L'Universo Misterioso/Capitolo I

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Capitolo I - Il Sole morente

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James Jeans - L'Universo Misterioso (1932)
Traduzione dall'inglese di Giovanni Gentile
Capitolo I - Il Sole morente
Prefazione alla seconda edizione Capitolo II
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Capitolo I

IL SOLE MORENTE


P
oche stelle sono conosciute che sono poco più grandi della Terra, ma la maggioranza son così grandi che centinaia di migliaia di Terre potrebbero essere ammassate insieme, entro ciascuna di quelle, e rimarrebbe spazio ancóra; qua e là ci troviamo innanzi a una stella gigante, grande abbastanza da contenere milioni e milioni di Terre. E il numero totale di stelle nell’universo è probabilmente qualcosa di simile al numero di granuli di sabbia su tutte le spiaggie del mondo. Tale è la piccolezza della nostra sede, misurata al paragone con la sostanza totale dell’Universo.

Questa vasta moltitudine di stelle vaga per lo spazio. Un piccolo gruppo viaggia in compagnia, ma la maggioranza è di viaggiatori solitari. Ed essi vanno per un Universo così spazioso che è un evento di inimmaginabile rarità per una stella di andare comunque vicino ad un’altra stella. Per la maggior parte, ognuna di esse viaggia in uno splendido isolamento, come un bastimento su di un oceano deserto. In un modello a scala, in cui le stelle fossero i bastimenti, un bastimento, in media, sarebbe ben più che un [p. 20 modifica] milione di miglia1 lontano dal più vicino; quindi è facile immaginare che un bastimento si trovi raramente alla distanza di saluto alla voce da un altro.

Noi vogliamo, nondimeno, ammettere che un due mila milioni di anni fa questo raro evento abbia avuto luogo, e che a una seconda stella, viaggiando alla cieca per lo spazio, sia accaduto di arrivare a simile distanza dal Sole. Proprio come il Sole e la Luna innalzano maree, così questa seconda stella ha sollevato delle maree alla superficie del Sole. Ma queste saranno state molto differenti dalle ben piccole maree che la piccola massa della Luna produce nei nostri oceani. Una vasta onda di marea deve aver viaggiato alla superficie del Sole, formando, in fine, montagne di altezza prodigiosa, che debbono essersi innalzate sempre più in alto, perchè la causa perturbatrice diveniva sempre più vicina. E prima che la seconda stella avesse cominciato ad allontanarsi, la sua attrazione divenne così potente che questa montagna si è spezzata e ha gettato fuori frammenti minuscoli, come la cresta di un’onda perde spruzzi di schiuma. Questi piccoli frammenti, d’allora in poi, si sono messi a girare intorno al Sole, il loro padre. Essi costituiscono i pianeti, grandi e piccoli. Il Sole e le altre stelle, che noi vediamo in cielo, sono [p. 21 modifica] tutte intensamente calde, troppo calde per la vita, per potere creare o mantenere un essere vivente sopra di esse. Quindi, senza alcun dubbio, fu su frammenti espulsi del Sole, dopo che furon proiettati fuori, che sorse la vita.

Gradualmente si sono raffreddati, finchè adesso ben poco è il calore intrinseco rimasto, derivando la maggior parte del loro calore dalla radiazione che versa il Sole sopra di essi.

Nel corso del tempo, noi non sappiamo come, quando e perchè uno di questi frammenti, via via raffreddandosi, ha dato origine alla vita. È sorta in organismi semplici, le cui capacità vitali consistevano in ben poco più che riprodursi e morire. Da questi umili inizi però sorge un torrente di vita, che avanzando attraverso sempre più grandi complessità, è culminato in esseri, in cui la vita si concentra nelle ambizioni e nelle emozioni, nei loro giudizi estetici e nelle religioni in cui le più grandi speranze sono contenute e le più alte aspirazioni.

