L'asino (Guerrazzi, 1858)/Parte II/L'Asino rinuncia alla Divinità

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Parte II - L'Asino rinuncia alla Divinità

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Parte II Parte II - Religione dell'Asino

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L'ASINO RINUNCIA ALLA DIVINITÀ


§. IX.

Paura madre prima dei Numi. Sacrifizi umani. Alessandro, l'Asino e l'Asinaio. Abramo e Isacco. Trittolemo, e l'aratro. La Follia seconda genitrice dei Numi. Dii da galera. Padri Gesuiti e medaglia di S. Venazio. Coccodrilli; differenza tra i Coccodrilli, le donne e gli orologi; tra i Coccodrilli e i Cardinali. Ipocrisie greche nei sacrifizii dei Bovi. Cani del tragico Crebillon. Pavoni dì Alessandro Magno e di Angola. Pidocchi e battesimo indiano. Pidocchi del Maresciallo di Bassompierre. Gesù Cristo. Dov'è la religione cristiana? Orto dietro il carcere delle Murate. Patti tra i Sacerdoti e i Re. Secondi patti tra i Principi e i Preti. Parallello tra le religioni protestante, greca orientale, e cattolica. Condizioni Italiane nel 1846. Umori diversi in torno al Papato. Papato e libere istituzioni non accordano nè in casa nè fuori. Giulio II briacone. Cristo vieta si versi sangue. Quello che avrebbe potuto il Papato. Addio a Roma.

— Fatto signore e Dio da gente vana — io venni quasi per mano condotto a meditare intorno alle origini ed alle qualità degli Dei; nella quale meditazione sprofondandomi, trovai come genitrice prima dei Numi alla stirpe umana fosse la Paura: di madre rea [p. 2 modifica]figli peggiori. La Natura non tanto doma ancora, che le nuove leggi sopportasse in pace, e nè tanto gagliarda da ritornare, rompendole, alla pristina licenza; ora presa da dispetto prorompeva un sospiro, il quale, spaccata la crosta della terra tuttavia tenera, vulcano immane! inceneriva coi torrenti delle lave infiammate immenso tratto di paese: tale altra sbuffante d’ira piangeva, e pei suoi pianti straripavano i fiumi, il cielo apriva le sue cateratte, nei naufragi degli spessi diluvii andavano disperse le generazioni degli uomini; finalmente come inferma, che non sa trovare posa sopra le piume, si mutava dall’uno all’altro lato, e per via di cotesti moti i monti si precipitavano giù nelle valli, le valli si ergevano a scoscesi dirupi, i mari rubando la mano all’Eterno ingolarono terre, che indi in poi non videro più luce, mentre per gli antichi abissi delle acque, fatti pantani, dibattevano la coda agonizzando le Balene e l’altra mostruosa famiglia delle Foche saettata dal sole: in mezzo a così tremendi rivolgimenti l’uomo, infelice creatura, sbatacchiato di su di giù peggio del Ragnatelo appeso all’ale del molino a vento quando imperversa il libeccio tremò Dio tutto quanto aveva potenza di fargli del male, ed accattati i denti e le squamme al Coccodrillo, la proboscide agli Elefanti, le membra smisurate al Mastedonte, al Megaterio, e al Pteropattilo1, i rostri e gli artigli agli uccelli [p. 3 modifica]di rapina, gli ugnoli alle belve feroci, e messili insieme si compose una immagine di Dio nella stessa guisa che, Zeusi in Grecia, scelte da cento leggiadrissime fanciulle le forme più care, ape della pittura, n'effigiò il simulacro di Elena. Creato un Dio di terrore, ben fu ragione che gli si destinassero sagrifizii di sangue, conciosiachè vuolsi credere che l'uomo argomentasse in questa maniera: qual'è la cosa, che più rallegra il mio cuore? Affamato, il cibo; assetato, la bevanda. E di vero tra gli uomini e le Bestie comune e sopra le altre principalissima è la passione del divorare, manifestata nei cranii co' bernoccoli, giusta quanto il Gall primamente osservò. — Ma la ghianda è mala esca, continuava a pensare l'uomo, ed il corbezzolo altresì; buona all'opposto la carne e delizioso il sangue: diamogli pertanto carne e sangue e industriamoci a rendercelo quanto meglio possiamo benigno. Ancora, proseguendo la serie dei suoi pensamenti, conobbe la carne umana a paragone della ferina migliore; e quanto più sua, più cara: sacrifichiamogli compagni, figliuoli e soprattutto accettissimi noi stessi; e così fece. Rovista nel mucchio di cenere delle religioni spente, e in tutte t'insanguinerai le mani; nè già nelle remotissime, che atterrirono la culla del genere umano, ma nelle moderne eziandio; nè presso popoli salvatichi soltanto, anzi all'opposto nei [p. 4 modifica]civilissimi e prosuntuosi d’incivilire il mondo. Lascio i Galli, i Germani, i Britanni, gli Sciti ed ogni altra generazione di Barbari; stieno all’inferno per non uscirne mai più, e Teate, ed Hela, Odino, Thov, Frey, Irminsul con quanti furono non Dei, ma Diavoli, che di umano sagrifizii ebbero talento; parlo dei Romani, e neppure di quelli delle prime guerre puniche. i quali dopo la disfatta di Canne volendo propiziarsi gli Dei, seppellirono vivi nel campo Boario un Gallo, una Galla, un Greco ed una Greca2; bensì di quegli altri dello imperatore Vespasiano, che videro rinnuovare l’atroce caso con la morte di parecchi uomini e di una donna nello stesso foro3; parlo dei Greci, e non dei tempi di Agamennone trucidatore della figlia Ifigenia all’ara di Diana, bensì dei contemporanei di Alessandro magno, dopo che Demostene orò, Pericle resse, filosofò Piatone ed Aspasia sorrise4; se non che io m’intromisi, e col mio sangue volli risparmiare ad Alessandro la vergogna delle vittime umane. Il qual fatto anco come ti racconto: Alessandro essendosi recato al tempio per consultare l’oracolo, ne ritrasse il responso: — Quando esci, il primo che ti si para davanti, in onore di Apollo ammazza. — Fortuna volle, che gli capitassero fra i piedi un Asino e l’Asinaio. Alessandro, fatto prendere l’Asinaio, gli disse: — recita l’atto di contrizione, bisogna che tu moia — Oh! come o da morire? disse [p. 5 modifica]l’Asinaio. — Tu hai da morire, rispose Alessandro, perchè l’Oracolo ordina, che io ti ammazzi, è perchè io ho forza per ammazzarti, e tu non l’hai per impedirmi che io ti possa ammazzare; ti va? — Non mi andrebbe, ma vedo pur troppo, che le tue ragioni sono buone e non fanno una grinza, soggiunse l’Asinaio piegando sgomento il capo. Io allora commosso dalla mansuetudine sua, e rammentando ancora l’umanità con la quale erasi comportato meco, me gli accostai all’orecchio e vi bisbigliai un consiglio; per lo che il povero uomo, levata piena di speranza la faccia, disse: — magno Alessandro, adagio ai ma’ passi, sentiamo un po’ come l’Oracolo suona: — e quegli glielo riportò. L’Asinaio allora: vedi qual sacrilegio stavi per commettere. L’Oracolo non parla di uomo: adesso di’ su, chi prima incontrasti per la via, l’Asino o l’Uomo? L’Asino riprese Alessandro magno, perchè questo è l’uso, che l’Asino vada avanti e chi lo guarda dietro. — Dunque, concluse l’Asinaio, Apollo ti chiede l’Asino e non l’uomo. — Per Giove mio genitore! esclamò Alessandro, questo uomo ha ragione: va, Clito, e poichè Apollo vuole l’Asino, e tu l’Asino dagli; tutti i gusti sono gusti5. Così l’Asinaio fu salvo e l’Asino morto. Quante volte io penso al popolo, che ebbe la fronte di chiamarsi eletto da Dio, raccapriccio al ricordo della figliuola di Iefte, di cui la storia ingratissima non serbò [p. 6 modifica]nè anche il nome. Or va a sagrificarti pei tuoi simili! Erostrato arde il tempio di Efeso per libidine di fama, e la Grecia con pene severissime comanda non sia ricordato in voce, nè in iscritto. Tempo perso! il nome di Erostrato durò quanto il mondo lontano, mentre della figlia di Iefte sappiamo l’animo invitto e la morte, il nome no. E quella di Abramo non ti pare nuova di zecca? Un giorno Dio gli manda gli Angioli a casa ad annunziargli, che gli darà un figliuolo maschio, il quale veramente egli ebbe e fu chiamato Isacco: un altro giorno gli rimanda l’Angiolo a dire, ch’ei vada sul monte vicino e là gli ammazzi ed arda in onore suo il figliuolo Isacco. Se io fossi stato nei piedi di Abramo, avrei detto all’Angelo: mi fa specie che un galantuomo pari tuo abbia cuore d’incaricarsi di tali ambasciate; torna al tuo padrone e digli da parte mia, che s’egli è matto, Abramo non diventerà parricida; se dopo avermi felicitato di un figliolo, adesso intende cavarmi il cuore dal petto, sì il faccia, ma non presuma che con le mie mani me lo strappi: la natura vieta che il comando del tuo Dio si obbedisca. — Se il governatore di Bordeaux, comandato da Carlo IX di ammazzare nel sonno quanti abitavano Ugonotti in codesta città, rifuggì dall’atto nefario e rispose a viso scoperto: — sire, ordinatemi cose, che le si possino fare — e si ebbe quelle lodi cui veramente fu [p. 7 modifica]degno, oh perchè non doveva bastare il cuore ad Abramo per rispondere altrettanto? E nota, che troppo più abbominevole l’opera ordinavasi al Patriarca: in quanto poi alla reverenza dovuta al Maggiorente, si tenga per fermo senza sospetto di errore, che o Re, o Dio, o Diavolo non può mai ordinare all’uomo di commettere misfatto. All’opposto, sembra che il Patriarca Abramo ci si mettesse proprio di voglia, se diamo retta al poeta, il quale ci riportò che l’Angiolo:

.... nel trattener la spada ardita
Poco mancò non si tagliò le dita!

Certo quando un padre ricco di ogni bene di Dio ha stomaco come fece Abramo di cacciar via quella meschina di Agar col figliuolo Ismaele a morire di fame nel deserto di Bersabea, dandole per tutto viatico un pane e un otre di acqua, non deve recare meraviglia s’egli sia capace per compiacere al padrone di ammazzare un altro. Oh! questi Patriarchi.... questi Patriarchi, se non fossero santi, sarebbero pure il fiore di bricconi, che Dio li benedica!

Nei primordii del mondo maestri di teologia morale furono le Iene, le Pantere, le Leonesse, le Tigri e gli altri tutti Animali di razza felina, i quali l’uomo considerando attentamente, come è dovere di buon scolaro, osservò, che leccando e leccando i parti [p. 8 modifica]pur mo’ nati, tanto vanno oltre con questo leccare, che alla fine li mangiano. Ciò parve a lui parossismo di febbre affettuosa ed era appetito di sangue acceso dallo strofinio della lingua raspante. Di qui il dogma antico di figliuolo accettissima vittima al padre, e fino dai tempi vetusti adombrato col mito di saturno divoratore della propia prole; il quale tanto di questa vivanda si mostra smanioso che scambia nell’estro famelico un sasso per un bimbo e non se ne accorge! Nè basta; dopo riconciliato il Nume maligno con la cena delle sue carni parve ottimo spediente, sia per mettere il suggello ultimo alla pace, sia per completare il dogma, che lo stesso figliuolo del Nume s’incorporasse negli uomini. Questo vediamo praticato in diverse guise o cibando le vittime umane già offerte a Dio ed accettate da lui, come fino a tutto il 1820 costumavano i Benderusi, o gli azzimi intinti col sangue umano, come fecero gli Ebrei, finchè lo poterono fare6; ovvero come nel Messico idolatra il Dio si comunicava ai suoi adoratori sotto la forma di pane mistico bagnato col sangue delle vittime7.

