L'argine/Parte quarta

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Parte quarta

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Parte terza

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PARTE QUARTA

Noemi, è necessario che io ti scriva ancora una volta, per la tranquillità stessa della tua vita, e sopra tutto della tua coscienza. Ricordo perfettamente, parola per parola, il nostro ultimo colloquio, e la tua angoscia, le ombre che la mia scura pena gettavano sulla tua casa tranquilla. Tu non hai più risposto ai miei vani lamenti; e forse hai fatto bene: il tuo silenzio è per me più profondo di ogni parola. Ma non devo tacere io, di fronte a te: e molte cose sono accadute, in questi ultimi tempi, che tu non devi ignorare. La più importante è che ho fatto pace con la famiglia Decobra: il padre della povera morta, malato da parecchi anni, si è aggravato: inerte e già spento in ogni sua volontà, non desiderava veder nessuno, seppure non respingeva nessuno. Padre Leone è riuscito ad avvicinarlo: la sua fede, che è realmente sincera e non ignara né inattiva, ha come riacceso una debole luce nello spirito dell’infermo: [p. 277 modifica]egli ha espresso il desiderio di vedermi, ed io sono andato da lui con un senso di religione, quasi di mistero: passando davanti alla chiesa ho ripensato ai pellegrini che si recavano in Terra Santa per visitare il sepolcro di Cristo. E una tomba è, sì, la villa Decobra: fin dall’ingresso se ne sente l’odore, nell’aroma dei cipressi, nel profumo umido del parco: la sabbia del viale scricchiola sotto i piedi come lamentandosi di essere smossa: gli stessi uccelli pare cantino in sordina. Non ti dirò dei ricordi che mi accompagnavano e mi soffocavano.

Aroldo Decobra, che qui, per terribile ironia degli indifferenti, chiamano «il giovane», giace in una grande sala terrena che sembra tutta verde per il verde cupo e fitto del parco sul quale dànno le finestre sempre socchiuse. Questa penombra, anzi questo crepuscolo quasi di grotta accresce la mia impressione funebre: ma è il malato stesso che non vuole la luce, perché gli fa male: ed egli è lungo, nel suo letto anch’esso coperto da una coltre verdastra, secco e giallo come una radice che aspetti, sotto la terra umida, di rinascere dopo il gelo dell’inverno. Solo gli occhi, neri e scavati, hanno un vago splendore, ma quasi di una luce esterna, lontana, la sola che penetra dall’aprirsi e chiudersi della porta a vetri, e che è davvero la luce di un orizzonte oltre il recinto opaco di questa dimora. [p. 278 modifica]

Mi seggo accanto al suo letto, dopo avergli sfiorato la mano inerte, stranamente calda in quel corpo che sembra dissanguato, e aspetto che parli. Ed egli parla: la sua voce è la stessa di una volta, – delle poche volte che egli mi parlò, al tempo del mio fidanzamento con la figlia: ma anche allora era già afona e stanca, o meglio distratta e lontana; voce di uno che ha fatto un viaggio lungo, estenuante, che non ha raggiunto né mèta né scopo, e adesso si ripiega sul suo corpo sfinito e parla nel primo dormiveglia che precede il cieco sonno della stanchezza.

Eppure le sue parole mi destano sorpresa, mi turbano, anzi destano in me un subbuglio di vita. Egli mi domanda dell’argine: è informato di tutto, e se non si interessa alla cosa per la sua, dirò così, esteriorità, pare lievemente preso dal bisogno che la gente capisca il significato che può avere il compimento di un’opera come quella.

È il primo uomo che, in tutto questo mio affannarmi ad esaudire il desiderio della morta, intenda il mio segreto pensiero. Adesso egli parla degli abitanti del paese, della loro miseria, della loro avarizia morale: pacato, estraneo, egli tuttavia dice limpide e nude verità e giudica nettamente cose e persone: tutto e tutti conosce, da Paolone al parroco, dai carbonai del monte alle ragazze della posta. Mi domando chi può informarlo così: ma pare che egli senta, nel [p. 279 modifica]silenzio grande del suo covo di malato nascosto, le voci del paese, e veda sfilare nella penombra le anime degli uomini in pena e in errore. Ed egli è ormai lontano da tutti; ma appunto perché distaccato e libero, già vivo di una vita che non ha più legami con la nostra, pronunzia parole di verità nude di ogni paura umana.

E d’un tratto chiude gli occhi: mi sembra che voglia assopirsi, disinteressarsi di me: invece dice, sforzandosi ad alzare la voce, perché anche altri lo senta:

— L’argine deve essere fatto: conosco a Roma qualche persona influente che può aiutarti. Se tu vuoi...