Sebbene noi non possiamo parlare con certezza, mi sembra molto probabile che l’umanità abbia fatto il suo ingresso nella vita in un modo simile. Stando sul nostro frammento microscopico di un grano di sabbia, tentiamo di scoprire la natura e i fini dell’universo, che circonda la nostra sede, nel tempo e nello spazio. [p. 22 modifica]

La nostra prima impressione è qualcosa di simile al terrore. Noi troviamo l’universo terrificante per le sue vaste distanze, senza paragoni; terrificante per l’inconcepibile fuga del tempo, che rimpicciolisce l’umana storia a un batter di ciglia, terrificante a causa dell’estrema nostra solitudine, e per la piccolezza insignificante della nostra abitazione nello spazio — un milionesimo d’un grano di sabbia in tutto il mare di sabbia del mondo. Ma sovra ogni altro, noi troviamo terrificante l’universo perchè ci appare indifferente a vite simili alla nostra: emozioni, desideri e soddisfazione di ambizioni, arte e religione, tutto sembra essere egualmente estraneo al suo piano. Forse, anzi, potremmo dire, sembra che esso sia attivamente ostile a vita simile alla nostra. Per la massima parte, lo spazio vuoto è così freddo che tutta la vita in lui s’irrigidirebbe nel gelo; il più della materia nello spazio è così fredda da rendere impossibile la vita su di lei; lo spazio è traversato, e i corpi astronomici sono continuamente bombardati, da radiazioni di una gran quantità di specie, di cui alcune sono probabilmente contrarie, o addirittura distruggitrici della vita. In un tale universo noi siamo caduti, se non esattamente per sbaglio, almeno come risultato di quello che può attribuirsi a un accidente.

L’uso d’una tale parola non deve indurre un sentimento di meraviglia, che la Terra esista per un accidente una volta accaduto; poichè se il mondo [p. 23 modifica] cammina da molto tempo, ogni concepibile accidente può essere accaduto.

È stato, credo, Huxley che ha detto che sei scimmie messesi a battere sui tasti di una macchina da scrivere per milioni di milioni di anni, sarebbero costrette col tempo, a scrivere tutti i libri del British Museum. Se esaminassimo l’ultima pagina che una di queste scimmie ha composto nel suo cieco strimpellare e trovassimo che le è accaduto di scrivere un sonetto di Shakespeare, noi dovremmo, a buon diritto, riguardare il fatto come un notevole accidente; ma se esaminassimo tutti i milioni di pagine che le scimmie hanno riempito in milioni di anni, noi potremmo essere sicuri di trovare un sonetto di Shakespeare in mezzo a quelle pagine che sono il prodotto di un giuoco cieco del caso. Nella stessa maniera, milioni di milioni di stelle vagando per lo spazio in milioni di milioni di anni possono andare incontro a ogni sorta d’accidenti, e produrre nel tempo un certo limitato numero di sistemi planetari. Però il numero di questi deve essere molto piccolo in confronto al numero totale delle stelle.

Questa rarità dei sistemi planetari è importante perchè, per quanto noi sappiamo, la vita, della specie da noi conosciuta sulla terra, può solamente originarsi su pianeti simili alla Terra. È necessario che ci siano condizioni fisiche opportune per il suo [p. 24 modifica] sorgere, la più importante delle quali è la temperatura alla quale le sostanze possono esistere allo stato liquido.

Le stelle stesse sono fuori causa perchè troppo calde. Noi possiamo pensare di esse come d’una collezione di fuochi dispersi per lo spazio, con una temperatura, nello spazio circostante, che è per lo più di quattro gradi sopra lo zero assoluto — circa 269 gradi Celsius sotto zero — ed è ancora più bassa nei vasti spazi al di là della via Lattea.

Lontano dai fuochi vi è questo freddo inimmaginabile di centinaia di gradi sotto zero; vicino ai fuochi vi è una temperatura di migliaia di gradi, nella quale tutti i solidi si liquefanno e i liquidi bollono.