Ma io mi ritraggo da questa non già religione; ma beccheria in punta di piedi per timore d’inzaccherarmi di sangue li zoccoli. Proseguo la via. La Natura non la potendo sgarare contro il volere di Dio, fatta come suol dirsi di necessità virtù, prese ad [p. 9 modifica]accodarsi al suo stato; ed un bel giorno comechè la marina durasse torba, aperse il cassone, e trattone fuori la giubba verde, comparve all’uomo attonito nello splendore della prima primavera. Quando ella vestì brontolando la bella vesta sul fare dell’alba, ebbe in pensiero spogliarla a mezzo giorno o al più lungo la sera; ma poi lusingata dai saluti affettuosi e dalle lodi infinite del genere umano consentì a tenerla addosso più che potesse, e giunse a tanto che, fatto il ragguaglio e il più compensato col meno, ella venne a portarla nove mesi circa dell’anno. Di mano in mano divenuta più mite, un dì, ammiccato a Trittolemo, che le si facesse vicino, dicono, gli favellasse in questa sentenza: — Trittolemo, tu hai da considerare come le Bestie destinate a cibarsi unicamente di carne io abbia fornito con denti canini; all’uomo ne dispensai di più maniere idonei al masticare come al lacerare; donde tu che sei savio ne ricava, che io feci l’uomo capace di alimentarsi di carni come di biade. La caccia ti procura niente altro che carne, ed essa come negli istinti è feroce, così la ritrovi sovente nei resultati incerta; or fa una cosa, vedi questo arnese? Egli si chiama aratro; prendi due Bovi o due Cavalli o due Asini, attaccali in cima, ficca il vomere di legno qui sopra il mio seno e rompilo: non temere, tu non mi rechi ingiuria; all’opposto, finchè li addentrerai due palmi [p. 10 modifica]o quattro, tu solleticandomi la pelle mi darai voluttà, ed io ti riderò gioconda per molte cose belle a vedersi ed a nutrirti eccellenti: guardati però di penetrare più oltre, perchè nelle mie viscere fremono costretti fuochi micidiali e per opera loro composti giacciono il ferro e l’oro; il ferro che rompendoti le membra spargerà in terra il tuo sangue, l’oro che corrompendoti lo spirito darà ai Cani la tua anima. Di qui le messi e ogni altro più dilettoso frutto della terra; per ultimo dono, la Natura un giorno fece apparire pendenti dalla vite i grappoli, i quali, come quelli che offrivano la forma delle mammelle, persuasero l’uomo ad attaccarcisi e a succhiarli, e tanto succhiarono che con il liquore delle uve inebriaronsi: udendo il baccano, vista la baldoria e il correre delle donne scarmigliate pei colli, e lo inseguirle fauni e satiri lascivi, la sapienza che stava per visitare le dimore degli uomini si ritrasse indietro turandosi gli occhi; all’opposto si fece avanti la Follia la quale, oltre ogni credere festeggiata, presto crearono donna e madonna di casa; ed avendole per di più commesso di dettare leggi, istituire religioni e prescrivere usi, ella ridendo assunse il bordello in paradiso e con tali Dii lo popolò, di cui il meno tristo meritava esser mandato per quattordici Anni all’ergastolo di Volterra. Cielo castrato, e dalla spuma mossa dal cascare dei genitali suoi [p. 11 modifica]nelle acque Jonie uscire Venere, la divina baldracca; Giove adultero rapitore di Vergini, e non si dice il peggio; Mercurio ladro; Apollo e Diana, esempio di odio immortale e di vendetta che non si placa mai; Momo maledico; che più? Le are male votate in Roma alla Fortuna iniqua, e la Febbre, il Peto, il Redicolo, con altre simili o laide o strane o burlevoli cose fatte dee e dii presso gli stessi Romani. Se vuoi vedere quantunque può la Follia, quando governa le menti umane, volgiti in Egitto, e là vedrai nascere a cotesto popolo li Dei nell’orto8. Le cipolle e i porri costà sortirono onori divini. Nè basta; offerte, sacerdoti e vittime ebbe primamente in coteste contrade il turpe Phallo, e quinci col culto di Priapo si estese nel mondo dei gentili; tenere donzelle e gravi matrone persuase dai preti di allora non rifuggirono ostentare appesa al collo la effige del Priapo come i Padri Gesuiti raccomandarono più tardi alle divote loro di portarci spenzoloni la medaglia di San Venazio, che libera dalle cadute basse! — Anzi negli scavi di Ercolano io vidi parecchi di cotesti phalli l’uno dentro l’altro infilati come le corone, e certo al medesimo uso disposti; quali poi volgessero nella mente meditazioni le buone femmine, quando siffatti paternostri snocciolavano fra le dita, io non lo voglio dire, ma tu sapientissimo re te lo puoi immaginare. In Tebe egiziaca, [p. 12 modifica]di anella solevano ornare e di monili dorati, non altramente che sposa, la quale vada a marito, i Coccodrilli divini9. Le donne egizie, allorchè consideravano dai loro meriti in cotesta guisa ornati i Coccodrilli, levavano le mani al cielo, e i Coccodrilli non alzavano le mani al cielo, ma facevano le maraviglie, quando vedevano le femmine coperte di oro e di gemme: di vero, certo giorno è fama che un Coccodrillo dei più dotti dicesse: qual corre differenza tra la femmina e i Coccodrilli? Io non ce ne so vedere, se non fosse questa una, che il Coccodrillo mangia l’uomo e poi lo piange, mentre la femmina mangia l’uomo e poi ne ride. — Ma egli era un Coccodrillo quello che parlava così; però è da credersi lo muovesse l’astio: troppo diversamente da lui il Cardinale de Bernis, interrogato dalla Marchesa di Pompadour in che fossero diversi la donna e l’orologio, rispose con gioconda prestezza: — l’orologio rammenta le ore e le donne ce le fanno dimenticare. — Nè questa sarebbe la sola differenza che passa fra un Cardinale e un Coccodrillo, e pensandoci sopra, giungeremmo a trovarne delle altre. Cecrope, che fu il primo nell’Attica a piantare l’ulivo, comandò agli Ateniesi che la vita del Bove tenessero in conto di sacra, e come egli ordinava per lungo tempo essi fecero; ma quando poi con le virtù prische si alterò la religione degli avi, essi [p. 13 modifica]non sentirono raccapriccio a pascere le carni del mite aiutatore delle loro fatiche. Però spento ogni ribrezzo, non postergarono ogni pudore, e dopo che ebbero soppressa la realtà delle cose ne mantennero la sembianza, ond’è che nei sagrifizii di Giove, immolato il Bove, il sagrificatore come colpito da sbigottimento fuggiva. Allora i Giudici lo citavano assieme con i suoi complici o vogli garzoni o vogli fanciulle a comparire davanti il tribunale e purgarsi della scelleraggine: le fanciulle, le quali avevano portato acqua per inacutire i coltelli, accusavano gli arrotini; gli arrotini i satrificatori, questi altri i coltelli, che trovati soli colpevoli condannavansi ad essere sommersi. Questa cerimonia fornita, anche i Giudici senza un rimorso al mondo sedevano a mensa per divorare il mansueto animale, che aveva speso la vita ad alimentarli; il sagrificatore, data una giravolta, andava a ripescare i coltelli, e il giorno dopo si facea da capo. O ipocrisia, quando la religione spaventata dalle ferine usanze degli uomini si rivolse volando alle dimore celesti, lasciò per la fretta cascarsi i panni da dosso, e tu che in quel punto facevi capolino dall’Inferno saltasti fuori, gli raccogliesti, li vestisti ed in sembianza di prete incominciasti a regnare sopra la terra! Però i Bramini dell’India, dei patrii riti osservatori rigidissimi anche a miei dì, predicavano abbominevole cibarsi con le carni [p. 14 modifica]del Bove10. Nè qui voglio tacere un fatto egregio, il quale sebbene, piuttostochè alla religione, appartenga alla carità del prossimo, merita a parere mio che ne sia preso nota; nel paese, che già fu di Francia, padre fecondo di cose buone come di ree, il tragedo Crebillon costumò coi Cani nella stessa guisa di San Vincenzo di Paola co’ fanciulli, imperciocchè quanti gli capitassero per la via randagi, senza pane nè tetto, tanti ne raccoglieva e amoroso allevava. Interrogato un giorno, per qual consiglio si circondasse di Cani e i fanciulli preterisse, rispose breve ed arguto: — conosco l’uomo11. E segnala, che in fè di Dio ne vale il pregio davvero, Alessandro magno, per amore di Giunone, così tenne sacri Pavoni, che con pubblico bando promulgò, chiunque l’ammazzasse, di mala morte avrebbe dovuto morire. Anche nel reame di Angola, i sovrani proseguono con riverenza del pari solenne il Pavone, dacchè colui che ardisce di toccargli una piuma della coda (pensa, che cosa sarebbe se gliela strappasse!) senza cerimonie è segato in due12. Per verità io non posso tacere di una voce che corse su questo proposito, e fu che la tenerezza regale pei Pavoni nascesse da volere sua Maestà mangiarli tutti per se; donde poi certo frate toscano tristo e mascagno per tre bargelli trasse materia per isbottonare una sua [p. 15 modifica]sentenzaccia, la quale diceva così: — i Re (e nota ch’ei diceva dei buoni) amare il popolo, come il villano il maiale; lo ingrassa, per morfirlo13! — Massime anarchiche! Vituperii demagogici da cacciarsi via con l’acqua santa come i diavoli di santo Antonio, ed in ispecial modo da tacersi, quante volte l’Asino venga sublimato all’onore di parlare, come adesso io faccio, al cospetto di un re ebreo, re magnanimo, inclito padre, non distruggitore di gente, come sporrò più tardi.

I Pidocchi, i Pidocchi stessi, da gente schifosa e di poca religione tenuti in dispregio, nell’India furono oggetto di culto senza rimuoverli dalle consuete loro dimore. Un sacerdote con rito solenne, quale fra i Cristiani fu l’amministrazione del sacramento del battesimo, e più ancora se più potesse essere, sul capo del Consacrando deponeva il venerabile insetto, e quindi con sollecita cura zelava che si moltiplicasse. Io Asino, in fede di gentiluomo, ti posso giurare che pianta di seme benedetto mostrò mai sempre essere il pidocchio, superando di gran lunga le stesse aspettative pretesche, le quali per ordinario non sogliono essere discrete. E pare, che in eguale concetto fossero tenuti i Pidocchi appresso i Messicani, avvegnadio occorra scritto per le Storie, che il Cortez rinvenne nel Tesoro di Montezuma [p. 16 modifica]riposte parecchie sacca di Pidocchi14.

Se ai conquistatori del mondo non si fosse apparecchiato altro premio che questo, io giuoco Parigi contro un baiocco, che non si sarebbero mossi da casa, curando il fico e badando alla Vite; ed avrebbero avuto torto, come l’ebbe il Maresciallo Bassompierre, sopra il collarino del quale essendosi il re Luigi XIII degnato di osservare un Pidocchio ed avendogli detto: — Maresciallo, su la camicia voi avete un Pidocchio; — quegli rispose inciprignito: — Parlate piano, onde questi giovani gentiluomini non imparino innanzi tempo quello che si acquista a servire vostra Maestà15. — Dico poi, ch’egli ebbe torto, per ciò che, quando pure al servizio di un re non avesse guadagnato altro che un Pidocchio, non era poco, poichè nell’India egli passa per santo, e per di più il maresciallo mentiva, che o prima o dopo il re cortese ci aggiunse qualche anno di Bastiglia16. Il poeta Tassoni a servir le Corti guadagnò un fico17: il cardinale Bernetti un corno18; e ci fu chi gli disse in riga di consolazione: — appicca il voto, che tu lo hai avuto di bazza! —

Un giorno la infinita sapienza chiamò da parte il sommo amore e gli disse: vedi come i passi dell’uomo vadano a sghembo; vieni, facciamogli un Dio, che lo riscatti [p. 17 modifica]dal vituperio nel quale cascò e lo sollevi al Cielo. Da questo concilio nacque Gesù salvatore. Se egli ebbe per antenati i re di Giuda, poco importa conoscere; a noi basti che dal Popolo nacque ed ebbe viscere di Popolo. La povertà e la persecuzione gli porsero le aspre mammelle, ed egli vi succhiava il latte, che lo fè gagliardo alla battaglia della vita; appena la sua lingua articolò la parola, senza porre tempo framezzo imprese l’opera santa di esaltare gli umili ed abbattere i superbi; non luoghi chiusi accolsero la divina favella, nè infelice cattedra tremò sotto i piedi potenti, bensì al cospetto delle munificenze della natura, pei campi aperti, sulle vette dei colli bandì le leggi dell’Eterno alle turbe sbigottite.

