L'avvenire!?/Capitolo diciannovesimo

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Capitolo diciannovesimo

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Edward Bellamy - L'avvenire!? (1888)
Traduzione dall'inglese di Anonimo (1891)
Capitolo diciannovesimo
Capitolo diciottesimo Capitolo ventesimo
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CAPITOLO DICIANNOVESIMO




Una passeggiata mattutina mi condusse a Charlestown; e fra le molteplici trasformazioni che caratterizzavano in questa parte della città il corso d’un secolo, osservai anzitutto la sparizione completa delle antiche carceri di stato.

«Furono demolite prima che nascessi, ma mi ricordo d’averne sentito a parlare,» disse il dottore, quando gliene parlai a colazione. «Noi non abbiamo più carceri, tutti i casi di atavismo sono curati negli ospedali».

«Di atavismo!» esclamai, fissandolo.

«Certamente,» replicò il dottor Leete «al pensiero di castigare questi infelici si rinunciò già da cinquant’anni, e credo ancor più».

«Non vi comprendo,» dissi. «L’atavismo era parola, che a miei tempi si riferiva a persone in cui si manifestava in modo sorprendente un tratto del carattere di un avo lontano; devo io comprendere che oggi si considera il delitto come una manifestazione di ciò?»

«Prego di scusare,» disse il dottor Leete con un sorriso umoristico, «poichè mi fate una domanda tanto precisa, sono costretto di dirvi che le cose stanno proprio così». [p. 108 modifica]

Da ciò che avevo sentito, circa i contrasti morali fra i secoli 19 e 20, era stolido da parte mia il mostrare suscettibilità per qualche cosa, e probabilmente, se il dottor Leete non avesse parlato in modo così scusabile, e se la signora e signorina Leete non fossero rimaste così confuse, non avrei arrossito come sentì d’averlo fatto.

«Non è pericoloso per me,» dissi «d’essere superbo della mia generazione, ma veramente...».

«La vostra generazione, signor West,» interruppe Editta, «è quella in cui voi vivete e solo perchè anche noi viviamo adesso, la chiamiamo nostra».

«Vi ringrazio e proverò di pensare in questo senso,» dissi e quando i miei occhi incontrarono il suo sguardo, l’espressione di esso guarì la mia suscettibilità. Malgrado ciò, dissi ridendo: «Io fui allevato calvinista e non mi dovrei stupire, sentendo, che si parla del delitto come d’un tratto del carattere degli avi».

«In realtà», disse il dottor Leete, «l’uso di questa parola non è un rimprovero per la vostra generazione, se noi possiamo, col permesso d’Editta, chiamarla vostra, per quanto sembri significare che noi ci teniamo per migliori di voi. A’ vostri tempi i diciannove ventesimi dei delitti, comprendendovi tutti i generi di delitti nell’ampio senso della parola, erano la conseguenza dell’ineguaglianza nei possedimenti; il bisogno spingeva i poveri al furto; il desiderio a maggiori guadagni induceva in tentazione l’agiato; direttamente o indirettamente, era la brama del denaro, che allora importava molto ed era tenuto in gran conto, il motore di tutti i delitti, la radice di una grossa pianta velenosa, che minacciava di soffocare la vostra civilizzazione malgrado che il meccanismo di tutte le leggi, della giustizia e della polizia, s’affaticasse per sradicarla. Facendo la nostra nazione, sola amministratrice delle ricchezze del popolo, sparì la povertà e venne impedita l’accumulazione per parte dei ricchi; così fu tagliata la radice e la pianta velenosa, che soffocava la nostra società, subito appassì.

I delitti contro la persona, senza riguardo al guadagno, si limitavano ai vostri tempi quasi unicamente agli ignoranti ed agli [p. 109 modifica]incolti, mentre oggi che l’educazione ed i buoni costumi sono generali, e non limitati a pochi, come nel secolo XIX, non si sente quasi mai a parlare di queste brutalità. Concepite ora perchè la parola atavismo sia impiegata per delitto, perchè cioè a quasi tutte le forme di colpa manca il movente; e se si presentano, non possono essere spiegate che come conseguenza dei tratti di carattere degli avi. Solevate chiamare Cleptomani coloro che rubavano senza un motivo ragionevole, e, verificato il caso, credevate una pazzia il castigarli come ladri. Il vostro atteggiamento davanti al vero Cleptomane è appunto precisamente il nostro di faccia alla vittima dell’atavismo, un atteggiamento di compassione e di violenza forte, ma indulgente».