La vita può solamente esistere dentro una zona temperata che circonda ognuno di questi fuochi e a una determinata distanza. Al di fuori di questa zona la vita gelerebbe, al di dentro si raccartoccerebbe. Con un calcolo approssimativo queste zone, in cui la vita è possibile, tutte sommate insieme, costituiscono meno di un milionesimo o d’un miliardesimo di tutto lo spazio. E dentro di esse, la vita deve essere un evento molto raro perchè è un accidente così poco frequente per un sole di lanciar fuori pianeti, come il nostro Sole ha fatto, che probabilmente solo una stella fra 100.000 ha un pianeta, che gli gira intorno, nella piccola zona in cui vivere è possibile. Appunto per queste ragioni, sembra incredibile che in [p. 25 modifica] principio l’universo sia stato destinato a produrre vita come la nostra; se fosse così, sicuramente noi ci dovremmo aspettare di trovare una migliore proporzione tra la grandezza del meccanismo e l’importanza del prodotto. Al primo sguardo almeno, la vita sembra essere un sottoprodotto senza alcuna importanza; noi, viventi, siamo in qualche modo fuori della linea principale delle cause e degli effetti.

Noi non sappiamo quali opportune condizioni fisiche sono sufficienti in sè stesse a produrre la vita. Una scuola di pensatori ritiene che, raffreddandosi gradualmente la terra, era naturale, e invero quasi inevitabile, che la vita dovesse sorgere. Altri pensano che dopo che un primo accidente ha portato la Terra ad essere, un secondo era necessario a produrre la vita. I costituenti materiali delle particelle viventi sono atomi d’elementi chimici del tutto ordinari: carbone come lo troviamo nella fuliggine e nel nerofumo; idrogeno e ossigeno, come li troviamo nell’acqua; azoto, come quello che forma gran parte dell’atmosfera, e così via.

Ogni specie di atomi, necessari alla vita, dovevano già essere nella Terra, nata di fresco. A intervalli, a un gruppo di atomi poteva accadere di porsi nello stato in cui sono disposti nella cellula vivente. Infatti, dato un tempo sufficientemente lungo, si può ammettere per certo che le cose siano andate così, come era certo che le sei scimmie, dato un tempo sufficiente, [p. 26 modifica] avrebbero composto un sonetto di Shakespeare. Ma sarebbero dunque una cellula vivente? In altre parole, è una cellula vivente puramente un gruppo di atomi disposti in certo modo fuor dall’ordinario, o è qualcosa di più? È solamente aggruppamento di atomi, o è atomi più vita? O, per mettere la questione sotto altra forma, potrebbe un chimico abbastanza abile creare la vita dagli atomi necessari, come un ragazzo può creare una macchina dal suo «meccano», e quindi farla andare?

Noi non conosciamo la risposta. Se la possedessimo, ci darebbe alcune indicazioni sulla questione se vi siano nello spazio altri mondi abitati come il nostro; e ciò dovrebbe avere la più grande influenza sulla nostra interpretazione del significato della vita; ciò potrebbe produrre una rivoluzione più grande che l’astronomia di Galileo o la biologia di Darwin.

Noi sappiamo, comunque, che mentre la materia vivente consiste di atomi ordinari, essa altresì contiene atomi che hanno una speciale capacità di coagularsi in grappoli straordinariamente lunghi o «molecole». La maggior parte degli atomi non posseggono questa proprietà. Gli atomi di idrogeno e ossigeno, per esempio, possono combinarsi per formare molecole d’idrogeno (H2 e H3), di ossigeno o ozono (O2, O3), o d’acqua (H2O), o di perossido di idrogeno (H2, O2), ma nessuna di queste combinazioni contiene più di quattro atomi. L’aggiunta di [p. 27 modifica] azoto non cambia di molto la situazione; i composti di idrogeno, ossigeno e azoto contengono comparativamente pochi atomi. Ma l’ulteriore aggiunta del carbonio trasforma completamente il quadro; gli atomi di idrogeno, ossigeno, azoto e carbonio si combinano per formare molecole contenenti cento, mille e spesso diecimila atomi. I corpi viventi sono per la maggior parte composti di tali molecole. Sino ad un secolo fa, si credeva generalmente che una certa «forza vitale» fosse necessaria per produrre queste ed altre sostanze che entrano nella composizione del corpo vivente. Wöhler produsse allora l’urea (CO(NH2)2), che è un tipico composto animale, con i processi ordinari della sintesi chimica.

