Italiani illustri/Prefazione

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Prefazione

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Dante
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PREFAZIONE


     Lege laudationes, non eorum qui sunt ab Homero laudati, non Cyri, non Agesilai, non Aristidis, non Temistoclis, non Philippi, non Alexandri: lege nostrorum hominum: neminem videbis ita laudatum, ut artifex callidus comparandarum voluptatum diceretur.

Cicero, De finibus, II, 35.



L’uomo non è soltanto una cifra nel censimento statistico, non un numero nel battaglione, una pietra nell’edifizio dello Stato, bensì un ente reale, attivo, libero, in diritto di essere rispettato, capace di scoprire, di combinare, di lottare, di ardire, di sacrificarsi, di meritare. E la storia nel più nobile suo senso è studio dell’uomo; de’ suoi eventi, dell’adempimento pratico o della dissipazione de’ suoi concetti, dell’evoluzione del pensiero attuato in esso dalla Provvidenza o, se vuolsi, dal perpetuo divenire delle cose.

Ne segue che l’andamento d’un intero periodo può talora comprendersi nella vita d’un sol uomo, il cui pensiero è il pensiero sovente inconscio di tutto un popolo; e di rimpatto un uomo non può essere a fondo conosciuto se non collocato nei luoghi, nei tempi, nelle circostanze sue proprie.

Taluni passano la vita perfezionando sè stessi e beneficando altrui; cari al piccol circolo de’ loro conoscenti, benedetti da quei che gl’incontrano, preparando miglioramenti alla patria coi figli che allevano, coi vicini che edificano, coi campi e colle [p. viii modifica]arti che coltivano. Fortunata la società che molti ne possiede! Ma la memoria loro perisce col suono della campana che ne annunzia la grande trasformazione.

Tra la folla di ecclesiastici, di guerrieri, di statisti, di scrittori, d’uomini del pensiero e dell’azione, creatori o promulgatori, ribaldi o santi, che trascinarono la catena delle speranze dalla culla alla tomba, grandeggiano alcuni, i quali pajono predestinati a rappresentare cogli atti e colle parole alcuna delle verità immutabili e vivificanti, le quali sono la potenza vivificante della società, il fondamento della lealtà e della coscienza: e che, malgrado l’ignoranza o la degradazione del secolo e i loro medesimi traviamenti, restano immortale e pura conquista dell’umanità, o ne ajutano il faticoso ma ineluttabile progresso. Ben può l’invidia spruzzar della sua bava, e mescer la cicuta a quelli che studiano non per tradire ma per iscoprire tali verità; il loro esempio produce la rigenerazione della patria e la ricostituzione dell’edifizio sociale coi rottami lasciati dalle rivoluzioni.

Sì nobili emozioni non si provano soltanto al contemplare personaggi eccezionali, qualità segnalate; anche dalla conoscenza d’uomini mediocri, di accidenti comuni, di non rare qualità si gode comprendere che il bene e il giusto vanno preferiti alla riuscita; si amano le resistenze legittime, le virtù modeste e sperimentate, la perseveranza nel bene, comunque infruttuoso. Esaminando l’altrui, si intende meglio la vita propria, si impara a rassegnarsi alle prove che ne sono inseparabili, ad affrontare la persecuzione de’ forti, la calunnia e, forse più dolorose, l’ingratitudine e l’indifferenza de’ fratelli; e tra i fatti melanconici del presente acquistare la convinzione che troppo spesso la potenza dell’uomo è massima, minima la sua volontà.

Ogni anima gentile avrà dovuto stomacarsi nel vedere, nella immensa organizzata ciarlataneria odierna, se non basta l’inverecondo spettacolo della menzogna e della bassezza ufficiale, [p. ix modifica]alla società cittadina offrirsi pascolo quotidiano di sozzure, di delitti, di viltà, e ogni tratto il dramma scandaloso delle discussioni criminali spiegare agli occhi del popolo i viluppi di anime ribalde, le soppiatterie dell’avido, le lubricità della galante, la sfrontatezza del depravato, i sofismi del reo o degli avvocati a scagionare il delinquente, a trovare scuse alla malvagità fin col negare il libero arbitrio e la forza di superare i materiali istinti.

E queste corruttrici biografie sono particolareggiate in fogli che tutti leggono, anche donne e giovinetti; e vedemmo, non che i giornali creati apposta per contaminare, ma città e provincie prender vivo interesse a un Boggia, a un Troppmann, a una Lafarge.