«I vostri tribunali hanno buon tempo adesso», osservai. «Senza proprietà particolari degne di menzione, senza litigi fra cittadini per rapporti commerciali, senza divisioni di beni stabili nè riscossione di debiti, non devono aver alcun affare civile; e senza trascorsi contro la proprietà e pochissimi casi criminali, sono d’opinione che potete fare a meno dei giudici, degli avvocati e dei procuratori».

«Naturalmente non ce ne occorrono,» fu la risposta. «Non ci parrebbe ragionevole che in un caso, dove l’unico interesse della nazione consiste nello svelare la verità, prendessero parte delle persone che hanno il compito prestabilito di velarla.»

«Ma chi difende gli accusati?»

«Se è un delinquente, non ha bisogno di difesa, poichè nella più parte dei casi, egli stesso si riconosce colpevole,» rispose il dottor Leete. «La difesa del colpevole, non è presso di noi una semplice formalità, come ai vostri tempi: essa è solitamente la fine del dibattimento».

«Non temete dunque che l’uomo che non si riconosce da sè stesso colpevole, venga conseguentemente assolto?»

«No, questo non lo penso. Egli non vien accusato per ragioni futili, e, quando nega la sua colpa, allora ha luogo il dibattimento. S’egli depone falsamente, e la sua colpa è riconosciuta, il castigo vien raddoppiato; la menzogna presso di noi è tanto sprezzata, che i malfattori non mentono tanto facilmente per salvarsi.» [p. 110 modifica]

«Questo è il più sorprendente di quanto mi avete detto sinora,» esclamai. «Se la menzogna è fuori di moda, qui è realmente il nuovo cielo e la nuova terra, dove regna la probità, come ha predetto il profeta».

«Così credono anche altri,» aggiunse il dottore. «Voi vi figurate che viviamo nel paradiso, e la teoria dal nostro punto di vista è totalmente plausibile; però non occorre che vi sorprendiate tanto perchè il mondo ha disimparato di mentire, per questo non c’è veramente motivo. Anche ai vostri tempi la menzogna fra signori e signore dello stesso rango sociale, non era generale.

La menzogna della paura era il riparo della viltà, e la bugia dell’inganno era l’artifizio del mariuolo. L’ineguaglianza delle posizioni sociali, ed il desiderio di guadagno, assicuravano sempre una ricompensa alla bugia, a quel tempo; epperò, anche allora, colui che non temeva il suo simile e che non voleva ingannarlo, rifuggiva dalla menzogna. Siccome ora siam tutti uguali, e nessuno ha nulla da temere dagli altri, nè ha bisogno d’ingannare il simile, non avendo niente da chiedergli, la menzogna è sì generalmente disprezzata, che, come già vi dissi, persino un malfattore non mente che ben raramente. Quando dunque s’è dichiarato che un accusato non è colpevole, il giudice nomina due colleghi i quali devono esaminare l’altro lato del caso. Potete vedere quanto questi uomini siano dissimili dai vostri avvocati e dai vostri legulei, che aspiravano soltanto all’assoluzione od alla condanna, dal fatto che se quei due non vanno d’accordo sulla giustezza del verdetto, il caso deve essere nuovamente esaminato; l’ombra soltanto di una parzialità in un giudice, sarebbe una vergogna».

«Se ho ben compreso,» chiesi, «tanto quello che presenta la causa, quanto quello che la tratta, son giudici?»

«Sì certamente. I giudici sono alternativamente giudici ed avvocati, e si esige che conservino sempre la loro equanimità, presentino essi la causa o la sciolgano. Il sistema è propriamente quello di un negoziato fra tre giudici, ognuno dei quali osserva il caso da un punto di vista diverso. Se essi son d’accordo sopra [p. 111 modifica]un punto, potete credere che esso sarà, quanto più umanamente è possibile avere, vero.»