Altri costituenti della materia vivente seguirono in breve tempo. Oggi, uno dopo l’altro, fenomeni che erano attribuiti alla «forza vitale» sono attribuiti all’azione di ordinari processi di fisica e di chimica.

Sebbene il problema sia sempre lontano dalla soluzione, sta diventando sempre più probabile che quello che specialmente distingue la materia di corpi viventi è la presenza non d’una «forza vitale», ma la presenza, in unione sempre con altri atomi, del carbonio, elemento assolutamente comune, che forma con quegli atomi molecole eccezionalmente grandi.

Se è così, la vita esiste nell’universo solamente perchè l’atomo di carbonio possiede certe eccezionali proprietà. Forse il carbonio si può distinguere [p. 28 modifica] chimicamente dagli altri, perchè forma qualcosa di intermedio tra un metallo e un metalloide, ma fino ad oggi niente, nella sua costituzione fisica, è conosciuto che possa render conto della sua speciale capacità a legare insieme altri atomi.

L’atomo di carbonio consiste di sei elettroni che girano intorno al nucleo che ad essi conviene, come sei pianeti che girano intorno al loro sole; sembra che differisca dai suoi vicini più prossimi, nella tavola degli elementi chimici, gli atomi di boro e azoto, solamente per avere un elettrone di più del primo e uno di meno dell’ultimo. Pure questa leggera differenza deve render conto, in ultimo appello, di tutta la differenza fra vita e non vita.

Senza dubbio, la ragione che l’atomo con sei elettroni possegga queste notevoli proprietà risiede altrove nelle ultime leggi di Natura, ma la fisica matematica non le ha ancora investigate.

Altri casi simili sono conosciuti in chimica. Il fenomeno del magnetismo permanente appare in alto grado nel ferro, e in grado minore nei suoi vicini, nikel e cobalto. Gli atomi di questi elementi hanno 26, 27 e 28 elettroni rispettivamente. Le proprietà magnetiche di tutti gli altri atomi sono quasi sempre trascurabili al paragone.

In una maniera o in un’altra, dunque, benchè la fisica teorica non abbia ancora spiegato come, il magnetismo dipende dalle peculiari proprietà di atomi [p. 29 modifica] con 26, 27 e 28 elettroni, specialmente il primo. La radioattività presenta un terzo esempio, essendo confinata, con eccezioni insignificanti, in atomi aventi da 83 a 92 elettroni; di nuovo noi non sappiamo come. Così la chimica ci può solamente dire di porre la vita nella medesima categoria che il magnetismo e la radioattività.

L’universo è costruito così da operare secondo leggi determinate.

Come una conseguenza di queste leggi, atomi aventi certi definiti numeri d’elettroni, precisamente 6, 26 sino a 28, e 83 sino a 92, hanno certe speciali proprietà, che si esplicano rispettivamente nei fenomeni della vita, del magnetismo e della radioattività. Un onnipotente creatore non soggetto ad alcuna legge non sarà costretto alle leggi che prevalgono in questo universo; egli potrebbe aver preferito di costruire l’universo conformemente ad uno dei diversi e innumerevoli complessi di leggi. Se un’altra speciale serie di leggi fosse stata scelta, altri atomi speciali potrebbero avere altre proprietà speciali ad essi associate. Noi non possiamo dire ciò, sebbene sembri a priori inverosimile che un’altra radioattività, o magnetismo o vita potrebbe apparire tra essi. La chimica suggerisce che come il magnetismo e la radioattività, la vita può essere solamente una conseguenza accidentale di una speciale serie di leggi dalle quali l’universo presente è governato. [p. 30 modifica]

Potrebbe poi essere contestata la parola «accidentale». Perchè accidentale, se il creatore dell’universo ha scelto una speciale serie di leggi proprio perchè questa conduce al sorgere della vita? Se questa insomma era la sua via di creare la vita?

