L'amica invisibile

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Giovanni Prati

Olindo Malagodi 1847 Indice:Prati, Giovanni – Poesie varie, Vol. I, 1916 – BEIC 1901289.djvu sonetti L'amica invisibile Intestazione 23 luglio 2020 25% Da definire

Tedio e primavera In morte di mio fratello Giuseppe
Questo testo fa parte della raccolta VIII. Da 'Storia e fantasia'
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IX

L’AMICA INVISIBILE



               La mia fantastica
          forma aspettata
          fra tante larve
          ier m’ebbi al fianco.
          5Ieri m’apparve
          qual l’ho sognata,
          chiusa in un abito
          leggiero e bianco.
          E con tal riso,
          10che il paradiso
          un piú giocondo
          forse ne avrá;
                         non la perversa
          plaga del mondo,
          15che in Eva ha persa
          la sua beltá.


               Sopra le candide
          spalle tornite
          scendean lucenti
          20li suoi capelli,
          come i pioventi
          cirri di vite,

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          che folti ondeggiano
          su’ miei ruscelli.
          25Bianco e vermiglio
          di rosa e giglio
          splendeale il vago
          corpo, del par
                         che nei turchini
          30flutti del lago
          perle e rubini
          soglion brillar.


               Tepido un alito
          di violetta
          35movea dal varco
          dei labbri puri.
          Come dall’arco
          fugge saetta,
          uscía la folgore
          40dagli occhi oscuri.
          L’orma superba
          tra i fiori e l’erba
          di flauto arcano
          prendea virtú.
                         45Sí fresca e lieve
          porgea la mano,
          che luce e neve
          nol son di piú.


               Tutto il misterio
          50su quella salma
          splendea diffuso
          del mondo estinto.
          Quant’è di chiuso
          tra il cielo e l’alma

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          55tutto in quell’angelo
          ridea dipinto.
          Ma, dal cinabro
          molle del labro
          quando l’accento
          60sentii fluir,
                         sí acuto e forte
          fu il rapimento,
          che nella morte
          credei vanir.


     65— Scoti la nebbia e svégliati
dal gaudio, amico mio.
Serbasti in cor sí fido
e sí gentil desio
qua nel terrestre nido
70di salutarmi un dí,
               che un’ora anch’io dal santo
mio cerchio mi divido,
per riveder chi tanto
d’anni e d’amor languí.


     75Non mi guardar sí attonito!
« Per rivederti » ho detto,
ché giá ti vidi in culla
festante pargoletto
con l’anima fanciulla
80piena di luce ancor,
               che ride e nulla intende,
che scherza e non sa nulla
di questa, in cui discende,
caverna del dolor.

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     85Chiuso ti vidi in cóltrici
tutte di fior vivaci,
e sulla bianca fronte
ti posi i primi baci;
e l’aura del tuo monte
90temprai co’miei sospir;
               e il tuo guancial di rosa,
sin del tuo latte il fonte,
con voluttá pensosa
mi volsi a benedir.


     95Quindi, un’amara lacrima
lasciandoti sul viso,
come a mio nido antico
tornai nel paradiso;
ma il mio crescente amico
100lá stetti a riguardar,
               quando nel sen gli scese
il primo amor pudico,
quando soletto apprese
a piangere e cantar.


     105Come corresti al pelago
raggiante della vita!
Quanta mirabil tela
di vaghe fole ordita,
per tesserti la vela,
110fantastico nocchier,
               e sfidar l'onde e i venti
nell’ardua corsa anela,
cercando le ridenti
isole del Piacer!

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     115Io, contristata immagine,
sebben d’aeree tempre,
in quel tuo vol d’inganni
ti seguitai pur sempre.
Ma, quando, a mezzo gli anni,
120la vela naufragò,
               e sulla nuda spiaggia
tu rasciugasti i panni,
con voluttá selvaggia
il cor mi lagrimò.


     125— Or piú non fia che al vortice
torni l’incauto — io dissi.
— Cercherá salvo un porto
fuor de’ ruggenti abissi.
Quasi dal mare assorto,
130noi tenterá mai piú.
               L’antico remo è infranto,
l’antico sogno è morto:
or gli rimanga il canto
e qualche pia virtú. —


     135Ma, poiché sempre all’anima
foco d’amor t’ardea,
io, cheta abitatrice
della tua casta idea,
qualche splendor felice
140fei balenar di me
               nel sen delle pianure,
per valli od in pendice,
su molli creature
c’hanno di creta il piè.

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     145E tu, come riverberi
dolci di me, le amasti.
Ma, quando i tuoi pensieri
non vaporâr piú casti,
i raggi miei sinceri
150tolsi dal fronte lor,
               ed in oblii gelati,
o in tedi acerbi e neri
languir quei maculati
spettri del mio splendor.


     155Felice, se con rigida
pietá gentil, qualcuna
ti ritardò nell’alma
la noia usata e bruna,
e sull’austera salma
160raggiò il mio casto vel!
               Tu certo in lei t’affisi
con piú dolcezza e calma
che nei ridenti visi
cui piú non ride il ciel.