— E voi udiste, egli diceva, di un Dio prepotente e geloso, che visita nel suo furore la quarta e la quinta generazione di quelli che lo hanno offeso; in verità non è così: Iddio ama, Iddio perdona, non una, nè sette, nè settanta, bensì settanta volte sette e sempre; imperciocchè egli tenga perpetuamente aperte le braccia per prendere chiunque si rivolga a Lui. I giusti compongono la gloria del firmamento, ma i ravveduti gli sono corona intorno alla testa. Chi si presume prediletto unicamente da Dio ha il cuore pieno di orgoglio e le sue labbra profferiscono vanità: [p. 18 modifica]tutti siamo figliuoli di Dio e tutti formati a similitudine di Lui in ispirito, essendo dotati di conoscenza e di volontà; in altro no. Guardatevi pertanto di chiudere l’Eterno nell’angustia delle vostre fabbriche; voi non potrete costruire colonne che superino in magnitudine il meno alto dei monti del mondo e le vostre volte non emuleranno mai i portenti dell’emisfero; non chiudete dentro un tempio l’Eterno, che si tiene chiusa nel pugno tutta la Natura: guardatevi di fargli immagine di oro o di argento, scolpita o dipinta, che lo rassomigli a cosa mortale, avvegnachè la vita e la morte gli riescono come cavalli al carro della sua onnipotenza: non date a Dio timiami, egli esulta nei profumi dei mondi, che senza requie fa uscire dal seno della Natura più numerosi dei fiori, quando la terra palpita al bacio del Sole di primavera: non accendete lampade a Lui, che con la parola accese la luce; non contristate co’ vostri suoni le orecchie, che ascoltano l’armonia delle sfere; non gli offrite preci favellate, nè scritte; la migliore preghiera è il gemito del cuore riconoscente; egli conosce meglio di voi il vostro bisogno, ed egli secondo la misura della sua misericordia e dei meriti vostri vi sovverrà. Chi dice: Dio è per me solo; parla da insano. Il Sole nasce e il Sole tramonta; la luce rallegra tutti i viventi quando si affaccia ai balzi orientali, e le tenebre li desolano quando si tuffa nelle [p. 19 modifica]marine; ora Dio, che non tramonta mai ed è il Sole di amore sempre acceso sopra le anime delle sue creature, consentirebbe a mostrarsi meno benefico, che l’opera delle sue mani? — Io venni mandato alle genti, non alla gente; e Dio è padre di popoli, non già di un popolo.

— Beati i poveri di spirito, però che il sillogismo colga lo intelletto dall’albero della scienza, e dopo averlo succhiato lo sputi converso in istoppe di vanità. Iddio ha composto il cuore dell’uomo d’infinite fibre tenuissime e sensitive, perchè all’alito più lieve della carità vibrassero armonie di sapienza e di amore.

— Beati gli umili, perchè amano e sono amati, raccolgono e sono raccolti; uno si accosta all’altro benevolo e si stringe a lui, come fanno a poco a poco i grani di arena che poi compongono le masse di granito; i passi del superbo sono nella solitudine: egli cammina su i capi dei fratelli, come sopra le selci di una pubblica strada; incespica e casca nella fossa, dove lo aspettano la maledizione e lo scherno.

— Ecci alcuno tra voi, che sia venuto al mondo per altra porta, che l’utero materno? Ecci veruno, che nascendo non recasse angoscia alla madre? Chi di voi non pianse quando fu partorito? E vissuto il giorno supremo, chi può dire che la sua cenere nella stadera della morte peserà più [p. 20 modifica]di quella del suo compagno? Quando la distruzione tira il regolo sopra le sepolture, lo solleva forse per taluno di voi e per tale altro lo abbassa? Uguali nel nascere, uguali nel morire siete, e dovete essere uguali nel vivere. Iddio non ha creato la razza degl’imperanti, nè quella degli obbedienti: una cosa sola vi fa diversi, e questa è il peccato; però di faccia a Dio, non mica fra voi che tutti peccatori essendo e fuora dalla legge divina, meritate tutti che Dio vi perdoni.

— E molto meno Dio creò le corone e le catene; la stirpe che piange e quella che fa piangere: voi siete servi, perchè viziati: prima di avvilirvi schiavi degli altri vi siete avviliti a voi stessi: se non vi foste fatti schiavi delle vostre malnate passioni, nè manco l’uomo avrebbe potuto farvi schiavi: prima che il tiranno fosse, fu il servo. Guardatevi le braccia: che leggete sopra una manetta? Paura; — e su l’altra? Cupidità. Se meno poneste ogni vostro affetto in questa vita, se andaste persuasi veramente quanto ella sia caduca, e patria vostra il cielo, voi non temereste la morte: ora poi chi non teme la morte è sempre padrone della vita del suo tiranno. Date a Cesare quello ch’è di Cesare. Ch’è quello che appartiene a Cesare? Un pezzo di metallo con la sua effige; rendete a Cesare la sua moneta e non gli dovrete più nulla. Forse vi sfama la moneta o vi disseta? Creò forse Dio questa maglia per avventura [p. 21 modifica]più gagliarda di tutte nella rete, con la quale vi hanno preso? La povertà si odia, anzi come colpa si perseguita nelle dimore degli uomini; agonia di possedere, accidia di procacciare hanno generato soperchio da un lato, e difetto dall’altro, quinci la più parte delle umane miserie: la via è lunga per ripararle, ardua è la impresa; ma sperate: io vi dico in verità che si ripareranno.

— Iddio Padre mi ha mandato a farvi testimonianza che voi dovete vivere liberi ed uguali, fratelli tutti e felici nelle terre dei vostri padri. Dentro di voi, creandovi, l’Eterno insieme col senso del bene pose la facoltà di acquistarlo: adoperatela. Iddio ama i contemplatori, ma più gli operatori, e quando la forza va congiunta al diritto, soprattutto ama i forti. —

«Al suon dei detti sì pietosi e cari
Non caddi no, precipitai dal cielo»

esclamando: torni l’Asino al suo presepio; in cielo mi ha posto la follia degli uomini; dal cielo mi leva la mia conoscenza di Asino: —

«Il cielo è libro, ove la Mente eterna
Dell’universo disegnò la storia
Con parole di stelle —»

e in questo libro, comechè modesto, ebbi anch’io la mia nota e ve la lasciai stare, secondo quanto verrò esponendo più tardi; [p. 22 modifica]ma il cielo è anche albergo, dove abita nella sua sterminata esistenza il Creatore misterioso, solitario e rivelantesi alla creatura con la creazione e con la distruzione dei mondi. Come più umilmente potei, mi accostai al Redentore, e, nulla possedendo che fosse buono, povero Animale, gli dissi: — Che valgo io? Dio mi cinse di lena e di pazienza le groppe, degna accettarle e cavalcami. — E il Redentore, a cui piacque esaltare la umiltà, mi accolse, nè indi innanzi altra Bestia partecipò meco il privilegio di portare il corpo sacrato.

Ahimè! Io tremo favellare stolte parole, e se male mi appongo, domando anticipatamente perdono: tuttochè Cristo con lo spirito presago conoscesse l’amara sorte, che per le mani dell’uomo gli si apprestava,talvolta meco stesso considerando ho dubitato, che qualche parte gliene fosse rimasta oscura, imperciocchè parmi impossibile che mente umana o divina non isbigottisse al pensiero di sopportarla nella ineffabile malignità intera. — Tu savio giudica. Un discepolo lo vende a prezzo e lo tradisce col bacio, un altro lo rinnega: il popolo, cui venne a riporre sopra la via smarrita del paradiso, lo chiama a morte; e se Pilato, straniero e pagano, studioso di salvare il sangue innocente proporrà al popolo, ch’elegga tra Barabba ladro e Cristo redentore, il popolo urlerà: — Cristo mora, si dimetta Barabba! — come paterna benedizione Revocando al [p. 23 modifica]Esempio imperituro di quanto ardisca la feroce ignoranza della plebe aizzata dall’odio sacerdotale che non perdona mai. L’estremo oltraggio dello schiaffo gli pestò la guancia; la sua fronte sempre serena sostenne il vituperio dello sputo, e lo strazio apparve forse peggiore del danno, voglio dire la canna messagli nelle mani a modo di scettro, il brandello di porpora sulle spalle, quasi regio paludamento, la corona delle spine e il salutare schernevole: — Re dei Giudei, salute! — Mancò la lena alle braccia, non la rabbia alle anime, allorchè cessarono di flagellarlo e su quel corpo fatto tutta una piaga, imposero a portare lo strumento del supplizio; traboccatovi sotto, con la punta delle lancie nei fianchi lo sovvennero; compagni della morte due ladri. E quando nelle angoscie supreme dell’agonia implora refrigerio al tormento della sete, ecco gli spremono contro le labbra la spugna intrisa di aceto e di fiele. Quello che nell’eccesso del suo furore il Diavolo avrebbe appena saputo immaginare, il sacerdote pacato fece; e fama ebbe di pio il centurione romano che con un colpo di lancia nel fianco pose fine allo abbominio. Quali parole uscirono dal petto di quel grande infelice? Una sola; e fu di perdono per coloro che lo condussero a morte, e dalle aperte piaghe volle che il sangue scendesse sul capo ai suoi uccisori [p. 24 modifica]pensiero parte a parte i casi che accompagnarono la passione di Cristo mi si stringe l’anima, e la voce negando il consueto ufficio, forza è che taccia...

Qui l’Asino declinò il muso e chiuse gli occhi, mentre pei peli gli scorreva irrefrenato il pianto, quasi ruscello di acque giù per le roccie del monte. La pietà diffondendosi più celere della luce vinse i cuori di tutti, e lungo durò dintorno un rammarichìo di creature dolorose, le quali nè sapevano, nè volevano consolarsi.