«Avete dunque rinunciato al sistema dei giurati?»

«Esso poteva servire di correttivo al tempo degli avvocati prezzolati, e dei giudizi talvolta dipendenti, ma ora è inutile. I nostri giudici non possono essere guidati che dall’equità».

«Come vengono scelti quegli impiegati?»

«Essi fanno un’onorevole eccezione alla regola che, a 45 anni ogni uomo è libero dal servizio. Il presidente elegge ogni anno i giudici necessari, scegliendoli nel numero di coloro che han raggiunto quell’età. Il numero degli eletti è naturalmente minimo, ma l’onore è talmente grande che vale come compenso per l’accrescimento del tempo di servizio, e, benchè si possa ricusare la nomina di giudice, ciò non accade quasi mai; il tempo di servizio è di cinque anni, prima dei quali il giudice non può venir rieletto; i membri dell’alta camera di giustizia, che sono i guardiani della costituzione, sono scelti fra i giudici minori. Quando rimane vacante un posto in questa camera di giustizia, i giudici minori, il cui termine è vicino, scelgono fra i compagni che rimangono in servizio, quello che a loro pare più adatto».

«Non essendovi professioni che valgono come scuola per i giudici,» dissi, «essi devono passare direttamente dalla scuola di legge al banco giudiziario».

«Noi non abbiamo scuola di diritto,» aggiunse il dottore. «Il diritto come scienza speciale non è più in uso. Era desso un sistema di casuistica, necessaria al vecchio ed artistico ordine della società; oggidì adoperiamo soltanto alcuni dei più chiari e più semplici principi legali. Tutto quanto concerne i rapporti reciproci degli uomini, è di molto semplificato; oggi non abbiam più bisogno degli scienziati che, ai tempi vostri, sedevano in tribunale. Non dovete però credere che noi non apprezziamo quegli uomini, ben al contrario; abbiamo una profonda stima per tutti quei dotti che, soli, giungevano a comprendere l’infinita complicazione del diritto di proprietà, delle relazioni commerciali e delle dipendenze personali. Le [p. 112 modifica]dissertazioni dei vostri grandi legali, le opere di Blackstone e di Chitty, di Story e di Parsons, si trovano nei nostri musei accanto a quelle di Duns, Scotus e dei suoi scolari; esse vengono considerate come monumenti di acutezza mentale sopra soggetti che non interessano più l’umanità moderna.

I nostri giudici sono semplicemente uomini discreti e di età matura, di cognizioni molteplici e capacissimi di dare un giudizio.

Devo inoltre parlarvi di un’importante funzione dei giudici minori,» aggiunse ancora il dottor Leete, «cioè dei casi in cui un soldato semplice dell’esercito industriale si lamenta di un’ingiustizia di un ufficiale. Queste quistioni son generalmente trattate da un giudice solo; soltanto nei casi complicati se ne richiedono tre».

«Col vostro sistema un tal giudizio è necessario, poichè, da voi, un uomo che venga trattato ingiustamente non può lasciare il suo posto, come si soleva fare ai tempi miei,» soggiunsi.

«Certamente che lo può,» mi rispose, «non solo egli è certo di essere imparzialmente ascoltato ed aiutato; ma se non va d’accordo col suo superiore, può benissimo ottenere di venir cambiato di posto. Col vostro sistema un uomo poteva, è vero, lasciare il suo posto, se il suo principale non gli piaceva, ma con ciò perdeva il suo mezzo di sussistenza. Uno dei nostri operai, che si trovasse in una posizione spiacevole, non ha bisogno di rischiare il suo unico mezzo di mantenimento per esser trattato meglio. L’industria esige una disciplina severissima nell’esercito lavoratore; ma il diritto che ogni operaio ha di esser trattato con giustizia e riguardi, è più potente della nazione. L’ufficiale comanda ed il soldato ubbidisco; ma nessun ufficiale ha il diritto di mostrarsi superbo con un operaio della classe minore. Se un impiegato agisse rozzamente nei suoi rapporti col pubblico, potrebbe esser certo di venir prontamente castigato. Non è soltanto la giustizia che esigono i nostri giudici; essi vogliono anche la cortesia. Per quanto lodevole sia il servizio prestato da una persona, non le si permetterà mai un procedere grossolano ed offensivo». [p. 113 modifica]

Mentre il dottor Leete parlava, mi venne in mente ch’egli mi aveva detto molte cose riguardo alla nazione, ma che non mi aveva mai parlato riguardo al governo degli stati. Gli chiesi quindi: «L’organizzazione della nazione ha forse abolito i singoli stati, riducendoli ad un unità industriale?»