Sarebbe troppa ingenuità il lusingarsi che altrettanta prurigine possa eccitare la vita d’uomini o virtuosi e valenti, o colpevoli non vulgari; ma almeno si sappia, si ricordi che esistettero, che la civiltà non si riduce solo a cotone, carbon fossile e cannoni, nè tutto il mondo a mercatanti e a mimi, ma che l’umanità pur ha di che gloriarsi, se tanto ha di che vergognarsi. Qual nobile piacere il conversare con anime elevate, il vederle rivelarsi negli scritti e nelle azioni, e riconoscervi ciò che noi stessi provammo, soffrimmo, godemmo, vorremmo, ciò che in noi pure o si compì o si iniziò!

Gli spiriti delicati ne restano presi da una meditabonda melanconia, siccome all’aspetto delle ruine di Roma, pur confortati dal sapere che la tomba racchiude il rinascimento, come le tenebre l’aurora.

I dotti sottilizzano a unificare accidenti, a trovare analogie e disparità, a spiegare anomalie, a riconoscere l’influenza dei tempi, delle opinioni, del carattere, del temperamento, dell’educazione.

I savj dilettansi alla pietà pratica, all’imperio della coscienza, [p. x modifica]alle magnanime risoluzioni, alla resistenza contro l’oppressione, alle faticose conquiste della libertà e della verità, alla costanza nella giustizia, a quelle solide qualità che perseverano, mentre le fittizie finiscono derise a guisa degli abiti passati di moda: al vedere come la sana morale e la dotta ragione, talvolta sopraffatte dagli avvenimenti, immolate dall’abjetta adulazione pei fortunati o dalla vile condiscendenza dei bottegaj di politica e di letteratura, trionfino poi, almeno davanti alla coscienza dell’avvenire, e la gloria usurpata venga restituita agli onesti soccombuti, come l’armadura d’Achille tolta dalla procella all’astuto Ulisse per collocarla sulla tomba d’Ajace.

Qualche cosa poi della gloria degli uomini illustri rifluisce sempre sulla loro nazione. Laonde io che, secondo mie forze, in ogni lavoro ho inteso a tenere in onore e in isperanza questa cara Italia, e creduto che l’istruirla del suo passato e del suo presente fosse il miglior mezzo di condurla con fede e conoscenza all’attuamento delle sue legittime aspirazioni; dopo avere, in opere storiche e statistiche, svolto gli elementi della vita nazionale, le tradizioni, le abitudini, la coltura, le forze, le ricchezze, gli atti, le idee, ho voluto pagarle quest’estremo tributo raccogliendo ritratti di persone d’ogni età, famose o care per fatti o per vizj o virtù.

Se i miei studj, per quanto si cercasse o seppellirli col silenzio od offuscarli con sistematica denigrazione, hanno mai potuto attirar l’attenzione d’alcun letterato, com’ebbero quella del popolo, egli vi avrà veduta una decisa predilezione per le biografie, anche in lavori d’altra forma. Non isfuggì questa pendenza al Gioberti, che il 20 novembre 1851 da Parigi mi scriveva: — .... A costo di parervi temerario, non voglio preterire questa occasione per aprirvi un pensiero che, tempo fa, mi nacque leggendo le vostre opere. Dacchè Cesare Cantù (diss’io) ci ha dato una Storia Universale, che è divenuta popolare non [p. xi modifica]solo in Italia ma e in Francia, perchè non ci darebbe egli pure una Biografia? Non dico una Biografia Universale, che per la mole sarebbe opera più di fatica che d’ingegno; ma una Biografia Nazionale, comprendente le vite dei sommi, che presso di noi rifulsero per sapienza intellettuale o civile. Nissuna nazione moderna ha un Plutarco, degno di tal nome: io vorrei che voi lo deste all’Italia».

Senza presumere tanto, eccone però alcune, delle quali non sempre si vedrà la ragione e principalmente il nesso; eppur l’hanno nella mente del redattore; non foss’altro, l’intento d’abituare a contemplar seriamente e nel loro insieme gli uomini, e capire che non sono nè angeli nè demonj, bensì mescolanza di buone e cattive qualità, di nobili aspirazioni e di bassi risultamenti, e che spesso ci pajono incoerenti perchè successivi.