— Se io voglio! – prorompo io, tutto in fiamma. — È il mio pensiero e il mio tormento: è l’unico, il migliore scopo della mia vita.

— Sarà fatto, — egli conferma: — e bisogna che lo sia prima che io vada.

Non dice altro; non parla del suo male, non insiste nello spiegare quale sia la partenza prima della quale l’opera deve essere compiuta; ma sento anch’io, nel silenzio del luogo, voci lontane, che vibrano cristalline come dopo una tormenta quando l’aria è ritornata pura e l’ira di Dio è caduta.

Sì, egli vuole che il desiderio della sua creatura sia presto esaudito, ch’ella dorma tranquilla senza più tremare al rombo delle acque senza [p. 280 modifica]freno, ed egli possa raggiungerla in pace alle soglie dell’eternità.

Sono tornato altre volte alla villa: la signora Decobra, e neppure i vecchi si lasciano vedere; però il malato mi ha fatto trovare alcune lettere, scritte in nome suo agli «amici influenti» ai quali ha accennato nel nostro primo incontro, e in esse credo di riconoscere la caratteristica calligrafia a punte, quasi spinosa, della signora Dionisia. Padre Leone mi ha inoltre fatto intendere che l’intera famiglia Decobra è disposta ad aiutarmi con tutti i mezzi, cedendo per prima la striscia di terra di sua proprietà sotto la villa, fra la strada e il fiume.

Tutto questo mi sembra quasi un sogno: o è il premio al mio stesso sogno, di bene, di giustizia, di espiazione.

Così, io mi dispongo per venire a Roma; non ti cercherò, ma sento il bisogno, dirò anche il dovere, di tenerti informata di ogni cosa. E per questo devo dirti che le mie relazioni con Agar sono allo stesso punto di prima: ci si vede, qualche volta, in casa dello zio, ed ella mi riceve famigliarmente, nella cucina dove lavora, o nel rustico salottino dalla cui finestra inferriata i bambini si arrampicano, curiosi e molesti. Spesso è con noi don Achille, che legge il breviario o fruga fra le sue carte: egli spera sempre in me, senza mai domandare niente; ma, [p. 281 modifica]Dio mi perdoni, credo che egli sopporti la mia presenza nella parrocchia, sopra tutto per le mie promesse: intanto gli ho fatto ottenere un sussidio dalla Sopraintendenza dei Monumenti, ed egli ha già iniziato qualche piccolo lavoro di restauro, che io sorveglio in attesa di più importanti occupazioni.

D’altra parte i miei rapporti con Agar hanno preso un andamento deciso e netto. Ella mi ha dichiarato che, finché ha un filo di speranza, vuole aspettare Antioco: ma egli non le scrive, non dà notizie di sé a nessuno del luogo: e l’attesa, o meglio l’illusione di Agar, che io ritengo sia anche una sua astuzia per tentare o di ingelosirmi o di apparire eroica ai miei occhi di apostolo, è fatta di rancore, di odio.

La morte del bambino idiota, poi la vendita della villetta, acquistata, con tutti i terreni intorno, per luogo di villeggiatura, dal Re del tabacco, la partenza di Francesca, andata cameriera in città, le hanno procurato una gioia cattiva, come una sua vendetta personale. Ma dopo si è afflosciata; s’è anche allontanata da me, in un freddo isolamento, dura ad ogni conforto, ad ogni parola di bene: ha capito che Antioco non tornerà mai più in questi luoghi, che da me, dopo la sua confessione, non c’è da sperare che un’amicizia cristiana, e si abbandona inerte al suo destino. Eppure una notizia è riuscita a [p. 282 modifica]scuoterla e darle una triste consolazione. Ecco la vecchia Rosa che torna dal fiume e dice:

— Su alla villa del poggio è venuta a respirare l’aria buona la nuova padroncina: è gialla come una carota: è tisica spacciata.

La nuova padroncina è la figlia unica del ricco piantatore di tabacco: quella che Antioco voleva sposare.

Anche Paolone, ch’è stato incaricato su al poggio di certi scassi e lavori agricoli, e fa anche servizi nella villa, mi conferma la sinistra notizia: e, per conto suo, conclude con le solite considerazioni filosofiche. Ritornello:

«Questa è la vita».

Non sempre però la vita è grigia e dispettosa: il tempo aggiusta molti guasti che sembravano irrimediabili, e distribuisce doni insperati.