«Per forza», rispose egli; «i governi dei singoli stati avrebbero pregiudicato il controllo e la disciplina dell’esercito industriale che, naturalmente, deve essere unito e conforme in tutto. Quand’anche quei governi non avessero dato nessun altro incomodo, essi sarebbero stati superflui, dopo la grandiosa semplificazione del vasto organismo governativo. La direzione dell’industria è quasi la sola attività dell’amministrazione, che la maggior parte degli scopi ai quali servivano i governi, non hanno ora più bisogno di esser raggiunti: noi non abbiamo esercito, nè flotta e specialmente nessuna organizzazione militare. Non abbiamo divisioni di finanze, dogane, dazi, tasse o gabellieri; e la sola funzione veramente governativa che sussiste ancora è il sistema giuridico e di polizia. Vi ho già spiegato il nostro sistema giuridico ed avete visto quanto esso sia semplice paragonato alla vostra macchina, così materiale e complicata. Naturalmente la mancanza di delitti od anche di soli tentativi, e ciò semplifica tanto il compito dei giudici diminuisce anche i doveri ed il numero degl’impiegati di polizia».

«Ma come fate per la legislazione, poichè non avete corpo legislativo ed il congresso non si convoca che ogni cinque anni?»

«Non abbiamo legislazione», rispose il dottor Leote, «cioè, è come se non ne avessimo. Il congresso, anche quando si riunisce, discute raramente leggi importanti ed inoltre ha soltanto il potere di raccomandarle al congresso seguente e ciò allo scopo di evitare una risoluzione troppo affrettata; se riflettete un momento, vedrete, signor West, che non abbiamo nulla che sia necessario regolare con una legge; i principi, sui quali è basata la società, aggiustano per sempre le contese e i malintesi, che, al tempo vostro, esigevano una legislazione.

I novantanove centesimi delle leggi vostre concernevano la spiegazione e la protezione della proprietà privata e le relazioni [p. 114 modifica]fra compratore e venditore; ora che non abbiamo più nè proprietà privata, all’infuori dell’avere personale, nè compera o vendita, sparisce ogni ragione di essere di una legislazione.

La società d’allora era una piramide che si sosteneva sul suo vertice e tutti gli sforzi della natura umana tendevano ad atterrarla, sicchè per tenerla in piedi, si doveva ricorrere ad un sistema artificiale di sostegni e di pilastri, i quali avevano sempre bisogno di essere rinnovati: questi sostegni erano le vostre leggi.

Un consiglio nel centro e quaranta legislature politiche, pubblicavano annualmente circa 20,000 leggi, ma non giungevano mai a fare questi nuovi sostegni, abbastanza in tempo, da supplire tutti quelli che cadevano o che divenivano inutili; ora la società posa sulla sua base e non ha maggiormente bisogno che non le eterne montagne, di un sostegno artificiale».

«Ma avrete almeno governi civici, accanto all’autorità centrale?».

«Certamente, ed essi hanno funzioni importanti e vaste, dovendo pensare alla comodità ed al riposo pubblico, come pure al miglioramento ed all’abbellimento dei villaggi e delle città».

«Ma come possono essi condurre a termine cosa alcuna, non avendo nessun diritto di comando sulla loro gente e nessun mezzo per ottenerlo?»

«Ad ogni città fu concesso il diritto di valersi, per i lavori pubblici, di una certa parte del lavoro che i suoi abitanti fanno per la nazione. Per essa, quella parte, viene iscritta come credito, convertibile a seconda del suo volere».