle sopracoperte di minor prezzo involti si vedono. Questi raccolti vennero, e fatti condurre da diverse parti con molta spesa, e fatica, dal sopranominato Duca Federico, e da Francesco Maria Primo della Rovere con altretanto discommodo si transportarono altrove, nel tempo delle guerre, per liberarli dal fuoco, e per metterli in sicuro; quali cessate, poi subito li fece nel medesimo luogo rimettere. Non volle Francesco Maria, ultimo Duca della Rovere, che questo pretioso thesoro passasse à gli suoi heredi, con gli altri: mà in memoria della sua Persona, e dell'isviscerato affetto, che à gli Urbinati portava, lasciolla per Testamento à i medesimi, con una pensione annua insieme, sofficiente à sostentar un Bibliothecario perpetuo: nel cui officio da quei Cittadini, che à pieno il favore conoscono, si deputa il più letterato, nobile, e virtuoso Gentil'huomo della Città loro. Al Palaggio Ducale sopra mentovato, ove la Libraria si conserva, stà il superbissimo Tempio dell'Arcivescovato congionto, come raccontasi del Palaggio de i Regi Hebrei, che stesse unito al Tempio di Dio nella Città Metropoli di Sion; e benche à quello non sia comparabile, tutta via per Tempio di Città ordinaria, da gli Architetti Italici commendato molto ne viene: sendo egli fabricato di grosse mura, e di pilastri fortissimi, i quali con la Crociera di tre nave, l'ampie volte sostentano; & una gran Tribuna, che in tutto à quella della Santa Casa di Loreto simigliasi. Alla grandezza, e beltà in tutto corrispondon l'entrate, con cui l'Arcivescovo, con il Capitolo delle quattro dignità adorno, e di molto nobili canonici aggrandito, che di pavonazzo, come i Vescovi portano le sopravesti, insieme co'l Clero numerosissimo, con incredibil decoro vi si sostentano, e solennemente l'officiano: come parimente nel numero delle Messe, che più di cento ogni mattina si celebrano. grand'autoritade il suo Arcivescovo essercita; perche non solo d'Urbino, e della sua Diocese giudica le cause nelle prime istanze, che al suo Tribunale s'aspettano: mà di otto altre Città, che nella sua Provincia sottoposte gli stanno; le quali si terminano ivi [p. 128 modifica](purche del misto foro non siano) che queste nelle terze instanze, al Collegio devolvonsi: di cui l'auttorità è assai grande, havendo egli potere, non solo di vedere le seconde, e terze istanze; le cause laicali, e l'Ecclesiastiche miste; mà insieme di crear Dottori, e Cavaglieri; e niuno di questo Stato (che altrove fia laura Dottoral decorato) può di questa i Privilegi godere, da i Pesaresi, e Gubbini in fuori, se da questo Collegio, con rigoroso essame non siamo approvati. Quivi anche un'Hospitale si trova, non punto à questo celebre Collegio dissimile, possedendo ricchissime entrate, le quali fedelmente sono da dodici Gentill'huomini, primati della Città, maneggiate in beneficio di ogn'uno singolar custodia: oltre le doti, le quali dona alle fanciulle adulte, che si maritano, ò vero che si fanno Monache; alimenta per sempre intorno à mille persone. Quivi assai Monasteri di Religiosi Claustrali si trovano, di buonissime entrate; in alcuni de' quali sendovi studi formati, vi stantian huomini di gran valore in lettere, con gioventù molto erudita. Vi sono Monasteri, e numerosi Conventi di Monache, che nelle virtudi, e nel buon'essempio, & in buontade fioriscono, specialmente quelle di Santa Chiara, che riempiono tutta la Regione di soavissimo odore, per l'austerità della vita, e per la severissima disciplina. Non in manco numero che i Monasteri di Religiosi, vi sono le Scuole e le Confraternità de' Laici, nelle quali, à i prefissi tempi, devotamente à gli essercitij spirituali ritiransi, e vi stanno con divotione, non meno che i più stretti Religiosi attenti: mà più de gli altri i Confratelli della Grotta, e quelli di S. Gioseppe, che gli uni, e gli altri non havendo cosa di proprio, sontuose dimostrationi fanno di essemplar divotione. Dentro il Territorio medesimo, il quale, benche sia montuoso, è fecondissimo d'ogni bene, si contengono poco men di quaranta Castelli murati, & un grosso numero di popolati villaggi. Come anche quattro ricchissime miniere, di mondo argento la prima ne i fiumi Qualagnesi, di puro solfato la seconda nel Distretto di Cagna, da cui in gran copia estratto, da Paesani con lucrosi traffichi in ogni parte di Europa sitrasmette: Di candida, e dura pietra la terza nel Monte Cesana, che al marmo pario quella rassembrando, fassi de gli scarpelli illustri soggetto degno; L'ultima similmente di pietra, ove il Petrelata aprì il Console Flaminio à passaggieri della Strada Romana, d'onde anco la selce estrasse per seligarla. Et in ogni parte del medesimo Territorio aria tanto salubre si trova, che in somma perfettione ogni cosa produce, le piante non slo gli animali, e gli huomini: mà gl'ingegni ancora in simeatrica corrispondenza; essendo quelli universalmente perspicacissimi, come io posso affermarlo per l'esperienza, che havendo letto in quella Città Theologia scolastica, e l'arti, intorno à quattordici Anni, conobbi [p. 129 modifica]la vivezza di quelli. Quindi è che sono in ogni profession riusciti, e giornalmente sortiscono huomini singolarissimi, che volendo alcuno annoverarli saria mestiero, che vi componesse un libro non men di quel che fè il Baldi sopra di quel Palazzo l’Architettura, ò il Conte Baldassaro sopra di quella Corte i gesti: Onde per non passar la meta, che al scrivere mi prefissi, arresto quì la penna.