Vero è che i personaggi, se vogliano analizzarsi soltanto colle nozioni della moralità usuale, si esaltano o si condannano, non si conoscono. Invece di somigliarsi a pretori di campagna che applicano materialmente la legge, gli storici sostengono uffizio di giurati, che devono informarsi delle particolarità, ponderare gl’impulsi, collocarsi nella situazione reale, nell’atmosfera o nella fotosfera, calcolare gli errori eccezionali in cui inciampano le eccezionali nature.

Ciò non dia a supporre che noi vogliamo tessere panegirici. È così vulgare la confusione di questi due nomi, che più volte ci toccò sentire da critici plebei, «Nel suo elogio del Beccaria fu costretto confessare.... Nel panegirico del Romagnosi dovette concedere....». No. La verità è lo scopo nostro, risoluti sempre a immolarvi gli affetti, le predilezioni, i rancori, come abbiamo saputo immolarvi e compiacenze e interessi e pace. Per le rinomanze distribuite dai momentanei entusiasmi non partecipammo mai alla triviale idolatria, troppo avendo visto come le alte dignità siano spesso ciuffate dal favore e dall’intrigo, e conservate [p. xii modifica]con un’abilità vulgare e peggio; che le commemorazioni e le statue sovente non sono altro che vantaggi procacciati a sè stessi da coloro che le promuovono; traffico come un altro.

Ma non meno che dallo spirito d’adulazione la biografia deve guardarsi da quello di detrazione; troppo facile in un secolo che col ghigno o ebete o adiraticcio assiste alle più solenni catastrofi.

Vuolsi buona volontà per penetrare nell’abisso dell’animo umano sino a quel fondo per cui tante anomalie si spiegano, talchè compatirebbe tutto chi tutto comprendesse. Ma quanto illiberali sarebbero coloro che impedissero di dire la verità tutta, massime ai morti, ed uscissero a rabbuffarci se troviamo oscurità in Dante, orpello fra l’oro del Tasso, polvere sul manto d’uno storico che baciamo, versatilità in una cetra che c’incanta, debolezze in un santo che invochiamo! Lasciamo queste cieche enfasi alle necrologie e ai leggendarj di martiri antichi e moderni. E, per quanto, nella totale mancanza odierna di principj e nel arruffio de’ partiti riesca difficilissimo il giudicare delle persone, teniamo almeno salve le verità imprescrittibili e gli elevati sentimenti dell’anima umana.

Noi indagheremo l’uomo dietro al grand’uomo, il privato dietro all’uom pubblico, volendo metter in onore o in luce l’individuo, l’anima, gli sforzi, il valore, la virtù sua, ricordandoci che uno non si trova tutto ne’ suoi libri e ne’ suoi fasti. Fra popoli costituiti la vita si cerca principalmente nei parlamenti; fra gli altri bisogna trovarla nelle azioni individuali e negli scritti. Ora gli scrittori italiani la più parte furono ridotti a separare l’azione dal pensiero, e mentre Bulwer, D’Israeli, Canning, Russel, Chateaubriand, La Martine, Guizot, Thiers, Martinez de la Rosa.... atteggiavano da uomini di Stato mentre erano scrittori insigni, da noi l’Ariosto, il Tasso, il Parini, Monti, Romagnosi, Manzoni.... non poterono segnalarsi che colla penna. Men complesso ne riuscirà dunque il giudizio. [p. xiii modifica]

Noi procureremo che il nostro riesca indipendente e spassionato, per quanto all’uomo è possibile. Ma ci pare che a torto gl’ipercritici odierni pretendano il biografo si spogli della propria individualità per tenersi passivo di fronte ai fatti che racconta. Sarà un eccellente metodo per raggiungere il vero, pure somiglia troppo alla fotografia, che ingrossa i tratti salienti e sbiadisce i delicati; mentre il ritratto, oltre la somiglianza del soggetto, deve rivelare l’abilità, l’intenzione, il pensiero del pittore. In somma l’autore domini la narrazione, anzichè farsi volontario prigioniero del suo soggetto; e lasci pure che la malizia del lettore sindachi parole e frasi staccate, riconosca allusioni personali, e perfidii sinistri segreti nell’anima.