Quando l’Asino rilevò il muso, tu lo avessi visto! Il pelo e gli occhi arruffati, pareva il Leone di Giuda: con voce terribile continuò:

— Dov’è Cristo? Lo specchio santo che raccoglieva i raggi dell’Amore divino per rifletterli sopra i viventi, confidato a mani traditore e codarde, caduto in terra, si ruppe. In ognuno dei frammenti della grande ruina tu puoi vedere l’immagine di Cristo alterata; rimandasi per essi tuttavia lo splendore, ma obliquo, fioco e non riscalda più i petti umani. Signore, se la tua fiaccola è spenta, a me non avanza altro che curvarmi sul sepolcro del genere umano e piangere. — Ai tempi miei tre frammenti maggiori degli altri ingombravano la terra; i Luterani, i Greci orientali e i Cattolici romani. Quali i fini a cui tendevano e la potenza, gli istituti e le [p. 25 modifica]colpe loro, io non ti posso dire, chè questa è soma di bene altre groppe che non sono le mie: però se ti chiappa vaghezza di saperne qualche cosa, io ho il tuo servizio ed ecco come: In fondo della via di santa Verdiana nella bella città di Fiorenza hacci una terra che già fu orto delle donne del convento delle Murate, e scema poi diventò appendice del carcere ricavato dall’antico monastero. Una famiglia povera più di Giobbe la teneva a fitto, e il padre, cui non bastava la rendita della terra per sopperire ai bisogni che quotidianamente in casa sua allungavano i denti, si schermiva da valoroso con mille industrie; tra le altre praticava anche questa: raccolti i residui delle scorze adoperate al conciare le pelli, gl’impastava in formelle, le quali risecche al Sole servivano a mantenere un sospiro di fuoco sul camino del povero negli stridori dell’Inverno. Ora, essendomi parecchie volte costà ridotto a cavare il carico delle formelle di che ti dissi, mi venne il destro di vedere aprire un muro che separava l’orto dal carcere e da cotesta apertura uscirne un prigione, come Giona vomitato dalla Balena. Notai com’egli venisse fuora all’alba dei pipistrelli, quando il Sole tramonta e le ombre si prolungano malinconiche da Occidente all’Oriente. Se tu ricordi una notte di autunno della nostra terra, allorchè spirava impetuoso lo scilocco e per lo cielo andava [p. 26 modifica]in volta una moltitudine di nugoloni, come greggi di anime dannate spinte dinanzi a sè da un mandriano infernale; se ti ricordi come terribili passassero davanti al disco della luna che tutta paurosa sembrava scappare via a scavezzacollo per i campi del Cielo: se queste cose rammenti, ti formerai idea del volto del prigioniero, traverso del quale affollandosi il remolino dei pensieri, ora si abbuiava come pece, ora si schiariva di una luce perlata, ora finalmente splendeva pari al plenilunio sereno: camminava randagio, come se lasciasse ire i piedi, e i passi suoi erano lenti; nella destra portava uno stilo di avorio e nella manca un taccuino dove di tratto in tratto, con pazienza infinita, andava notando gl’interni concetti dell’animo suo. Però, come mostrava prendersi cura diligente del libro mentre lo scriveva, scritto appena non lo teneva più in pregio e lo gittava; sia che egli riputasse lo scritto schiuma del pensiero quando lo fa bollire la passione, epperò cosa da non farne conto; sia piuttosto che, rimanendogli la idea colorita dalla parola tenacemente impressa nella memoria, per disperdere delle foglie non temesse che capitasse male l’oracolo. Io, come Bestia ravviata, non potendo patire lo spreco dei libretti, e parendomi, poichè il prigioniero li gettava via, potermeli appropriare in tutta coscienza gli raccolsi e quelli decifrando a comodo trovai com’egli avesse voltato il turbinio [p. 27 modifica]delle sue considerazioni sopra i tre frammenti della religione Cristiana superstiti a tempo mio: questo libretto ho qui in tasca, e se vuoi ch’io lo legga.......?

Salomone con rito orientale accennò di sì abbassando alquanto la testa. L’Asino aperse il taccuino e lesse questi frammenti:

—.........di celeste e spirituale diventò terrena e pagana: allora popoli e re furono pesi adoperati da lei per tenere in equilibrio la bilancia, o restaurarlo sturbato, o piuttosto dadi per giuocare la partita del Diavolo; e la fortuna un tempo le andò in filo di ruota.

— Lo schiaffo del Giudeo illustrò la pazienza di Cristo, come quello che lo pativa per la salute degli uomini; lo schiaffo dato dal re di Francia con la mano di Sciarra Colonna a Bonifacio VIII infranse la superbia del prete. Il giorno, in cui un Visconti potè costringere i legati del papa a mangiare le bolle di cartapecora e il sigillo di piombo con la immagine del Pescatore, mancò alla religione del sacerdote romano la potenza; — lo spirito di Dio già si era partito da lei. Il prete comprese la necessità di nuovi partiti, e con sollecita accortezza gli abbracciò. — Ascolta figlio, disse al re: noi ci osteggiamo e cascheremo in cenere: facciamo pace o saremo distrutti. Dimmi, o re, donde cavi il diritto di passeggiare sopra i capi dei tuoi simili? Forse dal consenso [p. 28 modifica]dei calpestati? Via, noi sappiamo questi suffragi universali che sieno: la Sorpresa va dintorno col berretto a raccogliere i voti e la Frode li conta: — e poi la Libertà è di Dio e fu concessa all’uomo ond’ei la goda, non perchè l’alieni; la Libertà è l’aria respirabile dell’anima. Posto ancora che l’uomo presente potesse vendersi, non giungi a comprare del pari le generazioni che succederanno; servitù volontaria non si estende fuori del vile che la sopporta; finalmente gli umori degli uomini non quietano mai; chi ha fatto il carro lo può disfare, e a cui piacque levarli su gli scudi può chiappare il ticchio di seppellirtici sotto. Sul consenso si sdrucciola; io ti conforto di affidarti alla forza: ma anche qui devi avvertire, le braccia umane andare composte di nervi e di ossa, non già di ferro; e fossero anche di ferro, la ruggine lo rode. Facciamo pace; io bestemmierò per te, ti giurerò instituito da Dio, proprio immagine sua sopra la terra, nè più nè meno come me: ti circonderò di maledizioni e benedizioni; ti metterò dintorno le paure dello inferno, come fosso alle fortezze; io cingerò la tua fronte con la terribile maestà del Signore del fulmine: però tu capisci, che per essere io reputato capace ad operare tanti e siffatti miracoli bisogna che tu prima mi creda o finga credermi mediatore privilegiato fra il cielo e la terra, sopracciò di [p. 29 modifica]Dio, e procaccia con esclusiva da questo all’altro mondo; prostrati adunque anche una volta davanti a me; per amore della perpetua tirannide fatti schiavo un’ora; dividi sempre le tue spoglie con me e, basta che tu non mi rubi troppo, ti lascerò fare sul resto.

Piacque la proposta e, derelitto il cielo, questi furono i primi patti che il prete di Roma accordò col re della terra. Ma il prete indi a poco si pentì di essersi lasciato andare; gli parve avere conceduto troppo, ed irrequieta lo prese la smania di ricuperarlo. Cessata la guerra palese, incominciò la coperta; senonchè Pio VI, vilipeso prima dallo imperatore austriaco, poi tratto prigione in Francia dove moriva; Pio VII messo fuori come il bucintoro di Venezia per la festa di un giorno e dopo gittato anch’esso in carcere; Pio IX ripreso come fanciullo colto in fallo, fecero accorto il prete di Roma che socio a parte uguale col potere della spada oggimai non doveva durare, e se avesse osato accogliere pensieri che di servo dei servi veracemente non fossero, guai a lui! — Piegando ai tempi si rannicchiò, s’impiccolì, si arrampicò e con voce sottile di Vespa bisbigliò negli orecchi del re: — Non ischiacciarmi sotto l’ugna del pollice; lasciami vivere: io posso sempre farti del male; da ora innanzi mi proverai sommesso; mettimi al [p. 30 modifica]collo il collare e incidivi sopra il tuo nome; improntami su la coscia il marchio dei tuoi cavalli, e la gente conoscerà che ti appartengo anima e corpo; tienimi in guinzaglio se voi, ma non mi consegnare in mano al popolo, imperciocchè egli mi ucciderebbe: tra me e lui non pace, non inganno, non perdono; io ho consumato la fontana di misericordia e di fede del popolo che pareva inesausta. Quando romperai guerre empie io bandirò dagli altari il grido delle antiche Crociate: — Iddio lo vuole! — Quando vorrai dissimulare l’onta di una disfatta io mi condurrò a piè degli altari cantando il Tedeum, come nelle vittorie si costuma. Se, trucidata la Libertà, avrai convertito in cimiterio la Patria, io entrerò nel tempio, e mi ci trovassi anche solo, intuonerò il Tedeum. Chiunque ti avversa infamerò brigante; le menti altere chiamerò lumi tenebrosi; tizzi accesi nel fuoco dello inferno gli esporrò anatemi all’abbominazione dei popoli; metterò l’odio tra padre e figliuolo; seminerò la discordia tra marito e moglie; ammaestrerò spie; sotto colore di obbligo religioso insinuerò la spiagione nelle famiglie; sarò spia io stesso; il confessionale del prete diventerà anticamera del guardiolo del birro; con gli errori, le superstizioni e gli arzigogoli grammaticali delle mie scuole ti schiaccerò cuori e cervelli infantili come si fa dei pinocchi [p. 31 modifica]con le ghiaie, te gli macinerò, te gl’impasterò così, che fango raffinato valga a ritenere non pure la impronta delle tue mani, ma perfino delle rughe minutissime della pelle; te gli legherò per modo dentro le fasce dell’autorità, che le Mummie di Egitto a stregua loro ti parranno sciolte; ne piegherò il dorso come arco di muro destinato a portare; gli occhi e i pensieri sternerò nella polvere: cadaveri in tutto, tranne nell’udito e nella obbedienza; e, se lo pretendi, caccerò Dio dall’altare e ci metterò la tua immagine. — Ti garbi o no seguitare la mia fede, riproverò la dottrina de’ miei antichi teologi che insegnarono il re eretico non solo doversi disobbedire, ma potersi ancora ammazzare, e dirò che nell’osservanza dei tuoi comandi a Patria non badino, nè ad anima, nè a parenti, nè a nulla; sempre e mai sempre pieghino la faccia; diversamente morte in questa e dannazione nell’altra vita. Certo, io non lo voglio dissimulare, così la mala lue della Libertà ha contaminato l’umano consorzio, che non tutti accoglieranno con reverenza la mia dottrina, anzi moltissimi la combatteranno. Che monta questo? Molti ancora si lasceranno pigliare: non senz’alto consiglio io faccio per impresa un uomo che pesca. Da Adamo in poi, uccelli, uomini e pesci si chiappano con le reti. Non ti dia noia la ruggine delle mie chiavi; così come le vedi rugginose sapranno aprire di [p. 32 modifica]molti cuori: ad ogni evento io le ho date in mano ai Gesuiti perchè me le ungano. —

Il Russo da settentrione tese le orecchie; ed allettato dalle parole oneste, una volta andò a Roma e disse al papa; — Ecco, io pure discendo da Dio; re sono e colonna validissima di autorità. I tui Pollacchi cattolici sopportano impazienti il mio giogo, il quale si dimostra a prova soave, per lo meno, a pari del tuo: ammoniscimi un po’ i tuoi vescovi a rimanersi tranquilli e persuadi i tuoi figliuoli a credere dopo Dio nello knout e nella Siberia. Gregorio XVI rispose: — È giusto: — e bandì la scomunica contro i Pollacchi cattolici combattenti per la fede dei padri e la libertà della Patria; allora lo czar gli rise in faccia e gli donò un Cristo di oro crocifisso coi chiodi di rubini; e il Papa prese d’oro e ornata di diamanti la immagine di Colui che morì con la corona di spine sul capo, senza avvertire se cotesto scherno fosse più sanguinoso o più ricco: a lui bastò che fosse ricco. Se Cristo non teneva inchiodate le braccia, quello era il tempo che ti avrebbe ribadito su l’altra guancia lo schiaffo di Sciarra Colonna, prete sfacciato. Lo czar reduce alle sue contrade spiegò la enciclica pontificale, come la Veronica il sudario; ma questa volta il sudario non riportava la faccia del Redentore, bensì quella di Gregorio XVI dipinta col [p. 33 modifica]sangue: allora quattro milioni di Rumeri presi da raccapriccio, disertata la Chiesa cattolica, gittaronsi in braccio della Chiesa greca orientale.

Beffato dal Russo adesso il papa si accosta alle due potenze cattoliche, Francia ed Austria. Di vero in cui riporrà egli la sua fidanza? Nei popoli Americani? Questi gli mandarono un pane di oro come si costuma portare gli aranci agli ammalati: sel mangi se può, e se ne conforti le viscere. Nella Inghilterra forse? Questa, dopo averlo restituito alla Italia, prova adesso di che cosa sappia la gratitudine sacerdotale cresciuta in Roma e trapiantata nelle sue città per opera del cardinale Wisemann: per ora costretta dalle angustie dei tempi la guarda e ringhia a mo’ del Cane, che ritenuto fra le gambe del padrone brontola al Gatto. La Iberia che prima con le messicane ricchezze la vestì, ora la spoglia; il Piemonte la repudia; ella vive sempre, ma a somiglianza di Carlo V giace nel cataletto e con le sue proprie labbra si canta l’Uffizio dei morti; Francia ed Austria si accollano le spese dei funerali.