Fintanto che noi pensiamo il creatore come un essere simile all’uomo, di potenza superiore, mosso solo da sentimenti e interessi simili ai nostri, non si può dire altro che, se vien postulato un tale creatore, nessun argomento può essere addotto dell’importanza di quello già assunto. Se, comunque, noi liberiamo la nostra mente da ogni traccia di antropomorfismo, allora non rimane alcuna ragione per supporre che le presenti leggi siano state scelte specialmente per creare la vita. È altrettanto probabile, per esempio, che esse siano state scelte per produrre magnetismo o radioattività — anzi più probabile, poichè, secondo tutte le apparenze, la fisica ha nell’universo una parte incomparabilmente maggiore della biologia. Da un punto di vista strettamente materiale, la insignificanza della vita sembrerebbe dover dissipare l’idea che essa formi lo speciale interesse del Grande Architetto dell’Universo.

Un’analogia banale potrebbe porre la situazione più in chiaro. Un marinaio con poca immaginativa, abituato a far nodi, potrebbe pensare che sarebbe impossibile attraversare l’oceano, se fare i nodi fosse impossibile. Adesso la possibilità di far nodi è limitata a [p. 31 modifica] uno spazio a tre dimensioni; nessun nodo può essere annodato in uno spazio di 1, 2, 4, 5 o più dimensioni. Da questo fatto il nostro marinaio potrebbe concludere che un benigno creatore deve avere avuto i marinai sotto uno speciale patronato, e ha scelto questo spazio a tre dimensioni appunto perchè far nodi e attraversare l’oceano siano cose possibili nell’universo che Egli ha creato; in breve, lo spazio è di tre dimensioni perchè vi possano essere marinai. Questo e l’argomento su riferito sembrano essere allo stesso livello perchè la vita come un tutto e il far nodi sono allo stesso livello in rapporto alla loro importanza nell’universo. Nessuna delle due cose forma più che un’insignificante frazione dell’attività totale dell’universo materiale.

In tal modo sorprendente, dunque, per quanto la scienza ci può informare al presente, noi siamo venuti ad essere. E il nostro stupore è solamente accresciuto se tentiamo di passare dallo studio delle nostre origini a un tentativo di comprendere i fini della nostra esistenza, o a prevedere il destino che il fato ha in serbo per la nostra razza.

Una vita, della specie che noi conosciamo, può solamente esistere in condizioni convenienti di luce e di calore; noi esistiamo solamente perchè la Terra riceve quel tanto di radiazione solare che basta; si volga la bilancia in una delle due direzioni, di eccesso o difetto, e noi dobbiamo sparire dalla terra. E la [p. 32 modifica] situazione, essenzialmente, è tale che molto facile è un cambiamento nella bilancia. L’uomo primitivo, vivente in zone temperate della terra, deve avere guardato l’età del ghiaccio scendere sulle sue case con qualcosa di simile al terrore: ogni anno i ghiacciai venivano sempre più avanti nelle valli; ogni inverno il sole sembrava meno capace di fornire il calore necessario alla vita. A lui come a noi l’universo deve essere sembrato ostile alla vita.