Più arduo torna il giudicare de’ contemporanei, giacchè (oltre il mescolarvisi la passione e quella parte che ciascun di noi ha sostenuto nella storia corrente) l’occhio non vede ciò che tocca, e in ogni prospettiva è mestieri d’un certo intervallo per valutare ciò che uno vale, aspettando che siano dissipate le piacenterie e le denigrazioni contemporanee. Non turberemo mai le ceneri dei vivi, chè ben la Sapienza ci ammonisce come «chi al mattino canta le lodi del suo amico, avanti sera fia simile a colui che ne dice male». Ma pur troppo ogni giorno cancella dal libro della vita alcuno di coloro che ebbero personaggio negli avvenimenti, di cui noi stessi godemmo e soffrimmo.

V’ha taluni che la turba schiamazzosa vilipende, mentre quotidianamente vengono lodati e benedetti da un’altra turba silenziosa e ingenua, non complice di quella dotta astuzia, che sulla vita e sul carattere degli illustri vuol vendicarsi della superiorità ch’è costretta riconoscere alla loro intelligenza. Sciagurato egoismo, che ci trae a vituperare, a oltraggiare, se non altro malignare sull’intenzione, separando i detti dai fatti, e questi isolando e valutandoli colle simpatie o colle ripugnanze nostre. Nel despotismo inesorabile dei giornali, come conoscere un uomo, quando [p. xiv modifica]lo stesso è incensato e sputacchiato il medesimo giorno, per le medesime azioni da diverse persone, ovvero dalle stesse in diversi tempi e al cangiare del prezzo di borsa?

Troppo è scarso tra noi un genere, comune tra i Francesi e gli Inglesi, le Memorie, dove, oltre gli accidenti e le passioni personali, ciascuno racconta di quelli con cui visse ed operò.

Perchè in parte potessero supplirvi questi ritratti, raccolsi il più che potei di notizie fuggevoli. La storia contemporanea non può essere esposta con verità ed utile immediato se i testimonj non osano i personali ricordi, preziosi ma peribili, unire all’imparzialità che ne sottrae la coscienza all’indifferenza degli avvenire. Qui il metter sè stesso in scena coi proprj ricordi diventa non solo scusabile ma doveroso; l’aneddoto dee predominare, per quanto rompa la geometria del componimento, e leda i canoni dell’arte.

Tanto abbiamo già lavorato, che sarebbe superfluo venir a dire come intendiamo lavorare. Le meno parole che si possa; la maggiore semplicità e chiarezza nello stile; abbondare di fatti, risparmiare di frasi e di figure, muffa odierna. Uno scrittore esercitato sa abradere molto da quel che alla prima dettò; riepiloga talvolta lunghi studj in un aggettivo: lascia volentieri che il lettore supplisca e indovini, o piuttosto argomenti dal detto ciò che assennatamente fu taciuto.

Ma per esser brevi senza essere aridi, sobrj senz’essere incompiuti, sommarj senz’essere oscuri, vuolsi dottrina e pazienza molta, poca presunzione, e il proposito di non mirare all’effetto ma compiere un dovere.

Camminati colla moltitudine quant’è necessario per comprendere gli uomini, e sceverati da essa quant’è necessario per giudicarla; vissuti con uomini famosi senza esserne nè complici nè stromenti, ci guarderemo dall’invelenire coll’intolleranza o inebetire coi pregiudizj, dal ferire i nobili sentimenti neppure per [p. xv modifica]inavvertenza o per desiderio di dir bene; altri faccia meglio; a noi basta se otterremo l’assenso de’ buoni e la disapprovazione dei diversi.

Non foss’altro, avremo preparato vital nutrimento allo spirito, invece delle letture o di mero passatempo, o consacrate all’ignobile aritmetica dell’egoismo, alle passioni delle sètte, al superbo e umiliante delirio dello scetticismo. Si è detto che le biografie saranno i romanzi dell’avvenire. Così sia! e se si soggiunge, Purchè fatte bene, noteremo che tal condizione è necessaria ad ogni opera d’arte. E questa vuol anche esser opera di franco pensare e di alta morale. Nell’abitudine odierna di vilipenderci o denigrarci a vicenda, di gettar uno scherno sopra ogni autorità, un’ironia contro ogni generosità, giovi ritorcere gli sguardi sul passato ove la passione e l’invidia esercitano minore impero, e a chi soffre dell’ingiustizia contemporanea dar la consolazione che gli sbagli dell’entusiasmo e le trame della malevolenza sono alla fine emendati; che l’ingratitudine cessa spesso col sepolcro; e così incoraggiare a far il proprio dovere, senza nulla chiederne immediatamente o nulla sperare.


Milano, gennajo 1873.