Lo spirito di Cristo non alita intero nella faccia della religione protestante; eppure vergine armata di asta, siede sopra le prore dei vascelli della stirpe anglo—sassone e ne percuote a modo di ariete i muri antichi [p. 34 modifica]della China e del Giappone, i quali crollando lasciano prorompere dalle fessure con la religione protestante un’aurora di Libertà. Lo spirito di Cristo non alita intero nella faccia della religione greca; eppure ella sta sul guanto allo czar di Russia, come Falcone alato per avventarsi prima contro il Turco, più tardi contro gli eretici nemici di Fozio, il santo patriarca. — Verrà tempo in cui la lancia dei Cosacchi chiarirà al pontefice il punto teologico se lo Spirito Santo proceda dal Figliuolo ossivvero dal Padre per via del Figliuolo; e certo se i Cosacchi capiteranno mai in Roma, il sommo pontefice dirà che il per è ortodosso, l’ex è eretico; per ora l’ex si mantiene eretico in Mosca ed ortodosso in Roma. Extra jocum (come scrivendo al Guicciardino diceva il Macchiavello) il papa russo ha raccolto di terra le chiavi che vi lasciò cadere il papa romano, ed oggi nel modo che gli antichi baroni picchiavano la mazza d’arme sopra gli scudi per adunare le masnade alla guerra, egli le batte sul sepolcro di Cristo e chiama tutti i Cristiani a cancellare l’obbrobrio vetusto. Dacchè il labaro di Costantino sventola nelle mani di Niccolò, chi mai ardirà chiamarlo eretico?

Il prete di Roma, come le belve cui per vecchiezza caddero le zanne e logoraronsi gli ugnoli, si è rassegnato a portare; così le Tigri al carro di Bacco fanno da somieri. Vecchio, tu ti appoggi a canne fesse. Vecchio, [p. 35 modifica]invano stendi le mani intirizzite e frughi per le ceneri degl’imperii un tizzo di brace, che valga a riscaldarti; da molto tempo sono cenere, ed ancorchè nol fossero, che mai ne spereresti? I papi tuoi emuli sacerdoti e guerrieri fanno con le mani proprie i loro negozii, le tue non sanno altro che sporgersi per la elemosina: ora sei diventato arnese di governo per essi, come la manetta, la scure, il debito e il convito. Un giorno andavi coronato, come tre Re; nel tuo orgoglio superbo schernivi la umanità chiamandoti: servo dei servi di Dio; adesso prova di che sappia essere veramente servo dei servi dei re....

Qui il libretto in questo punto apparisce stracciato; dopo alcuni fogli continua a trattare l’argomento in istile diverso, e quasi non sembra quel desso di prima; però ti accerto, che ella è farina del medesimo sacco: nè come questo potesse accadere ora cade in acconcio investigare; però ripiglio la lettura:

— Vincenzo Gioberti fu uomo copiosissimo di parole e di concetto altresì: della Libertà sviscerato, di costumi onesto, schivo di sostanze, in tutto degno della nobile Patria nella quale sortì il suo nascimento; però stemperato troppo più che a filosofo vero, massime politico, convenisse; la quale in temperanza, se io non prendo errore, era cagionata in lui dall’ardente dialettica dove [p. 36 modifica]si versava con tutti i nervi sospinto dalla indole battagliera e dalla poca pratica degli umani negozii. Sembra eziandio che poco lo sovvenisse lo studio delle storie o si recasse a studiarle tardi, avvegnadio noi lo vediamo procedere sovente con andatura alemanna, anzichè italica, sostituendo talora la ipotesi alla tesi, la sintesi all’analisi ed ingegnarsi, senza paura di rinnovare la vecchia favola della chimera, di comporre un corpo mescolando insieme metafisica, divinazione e politica. Così un po’ per la calidità della indole, un po’ per lo sdrucciolo (ond’io nell’effigiarlo mi valga delle sue locuzioni) in cui si era messo, per qualsivoglia contradizione s’inalberava, nè pativa dubbio intorno alla infallibilità sua, dacchè il credito dei Profeti poggia sopra la infallibilità ed egli appunto si presumesse Profeta. L’uomo ordinario, il quale s’industria trattare la politica con gli argomenti consueti, può senza danno della sua riputazione confessare essere trascorso in errore o per colpa sua o per quella dei fatti caduti in esame, perchè non compiti o male riportati; il Profeta no, conciossiachè desumendo le sue facoltà da soprannaturale ispirazione, o gliela compartirono i cieli ed egli non può errare, od erra e prova che egli non possiede nulla. Nel primo caso mantiensi sempre uomo; nel secondo vuole comparire arnese in mano di Dio. Però noi lo sperimentammo un giorno non [p. 37 modifica]pure acerbo, ma spumante d’ira, perchè non ci mostrammo devoti al suo decalogo, il quale egli non incideva mica immutabile sopra tavole di pietra, ma confidava sovente come la Sibilla alle foglie volanti. Però avvertito della mala prova fatta dalle sue profezie e dolente, come colui ch’era di retto ingegno dotato, di essersi dipartito dall’antico senno italico, già si affrettava, riandando i passi, a riparare come poteva il male quando lo colse improvviso la morte, che lo rapì immaturo allo affetto degli amici e al desiderio di tutti, lasciando incerta la gente se più avesse ricevuto la Italia danno dalla morte o vantaggio dalla vita di lui; dalla vita, perchè sospingesse il moto italico in tale traviamento di che tuttavia si risente; dalla morte, perchè gli venisse tronco il disegno di raddrizzarla a fine più certo.

— Erano i Popoli d’Italia sul cadere del 1846 in parte maturi, in parte no, ed i maturi non tutti nella medesima guisa, che alcuni facevano così il cruccio delle diuturne offese, l’ardore di possibili vendette, il peso di gravezze incomportabili, gli acerbi dominii, i governi abbiosciati e non pertanto persecutori, il disaccordo maraviglioso di mano in mano avvenuto fra i costumi e il senso dei popoli, ed i costumi ed il senso dei governanti e dei parziali loro; altri, come a modo di esempio quelli della Toscana, dove il governo faceva molto per essere [p. 38 modifica]disprezzato, non abbastanza perchè l’odiassero; il Principe reputavasi di poca, non già di malvagia mente, gli nuoceva la razza, perchè Austriaca; gli giovava la Patria, perchè nato a Pisa e se ne vantava; offese a vendicare scarse, nè capitali, indole mite, ferocia nessuna, si trovavano i popoli nella Toscana condotti a desiderare cose nuove per la memoria delle antiche franchezze e per amore astratto della Libertà. Discrepanza che, come nocque per lo passato così, Dio voglia non guasti le ragioni del futuro; però allora come ora, e troppo più ora che allora comune agitava il cuore di tutti (non si contano i turpi) il desiderio di rivendicare la Patria dalla abborrita e odiata di mortalissimo odio dipendenza straniera. —

— I popoli rassomigliavano l’uccello che su l’aperta frasca sta speculando da qual parte apparirà l’albòre del giorno; desti erano e inalberati; quello che si avessero a fare ignoravano. Allo improvviso ecco venire in luce due libri di Vincenzo Gioberti, i quali con abbondanza di parole e di concetti impetuosi bandivano dovere la Italia aspettarsi salute dal sacerdozio romano: essere la gente italica da Natura disposta a tenere il primato fra i popoli; e questo primato continuarle nel Cattolicesimo, dalla Provvidenza commesso all’opera santa di riunire le membra sparte della nobile Patria nel vincolo di Religione e di [p. 39 modifica]Libertà. I popoli nostri attendevano poco a coteste dottrine, pure qualche cosa ne subodoravano e solo che questo benedetto giorno di Pace, di Religione e di Libertà una volta spuntasse non istavano a guardarla tanto pel sottile: dei savii alcuni come rovesciati sottosopra trasecolavano; usi per le tradizioni della sapienza italica19 a considerare la corte di Roma eterna piaga della Patria non si davano pace come di punto in bianco le quercie avessero a partorire limoni, e quinci innanzi il mele dovesse raccogliersi di su le spine; dove sarebbe andato a mettere capo cotesto erpicarsi pei trabiccoli giobertiani non sapevano o piuttosto sapevano e deploravano; altri o per frivola indole o amore del paradosso o talento di novità o per quale altra causa gli movesse, alle teorie del Gioberti andavano in uzzolo. Miserabile a dirsi! Fra questi tale, che fama ebbe fra i Toscani di prudentissimo e che io udii proverbiare il Gioberti così, che peggio non fecero Bruno e Buffalmacco del Calandrino giù per lo Mugnone.

— A compimento dei vaticinii giobertiani e delle miserie d’Italia, dopo un Conclave, che la paura, accorto a brevità inconsueta, apparve e quasi mandato da Dio (e di vero si chiamava Giovanni) un sacerdote, che la fama circondava d’infinita aspettazione. La faccia sua era faccia di [p. 40 modifica]uomo giusto, ed i gesti altresì, imperciocchè egli, all’opposto dei suoi predecessori, i quali a colpi di maledizione avevano rotto il ponte che la terra unisce al cielo e si chiama perdono, con angelico riso benedicendo ristabilì; le braccia aperse come Cristo redentore e come lui disse: — io prendo ciò che si rivolge a me! —

— Allora la sapienza antica rinnegavasi, e chi la seguiva tenevasi in concetto di astioso e peggio; la opinione travolse come moltitudine di acque grosse; pericoloso tacere, più pericoloso ammonire; e comechè alcuni gagliardi, postergato ogni rispetto, gridassero: quo ruitis? dove precipitate, insensati? si ebbero in dispregio e ne scemarono di reputazione.

— Grande errore fu questo, così dei giuocatori come di cui tenne il banco, mettere ed accettare tanta grossa posta sopra una carta. Pio IX prima di porsi in cammino, aperto il sacco, doveva riscontrare il viatico, e fino a dove l’anima sua avrebbe voluto e le forze potuto; innanzi di tirare i dadi doveva tenere davanti agli occhi che gli poteva venire tre assi come diciotto; e se in un tratto, diciotto gli sarebbe andato a fagiolo, e finalmente se una volta i dadi nel bussolo, stava in potestà sua regolarne la gettata. A tutto questo sembra ch’egli non pensasse punto, ebbro delle lodi, le quali ai cervelli leggeri fanno [p. 41 modifica]peggio del vino: buono ei fu, e quantunque oggi l’odio pubblico lo registri tra i papi più tristi, io per me favellando di lui ripeto quello che disse il Cane, dopo bevuta l’acqua: tal è qual è! Gli uomini non considerarono abbastanza ed io gli supplico, di ora in avanti, a pensarci meglio, perchè la partita è finita, ma il giuoco dura; come vi abbiano di più ragioni bontà: ecci una bontà che nasce dalla dolcezza naturale del sangue, e questa la troviamo presso quasi tutti i fanciulli comune; però ritiene in sè del puerile; invero ella va sottoposta alle subite stizze, alle permalose fantasticherie ed alle voltabili crudeltà del fanciullo, avvegnachè o sia che il volere consenta, o sia, come credo piuttosto, che il volere non ci abbadi, segni espressi di efferratezza compaiono nel garzoncello, e se nol credi tu fa di mettergli in mano Uccello o Farfalla e poi me ne conterai le novelle. Di tale maniera bontà può legarsi ottimamente con la ferocia; e senza che tu stia al rovistare troppo, abbine la prova in Claudio imperatore, il quale sentendo salutarsi dai Gladiatori che si andavano a sgozzare per fargli piacere, tutto tenerezza ricambiò loro il saluto; poco dopo avvertito, che essi non volevano più combattere sul fondamento che ne gli avesse dispensati il saluto imperiale, saltò su a chiarirli con buone ragioni, ch’egli non gli aveva per nulla dimessi; [p. 42 modifica]anzi li pregò a non tirarsi indietro dallo impegno e farlo scomparire sul più bello, ormai ch’era stata bandita la festa. E poichè gli parve il suo discorso non partorisse i frutti, che aveva ragione di aspettarsene, in parole succinte conchiuse: che se non si ammazzavano essi di amore, gli avrebbe fatti ammazzare egli per forza. I Gladiatori per paura di essere ammazzati si ammazzarono. Lo stesso dabbene imperatore le libidini della moglie dissimulava facile o perdonava, e Messalina ebbe a commettere troppo più grave peccato, che sposarsi ad altro marito, lui vivo, per ispingerlo fuori dei termini della sua naturale bontà ad ordinarne la morte: infatti tanto contrastava quel comando alla dabbenaggine sua, che, dato appena, lo dimenticò, e indi a breve giaciutosi a mensa mandava per essa, maravigliando della insolita tardanza. Messalina, è da credersi, sarebbe andata, ma la testa mozza le faceva impedimento20.