Noi, uomini di questi ultimi giorni, che viviamo nella regione temperata che circonda il sole, guardando nel futuro, vediamo la minaccia di un’età del ghiaccio di specie differente. Come Tantalo, che stava in un lago così profondo da potersi salvare soltanto a nuoto, era destinato a morire di sete, tale è la tragedia della nostra razza, destinata a morire di freddo, probabilmente, mentre la più grande parte della sostanza dell’universo rimane troppo calda per la vita. Il Sole, non ricevendo nessun contributo di calore dall’esterno, deve necessariamente emettere sempre meno della sua radiazione che produce la vita; e le regioni temperate dello spazio, in cui soltanto la vita può esistere, debbono stringersi sempre più intorno a lui. Così la nostra Terra, perchè potesse rimanere un soggiorno possibile per la vita, dovrebbe andare sempre più accosto al Sole.

Ma la scienza ci dice, che, lungi dal farle assumere un moto verso il centro, inesorabili leggi [p. tav modifica] TAVOLA I. LE PROFONDITÀ DELLO SPAZIO

Un ammasso dì nebulose nella «Chioma di Berenice». Questa è una fotografia d’un pezzo di cielo, corrispondente a un’apertura angolare di un minuto di grado. La fotografia è stata presa con il più grande telescopio esistente (Monte Wilson). La maggioranza degli oggetti che si vedono sono nebulose, a tale distanza da noi che la luce impiega 50 milioni di anni per raggiungerci. Ciascuna nebulosa contiene alcune migliaia di milioni di stelle, o il materiale per la loro formazione. Circa due milioni di tali nebulose possono essere state fotografate in tutto, ed esistono forse milioni di milioni di altre stelle non osservabili con il nostro telescopio.
[p. 33 modifica] dinamiche la guideranno sempre più lontano dal Sole in freddo e tenebre maggiori.

E così, per quanto possiamo vedere, dovrà continuare finchè la vita sia gelata sulla Terra, dato che non accada che qualche collisione o cataclisma intervenga a distruggere più presto la vita con una morte più rapida.

Questa prospettiva non è peculiare della Terra; altri soli devono morire come il nostro, e se una vita c’è in un altro pianeta, essa deve sopportare la medesima ingloriosa morte.

La fisica come l’astronomia dice lo stesso. Indipendentemente da tutte le considerazioni astronomiche, il principio fisico generale, conosciuto come la seconda legge della termodinamica, stabilisce che vi è una fine dell’universo, una «morte del calore» in cui la totale energia dell’universo è uniformemente distribuita, e tutta la sostanza dell’universo è alla medesima temperatura. Questa temperatura sarà così bassa da rendere la vita impossibile. È cosa di poca importanza per quale particolare via questo stato finale si raggiunga: tutte le strade menano a Roma, e la fine del viaggio non può essere che la morte universale. Se così è, a che scopo la vita?

Per imbatterci, quasi per uno sbaglio, in un universo che apertamente non era destinato alla vita, e che, a tutte le apparenze, è o totalmente indifferente o addirittura ostile a lei; per stare inchiodati [p. 34 modifica] su di un frammento d’un grano di sabbia finche non si finisca congelati; per rappresentare una superba commedia — la nostra piccola ora — sul nostro piccolo palcoscenico, con la coscienza che le nostre aspirazioni sono tutte condannate al finale insuccesso, e che delle nostre gesta debba perire con la nostra razza anche il ricordo, come se non fossimo mai esistiti?

L’astronomia pone la domanda, ma io penso che alla fisica dobbiamo rivolgerci per avere una risposta. L’astronomia può dirci della disposizione attuale dell’universo, della sua vastità e vacuità, e della nostra insignificanza dentro di esso.

Ma noi dobbiamo cercare profondamente nella natura fondamentale delle cose, prima di trovare la risposta alla domanda.

E qui non è più il dominio dell’astronomia. Piuttosto troveremo che la nostra domanda penetra nel cuore della fisica moderna.


Note

  1. Noi manterremo in tutto il libro le unità di lunghezza inglesi, e ricordiamo sin d’adesso che: 1 miglio = 1,609,34 metri = 1760 yards
                                    1 yard = 91,44 cm
                                    1 piede = 30,48 cm
                                    1 pollice = 2,54 cm            (N. d. T.)