     165Pur non è questo un dittamo
che ti rattempri il duolo:
sete di ben t’asciuga,
e sei gelato e solo;
la noia il cor ti fruga
170con la sua scarna man;
               scemano i pii legami,
cresce l’iniqua ruga,
e tu, piangendo, chiami
la giovinezza invan.

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     175Leva la fronte e guardami,
me, tua suprema stella.
Dimmi: è bellezza umana
che al par di me sia bella?
Forma caduca e vana
180io come voi non son.
               Non mi fa ’l tempo scherno,
vivo alle colpe strana,
e per le sfere eterno
va di quest’orma il suon.


     185Le fresche aurette e i balsami,
che da me tutta io mando,
come su caro estinto,
io sopra il cor ti spando,
perch’ei ti sia ricinto
190di lume e gioventú;
               ché tu, qual poi, tal prima,
sempre d’amor m’hai vinto,
e notte e giorno in cima
de’ miei pensier sei tu,


     195e teco io son nel sibilo
de’ pini alle montagne,
nel suon della cascata,
nel rosignol che piagne,
in grembo alla rosata
200nube, al morente sol.
               La musa ed io siam pari;
una dall’altra amata;
abbiam gli stessi altari,
la stessa luce e il vol.

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     205Quando tu pensi a vespero
l’inno, sommessa io vegno
su l’orme tue, di raggi
vestendoti l’ingegno;
l’aura de’ miei linguaggi
210spargo sul tuo sentier;
               e, se tu scontri un raro
fior nei terrestri maggi,
è un fior ch’io lascio, o caro,
dal velo mio cader.


     215Son io, che alla tua cetera
lá dal mio ciel recai
nervi d’amor segreti,
né tu il sapesti mai;
e mi condussi i lieti
220tuoi canti ad ascoltar,
               delle tue rupi in dorso,
al fischio degli abeti,
de’ cavrioli al corso,
dell’aquile al rombar.


     225Son io, che in mezzo ai tumuli
di Grecia e Italia siedo.
E sovra lor pensoso
pio pellegrin ti vedo,
baciando il glorioso
230lor sangue, impallidir.
               E anch’io di pietra in pietra
volo, fantasma ascoso,
quel sangue e la tua cetra
di lauri a ricoprir.

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     235Ma tu sei tristo. Il féretro
de’ tuoi, le perse fole,
fuggita la gioconda
etá che spera e vuole,
tutto ti piaga e inonda
240d’amara morte il sen.
               Lieto augellin trillasti
un dí su verde fronda;
di gemiti nefasti
oggi il tuo canto è pien.


     245E m’hai cercata, o povero
amico mio, ne’ sogni,
al cielo, alla natura,
in ogni tempo, in ogni
d’artefice figura;
250né mi trovasti ancor.
               Guarda nel mio sembiante;
vedimi illustre e pura;
son la romita amante,
che t’è sepolta in cor.


     255Volea quaggiú mostrarmiti
sola una volta almeno,
perch’io perpetuo avessi
l’imperio del tuo seno,
e tu nei sacri amplessi
260satollo il tuo desir.
               Addio. Sigilli novi
t’ho nella mente impressi:
quaggiú piú non mi trovi;
sii lieto di morir.

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     265Quando aprirai pe’ ceruli
flutti del ciel le vele,
se giungi nel pianeta
di Dante e Raffaele,
nova, ridente e lieta
270mi troverai colá;
               e un’altra Beatrice
tu pure avrai, poeta,
e albergherai felice
la bella eternitá! —


          275Cosí baciandomi
     dentro de’ lumi,
     nel ciel di croco
     vaní serena.
     L’aura del loco
     280stillò profumi,
     e poi di musiche
     fu tutta piena.
     Nell’occidente
     molle e ridente
     285s’aprí una soglia
     d’agata e d’òr,
               e lá, raccolta
     la bianca spoglia,
     vive or sepolta
     290qui nel mio cor.


          Sopra le candide
     spalle tornite
     scendon lucenti
     li suoi capelli,
     295come i pioventi
     cirri di vite,

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     che folti ondeggiano
     su’ miei ruscelli.
     Bianco e vermiglio
     300di rosa e giglio
     splende il suo vago
     corpo, del par
               che nei turchini
     flutti del lago
     305perle e rubini
     soglion brillar.


          Tepido un alito
     di violetta
     move dal varco
     310de’ labbri puri.
     Come dall’arco
     fugge saetta,
     l’occhio le sfolgora
     dai cigli oscuri.
     315L’orma superba
     tra i fiori e l’erba
     di flauto arcano
     prende virtú;
               sí fresca e lieve
     porge la mano,
     che luce e neve
     nol son di piú.


          Via! scatenatevi
     venti e procelle
     325dalle profonde
     prigioni antiche;
     turbate l’onde,
     l’aria e le stelle,

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     squarciate roveri,
     330frangete spiche;
     mi sia percossa
     la carne e l’ossa;
     fate in ruina
     l'orbe cader...
               335Ma lieta splenda
     questa reina
     sotto la tenda
     del mio pensier.