— Cotesta bontà, invece di giovare, nuoce come quella che non ha base o l’ha fallace, nè ci puoi fare capitale sopra, e quando meno tel pensi ti si sprofonda sotto. La bontà vera è qualità valorosa e consiste nell’atto del gagliardo volere, che tra il buono e il male elegge il bene, e questo con tutti i nervi prosegue. Di tale bontà ebbe difetto Pio IX; l’altra partorita da frivolezza di natura presto sbonzolò; poi aombrando per [p. 43 modifica]paura si arruffò, quindi inacetì e di male in peggio procedendo si gettò a scavezzacollo nelle braccia della tirannide casalinga, che dapprima parve volere spegnere, e della forestiera, che dapprima si era proposto osteggiare rincantucciandosi dietro la cattedra di san Pietro, dove attese a lavorare corone e manette, ordinare dommi e supplizii, Claudio redivivo al cospetto del mondo.

— Ricercando per le storie troveremo difficilmente un papa, che abbia tanto afflitto la Italia con arti maligne, quanto Pio IX con la pretesa bontà sua: ma a parere mio il biasimo maggiore riviene a Vincenzo Gioberti ed agli aderenti di lui, i quali con fallaci dottrine, avventatezza e strepito infiniti cacciarono fuori di strada gli intelletti italiani; e sì che anche un ingegno mediocre bastava vi si fermasse sopra alcun poco per capacitarsi, come i trovati loro non potessero in verun conto accomodarsi col potere temporale dei papi per le faccende di casa, molto meno poi per quelle di fuori.

— I reggimenti temperati rappresentano in certo modo la tregua di Dio fra la tirannide e la libertà, e per poco che dieno ai popoli, non possono impedire l’esame libero delle cose, sia pur vero, ch’egli si deva versare sopra argomenti legislativi o amministrativi. Le libertà, e l’ho detto, sono corde gemelle della medesima lira, nè puoi [p. 44 modifica]toccarne una, senza che tutte le altre vibrino armonia. Ora come farà a sostenere il libero esame un governo, che il divino confondendo con l’umano, già fino ab antiquo volle che fosse dogma immutabile quanto ordinò, e non mica nello spirito ma nella parola eziandio? Il governo della Chiesa romana gli è una vecchia volta fabbricata di mattoni senza calcina; guai a chi ne tentenna un mattone! egli corre risico che tutti gli altri gli rovinino sul capo. Appena nello Stato della Chiesa si fosse posto mano a raddrizzare il becco ai falchi, il mondo avrebbe veduto una cosa stupenda, la quale saria stata questa, che verun governo, nè anco il turco, aveva commesso angherie, spropositi ed altri, ch’io non voglio dire, mali, quanto quello a cui stava preposto il consigliato dallo Spirito Santo. I principi secolari possono, quando ci trovano il conto, confessare i vizii del reggimento loro senza scapito di riputazione, o poco, imperciocchè dov’essi dipendano da ordinanze vecchie, i principi vivi si chiameranno fuori appuntandone i morti, ovvero derivano da provvidenze proprie e allora ne butteranno la colpa sopra i consiglieri, i quali secondo i bisogni si licenziano, s’imprigionano, si fanno dai propri servitori accusare, giudicare e condannare, si bandiscono ed anco nei casi estremi si ammazzano. Non così il papa, imperciocchè egli con tutti i suoi predecessori componga una persona sola [p. 45 modifica]da consiglieri celesti sempre infallibilmente ispirata; ond’è che confessando anche un errore solo, e fosse temporale, non potrebbe impedire che la sua reputazione d’infallibilità non si trovasse esposta a duro cimento. Così hanno per somma sventura il potere spirituale al temporale con nodi inestricabili avviluppato, che industriandoti a scioglierli si corre pericolo di lacerarli, e, come si dice, strappando una pipita far nascere un panereccio. Non essendosi mosso quando era tempo, ormai il governo dei papi si è condannato alla immobilità, e fu miracolo se al primo passo non andò in minuzzoli; tu avrai un bello scriverci sopra — fragilissimo; — avverti quanto vuoi al facchino — posa piano, — tanto non potrai impedire, che non si sbocconcelli. Sint ut sunt aut non sint, non ti hai a figurare, che sia divisa esclusiva dei Gesuiti, bensì comune a qualsivoglia istituto, che si appoggi unicamente sopra l’autorità21.

Tanto per le faccende interne; per quelle di fuori la impossibilità cresce. In vero considera come il papa di faccia ai potentati rappresenti due persone: principe italiano e padre dei cattolici: ora, finchè un individuo solo le rappresenti ambedue elle di leggeri o con poca difficoltà si potranno accordare, piegando l’interesse temporale allo spirituale, reputato gravissimo, o questo a quello secondo la necessità; dividi il [p. 46 modifica]nesso, e fa che ministri tenuti a rendere conto dell’operato amministrino le bisogne dello stato, e tu caschi in gineprai da non cavarne le gambe. Il papa costituzionale deve o non deve ragguagliarsi di quanto i ministri operano? Deve imperciocchè diversamente paleserebbe ogni giorno più la inutilità sua, e a questo non potrebbe acconsentire. Ragguagliato ch’ei fosse, avrebbe diritto per opporsi o no? Lo avrebbe, ed allora i ministri le volontà sue accetterebbero o contrasterebbero: cedono essi, ed eccoli esposti alle accuse dei parlamenti; non cedono essi, ed eccoli licenziati, nè i successori potendo tenere altra via casca addosso allo Stato la necessità della rivoluzione per la parte del principe o dei popoli. Non avrebbe il papa il diritto per opporsi, e allora strano concetto si formerebbero gli stranieri di un principe, in nome del quale si parlano parole, ch’egli disapprova o non consente. Inoltre si ha da considerare, che mentre per questo fatto il governo perderebbe il credito, nè anche il principe si concilierebbe favore, non potendo nè dovendo contare i potentati su tale che conoscendo ed abborrendo il guaio non solo non ci può mettere riparo, ma neanco impedire che in suo proprio nome si faccia. E dove si obbiettasse, questo essere male comune a tutti i governi rappresentativi, si risponde che no; avvegnadio laddove non vi ha contrasto di [p. 47 modifica]cose spirituali, con le temporali, qualche rimedio si trova; che dove vi sono uomini vi sono modi. Accaduto il contrasto, gli è chiaro che bisogna venire a mezzo ferro, e romperla, ovvero sostenere la parte vile quanto burlesca del servo di due padroni, che ad uno dà ad intendere una cosa e a un altro un altra; onde spesso si vedrebbe concedere dai ministri laici, quanto dalla cancelleria apostolica si negasse e viceversa, ed infatti fu visto. Qui dunque giaceva il nodo, il quale non potendo passare il pettine, tira, tira, la canapa strappò. Pretendevano il papa e i cardinali reggere esclusivamente l’officio dei negozii esterni, e bisogna dire che nel concetto di conservarsi si mostravano consentanei alla ragione; i riformatori lo contrastavano, ed era manifesto che insidiavano il potere temporale del papato o non sapevano quello che facevano, ed io credo per lo appunto così. Pare impossibile che a questo non pensasse il Gioberti, ma di lui non mi maraviglio, imperciocchè quando egli dettava il Primato e i Prolegomeni non potevasi immaginare il precipizio dei casi, che indussero la necessità di trasformare il papato in governo costituzionale; bensì mi fa specie Pellegrino Rossi, uomo per acutezza d’ingegno a nessuno secondo, e per di più perito nella pratica delle faccende umane, il quale resse ministro a cose incamminate. Narrasi come papa [p. 48 modifica]Onorio III certa notte dormendo sognasse, che la basilica di san Pietro cascava, e san Francesco da un lato e san Domenico dall’altro con le braccia loro la sostenevano; ma che uomo valga adesso a sorreggerla, Pellegrino Rossi doveva conoscere ciò non potersi fare neppure in sogno. Degli altri non mi sorprende, la più parte di piccola levatura, taluni poi spiriti torbidi e procaccianti, i quali ebbero la rivoluzione in conto del lago di Comacchio, dove frugando si pescano le anguille: dapprima repubblicani larghi di cintura; poi trovandoci il profitto, svicerati delle riforme e morditori canini di quanti sostennero che non avrebbero approdato, per concludere poi come fecero, che il nodo dei negozi esteri apparteneva alla famiglia dei Gordiani; e che per esso erano venuti a conoscere come il governo del papa non lasciasse addentellato da potergli fabbricare accanto. Prosuntuosi parabolani, a cui Dio mandi la malora e il malanno!

Fatto sta (comunque siasi scritto diversamente per altri e per noi), che in sostanza le cose del paradiso (dei preti bene inteso) non si ponno accordare con le terrene. Gl’Italiani che in cima dei loro affetti pongono la Patria plaudono al vecchio sacerdote il quale, brandito il pastorale a foggia di spada, si avventò sopra lo straniero gridando: — fuori il barbaro! — Ma tutto bene considerato, il padre dei fedeli acceso di [p. 49 modifica]procellosissimaira, orrevole di manto pontificio con la barella di terra nelle mani, morto di scarmana all’assedio della Mirandola ci desta un cotal senso addosso, che se non è ribrezzo, molto gli si avvicina: uffici non paionci cotesti di sommo sacerdote, nè sono, e di leggieri pendiamo a credere ch’egli facesse quel tramestio non per zelo di religione e nè manco per amore di Patria, bensì portato da calida natura di cui lo appunta lo storico Guicciardino, eccitata eziandio dal bere soverchio; onde Luigi XII, nonostantechè cristianissimo si fosse, soleva chiamarlo spiattellatamente papa briaco.

— Pertanto io opino che a buon diritto il papa possa, anzi credo che debba praticare la dottrina, della quale fece professione Pio IX in cotesta sua famosa enciclica dello aprile 1848, dacchè essendo padre di tutti i fedeli non può spingere una parte in esterminio dell’altra; come vicario di Cristo egli deve abborrire dalla effusione del sangue cristiano: e va bene.

Ma va troppo meglio quest’altro. Perchè il papa eserciti dirittamente il solenne ministero bisogna che si sceveri da qualunque mistura terrena; rimanendo, com’egli faceva, intricato con gl’interessi mondani cotesto partito compariva assurdo e non sincero. Insomma egli era pur forza che il papa, come principe temporale, significasse in qual modo [p. 50 modifica]intendeva tutelare i proprii sudditi nella contingenza dei casi; diversamente avrebbero o dovuto imprendere da per loro stessi la propria difesa o darsi in balìa del primo occupante, cose entrambe lesive al sommo imperio. Costretto pertanto Pio IX ad onestare l’assurdo della sua condizione si schermiva con un ripiego assurdo del pari, dimostrando vieppiù come rimanga senza uscita il mostruoso accoppiamento del temporale con lo spirituale. Consisteva il ripiego in questo, che solo allora avrebbe impugnato le armi, quando si fosse trattato di difendere i proprii dominii. Starebbe fresco quel principe, il quale per tutelare i suoi stati attendesse con le mani alla cintola i nemici grossi e minacciosi ai confini; le arti di stato consistono appunto nel prevedere e prevenire siffatte estremità, imperciocchè nate che sieno tu non sei sicuro di vincerle, e vincendole ancora, colto alla sprovvista, non lo puoi fare senza gravissimo incomodo e forse rovina dei popoli; però in ogni tempo fu sagace provvidenza dei governi adoperarsi a tutt’uomo, affinchè la bilancia fra gli esterni potentati si osservasse, essendo ormai per esperienza conosciuto che quando uno di questi trasmodi, più presto o più tardi te lo puoi aspettare in casa. Però, bisogna dire che la dottrina delle armi canonicamente prese per la protenzione de’ suoi stati nel concetto del papa Pio IX si estendesse fino [p. 51 modifica]al riscatto di quelli che una volta gli appartennero o pretendeva gli appartenessero, imperciocchè non è dubbio che le armi pontificie condotte dal generale Durando per ordine espresso o per secreta insinuazione di lui dovessero spingersi al Polesine di Rovigo, provincia occupata adesso dall’Austria e posseduta altra volta dalla Chiesa, come Modena, Parma, Avignone ed altre parecchie. Però le necessità del difendere come del redimere si allargano molteplici, e, sto per dire, infinite, cosicchè la limitazione sofistica messa in campo dal papa non regge, trovandosi egli, eccetto il caso della conquista, in tutto uguale agli altri potentati secolari.