Io non ti ho spedito la mia ultima lettera, Noemi, nella ferma speranza di aggiungervi un poscritto che, come un raggio di sole in un crepuscolo burrascoso, promettesse un domani sereno. Forse questo giorno è venuto. Ho finalmente la certezza che l’argine sarà costruito: i lavori cominceranno alla fine d’inverno, e nel preventivo delle spese, poiché i Decobra vi contribuiranno largamente, rimane anche un margine per la chiesa.

Io non voglio tenermi un centesimo: lavorerò, farò il manovale, aiuterò a raschiare i muri [p. 283 modifica]della pieve; poi me ne andrò anch’io per il mondo, in cerca di sussistenza.

Dico anch’io perché una nuova notizia è arrivata, e non meno, anzi forse più emozionante delle altre. La porta padre Leone: siamo riuniti nella cucina del parroco, dove Agar s’è da qualche tempo decisa a mettere un po’ d’ordine e a far pulizia: anche perché vede che è il mio rifugio preferito e più volte le ho espresso il mio gusto di vedere sulle pareti il luccicore dei vecchi recipienti di rame e sulla cappa del camino quello delle caffettiere e dei bricchi: fa già un po’ di freddo, le sere sono corte, fuori nell’orto, sotto il rosseggiare cupo dell’orizzonte, c’è già un umidore e un giallore invernale.

Nel camino arde il fuoco, e ne scaturisce un odore di castagne arrostite: poiché Agar, nonostante tutti i suoi guai e le sue tragiche desolazioni, si diverte ancora a cuocere le castagne sotto la cenere, e quando una ne scoppia d’improvviso, ride come una bambina.

No, la vita non è sempre grigia, e il tempo aggiusta le cose che sembravano irrimediabili. Prima che arrivasse padre Leone era venuto Paolo, il mio Paolone, con una lettera per me: e poiché questa lettera riguardava anche lui non aveva voluto tardare a comunicarmela. È del Re del tabacco; mi dice che, accettando volentieri le mie raccomandazioni, è in grado di [p. 284 modifica]accogliere, con regolare contratto, in una casetta colonica attigua alla villa del poggio, Paolo Maffei e la moglie: entrambi come mezzadri del podere e custodi della proprietà.

— E la ragazza? — domanda don Achille.

— La ragazza è sulle Alpi: è ricca, può spendere, può guarire.

Un rossore violaceo, come quello del tramonto, passa sul viso di Agar: piegata sul fuoco, ella fissa la brace e tace: ma al bussare che si fa alla porta, che la vecchia ha chiuso contro il vento, balza, e corre lei ad aprire.

Ella aspetta sempre, nonostante ogni sua disperazione: ma l’attesa, l’ansito verso un avvenimento nuovo, è lo stato naturale della giovinezza, e non della giovinezza soltanto.

È padre Leone, che ha i sandali pieni di foglie secche e nei capelli il colore rosso delle lontananze. Non ha paura di camminare per le strade ventose e solitarie, al buio, alla ventura. Si mette in piedi davanti al camino, dando le spalle al fuoco, e fruga dentro le maniche della sua tonaca, ha un colore e un odore di terriccio di castagno, e i suoi sandali fumano come debbano prendere fuoco. Dice:

— Ho camminato, sì. Sono stato dai Decobra; il malato va benino, e mi ha sempre parlato del signor Franco. La signora Dionisia è quasi gelosa. [p. 285 modifica]

— La signora Dionisia mi ha dato questo ritaglio di giornale, – disse poi, traendo dalla manica un foglietto accartocciato che pareva un sigaro. Con prudenza lo svolse, vi soffiò sopra: da una parte c’era una illustrazione monca, dall’altra lesse, sillabando:

Oggi il Sommo Pontefice ha ricevuto una Commissione Missionaria, composta di dieci suore e quattordici padri, presieduta da Sua Eccellenza Monsignor Rombi, vicario Apostolico di Capo Camosino (India) dove San Francesco Saverio operò le prime conversioni.

La Commissione è composta quasi tutta di giovani neofiti pieni di entusiasmo e di fede: le Suore, dopo un breve soggiorno in India, si spingeranno fino al lebbrosario di Sklung, nella Cina Meridionale. Fra i Missionari già ordinati, vi sono alunni laici, fra i quali un nostro nobile amico, il professor Antioco Lante da poco laureatosi in lettere e filosofia nell’Università di Roma.

Alla breve lettura, che parve però lunga e solenne come quella di un Vangelo, seguì un silenzio stupefatto e quasi soffuso di un vago terrore, simile a quello dei bambini che ascoltano una leggenda.

Ma lo scoppio di una castagna fra la cenere fece volgere il viso di padre Leone, e Agar si mise a ridere, coi denti che sembravano d’oro.


FINE.