Nè compariva appunto meno assurdo lo empiastro proposto da coloro che usurparono nome di Moderati e dovevano chiamarsi matti, i quali avrebbero voluto che il governo del papa, per tutto quanto concerne la guerra, si conducesse a modo suo senza conferirne con sua Santità, dacchè di lieve si comprenda come per questo espediente si venisse a rompere l’impero in mezzo alla schiena ed i corpi sieno fisici, sieno morali tronchi in due non possono reggere, oltrechè non avrebbe sortito effetto efficace dentro nè fuori: non dentro per essere insufficiente ad acchetare la coscienza del papa (se di coscienza fosse stato proposito), il quale avrebbe sentito, che o egli facesse il danno con le proprie mani o te lo lasciasse [p. 52 modifica]fare, ell’era tutt’una; non fuori, perchè l’Austria, visto che il papa non voleva o non poteva impedire le offese, le sarebbe venuto in uggia come se le avesse egli medesimo ordinate.

— E come il concetto del papa apparve assurdo in quanto alla politica e non sincero, così è contrario alla dottrina di Cristo, la quale nega si sparga sangue da’ suoi apostoli anche per propria difesa; e questo si ricava dalla bocca di Gesù quando comandò a Pietro di mettere in tasca il coltello che aveva tagliato l’orecchio a Malco. Io so bene che san Giovanni prescrive ai fedeli: scrutate le scritture, e Roma dice: non le scrutate, ma che Roma si attentasse fino a dare la mentita a Cristo io non vorrei credere. — E per altra parte mi mette la pulce dentro l’orecchio questo pensiero: i sacri canoni vietano le caccie ai preti, come quelle che dispongono gli animi alla ferocia, e fa amarezza vedere i ministri del Dio pacifico con le mani tinte nel sangue delle Bestie, le quali pure sono creature del Signore: insomma nè più nè meno di quanto Pitagora insegna. Dall’altra parte i diarii ci riportano quotidianamente ammazzati per ordine del papa uomini e cristiani. Nè vale opporre: trattasi qui di colpevoli, mentre gli Uccelli sono innocenti; dacchè reo fu anche Malco, nè il divieto di Cristo si fonda su la qualità del sangue, bensì sull’orrore del [p. 53 modifica]sangue versato. Ma l’assurdo cesserà prima di partorire contraddizioni che manchino a Roma i Raimondi da Pennaforte sempre pronti a concordare le cose e i canoni discordanti.

— Pertanto non biasimo il papa Pio IX pei sensi palesati nella enciclica dell’aprile 1848; al contrario lo lodo; bensì lo biasimo per avere aperto il doccione ed essersi sbigottito dell’acqua che ne schizzava; lo biasimo per non avere pensato, che dopo il piè viene il calcagno; lo biasimo, perchè caso mai ci avesse pensato, stornando con subito voltafaccia mandò in rovina la fama e la Patria; lo biasimo per avere provocato il desiderio di liberare da uno straniero la Patria, e finito col chiamarcene tre; anzi quattro; lo biasimo per avere conosciuto le miserie d’Italia, promesso e fatto vista di alleviarle, per isprofondarla poi in guai peggiori a mille doppi di prima. Gregorio XVI forse davanti a Dio potrà scolparsi dicendo: ignorava; non lo potrà Pio IX; pure è giusto che in questo mondo e nell’altro il carico del primo sia trovato centocinquanta milioni di libbre meno peso che quello del secondo.

— Concludendo dico, che le odierne condizioni della nostra terra infelice devono attribuirsi meno al papato che a quelli i quali, postergata prosuntuosamente la dottrina dei padri, in lui si commisero; avendolo [p. 54 modifica]costituito pietra angolare dello edifizio e chiave della vôlta, di leggieri potemmo presagire, che esso venendo a mancare gli avrebbe tenuto dietro lo scompaginamento della redenzione italiana, imperciocchè i cervelli del popolo persuasi a credere, che senza lui non si potesse fare, per la sua ritirata sentirono inestimabile diffalta di forza, e la macchina governativa messa sottosopra, mentre più urgeva il bisogno che stesse unita, non potè procacciare che gli ordini interni si osservassero, nè prendere provvisioni gagliarde da condurre fuori la guerra grossa ed estrema. Errore nei principii pari, ma nelle conseguenze più grave di quello che commise Napoleone quando raccolse da terra il papa e lo rizzò su in piedi, affinchè lo ungesse, lo incoronasse, e dopo che da lui eransi rotti i vincoli i quali lo univano ai popoli, con non so quale uncino lo appiccasse al paradiso. Più tardi quel cadavere gli cascò addosso e se non valse a precipitarlo solo, unito alle altre cause gli nocque non poco. Noi altri poi oppresse con tutto il peso, che gli avevamo dato; mai pena al mondo seguitò così da vicino la colpa, nè che tanto fosse miserabile, nè tanto acerba a soffrirsi.

· · · · · · · · · · · · · · · · · · · ·

— Eppure ci fu un giorno e ci fu un’ora, in cui Pio IX, assunto carattere di verace vicario di Gesù Cristo con incremento inestimabile della fede, esaltazione della morale [p. 55 modifica]pubblica, conforto della umanità, pace del mondo, gloria del suo nome imperitura avrebbe potuto, veste ed anima candide, assiso sopra l’altare di san Pietro bandire alle genti: — maledetto l’uomo, che tiene oppresso l’altro uomo, ma a mille doppi il popolo, che contrista nella soggezione un altro popolo. Gesù Cristo ordinò ai popoli come fratelli si amassero; guai a coloro, che questa fratellenza convertono in quella di Caino e di Abele! Fratelli siete in ispirito di carità, nella misericordia e nella gioia. Dio padre creò prima le terre e poi gli uomini convenienti a quelle, e con le terre fece le lingue capaci a distinguere le razze diverse; alla Iberia donava la cintura di tre mari, e i Pirenei che lei separassero dalla Francia, e la favella, affinchè le sue genti fra loro si sovvenissero e a loro bastassero; la Francia ricinse con due mari, col Reno e con le Alpi, e i Pirenei divise dandole idioma accomodato alla sua indole; la Italia disegnò più distinta formandola penisola; ora, ond’è mai che mentre gli Spagnuoli abitano la Spagna, i Francesi vivono in Francia, gli Alemanni occupino parte d’Italia? Ond’è che per mantenercisi adoperino le arti della oppressione,le confische, gli esilii,le prigionie, le morti e poi dopo peggio di questo assai le corruttele? E delle arti corrompitrici si vantano come se qualche immenso sforzo avessero commesso! Ah! chi versò il sangue [p. 56 modifica]cristiano davanti la sua porta ebbe sempre il costume di passarci la spugna, sia perchè a lui medesimo cacciasse spavento, sia perchè altri nol vedesse e maledisse o accusasse! L’Austriaco non lava il Sangue; poco gl’imporla questo; con arti vili presume soffocare l’urlo del sangue, che gli grida: assassino! E che manca a voi barbari stranieri, perchè vi ostiniate a contristarci col vostro aspetto? Forse vi orbò la Provvidenza di terre feconde di biade, di colli lieti di vigne, di fiumi, di porti; insomma di quanto giova a prosperare l’uomo quaggiù? Mai sì, voi li possedete e a paragone di ogni altra gente nel mondo abbondevoli. Perchè lasciate le vostre mense per divorare l’altrui sostanza? Perchè lasciate le case, dove vi consola l’aspetto della madre e delle sorelle, per entrare alle case di coloro che vi odiano? Se vi spinge l’avarizia, omai per esperienza dovreste avere provato come la tirannide stremando altrui stremi se stessa. Sgombrate dunque le contrade italiche: qui devono vivere e qui morire in pace uomini italiani; riducetevi nei confini che vi assegnò la Natura. — Questo ordinò Dio creatore, e vi significo io suo Vicario in terra. —

— Le sue parole sarebbero parute di Dio tutte, perchè quale interesse mondano gliele avrebbe ispirate? Dall’altare di san Pietro, su cui siede sacerdote e giudice, in fuori egli non possiede terra dove si semini [p. 57 modifica]e dove si raccolga. La tedesca rabbia avrebbe pur dovuto mansuefarsi, imperciocchè gli anatemi avventati dalla giustizia e dalla ragione, è da credersi, che non fossero per ardere meno di quando gli arroventarono la cupidità e lo errore.

— Ma quel tempo è passato, e non tornerà più. Il papa dice alla recisa — io sono il cancro d’Italia e ci vo’ stare; poichè sotto di me non può unirsi nè vuole, io la manterrò perpetuamente divisa, serva ed infelice. —

— Perpetuamente! Questa non è parola conveniente alle lingue che muoiono. Le ale della morte ti si distendono sopra. Tutti i Santi del paradiso ad uno ad uno ti passano davanti e scuotendo le mani contro di te quasi per ispruzzarti di maledizione gridano — muori! — Or via adàttati a morire; imita l’atto onesto di Anna Bolena, che tu pure una volta infamasti baldracca: costei prima di presentare il collo al carnefice si acconciò il lembo della veste, onde nei moti convulsi restasse illeso il matronale decoro. Uomo o donna, che porti sottana, ha da badare, cadendo, non si rivelino allo scherno delle genti le proprie vergogne.

— Lo so, lo so: a te pare che il sangue dei tuoi figliuoli sparso da te ti abbia rinnovato la vita; vanti mancipii due imperii; ostenti trionfi; conviti i popoli a contemplare operato in te il miracolo della Fenice. — [p. 58 modifica]

— Il tisico ha il curato con l’olio santo in anticamera e si lusinga col disegno di viaggi da imprendere o confortarsi con le delizie della villa. Così tutti i tisici. Il principe Potemkin sentendosi presso al morire e volendo evitare la morte, è fama che entrando in posta scappasse via alla dirotta. La morte lo precorse con un passo dieci miglia e stette ad aspettarlo sotto un albero: qui giunto ella gli disse — scendi e muori. — Egli scese e morì. Lord Sturman consumato dal morbo tenta deludere la morte, facendosi radere la barba, incipriare i capelli e imbellettare le pallide guance; mentre intumidisce nella nuova speranza, la morte recasi sotto i denti il filo della sua vita e lo taglia.

— A che montano discorsi? Se la esperienza non falla, questo è sicuro: co’ chiodi stanno i Cristi in croce, non già i popoli nella potestà degli oppressori, e il papa a conficcare il suo ne chiamò quattro, come costumavano co’ loro Cristi i Greci; adesso, licenziati gli altri, ne rimangono due; fa che caschino e vedrai di che razza amore portino i Romani ai preti. Intanto appuntellandosi sopra armi straniere il papa palesa espressamente la convizione, nella quale egli è, che senza di quelle non si reggerebbe un’ora; nè parole bastano ad orpellare il fatto. E ciò rispetto al temporale; in quanto allo spirituale, l’autorità fondata sul dogma [p. 59 modifica]quante volte o per manco di senno o per necessità scende a discutere è cosa persa; l’autorità non patisce esame. Questo bel soccorso portarono i Gesuiti al papato coll’anacronismo della Civiltà cattolica, diario che addormenterebbe gl’ingegni co’ sofismi, se non addormentasse prima gli occhi col fastidio. E già paiono gl’incauti Padri conoscere il danno avere superato il profitto; dacchè pretendono libero l’esame, a patto però di essere esaminatori eglino soli; e poi su certi punti schivano la disputa, allegando che come assiomi sacrosanti voglionsi riverire, non discutere: come se chi combatte possa scegliere le armi e il luogo della zuffa e per di più mettere per condizione, che l’avversario si presenti in battaglia con una o con tutte le mani legate. Il campo ormai è schiuso, la disputa incominciata, e bisogna parare col capo il sasso che i Padri, troppo diversi (anche in fatto di volpe) da quello che furono prima, hanno gittato per aria. Le armi straniere, e il diario della Civiltà cattolica porgono certissimo segno, che il papato s’infracida. Urlate e dimenativi quanto sapete, o preti, voi siete putrefatti .

APPENDICE AL § IX.

Nell’anno della salutifera incarnazione 1857 e questo di 4 marzo io scrittore [p. 60 modifica]dell’Asino altifato (stile austro italico) ricordo avere letto certa querimonia di S. E. il conte Buol ministro delle faccende esterne per lo Impero dell’Austria contro gli scellerati italiani che in Piemonte e fuori commettevano il delitto atrocissimo di non potere a patto alcuno sopportare la presenza degli Austriaci in Italia; di credere che debbano tornarsene a casa a badare ai fatti loro: ingegnarsi, poichè con le buone non la vogliono intendere, mandarceli, potendo, con le cattive. Ricordo eziandio avere letto la risposta che a cotesta querimonia dava il conte Cavour; egli è probabile che tenendo io il ministero degli esteri di S. M. Sarda, pei rispetti e i sospetti i quali insieme ai dispetti governano il mondo, secondo che soleva dire Cosimo dei Medici primo granduca di Fiorenza, non avessi potuto nè saputo fare altrimenti: ma come piace a Dio, essendo persona privata, se il conte Buol avesse esposto a me la sua dimostranza, io gli avrei detto così: — Eccellenza! io mi sento tanto più lieto di chiarire la E. V., quanto che mi occorre la risposta alla sua proposizione bella e fatta in Italia da trecento e più anni a questa parte; e la si figuri da cui? Io gliela do in mille a indovinare: veda! da messere Ludovico Ariosto nell’Orlando furioso. — Come! in quel poema, dove l’eminentissimo cardinale Ippolito d’Este trovò tante...? — E non ci [p. 61 modifica]erano. La risposta si legge nel canto IV, stanza 34, dove Bradamante, al mago Atlante che vinto e incatenato mette fuori un visibilio di ragionacce, non però come quelle di V.E., per tenere prigione Ruggiero, dice alla ricisa:

 «.....lui vo’ porre
In libertà; tu, se sai, gracchia e ciancia. —»

Qui parmi che il ministro austriaco contrapponga: — voi dimenticate che Bradamante avea vinto e legato il Mago Atlante, mentre nel caso nostro noi vincemmo ed incatenammo voi. — Questo è parlare chiaro; e così va bene; V.E. su questo tasto ha ragione da vendere; ma l’Ariosto prevede la obbiezione e ci risponde. Compiacciasi la E. V. di guardare qui al canto XXXIII, stanza 42. —

«Vedete poi l’esercito che sotto
La ruota di fortuna era caduto,
Creato il nuovo re, che si prepara
Dell’onta a vendicar ch’ebbe a Novara.
»

Gli uomini di Stato, signor Conte, quando anco abbiano compiaciuto la santa Sede co’ concordati come V.E. stimò suo interesse di fare, non possono ottenere indulgenza plenaria per gli assurdi che dicono, imperciocchè io non mi persuaderò mai che [p. 62 modifica]l’E. V. pensi potere gl’Italiani accomodarsi in eterno co’ suoi tedeschi, andare indifferenti al dolore ed alla vergogna della dominazione straniera, credere torni in massimo loro vantaggio dividere con gente nemica un pane già scarso sopra la propria mensa, dimenticare le immanità, gli strazii, i parenti a sangue freddo trucidati; no, V. E. nè pensa, nè altri estima che pensi, la forza e la frode, anzi più questa che quella, darle autorità di conculcare un popolo perpetuamente. La forza partorisce il fatto, non il diritto. Costà in Germania visse, Eccellenza, si degni rammentarlo: Herman o Arminio, cui i popoli alemanni ed ella, signor Conte, inclusive, meritamente celebrano eroe, perchè combattè i Romani e lasciò insepolte le ossa delle legioni di Varo in mezzo alla foresta e ai paduli; ella, signor Conte, ed i suoi compagni così facendo operano da quei valentuomini che sono; lasci anche a noi la facoltà di desiderare il nostro Arminio: gli antichi nostri vantarono, non vituperarono il suo; ed è questo esempio imitabile di onestà anche per lei. Impedire che ciò avvenga è fatto suo, nostro che sia; attraversarci può tornarle utile, signor Conte, giusto mai; ma dolersene, ma muoverne querele non è da uomini di Stato, bensì, col dovuto rispetto parlando, da bambini insolenti e stizzosi.


Note

  1. [p. 65 modifica]Animali antidiluviani descritti dal Cuvier.
  2. [p. 65 modifica]Tito Livio, l. 22.
  3. [p. 65 modifica]Plin. l. 8
  4. [p. 65 modifica]Però se diamo retta a Plutarco, cotesti sagrifici furono fatti prima della seconda guerra punica, e in occasione della guerra contro gli insubri. Vita di Marcello. Innanzi la battaglia di Salamina per auspicii dell’Augure Eupantide furono sacrificati a Bacco Omeste tre figli di Sandauce, sorella del Re, presi da Aristide a Psittalea. — Plutarco, in vit. Aristid. et Pelopid.
  5. [p. 65 modifica]Val. Maxim., l. 7. c. 3, n. 4.
  6. [p. 65 modifica]Che questo nei tempi barbari costumassero gli Ebrei non sembra potersi revocare in dubbio: fra i moderni scrittori ne parlano. A. Machiewitz, e Jacob il bibliofilo. — Diligenti ricerche ci hanno chiariti, come questa immanità non pure non consentano, ma vietino le leggi ebraiche: se qualche setta iniqua l’abbia praticata, non è sicuro; e in ogni caso allora sarebbe follia e ferocia di qualche uomo— belva, non punto rito di popolo.
  7. [p. 65 modifica]Note al l. 30 di Plinio, edizione del Pancoccke
  8. [p. 65 modifica]

    Porro, et cepe nefas violare, ac pangere morsu
    O sanctas gentes quibus hæc nascuntur in hortis
    Numina.
     Juvenalis, Sat. 16.

  9. [p. 65 modifica]Ibidem.
  10. [p. 65 modifica]S. Gervais, Op. cit. t. 1.
  11. [p. 65 modifica]Ibidem
  12. [p. 66 modifica]Ibidem.
  13. [p. 66 modifica]Firenzuola, Prose scelte, p. 86.
  14. [p. 66 modifica]Ibidem.
  15. [p. 66 modifica]Vita del maresciallo Bassompierre.
  16. [p. 66 modifica]Ibidem.
  17. [p. 66 modifica]Alessandro Tassoni dopo ch’ebbe servito la corte, si fece dipingere con un fico in mano: sotto poi vi mise il seguente distico:

    Quæris cur mea ficum gerat dextera inanem!
    Quæris? Merces longi laboris fuit. Aula dedit.

  18. [p. 66 modifica]Leibnizio soleva dire non essersi mai imbattuto in libro, il quale per quanto scellerato si fosse non contenesse in sè alcuna cosa di buono: conobbi a prova la verità di questa sentenza quando nel Zibaldone dettato in lingua di scali di Levante di un certo coso chiamato Marchese Filippo Gualtiero da Orvieto, trovai come il Cardinale Bernetti pochi giorni dopo che ebbe resignato l’officio di segretario di stato ricevesse in dono dalla repubblica dell’Equatore un corno di Rinoceronte; ond’egli motteggiando diceva: avere guadagnato nel suo governo un corno; e non era vero, imperciocchè ci avesse guadagnato due altre cose, ed erano l’ira di Dio e l’abbominazione degli uomini.
  19. [p. 66 modifica]Riferire il giudizio dei divini ingegni italiani in proposito, lungo tornerebbe e vano; meno noto il detto di Bonaparte ai Deputati delle Romagne quando le divise in tre sezioni, che chiamò. del Metauro, del Miseno, e del Tronto: — io vidi i vizi dell’amministrazione dei vostri preti. Gli ecclesiastici il culto regolino e l’anima, insegnino teologia, e basta. — Italia scade, dacchè i preti pretesero governarla. Cantù, Storia di 100 anni, t. 2, p. 213.
  20. [p. 66 modifica]Svetonius, Paul in Claudio.
  21. [p. 66 modifica]A proposito di Gesuiti noi li dobbiamo ringraziare di questo, che e’ fu proprio mercè loro, che il dogma della infallibilità papalina ebbe tale conferma, per cui omai anche i più ostinati bisogna che cedino le armi. — Papa Clemente XIV nel 1773 soppresse i Gesuiti; — Pio VII nel 1814 gli [p. 67 modifica]restituì. Papa Clemente nel levargli via diceva averlo fatto: ispirato dallo Spirito Santo e dal dovere di ricondurre la concordia nella Chiesa; papa Pio nel rimetterli assicura: Il mondo cattolico ad una voce domanda la restituzione dei Gesuiti, e confessa la copia dei frutti di questi apostoli in tutte le contrade.
      Papa Clemente nel mandarli al diavolo ci fa sapere che oltre l’espresse egli aveva; altre cause, che la morale ci comanda di chiudere nell’anima, sopprimiamo, ec.; papa Pio nel ritornarli agli antichi covi o conventi predica: ci riputeremmo colpevoli di grandissimo delitto difaccia a Dio se negli infiniti pericoli della repubblica cristiana noi trascurassimo i soccorsi che ci accorda la provvidenza speciale di Gesù, Cristo, e se posti nella barca di S. Pietro agitata ed assalita da procelle continue noi ricusassimo adoperare rematori esperti e gagliardi, offertisi spontanei a rompere i marosi che minacciano incessanti il papato di naufragio e di Morte.
      Innanzi di procedere oltre in questo parallelo d’infallibilità, io supplico i miei divoti lettori a notare come i Gesuiti nella barca di S. Pietro faccian l’ufficio di bastonare i pesci, aliter di Galeotti; su di che mi riporto al Giudizio di papa Pio; e se i reverendi padri se ne chiamano contenti, quanto a me non faccio ostacolo.
      Papa Clemente abrogando i Gesuiti dichiara: — in virtù della nostra Autorità sovrana in materie religiose distruggiamo per sempre la società di Gesù, le sue pensioni, i suoi istituti. — Papa Pio reintegrandoli bandisce. — determinati da cause cotanto gravi abbiamo decretato di certa scenza, ed in virtù della pienezza del potere apostolico, da valere imperpetuo, che tutte le concessioni, privilegi facoltà e diritti concessi ai Gesuiti dello Impero di Russia e del Regno delle Due Sicilie si estenderanno a quelli dei nostri Stati ecclesiastici. Dunque chi di quei due infallibile? Udirono [p. 68 modifica]entrambi lo Spirito Santo o non lo udì nessuno! Può egli supporsi che lo Spirito Santo all’uno abbia sussurrato nelle orecchie una cosa, all’altro un’altra? Lo Spirito Santo per avventura diventò il Costitutionnel, e gli altri diarii suoi fratelli di Francia, che mutano musica col Maestro di Cappella? Chi fù lo ingannato? Chi lo ingannatore? In ogni evento come torna in chiave il dogma della infallibilità papalina? Io ci spenderei intorno fino una palanca se qualche dotto e pio religioso volesse chiarirmi questo dubbio che turba i miei sonni, e fa, haimè! passarmi dei giorni pur troppo amari.